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Autore: suxsaku    05/12/2006    2 recensioni
Un mago ciarlatano, scorbutico e intrattabile.
Una ladra idealista, sognatrice e suscettibile.
Una profezia centenaria, astrusa e frammentata.
<< Fabrum esse suae quemque fortunae. >>
<< Che significa? >>
<< Che ciascuno è artefice della propria sorte. >>
Storia a cui tengo davvero molto. Sebbene abbia tutta la vicenda stampata in mente, non l'ho messa completamente per scritto, perciò gli aggiornamenti non saranno frequentissimi.
>> EDIT Capitolo 19. Ho fatto una correzione: alla fine del capitolo mancava una frase di Wantz; a causa dell'html si vedevano solo le virgolette. Ringrazio Yuna per la segnalazione.  <<
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Cap7

Mi scuso per la brevità di questo capitolo, ma siamo in una fase transitoria, e non se ne può prorpio fare a meno. Dal prossimo dovremmo tornare ai livelli inziali. Intanto però potete pure scervellarvi su questo: Jillian alla ribalta, signore e signori... P.S: i ringramenti per i commenti li rimado ad un capitolo più corposo, qui mi sembrano sprecati. Alla prossima.

Capitolo 7: Perplessità

La pioggia non smise di cadere per tutta la notte. Soltanto la mattina, al suo risveglio, Wantz constatò con sollievo che finalmente il cielo era privo di nuvole e non c’era pericolo di un nuovo temporale, almeno per quel giorno. Stava guardando fuori dalla finestra quando vide alcuni uomini che parlottavano tra loro in modo concitato, guardandosi agitati intorno e controllando freneticamente di non essere visti da nessuno: con ogni probabilità erano quelli mandati a cercare Alec che tornavano con le pive nel sacco. Wantz scosse mestamente la testa, quando sentì alcuni mugugni indistinti e si voltò di scatto.

Jillian si rigirò nel letto, bofonchiando frasi prive di senso. Il mago, indispettito per essersi agitato per nulla, la svegliò malamente e le disse di prepararsi ad andarsene.

Radunati i loro scarsi averi, si apprestarono ad uscire dalla stanza, ma Jillian si bloccò prima di varcare la soglia.

< Glielo dirai? > domandò con un filo di voce.

Anche lui si fermò. < Parli di quello che è successo ieri? > Notò un lievissimo gesto di assenso da parte della ragazza. < Naturalmente no. >

< Non è giusto. > sussurrò lei.

< A che scopo dovrei dirglielo? > chiese stancamente, come chi chiede una cosa ovvia ad un bambino ottuso.

< Hanno il diritto di sapere la verità. >

< E la straordinaria capacità di fraintendere tutto: più volte in casi simili sono stato accusato di cose che non ho fatto. >

< Basta spiegare come sono andate le cose. > ribadì.

< Fosse facile, per un mago, essere creduto: la gente comune ha un terrore granitico verso di noi. >

< Quindi non vuoi dirglielo perché hai paura di essere incolpato? Non puoi essere così vigliacco. > continuò lei con astio.

< E’ la mia unica difesa contro la diffidenza delle persone verso i maghi. > si giustificò.

< Allora devo ammettere che il loro è un timore legittimo. >

< Forse diffidenza non è il termine esatto. Sarebbe più corretto dire repulsione. > si corresse, uscendo dalla stanza e scendendo le scale.

< Sei solo un ipocrita. > sussurrò lei seguendolo.

< Probabilmente hai ragione. >

Jillian lo afferrò per un braccio, costringendolo a fermarsi. < Mi oppongo a questa tua decisione. >

< Bene: puoi dirglielo, se vuoi. > Si interruppe bruscamente, accortosi che ai piedi delle scale c’era l’oste in compagnia di uno degli uomini che aveva veduto prima dalla finestra.

La donna stava piangendo con la faccia affondata in un grembiule sporco, e l’uomo, presumibilmente suo marito, le stava bisbigliando delle frasi rassicuranti, tenendola stretta a sé. L’uomo aveva profonde occhiaie e un’aria tremendamente stanca: doveva aver cercato il figlio per giorni senza mai riposare, in preda alla pioggia al vento sferzante. Quando si accorsero della loro presenza, la donna se ne andò di corsa, soffocando le lacrime, mentre l’altro rimase per fare il suo dovere di oste. Jillian era ammutolita e seguì la donna con lo sguardo, con la morte nel cuore e un’insopportabile senso di impotenza. Wantz si divincolò e liberò il braccio dalla presa della ragazza; prima di andare dallo sconosciuto a saldare il conto, le mormorò una frase a labbra strette.

< Sempre che tu ci riesca. >

 

***

< Te l’ ho detto. >

< Io… Non so bene che cosa fare… >

< Mettilo alla prova. Lui ha testato le tue capacità, no? Era sua ferma intenzione liberarsi di te se non fossi risultata idonea. Perché dunque non fare lo stesso? Saggia il suo animo, accertati se merita il compito che ha monopolizzato. Verifica che non sia lui quello che dovrebbe sparire. Accertati che sia degno. >

< Non vorrei si accorgesse che sospetto di lui. >

< Sei in gamba, lo sai. Puoi fare qualunque cosa. >

< Hai ragione. Sono in grado di farlo. >

< Fingi, menti e dissimula: perché è questo che lui sta facendo con te. >

< D’accordo; farò come mi hai suggerito. >

< E non ti preoccupare. Ora ci sono io. Non gli permetterò di farti del male. >

***

 

< Ti dai una mossa? > ringhiò Wantz; aveva preso il cavallo e stava aspettando che la ragazza si decidesse a  fargli di grazia di partire.

Jillian si riscosse e, lanciato un ultimo sguardo fugace all’osteria, raggiunse il mago e lo seguì.

L’attraversamento dell’anonimo paese fu accompagnato dall’inquietudine che serpeggiava fra gli abitanti. Occhiate sospettose si posavano continuamente su di loro, e avevano la perenne sensazione di essere spiati. Fu con estremo sollievo che Jillian affrontò di nuovo il cammino fuori dai centri abitati, su una polverosa e deserta strada sterrata. Ciò nondimeno, tanto Jillian si era rasserenata quanto Wantz incupito.

Indecisa se interpretarlo come malumore o amarezza, Jillian decise che l’unica cosa de fare era avere il solito atteggiamento: è più facile che qualcuno sia sincero se noi in prima persona lo siamo. O almeno così credeva.

< Abbiamo una destinazione, quest’oggi? > chiese con fin eccessiva noncuranza.

Il ragazzo annuì. < Siamo diretti in un villaggio chiamato Past. >

< Finalmente, > esclamò con vivacità < abbiamo una meta precisa. >

< Fa tanta differenza? Non sai neppure cosa andiamo a farci. >

Lei sorrise. < Perché, avevi il proponimento di dirmelo? In tal caso non mi lascio sfuggire quest’occasione inaspettata. >

Wantz le lanciò un’occhiata fugace. < Mi fa piacere vedere che ti sei ripresa completamente. > disse con una punta di cattiveria.

Jillian non capì subito a cosa si riferisse.< Stai insinuando che non sono coerente con me stessa? Non ho dimenticato la sofferenza patita da quella povera, ignara e innocente famiglia. > disse in sua difesa, cercando di sotterrare il fatto che per un attimo anche lei si era sentita molto superficiale.

< Non ho detto questo. >

< Mi sembrava che la tua fosse una critica. > ribatté sprezzante.

< Affatto. A volte è bello potersi scordare dalle disgrazie che ci circondano e stare sereni, seppure per poco. E’ così opprimente, avere sempre in testa… > Si bloccò.

< Che cosa? >  Poiché il ragazzo non mostrava alcuna intenzione di terminare la frase, ci pensò lei. < Il tormento indefinibile che si è annidato in tutta la popolazione? L’angoscia implacabile che accompagna ogni singola giornata? Il desiderio insaziabile di avere qualcosa a cui aggrapparsi per non smarrirsi nella disperazione? Queste e mille altre cose che ricordano con insistente petulanza quanto tu sia inutile in questo dramma, e quanto si debba ancora fare per porvi fine? >

Wantz alzò gli occhi al cielo. < Non avrei potuto dirlo meglio. >

Jillian lo guardò di sottecchi: aveva impressa sul volto la stessa impronta di scoraggiamento che aveva visto innumerevoli volte su se stessa.

< Ma di certo, > continuò il mago < io avrei saputo dirlo in modo più conciso. >

Jillian fu felice di assaporare ancora, dopo tanto tempo, la piacevole sensazione che ti lascia addosso una risata.

 

***

< Ha superato la prova? >

< E’ troppo presto per dirlo. >

< Proprio quello che volevo sentirmi dire: hai compreso pienamente ciò che devi fare. >

< In ogni caso, non so perché, ma non mi riesce di dubitare appieno di lui: se in un momento mi fa irritare, in un tempo ancor più breve riesce a farmi dimenticare perché mi ero innervosita; un attimo sono arrabbiata, e l’attimo dopo penso di poter riporre piena fiducia in lui. Non lo capisco. >

< Perché finge, e quindi si contraddice da solo. >

< Non ci riesco; non riesco a vederlo come un pericolo. Non riesco a concepirlo come una persona falsa. >

< E’ qui che sbagli. >

< Dimmi qualcosa che mi aiuti a comprendere, allora. >

< Il sorriso, Jillian: lo hai mai visto sorridere? Di un sorriso vero, intendo. >

***

 

< Sei certo di voler tornare lì? >

< Avete notato che, ogni sera, quando possiamo parlare, non fate altro che seppellirmi di domande? >

Rise, e Wantz si stupì per l’ennesima volta di come suonasse strana e innaturale la voce del suo interlocutore. Non poteva essere altrimenti, trattandosi di una cosa anormale; chissà cosa si provava ad essere una presenza soprannaturale… Chissà cosa si provava ad essere…

< E tu sei conscio della tua abilità a evitare i discorsi che non ti aggradano? > ribatté.

< Una dote innata di cui vado fiero. > spiegò Wantz con vivo orgoglio.

< Una volta là, ti rendi conto che dovrai… >

Il ragazzo lo zittì con un cenno della mano. Si alzò e, raggiunta Jillian, si chinò su di lei: biascicava qualcosa di incomprensibile e si dibatteva lievemente.

< Qualcosa non va? > chiese la presenza evanescente.

Wantz restò assorto per qualche secondo, fissando la ragazza addormentata. < Sogna. > rispose infine, tornando al suo posto.

< C’è da impensierirsi? >

< Suppongo di no: presumibilmente è normale che abbia il sonno agitato, dato il cambiamento radicale che la sua vita sta avendo. >

Si appoggiò al tronco dell’albero e sistemò il mantello attorno a sé come fosse una coperta. La presenza ebbe un inconsistente sospiro e svanì.

< Non perdere di vista la realtà, Wantz. >

< Sbagliate. > Scosse la testa, cercando con gli occhi Jillian. < E di ciò che è fasullo che mi devo preoccupare. >

 

  
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