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Autore: Calipso__    15/05/2012    3 recensioni
L'Oltretomba è irraggiungibile: gli dei non riescono ad accedervi e Ade sembra essere sparito nel nulla. Robby è una nuova mezzosangue, ma il suo ritrovamento non è stato casuale: due profezie la obbligano a partire per un'impresa alla ricerca della verità. Insieme a Nico, figlio di Ade e Paul, figlio di Apollo, Robby partirà per la volta di Los Angeles, ma durante questo viaggio qualcuno tenta di ostacolarli in tutti i modi possibili: sembra proprio che Ade sia prigioniero del suo stesso regno. Riusciranno i tre mezzosangue a intervenire prima che per Ade e per tutto l'Oltretomba sia troppo tardi?
Alla mia migliore amica Chiara,
che ha veramente consacrato
la sua vita per quello in cui crede.
E ai miei amici
che per me ci sono sempre,
pure in questo racconto.
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Robby e gli dei dell'Olimpo'
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Mi ritrovo al Campo Mezzosangue a fare da infermiera al figlio di Ade

 

 

 

 

 

2

Mi ritrovo al Campo Mezzosangue

a fare da infermiera al figlio di Ade

 

F

 
 
eci poco caso a quello che successe dopo. Entrai in casa con uno sconosciuto dicendo che la macchina era distrutta e i miei iniziarono a bombardarmi di domande. Nico cercava di spiegare quello che stava succedendo, ma né mio padre né mia madre sapevano una briciola di inglese, quindi mi ritrovai non solo al centro dell’attenzione, ma pure a fare da traduttrice. Io però traducevo senza intromettermi troppo nel discorso: normalmente avrei tentato di giustificarmi, ma non ce la facevo, tutte quelle rivelazioni mi avevano traumatizzata troppo.

- Vostra figlia deve venire con me al Campo – insisteva Nico serio.

- Questa storia degli dei… è tutta una cosa ridicola! – esclamò mio padre rosso come un peperone dalla rabbia. 

Nico allora, vedendo che i miei genitori ancora non gli credevano, disse: - Se non credete agli dei posso mostrarvi i miei poteri: al Campo ho imparato a manipolare la foschia, posso mostrarvi che ciò che dico è reale. –

- Cosa sta dicendo? – domandò mia madre nervosa, e io le tradussi: - Sta semplicemente dicendo che se volete può dimostrarvi che tutte queste cose sugli dei sono vere. -

- Devo però avvertirvi – intervenne Nico – Non è uno spettacolo per deboli di cuore. –

Alzai un sopracciglio.

- Cosa? – chiese mio padre fissandomi insistentemente per ricevere una traduzione istantanea.

- Ha detto di rimanere seduti e allacciare le cinture di sicurezza: non vuole prendersi alcuna responsabilità in caso di svenimenti. – tradussi; avevo fatto quella battuta per rompere un po’ la tensione, ma in realtà ero nervosa pure io come loro: insomma, Nico stava per dimostrare i suoi poteri, e lui era il figlio del dio dei morti… la cosa era inquietante.

Nico portò le mani davanti a sé, la sinistra davanti agli occhi di mia madre e la destra davanti a quelli di mio padre. La scena era abbastanza divertente e trattenni una risata vedendo una vena fuoriuscire dalla tempia di mio padre, che sicuramente stava pensando a quanto fosse ridicolo prestarsi a una simile sciocchezza.

Dopo di che, Nico appoggiò le mani sul pavimento, e tutti noi sentimmo dei rumori provenire dal giardino alle nostre spalle; io, mamma e papà corremmo alla porta finestra, e vedemmo dei corpi uscire dal terreno, alzarsi e camminare. Era buio per vedere le loro facce, ma la cosa era reale e nessuno poteva negarlo. Mamma e papà stavano per dare di matto, erano talmente sconvolti che non riuscivano nemmeno ad urlare.

- Potete andare… - disse Nico rivolgendosi agli zombie. Anche se la porta era chiusa, i cadaveri colsero il messaggio e tornarono da dove erano arrivati, da sotto terra.

- Ci sono dei cadaveri sotto il nostro giardino?! – domandai terrorizzata rivolta a Nico, interrompendo quel tetro silenzio.

Lui alzò le spalle. – Pensi che dopo tutti questi secoli, sotto strati e strati di terra non ci siano dei morti un po’ ovunque? –

Inquietante, ma non faceva una piega.

- Non ci posso credere… - disse mamma lasciandosi andare sulla sedia, pallida dalla paura.

- Tutto quello di cui ci raccontavi, i mostri e i sogni… era tutto vero. –

Io annuii: una parte di me avrebbe voluto ricordare loro che come minimo mi dovevano delle scuse per gli anni passati in terapia a farmi dare della pazza dagli altri, ma pensai che al loro posto anch’io mi sarei comportata così.

- Credo che Nico abbia ragione – dissi lentamente. – Devo andare a questo Campo: se voglio tornare da voi e vivere nel limite del possibile una vita normale, non posso fare altro. -

Mamma annuì, ma papà sembrava ancora troppo scioccato per dire qualcosa.

- Hey, starò bene! – esclamai, più per convincere me stessa che per loro.

- Ci dobbiamo pensare, Robby… - disse papà all’improvviso.

- Che ha detto? – mi chiese Nico; gli tradussi quello che aveva detto papà e Nico sembrò diventare di tutti i colori.

- Forse non capiscono la gravità della situazione... più tempo passi qui, più mostri potresti incontrare! Già sono stupito che tu sia ancora viva... –

- Molto gentile a sottovalutarmi così… - commentai ironica, ma lui scosse la testa.

- No, tu non capisci… è veramente complicato vivere da Mezzosangue – spiegò. - la gran parte di noi se non trovato e addestrato al Campo non arriva ai 13 anni. Solitamente solo i Mezzosangue di dei minori riescono a cavarsela senza il Campo, perché il loro odore non è forte… ma tu, sei figlia di Zeus! I figli di Zeus, Ade e Poseidone sono quelli più in pericolo di tutti. Però è possibile che tu te la sia cavata semplicemente perché vivi in Europa. –

Lo guardai accigliato, prendendola un po’ come un’offesa.

- Scusa, e cosa c’è di male nel vivere in Europa?! – gli domandai incrociando le braccia e aspettando una risposta.

- Non te la devi prendere – mi disse subito. – Devi sapere che gli dei e l’Olimpo si spostano a seconda del paese più avanzato in un dato periodo storico: Grecia, Roma, Gran Bretagna fino ad arrivare in America. –

- Ma... se gli dei sono in America ora come ora, perchè io sono italiana? – chiesi; era una domanda stupida da fare in effetti, ma era lecita. 

- Probabilmente tua madre naturale deve essere una donna veramente speciale per aver attratto Zeus così lontano. - spiegò pazientemente Nico. - Il fatto è che nessuno al Campo si aspettava di trovare una Mezzosangue così potente. -

- Io… sarei potente? – domandai in un sussurro.

Nico annuì. – Sono venuto qui da te apposta per questo. Chirone, il nostro mentore al Campo, si è reso conto che qualcosa sta cambiando, è stato registrato un aumento della presenza di mostri proprio in questa zona, e ha mandato me in ricognizione. Sono settimane che piove, noi credevamo che ci fosse l’intervento di qualche mostro in particolare, non avevamo pensato all’eventualità che ci fosse qualche potente Mezzosangue proprio qui. –

- Quindi tutta questa pioggia… è colpa mia? – domandai con un filo di voce.

Nico alzò le spalle. – A quanto pare sì. Ma è strano: un Mezzosangue perde raramente il controllo dei suoi poteri, solitamente accade quando si trova in pericolo, eppure questa situazione continua da oltre un mese… –

Avrei voluto raccontargli dei sogni che facevo, della ragazza imprigionata, sentivo che in qualche modo aveva qualcosa a che fare con quello che stava succedendo… poi vidi le facce di mamma e papà. Solo una mia occhiata ed entrambi annuirono debolmente. Mamma si alzò e mi strinse in un abbraccio.

- Mi fido di te, quindi fai la brava e fatti sentire di tanto in tanto. – mi sussurrò piano, e annuii, cercando di ricacciare indietro le lacrime.

Papà invece si alzò e mi mise una mano sulla spalla: si vedeva chiaramente che pure lui non voleva lasciarmi andare e che se lo faceva era solo per il mio bene, ma non è mai stata una persona che ama mostrare la propria emotività, così si limitò a quel semplice gesto. Gli sorrisi cercando di incoraggiarlo.

Prima di andare chissà dove e per chissà quanto tempo, andai in punta di piedi in camera, e l’osservai nostalgica a luce spenta: il mio letto era ancora fatto dall'altra parte della stanza, mentre nel letto vicino alla porta, mia sorella dormiva beata senza sapere cosa stava per succedere. Avrei voluto svegliarla per salutarla, ma sapevo che di fronte a lei avrei ceduto e sarei scoppiata a piangere, quindi mi limitai a sedermi sul suo letto e ad accarezzarla. Intanto guardai sulla scrivania le foto che immortalavano i momenti più belli passati con gli amici e per un attimo mi persi nei ricordi: quella grigliata a casa mia, quante risate! Per non parlare delle emozioni vissute a quel concerto… poi il mio sguardo si soffermò sui biglietti aerei che avevo attaccato sull’armadio; altri splendidi ricordi entrarono di prepotenza nella mia mente, e sentii lo stomaco contorcersi all’idea di dovermene andare senza neppure salutare i miei amici.

Mi voltai e vidi Nico sul ciglio della porta, che mi fissava, imbarazzato da essere un estraneo in quel momento così intimo e personale.

- Bella camera – si limitò a dire.

Io annuii e mi alzai in piedi, salutando mia sorella con un’ultima carezza.

- Devo prendere qualcosa? – domandai a Nico. Lui scosse la testa.

- Tutto ciò che ti serve sarà al Campo. – mi rassicurò. Presi solo con me il mio iPod, ci tenevo a sentire ovunque la mia musica preferita. Tornai all’ingresso e salutai ancora una volta i miei genitori, promettendo loro di farmi sentire il prima possibile, ed uscii da casa mia con Nico.

- Ed ora? – domandai. – Dove si trova questo Campo? –

Nico rispose allegro: - Beh, a Long Island, in America. –

Lo guardai un po’ accigliata e borbottai: - Hem… quindi dobbiamo andare in aereo? –

Lui scoppiò a ridere e rispose: - Non mi sembra il caso: non sono un figlio di Zeus, mi fulminerebbe subito se solo provassi a invadere il suo regno. -

- Allora cosa si fa? – domandai.

- Dopo gli scheletri in giardino ti farò provare un’altra chicca di un figlio di Ade. Si chiama viaggio nell’ombra. – disse con un sorriso.

Deglutii e commentai: - Beh, un nome confortante direi! –

Mi fece l’occhiolino e aggiunse: - Non devi avere paura delle ombre se sei con me. – poi mi diede le spalle e mi ordinò: - Su, forza: sali sulla mia schiena e attaccati forte a me. –

Lo guardai cercando di capire se stesse scherzando o meno, ma quando notai il suo volto serio, obbedii senza discutere.

- Mi raccomando non ti staccare mai e poi mai da me, ok? – mi raccomandò Nico prudente.

Non mi lasciò tempo di ribattere che sentii un freddo gelido entrarmi nelle vene, e fui circondata dal buio più profondo. Viaggiare nell’ombra è una cosa veramente orribile: non si riesce a vedere nulla, non si ha la cognizione di luogo e tempo e non solo ci si sente congelare dall’angolo più profondo del cuore, ma il vento è così forte che sembra volerti fare le ossa a pezzi. Mi strinsi ancora più forte a Nico: non riuscivo a vederlo, ma lui era l’unica fonte di calore che mi rimaneva, l'unica cosa che mi permetteva di non perdere i sensi. Sembrava che corresse ad una velocità atomica, era una cosa incredibile.

Improvvisamente, dopo non so quanto tempo, riuscii a sentire qualcos’altro oltre a Nico: il terreno. Io e lui infatti facemmo un atterraggio non molto morbido sull’erba fresca, e fummo circondati da un tramonto rosso sangue. Ero ancora in preda ai brividi, ma mi alzai per vedere dove ci trovavamo: eravamo all’aperto, in una zona collinare, e riuscivo a scorgere parecchi edifici in stile greco vicino a un lago. Mi voltai per congratularmi con Nico per quello che aveva fatto, ma lui giaceva in terra ad occhi chiusi: ero così entusiasta per essere arrivata al Campo, che davo per scontato che Nico stesse bene. Corsi da lui, e cercai di farlo rinvenire, ma invano; il cuore batteva, quindi era ancora vivo, ma il suo stato mi preoccupava comunque. Mi guardai intorno, ma non c’era anima viva: avrei dovuto andare fino al centro del Campo dove sorgevano quegli strani edifici per farmi aiutare, sicuramente lì conoscevano Nico.

Lo alzai e me lo portai praticamente sulla schiena, incamminandomi piano verso il centro del Campo; non era  pesante per la sua età, ma era comunque difficile trasportarlo in giro. Camminavo piano per non rischiare di inciampare e cadere insieme a lui.

Ad un certo punto vidi due figure correre verso di me dal lago: probabilmente mi avevano visto trasportare un’altra persona e stavano accorrendo in aiuto; solo quando si avvicinarono di più vidi che erano un ragazzo e una ragazza, ed entrambi si accorsero di conoscere il ragazzo che avevo sulla schiena.

- Nico! – esclamò il ragazzo, e mi aiutò subito a sostenerlo.

- Cos’è successo? – chiese nervosa la ragazza.

Raccontai loro del viaggio nell’ombra, ed entrambi tirarono un sospiro di sollievo.

- E’ una cosa normale – mi spiegò il ragazzo. – Un viaggio nell’ombra è molto faticoso… Nico è molto allenato, ma non ha mai portato con sé una persona. Ora sta solo dormendo, è esausto e ha bisogno di riprendere forze. -

- Dobbiamo portarlo in infermeria. – continuò la ragazza annuendo, e ci fece strada.

Arrivammo molto velocemente in infermeria e la ragazza portò indietro le lenzuola di un letto vuoto, così che io e il ragazzo potessimo adagiarci sopra Nico.

Finalmente potei vedere in volto i due che mi avevano aiutata; la ragazza era molto bassa, anche se probabilmente aveva un paio d’anni in più di me, capelli neri, corti e ben pettinati, e mi osservava incuriosita con degli occhi neri e profondi. Il ragazzo invece era alto, slanciato e atletico, anche lui capelli neri ma occhi verdi, d’un verde intenso, forte e impetuoso… sentii un brivido percorrermi la schiena: quel ragazzo aveva qualcosa di strano, me lo sentivo per qualche strano motivo… mi fissava accigliato e sedendosi in fondo al letto di Nico disse: - Non abbiamo fatto le presentazioni: io mi chiamo Percy, e lei è Helénia. –

La ragazza alzò la mano per salutarmi, e lo fece con un enorme sorriso, mentre Percy sembrava continuare a studiarmi, il che era abbastanza irritante.

- Io sono Roberta, ma chiamatemi Robby. – mi presentai. – A quanto pare sono la ragione per cui in Italia c’erano tanti problemi. -

- Allora Nico ha completato con successo la sua impresa in Europa! – esclamò Helénia allegra, andando verso il comodino di Nico e tirando fuori una strana sostanza che sembrava succo di mela.

Solo in quel momento mi accorsi che Percy, Helénia e tutti i pochi ragazzi che avevo incontrato sul percorso verso l’infermeria, indossavano una maglia arancio a mezze maniche con la scritta Campo Mezzosangue.

Sentendo caldo, mi tolsi la felpa e non appena lo feci, Percy m’apostrofò: - Cos’è quel simbolo sul polso? – Alzai il braccio, gli mostrai il tatuaggio del fulmine e gli spiegai: - A quanto pare sono figlia di Zeus. Quando ancora non sapevo cosa potesse significare quel simbolo che mi è apparso sopra la testa, sentivo di dovermelo tatuare sul corpo. –

Percy sospirò e borbottò: - Ecco perché ho questa strana sensazione con te… -

- Come? – domandai io senza capire cosa volesse dire.

Il ragazzo mi osservò in una maniera strana: i suoi occhi verdi sembravano quasi volere attraversare i miei.

- Io sono figlio di Poseidone. – disse. – Sai… uno dei tre pezzi grossi insieme a Zeus e Ade. Spesso loro sono in competizione e litigano, anche per delle stupidaggini… per questo sentivo una strana sensazione allo stomaco non appena ti ho vista. -

Quindi gli stavo già antipatica a pelle. Probabilmente era la stessa sensazione che provavo io con lui. Fantastico. Vedendo la mia faccia, Percy si affrettò a chiarire: - Ma non è detto che non possiamo essere amici; conosco un’altra ragazza che è figlia di Zeus esattamente come te ed è mia amica. Semplicemente, beh… credo che ci sia un senso di rivalità intrinseco, ma questo non vuol dire che non si possa andare d’accordo, no? –

Beh, quel ragionamento non faceva una piega. Annuii nervosa, poi guardai Helénia e le domandai: - Tu invece di chi sei figlia? –

Con un sorriso mi lanciò una maglia arancione esattamente come le loro, che era appena andata a prendere in un armadio nella stanza.

- Sono figlia della dea Philotes. – rispose e vedendo che ancora non avevo capito, aggiunse: - E’ una dea minore, è figlia della Notte. Se Poseidone regna sul mare, Ade negli Inferi e Zeus sul cielo, mia madre regna nei sentimenti dell’affetto, della passione e dell’amicizia. Sai, fino a poco tempo fa nel Campo c’era posto solo per i figli di dei maggiori, ma ora dopo l’accordo stipulato nell’ultima guerra, ogni mezzosangue ha un suo posto qui. -

Sebbene non sapessi a quale guerra facesse riferimento, io annuii e Percy si alzò in piedi dicendo: - Beh, credo che sia tempo per te di andare a parlare con il nostro mentore, Chirone. Ti spiegherà come funzionano le cose qui al Campo. –

Io però non mi mossi, e commentai solo: - Io da qui non mi muovo. –

Percy si voltò nuovamente verso di me e mi guardò accigliato senza capire.

- Come, prego? – chiese, e io ripetei: - Non mi muovo da qui; per lo meno non lo farò fino a quando Nico non si sveglia. Non lo lascio da solo, ok? -

- Ma lui non sarà da solo – mi spiegò con calma Percy. – Al Campo siamo in tanti, inoltre lui non sta male, sta solo dormendo, e potrebbe continuare a farlo per un paio di giorni… -

- Non m’importa – lo interruppi. – Io rimango qui con lui, ok? –

Percy sospirò e con passo pesante, forse un po’ arrabbiato borbottò: - Un’altra testarda al campo, come se Annabeth non bastasse… -

Mi voltai verso Helénia che sorrideva divertita dalla reazione di Percy.

- E’ troppo forte quel ragazzo – commentò ridacchiando.

- Chi è Annabeth? – le domandai.

- La sua ragazza. – mi spiegò. – E’ figlia di Atena, la dea della saggezza. –

La dea della saggezza?! Ok, dovevo farci ancora l’abitudine a tutte quelle stranezze. Helénia si avvicinò a me porgendomi un panno bagnato e un bicchiere di quella sostanza che sembrava succo di mela.

- Cos’è? – le domandai.

- Nettare. – spiegò gentilmente. – E’ il cibo degli dei. Essendo mezzosangue possiamo berlo anche noi, ma in quantità ridotte, altrimenti prendiamo fuoco. –

- Sì, ci manca solo di prendere fuoco per concludere in bellezza questa giornata… - commentai sarcastica. Lei sorrise e disse: - E’ per Nico: il nettare, se preso in quantità ridotte, aiuta la guarigione di noi mezzosangue. –

Ok, ora aveva un senso. Appoggiai il panno bagnato sulla fronte di Nico, e gli aprii la bocca, facendogli scorrere giù per la gola un sorso di quella strana bevanda.

Passai in infermeria tre giorni e tre notti, e Nico sembrava immerso nel più profondo dei sogni. Ogni tanto borbottava qualcosa di incomprensibile, ma non mi preoccupavo poi molto: se si agitava nel sonno e parlava addirittura, voleva dire che era ancora vivo, e ciò non poteva che rasserenarmi.

Helénia era una persona molto gentile: ogni giorno passava tre volte in infermeria a portarmi qualcosa da mangiare e da bere; nonostante io e lei non conoscessimo praticamente nulla l’una dell’altra, era come se fossi stata da sempre una parte importante della sua famiglia: stare in sua compagnia mi si scaldava il cuore. Percy invece veniva da me un paio di volte al giorno per dirmi che avrei dovuto recarmi a parlare con Chirone e che avrei dovuto iniziare le attività e la normale vita del Campo, ma io non demordevo: nessuno mi avrebbe smossa da più di un paio di metri da quel letto fino a quando Nico non avesse ripreso i sensi.

Presto conobbi anche Annabeth, la ragazza di Percy: aveva i capelli ricci e biondi e degli occhi di un grigio intenso che, quando incontravano miei, sembravano volermi leggere dentro. All’inizio anche lei spalleggiava il suo ragazzo nel tentativo di convincermi ad andare a parlare con questo Chitone, ma quando vide che ero irremovibile, ci mise una pietra sopra.

- La vuoi smettere, Testa d’Alghe?! – sbottò finalmente seccata rivolta a Percy. – Capisco perché voglia stare vicino a Nico: è stato lui a portarla qua, e anch’io quando sono arrivata qua… sì, insomma, ho passato molto tempo all’albero di Thalia senza voler andarmene da là. -

Non sapevo di che stessero parlando né meno che meno chi fosse Thalia, ma rivolsi un sorriso riconoscente ad Annabeth che sembrava essere l’unica in grado di tenere testa a Percy. Lei mi ricambiò il sorriso con complicità.

Passarono altri due giorni, e sentivo un certo nervosismo passarmi per tutto il corpo: anche se Nico continuava a parlare nel sonno e ad agitarsi di tanto in tanto, mi preoccupava che non si fosse ancora svegliato. Sempre più spesso, toccando cose o persone, lanciavo delle scintille, ma non lo facevo apposta.

Stavo mangiando un pezzo di pizza che Helénia mi aveva portato gentilmente dal pranzo di quel giorno anche se ormai era pomeriggio inoltrato, quando Nico iniziò a borbottare qualcosa; inizialmente non capii cosa stesse dicendo, ma poi, per la prima volta, capii quella parola incomprensibile che da giorni ormai ripeteva nel sonno: - Bianca…! Bianca! –

Chissà chi era Bianca… forse la sua ragazza o forse una sua amica. Magari era una ragazza del campo che io non conoscevo: a parte Nico, Percy, Annabeth e Helénia, non avevo conosciuto nessuno… lo fissai agitarsi nel sonno. Dopo di che i suoi occhi neri si spalancarono, terrorizzati e agitati.

- Hey, Nico! – esclamai preoccupata. – Stai bene? -

Mi guardò ancora sconvolto, e per un attimo sembrò non riconoscermi nemmeno; dopo un paio di secondi passati ad osservarmi, scosse la testa e scendendo dal letto disse: - Ho fatto un sogno e… io stavo per… è successo qualcosa nell’Ade, lo so. –

Erano frasi scollegate, ma l’agitazione stava prendendo il sopravvento su di lui.

- Ascolta, calmati un secondo! – esclamai io, e con uno spintone lo feci tornare a letto; spingendolo via, lo colpii con una scarica di elettricità, e i capelli gli si rizzarono sulla testa.

- Scusami! – feci subito io, portandomi desolata una mano davanti alla bocca.

- Non fa niente… - borbottò lui appiattendosi i capelli.

- Quello che volevo dire è che… io devo ancora parlare con Chirone del mio arrivo e a quanto pare hai qualcosa da raccontargli pure tu. – dissi. – Ma non farti prendere dal panico, d’accordo? Non sono rimasta qui in infermeria per cinque giorni a vegliarti per vederti risvegliarti in panico, chiaro?! Devi stare un po’ calmo…! Prendi un po’ di Nettare che ti fa bene… – gli piantai il bicchiere di Nettare in mano e mi alzai in piedi con l’intento di uscire a cercare qualcuno con cui parlare.

- Sei rimasta qui per cinque giorni?! – domandò Nico incredulo, sdraiato a letto.

Io annuii. – Cinque giorni e sei notti per la precisione. – chiarii e mi avviai fuori. Prima che potessi allontanarmi troppo, sentii la sua voce chiamarmi: - Robby! – Tornai indietro di un paio di passi, fino ad arrivare sulla soglia della porta. Lo vidi sorridermi riconoscente e dire solo: - Grazie… -

Gli sorrisi alzando le spalle come a dire ‘non è niente di che’ e mi incamminai nel Campo alla ricerca di qualcuno.

  
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