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Mi
ritrovo al Campo Mezzosangue
a
fare da infermiera al figlio di Ade
F |
-
Vostra figlia deve venire con me al Campo – insisteva Nico serio.
- Questa storia degli dei… è tutta una cosa ridicola! – esclamò mio padre rosso come un peperone dalla rabbia.
Nico
allora, vedendo che i miei genitori ancora non gli credevano, disse: -
Se non credete agli dei posso mostrarvi i miei poteri: al Campo ho
imparato a manipolare la foschia, posso
mostrarvi che ciò che dico è reale. –
-
Cosa sta dicendo? – domandò mia madre nervosa, e io le tradussi: - Sta
semplicemente dicendo che se volete può dimostrarvi che tutte queste cose sugli
dei sono vere. -
-
Devo però avvertirvi – intervenne Nico – Non è uno spettacolo per
deboli di cuore. –
Alzai
un sopracciglio.
-
Cosa? – chiese mio padre fissandomi insistentemente per ricevere una traduzione
istantanea.
-
Ha detto di rimanere seduti e allacciare le cinture di sicurezza: non vuole
prendersi alcuna responsabilità in caso di svenimenti. – tradussi; avevo fatto
quella battuta per rompere un po’ la tensione, ma in realtà ero nervosa pure io
come loro: insomma, Nico stava per dimostrare i suoi poteri, e lui era il
figlio del dio dei morti… la cosa era inquietante.
Nico
portò le mani davanti a sé, la sinistra davanti agli occhi di mia madre e la
destra davanti a quelli di mio padre. La scena era abbastanza divertente e
trattenni una risata vedendo una vena fuoriuscire dalla tempia di mio padre,
che sicuramente stava pensando a quanto fosse ridicolo prestarsi a una simile
sciocchezza.
Dopo
di che, Nico appoggiò le mani sul pavimento, e tutti noi sentimmo dei rumori
provenire dal giardino alle nostre spalle; io, mamma e papà corremmo alla porta
finestra, e vedemmo dei corpi uscire dal terreno, alzarsi e camminare. Era
buio per vedere le loro facce, ma la cosa era reale e nessuno poteva negarlo.
Mamma e papà stavano per dare di matto, erano talmente sconvolti che non
riuscivano nemmeno ad urlare.
-
Potete andare… - disse Nico rivolgendosi agli zombie. Anche se la porta era
chiusa, i cadaveri colsero il messaggio e tornarono da dove erano arrivati, da
sotto terra.
-
Ci sono dei cadaveri sotto il nostro giardino?! – domandai terrorizzata rivolta
a Nico, interrompendo quel tetro silenzio.
Lui
alzò le spalle. – Pensi che dopo tutti questi secoli, sotto strati e strati di
terra non ci siano dei morti un po’ ovunque? –
Inquietante,
ma non faceva una piega.
-
Non ci posso credere… - disse mamma lasciandosi andare sulla sedia, pallida
dalla paura.
-
Tutto quello di cui ci raccontavi, i mostri e i sogni… era tutto vero. –
Io
annuii: una parte di me avrebbe voluto ricordare loro che come minimo mi
dovevano delle scuse per gli anni passati in terapia a farmi dare della pazza dagli
altri, ma pensai che al loro posto anch’io mi sarei comportata così.
-
Credo che Nico abbia ragione – dissi lentamente. – Devo andare a questo Campo:
se voglio tornare da voi e vivere nel limite del possibile una vita normale,
non posso fare altro. -
Mamma
annuì, ma papà sembrava ancora troppo scioccato per dire qualcosa.
-
Hey, starò bene! – esclamai, più per convincere me stessa che per loro.
-
Ci dobbiamo pensare, Robby… - disse papà all’improvviso.
-
Che ha detto? – mi chiese Nico; gli tradussi quello che aveva detto papà e
Nico sembrò diventare di tutti i colori.
-
Forse non capiscono la gravità della situazione... più
tempo passi qui, più mostri potresti incontrare! Già sono
stupito che tu sia ancora
viva... –
-
Molto gentile a sottovalutarmi così… - commentai ironica, ma lui scosse la
testa.
-
No, tu non capisci… è veramente complicato vivere da Mezzosangue – spiegò. - la
gran parte di noi se non trovato e addestrato al Campo non arriva ai 13 anni.
Solitamente solo i Mezzosangue di dei minori riescono a cavarsela senza il
Campo, perché il loro odore non è forte… ma tu, sei figlia di Zeus! I figli di
Zeus, Ade e Poseidone sono quelli più in pericolo di tutti. Però è possibile
che tu te la sia cavata semplicemente perché vivi in Europa. –
Lo
guardai accigliato, prendendola un po’ come un’offesa.
-
Scusa, e cosa c’è di male nel vivere in Europa?! – gli domandai incrociando le
braccia e aspettando una risposta.
-
Non te la devi prendere – mi disse subito. – Devi sapere
che gli dei e l’Olimpo
si spostano a seconda del paese più avanzato in un dato periodo
storico: Grecia, Roma, Gran Bretagna fino ad arrivare in America.
–
-
Ma... se gli dei sono in America ora come ora, perchè io sono
italiana? – chiesi; era una domanda stupida da fare in effetti,
ma era lecita.
- Probabilmente tua madre naturale deve essere una donna veramente speciale per aver attratto Zeus così lontano. - spiegò pazientemente Nico. -
Il fatto è che nessuno al Campo si aspettava di trovare una Mezzosangue così
potente. -
-
Io… sarei potente? – domandai in un sussurro.
Nico
annuì. – Sono venuto qui da te apposta per questo. Chirone, il nostro mentore
al Campo, si è reso conto che qualcosa sta cambiando, è stato registrato un
aumento della presenza di mostri proprio in questa zona, e ha mandato me in
ricognizione. Sono settimane che piove, noi credevamo che ci fosse l’intervento
di qualche mostro in particolare, non avevamo pensato all’eventualità che ci fosse qualche
potente Mezzosangue proprio qui. –
-
Quindi tutta questa pioggia… è colpa mia? – domandai con un filo di voce.
Nico
alzò le spalle. – A quanto pare sì. Ma è strano: un Mezzosangue
perde raramente il controllo dei suoi poteri, solitamente accade quando si trova in pericolo, eppure questa
situazione continua da oltre un mese… –
Avrei
voluto raccontargli dei sogni che facevo, della ragazza imprigionata, sentivo
che in qualche modo aveva qualcosa a che fare con quello che stava succedendo…
poi vidi le facce di mamma e papà. Solo una mia occhiata ed entrambi annuirono
debolmente. Mamma si alzò e mi strinse in un abbraccio.
-
Mi fido di te, quindi fai la brava e fatti sentire di tanto in tanto. – mi
sussurrò piano, e annuii, cercando di ricacciare indietro le lacrime.
Papà
invece si alzò e mi mise una mano sulla spalla: si vedeva
chiaramente che pure lui
non voleva lasciarmi andare e che se lo faceva era solo per il mio
bene, ma non
è mai stata una persona che ama mostrare la propria
emotività, così si limitò a quel semplice gesto.
Gli sorrisi
cercando di incoraggiarlo.
Prima
di andare chissà dove e per chissà quanto tempo, andai in punta di piedi in
camera, e l’osservai nostalgica a luce spenta: il mio letto era ancora fatto dall'altra parte della stanza,
mentre nel letto vicino alla porta, mia sorella dormiva beata senza sapere
cosa stava per succedere. Avrei voluto svegliarla per salutarla, ma sapevo che
di fronte a lei avrei ceduto e sarei scoppiata a piangere, quindi mi limitai a
sedermi sul suo letto e ad accarezzarla. Intanto guardai sulla scrivania le
foto che immortalavano i momenti più belli passati con gli amici e per un
attimo mi persi nei ricordi: quella grigliata a casa mia, quante risate! Per
non parlare delle emozioni vissute a quel concerto… poi il mio sguardo si
soffermò sui biglietti aerei che avevo attaccato sull’armadio; altri splendidi
ricordi entrarono di prepotenza nella mia mente, e sentii lo stomaco
contorcersi all’idea di dovermene andare senza neppure salutare i miei amici.
Mi
voltai e vidi Nico sul ciglio della porta, che mi fissava, imbarazzato da essere
un estraneo in quel momento così intimo e personale.
-
Bella camera – si limitò a dire.
Io
annuii e mi alzai in piedi, salutando mia sorella con un’ultima carezza.
-
Devo prendere qualcosa? – domandai a Nico. Lui scosse la testa.
-
Tutto ciò che ti serve sarà al Campo. – mi rassicurò. Presi solo con me il mio
iPod, ci tenevo a sentire ovunque la mia musica preferita. Tornai all’ingresso
e salutai ancora una volta i miei genitori, promettendo loro di farmi sentire
il prima possibile, ed uscii da casa mia con Nico.
-
Ed ora? – domandai. – Dove si trova questo Campo? –
Nico
rispose allegro: - Beh, a Long Island, in America. –
Lo
guardai un po’ accigliata e borbottai: - Hem… quindi dobbiamo andare in aereo?
–
Lui
scoppiò a ridere e rispose: - Non mi sembra il caso: non sono un figlio di
Zeus, mi fulminerebbe subito se solo provassi a invadere il suo regno. -
-
Allora cosa si fa? – domandai.
-
Dopo gli scheletri in giardino ti farò provare un’altra chicca di un figlio di
Ade. Si chiama viaggio nell’ombra. – disse con un sorriso.
Deglutii
e commentai: - Beh, un nome confortante direi! –
Mi
fece l’occhiolino e aggiunse: - Non devi avere paura delle ombre se sei con me.
– poi mi diede le spalle e mi ordinò: - Su, forza: sali sulla mia schiena e
attaccati forte a me. –
Lo
guardai cercando di capire se stesse scherzando o meno, ma quando notai il suo volto
serio, obbedii senza discutere.
-
Mi raccomando non ti staccare mai e poi mai da me, ok? – mi raccomandò Nico
prudente.
Non
mi lasciò tempo di ribattere che sentii un freddo gelido entrarmi nelle vene, e
fui circondata dal buio più profondo. Viaggiare nell’ombra è una cosa veramente
orribile: non si riesce a vedere nulla, non si ha la cognizione di luogo e
tempo e non solo ci si sente congelare dall’angolo più profondo del cuore, ma il
vento è così forte che sembra volerti fare le ossa a pezzi. Mi strinsi ancora
più forte a Nico: non riuscivo a vederlo, ma lui era l’unica fonte di calore
che mi rimaneva, l'unica cosa che mi permetteva di non perdere i sensi. Sembrava che
corresse ad una velocità atomica, era una cosa incredibile.
Improvvisamente,
dopo non so quanto tempo, riuscii a sentire qualcos’altro oltre a
Nico: il
terreno. Io e lui infatti facemmo un atterraggio non molto morbido
sull’erba
fresca, e fummo circondati da un tramonto rosso sangue. Ero ancora in
preda ai
brividi, ma mi alzai per vedere dove ci trovavamo: eravamo
all’aperto, in una
zona collinare, e riuscivo a scorgere parecchi edifici in stile greco
vicino a un lago. Mi voltai per congratularmi con Nico per quello che
aveva fatto,
ma lui giaceva in terra ad occhi chiusi: ero così entusiasta per
essere
arrivata al Campo, che davo per scontato che Nico stesse bene. Corsi da
lui, e
cercai di farlo rinvenire, ma invano; il cuore batteva, quindi era
ancora vivo,
ma il suo stato mi preoccupava comunque. Mi guardai intorno, ma non
c’era anima
viva: avrei dovuto andare fino al centro del Campo dove sorgevano
quegli strani
edifici per farmi aiutare, sicuramente lì conoscevano Nico.
Lo
alzai e me lo portai praticamente sulla schiena, incamminandomi piano verso il
centro del Campo; non era pesante per la sua età, ma era comunque
difficile trasportarlo in giro. Camminavo piano per non rischiare di
inciampare e cadere insieme a lui.
Ad
un certo punto vidi due figure correre verso di me dal lago: probabilmente mi
avevano visto trasportare un’altra persona e stavano accorrendo in aiuto; solo
quando si avvicinarono di più vidi che erano un ragazzo e una ragazza, ed
entrambi si accorsero di conoscere il ragazzo che avevo sulla schiena.
-
Nico! – esclamò il ragazzo, e mi aiutò subito a sostenerlo.
-
Cos’è successo? – chiese nervosa la ragazza.
Raccontai loro del viaggio nell’ombra, ed entrambi tirarono un sospiro di sollievo.
-
E’ una cosa normale – mi spiegò il ragazzo. – Un viaggio nell’ombra è molto
faticoso… Nico è molto allenato, ma non ha mai portato con sé una persona. Ora
sta solo dormendo, è esausto e ha bisogno di riprendere forze. -
-
Dobbiamo portarlo in infermeria. – continuò la ragazza annuendo, e ci fece
strada.
Arrivammo
molto velocemente in infermeria e la ragazza portò indietro
le lenzuola di un letto vuoto, così che io e il ragazzo potessimo adagiarci
sopra Nico.
Finalmente
potei vedere in volto i due che mi avevano aiutata; la ragazza era molto bassa,
anche se probabilmente aveva un paio d’anni in più di me, capelli neri, corti e
ben pettinati, e mi osservava incuriosita con degli occhi neri e profondi. Il
ragazzo invece era alto, slanciato e atletico, anche lui capelli neri ma occhi
verdi, d’un verde intenso, forte e impetuoso… sentii un brivido percorrermi la
schiena: quel ragazzo aveva qualcosa di strano, me lo sentivo per qualche
strano motivo… mi fissava accigliato e sedendosi in fondo al letto di Nico
disse: - Non abbiamo fatto le presentazioni: io mi chiamo Percy, e lei è
Helénia. –
La
ragazza alzò la mano per salutarmi, e lo fece con un enorme sorriso, mentre
Percy sembrava continuare a studiarmi, il che era abbastanza irritante.
-
Io sono Roberta, ma chiamatemi Robby. – mi presentai. – A quanto pare sono la ragione per cui in
Italia c’erano tanti problemi. -
-
Allora Nico ha completato con successo la sua impresa in Europa! – esclamò
Helénia allegra, andando verso il comodino di Nico e tirando fuori una strana
sostanza che sembrava succo di mela.
Solo
in quel momento mi accorsi che Percy, Helénia e tutti i pochi ragazzi che avevo
incontrato sul percorso verso l’infermeria, indossavano una maglia arancio a
mezze maniche con la scritta Campo
Mezzosangue.
Sentendo
caldo, mi tolsi la felpa e non appena lo feci, Percy m’apostrofò: - Cos’è quel
simbolo sul polso? – Alzai il braccio, gli mostrai il tatuaggio del fulmine e
gli spiegai: - A quanto pare sono figlia di Zeus. Quando ancora non sapevo cosa
potesse significare quel simbolo che mi è apparso sopra la testa, sentivo di
dovermelo tatuare sul corpo. –
Percy
sospirò e borbottò: - Ecco perché ho questa strana sensazione con te… -
-
Come? – domandai io senza capire cosa volesse dire.
Il
ragazzo mi osservò in una maniera strana: i suoi occhi verdi sembravano quasi
volere attraversare i miei.
-
Io sono figlio di Poseidone. – disse. – Sai… uno dei tre pezzi grossi insieme a
Zeus e Ade. Spesso loro sono in competizione e litigano, anche per delle
stupidaggini… per questo sentivo una strana sensazione allo stomaco non appena
ti ho vista. -
Quindi
gli stavo già antipatica a pelle. Probabilmente era la stessa sensazione che
provavo io con lui. Fantastico. Vedendo la mia faccia, Percy si affrettò a
chiarire: - Ma non è detto che non possiamo essere amici; conosco un’altra
ragazza che è figlia di Zeus esattamente come te ed è mia amica. Semplicemente,
beh… credo che ci sia un senso di rivalità intrinseco, ma questo non vuol dire
che non si possa andare d’accordo, no? –
Beh,
quel ragionamento non faceva una piega. Annuii nervosa, poi guardai Helénia e
le domandai: - Tu invece di chi sei figlia? –
Con
un sorriso mi lanciò una maglia arancione esattamente come le loro, che era
appena andata a prendere in un armadio nella stanza.
-
Sono figlia della dea Philotes. – rispose e vedendo che ancora non avevo
capito, aggiunse: - E’ una dea minore, è figlia della Notte. Se Poseidone regna
sul mare, Ade negli Inferi e Zeus sul cielo, mia madre regna nei sentimenti
dell’affetto, della passione e dell’amicizia. Sai, fino a poco tempo fa nel
Campo c’era posto solo per i figli di dei maggiori, ma ora dopo l’accordo
stipulato nell’ultima guerra, ogni mezzosangue ha un suo posto qui. -
Sebbene
non sapessi a quale guerra facesse riferimento, io annuii e Percy si alzò in
piedi dicendo: - Beh, credo che sia tempo per te di andare a parlare con il
nostro mentore, Chirone. Ti spiegherà come funzionano le cose qui al Campo. –
Io
però non mi mossi, e commentai solo: - Io da qui non mi muovo. –
Percy
si voltò nuovamente verso di me e mi guardò accigliato senza capire.
-
Come, prego? – chiese, e io ripetei: - Non mi muovo da qui; per lo meno non lo
farò fino a quando Nico non si sveglia. Non lo lascio da solo, ok? -
-
Ma lui non sarà da solo – mi spiegò con calma Percy. – Al Campo siamo in tanti,
inoltre lui non sta male, sta solo dormendo, e potrebbe continuare a farlo per
un paio di giorni… -
-
Non m’importa – lo interruppi. – Io rimango qui con lui, ok? –
Percy
sospirò e con passo pesante, forse un po’ arrabbiato borbottò: - Un’altra
testarda al campo, come se Annabeth non bastasse… -
Mi
voltai verso Helénia che sorrideva divertita dalla reazione di Percy.
-
E’ troppo forte quel ragazzo – commentò ridacchiando.
-
Chi è Annabeth? – le domandai.
-
La sua ragazza. – mi spiegò. – E’ figlia di Atena, la dea della saggezza. –
La
dea della saggezza?! Ok, dovevo farci ancora l’abitudine a tutte quelle
stranezze. Helénia si avvicinò a me porgendomi un panno bagnato e un bicchiere di quella
sostanza che sembrava succo di mela.
-
Cos’è? – le domandai.
-
Nettare. – spiegò gentilmente. – E’ il cibo degli dei. Essendo mezzosangue
possiamo berlo anche noi, ma in quantità ridotte, altrimenti prendiamo fuoco. –
-
Sì, ci manca solo di prendere fuoco per concludere in bellezza questa giornata…
- commentai sarcastica. Lei sorrise e disse: - E’ per Nico: il nettare, se
preso in quantità ridotte, aiuta la guarigione di noi mezzosangue. –
Ok,
ora aveva un senso. Appoggiai il panno bagnato sulla fronte di Nico, e gli
aprii la bocca, facendogli scorrere giù per la gola un sorso di quella strana
bevanda.
Passai
in infermeria tre giorni e tre notti, e Nico sembrava immerso nel più profondo
dei sogni. Ogni tanto borbottava qualcosa di incomprensibile, ma non mi
preoccupavo poi molto: se si agitava nel sonno e parlava addirittura, voleva
dire che era ancora vivo, e ciò non poteva che rasserenarmi.
Helénia
era una persona molto gentile: ogni giorno passava tre volte in infermeria a
portarmi qualcosa da mangiare e da bere; nonostante io e lei non conoscessimo praticamente
nulla l’una dell’altra, era come se fossi stata da sempre una parte importante
della sua famiglia: stare in sua compagnia mi si scaldava il cuore. Percy
invece veniva da me un paio di volte al giorno per dirmi che avrei dovuto
recarmi a parlare con Chirone e che avrei dovuto iniziare le attività e la
normale vita del Campo, ma io non demordevo: nessuno mi avrebbe smossa da più
di un paio di metri da quel letto fino a quando Nico non avesse ripreso i
sensi.
Presto
conobbi anche Annabeth, la ragazza di Percy: aveva i capelli ricci e biondi e
degli occhi di un grigio intenso che, quando incontravano miei, sembravano volermi leggere
dentro. All’inizio anche lei spalleggiava il suo
ragazzo nel tentativo di convincermi ad andare a parlare con questo Chitone, ma
quando vide che ero irremovibile, ci mise una pietra sopra.
-
La vuoi smettere, Testa d’Alghe?! – sbottò finalmente seccata rivolta a Percy.
– Capisco perché voglia stare vicino a Nico: è stato lui a portarla qua, e
anch’io quando sono arrivata qua… sì, insomma, ho passato molto tempo
all’albero di Thalia senza voler andarmene da là. -
Non
sapevo di che stessero parlando né meno che meno chi fosse Thalia, ma rivolsi
un sorriso riconoscente ad Annabeth che sembrava essere l’unica in grado di tenere testa a Percy. Lei mi
ricambiò il sorriso con complicità.
Passarono
altri due giorni, e sentivo un certo nervosismo passarmi per tutto il corpo:
anche se Nico continuava a parlare nel sonno e ad agitarsi di tanto in tanto,
mi preoccupava che non si fosse ancora svegliato. Sempre più spesso, toccando
cose o persone, lanciavo delle scintille, ma non lo facevo apposta.
Stavo
mangiando un pezzo di pizza che Helénia mi aveva portato gentilmente dal pranzo
di quel giorno anche se ormai era pomeriggio inoltrato, quando Nico iniziò a borbottare qualcosa; inizialmente non
capii cosa stesse dicendo, ma poi, per la prima volta, capii quella parola
incomprensibile che da giorni ormai ripeteva nel sonno: - Bianca…! Bianca! –
Chissà
chi era Bianca… forse la sua ragazza o forse una sua amica. Magari era una
ragazza del campo che io non conoscevo: a parte Nico, Percy, Annabeth e
Helénia, non avevo conosciuto nessuno… lo fissai agitarsi nel sonno. Dopo di
che i suoi occhi neri si spalancarono, terrorizzati e agitati.
-
Hey, Nico! – esclamai preoccupata. – Stai bene? -
Mi
guardò ancora sconvolto, e per un attimo sembrò non riconoscermi nemmeno; dopo
un paio di secondi passati ad osservarmi, scosse la testa e scendendo dal
letto disse: - Ho fatto un sogno e… io stavo per… è successo qualcosa nell’Ade, lo
so. –
Erano
frasi scollegate, ma l’agitazione stava prendendo il sopravvento su di lui.
-
Ascolta, calmati un secondo! – esclamai io, e con uno spintone lo feci tornare
a letto; spingendolo via, lo colpii con una scarica di elettricità, e i capelli
gli si rizzarono sulla testa.
-
Scusami! – feci subito io, portandomi desolata una mano davanti alla bocca.
-
Non fa niente… - borbottò lui appiattendosi i capelli.
-
Quello che volevo dire è che… io devo ancora parlare con Chirone del mio arrivo e a
quanto pare hai qualcosa da raccontargli pure tu. – dissi. – Ma non farti
prendere dal panico, d’accordo? Non sono rimasta qui in infermeria per cinque
giorni a vegliarti per vederti risvegliarti in panico, chiaro?! Devi stare un
po’ calmo…! Prendi un po’ di Nettare che ti fa bene… – gli piantai il bicchiere
di Nettare in mano e mi alzai in piedi con l’intento di uscire a cercare
qualcuno con cui parlare.
-
Sei rimasta qui per cinque giorni?! – domandò Nico incredulo, sdraiato a letto.
Io
annuii. – Cinque giorni e sei notti per la precisione. – chiarii e mi avviai
fuori. Prima che potessi allontanarmi troppo, sentii la sua voce chiamarmi: -
Robby! – Tornai indietro di un paio di passi, fino ad arrivare sulla soglia
della porta. Lo vidi sorridermi riconoscente e dire solo: - Grazie… -
Gli
sorrisi alzando le spalle come a dire ‘non è niente di
che’ e mi incamminai nel Campo alla ricerca di qualcuno.