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Autore: Darling Eleonora    16/05/2012    1 recensioni
Rosanne ha vissuto un'infanzia troppo dura, dove i sogni di una bambina non hanno vita lunga. Per colpa degli altri che la vedano come una bambina perfetta, invece spingerla a migliorarsi, la soffocano con le loro aspettative rendendola una piccola adulta e la spingono a odiare se stessa.
Dal Prologo:
« Era per lo sguardo che gli adulti e anche i suoi stessi coetanei le riservavano che, mano a mano, era diventata il suo stesso opposto, una sorta di alter ego. Per esempio: le cose che da bambina la rendevano felice come il sole, le bambole, il succo di mela e gli aquiloni, con il crescere le avrebbe odiate. Qundi, stufa di tutte le apettative dei grandi nei suoi confronti, dentro era maturata; o meglio, era scaduta la sua infanzia. Proprio come un catone di succo di mela andato a male senza aver avuto il tempo di berne un poco.»
 Solo pochissime persone tra tutte quelle che conosce la apprezzano per quello che è, e una in particolare riuscirà a darle l'infanzia che le è mancata da piccola, riportandola ad amare se stessa e ha coltivare quelle speranze e quei sogni di cui era stata privata.    
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Crudi confronti

 

 
Rosanne  era solitamente brava in tutto quello che faceva: eccelleva nelle materie scolastiche, vinceva le gare sportive, nessuno poteva eguagliarla nelle competizioni artistiche; una bambina perfetta, una bambola di ceramica dagli occhi inespressivi. Fin dalla tenera infanzia si era sempre impegnata con costanza e dedizione per compiere i suoi doveri e per mantenere ed ereditare lo status sociale di cui la sua famiglia era carica, incoraggiata dal sindaco di Gwynt, suo nonno. Suo nonno era completamente diverso da sua moglie. La frase più lunga che aveva mai sentito pronunciare dalle sue labbra fu quando lei aveva sei anni; lui la guardò dritta negli occhi la sera del suo compleanno dicendole:
-D’ora in poi devi eguagliare, se non superare gli altri, Rosanne. In ogni cosa che fai. Non è possibile che tu non ci riesca: è nel sangue che scorre nelle tue vene, le vene di tuo padre, le mie. E se anche questo non vi fluisse, fai in modo di avercelo, anche a costo di iniettarvelo.
 Quindi, lei che doveva  essere una bambola perfetta, era confusa. Tutti lo sanno: le bambole, non hanno vene in cui scorre il sangue.
Difatti, la perfezione costruita da Rosanne, non era sempre valida: l’unica persona che riusciva a scalfirla, la quale era di conseguenza anche la stessa persona che più detestava, era Venian Sonde.
Con quel suo nome spocchioso che lo rendeva ancora più insopportabile, era il ragazzino più arrogante che avesse mai conosciuto e, dopo la famosa serata mondana, capì anche da chi aveva preso il suo crudele atteggiamento…
 
Come ogni sabato pomeriggio in primavera, le famiglie altolocate della cittadina di Gwynt, tra cui la famiglia Vancour e Sonde, si riunivano in riva al lago per dei pic-nic sotto i grandi alberi e per un po’ di svago, immersi nel profumo delle primule selvatiche. Quel giorno la Signora Sonde gli aveva cordialmente invitati a prendere il tè nel loro solito spiazzo, tra una chiacchiera sul tempo e una sulla situazione politica, seduti sul prato, le venne chiesto dalla signora:
-Cara Rosanne, perché non ci delizi con la tua musica?
Anche la signora Vancour ne parve entusiasta:
-Sì Rose, asseconda la richiesta della Signora Sonde, te ne prego. Tra poco avrai anche la competizione musicale vero?
Alle parole di sua madre non poté rifiutare. Dovette ammettere che era anche un buon esercizio esibirsi davanti a tutte quelle persone. Allora prese il flauto traverso e si posizionò dinnanzi a tutti mentre riceveva urletti incoraggianti e battimani.  Il fischio dell vento che, come il suo respiro, si insidiava nello strumento placcato argento, andandole fino a scompigliare i boccoli rossi.
Come ogni volta, chiuse gli occhi. Sentiva i bambini delle altre famiglie giocare a palla e le chiacchiere civettuole, il rumore dei sassolini tirati a pelo d’acqua e i fruscii dei remi delle piccole barchette. Posizionò più accuratamente le mani con estrema delicatezza, come se avesse paura di rompere lo strumento, espirò e ne uscì il timido suono. Appena scaturì il primo ne susseguirono gli altri e sembrò che tutto il mondo avesse taciuto, persino che le farfalle avessero smesso di far battere le loro ali, in bilico sui giunchi del lago.
La sua Ave Maria riecheggiava nell’aria, profonda e studiata. Aprì gli occhi in una piccola fessura e scorse lo stupore di molti, le solite palpebre chiuse di sua madre in ascolto. Di conseguenza indirizzò lo sguardo a suo padre, la persona il cui pensiero le importava di più. Vide il suo sguardo incrociare il suo ma i suoi occhi terribilmente distanti, la vedevano ma non la guardavano. Cercò disperatamente la sua attenzione, il movimento delle sue mani e il ritmo della sua musica da prima dolci e melodiosi si proiettarono con un’ombra spasmodica e tormentata.
Le si aggrottarono le sopracciglia dallo sforzo di rimanere concentrata, ma poi tutto crollò.
Il cuore, dentro al petto gemette nel momento in cui vide che la Signora Sonde seduta al fianco di sua madre, cieca in quel momento, strusciare il piede fasciato dallo stivaletto alla caviglia di suo padre,  disteso a breve distanza sul sottile telo. La cosa che più la sconcertava era suo padre, che rimaneva impassibile e come lui anche quella donna, con quel crudele sorriso gioviale e sereno che le rivolgeva  tramite quelle sue labbra eccessivamente scarlatte.
Il fiato le venne meno e le scivolarono le dita provocando una nota stridula e stonata che fece aprire gli occhi di scatto a sua madre e, se non altro, fece smettere la Signora Sonde. Stava per a chinare la testa e scusarsi ma dall’ombra di un albero non lontano da loro, si elevò un suono puro e deciso e un ragazzino di un anno più grande, incominciò a suonare il suo flauto da dove aveva bruscamente interrotto lei. La sua Ave Maria era molto più precisa, eseguita con più passione.  
Mentre suonava, Venian si fece avanti esponendosi in pieno sole e posizionandosi esattamente al suo fianco rendendo il viso della ragazzina colmo di vergogna alla quale non era abituata e, quando cessò di eseguire quella sequenza di note limpide e sciolte, venne applaudito con fervore.
Così, il giovane aprì gli occhi mostrando il loro freddo colore e nel contempo staccò le labbra dallo strumento con un gesto troppo aggraziato e maturo per un ragazzino.
 Nell’alto della sua superiorità, non si voltò a fissarla trionfante, come avrebbe fatto qualsiasi altro bambino, ma mantenne lo sguardo dritto nel momento in cui le disse:
-Sbagliare un pazzo tanto mediocre, hai anche in coraggio di partecipare alla competizione?
Lei rimase scioccata, anche perché quelle erano le prime parole che le furono rivolte dal ragazzino.
Poi lo vide distanziarsi e andare a baciare la guancia di sua madre, orgogliosa per aver messo in difficoltà un membro della famiglia più potente in quella cittadina.
Quella stessa sera suo nonno la mise in punizione. Per tutta la notte la fece stare seduta su uno scrittoio a scrivere e meditare su cosa avesse sbagliato, riempiendo fogli con un inchiostro che non sapeva usare bene;  in compagnia di una candela, della paura del buio e dell’aria gelida che filtrava dalla finestra.
 
La passione per flauto traverso fu l'unica cosa che, crescendo, Rosanne non fu capace ad odiare.
Strana cosa dato che una delle persone che la influenzò maggiormente in quegli anni fu proprio la sua insegnante privata: la Signora Leandra Ivegne.
Non si scordò mai di quel sabato pomeriggio al lago, né della sera stessa, dato che, la punizione infertole da suo nonno ne costò una seconda.
 
Erano le sette e un bel ritardo di ben dieci minuti del giorno seguente al pic-nic e la Signora Ivegne la aspettava per la lezione. All'entrata del suo studio di musica in centro la sua insegnante era una donna ancora piuttosto giovane, secca e slanciata ma con dei lineamenti morbidi nella forma degli zigomi e degli occhi verdi scuri. Le dita a sorreggere il bocchino nero, gli occhiali fini dalla montatura tonda e il solito sguardo di disprezzo causato da un matrimonio ormai in declino, un rigido diploma di conservatorio alle spalle, ma soprattutto causato dal suo ritardo.
-Come mai arrivi adesso?
Le chiese quando la bambina si presentò davanti al suo studio.
-Io...ecco...
Prima che potesse finire di parlare, la Signora Ivegne la interruppe bruscamente.
-Non cercare giustificazioni, questo tuo ritardo è inammissibile. Per di più hai il respiro affannato, il che ci farà perdere altro tempo.
-Mi scusi, Signora Ivegne.
Le disse a capo chino con voce spezzata.
Dopodiché  la invitò a entrare, spense la sigaretta e chiuse la porta a vetri del modesto studio.
-Tra poco hai la competizione, ricordi? Vuoi che il tuo caro nonno si arrabbi perché non sei stata all’altezza? Se non ti eserciti come si deve puoi anche non sprecare il fiato a partecipare.
La bambina annuì.
-Cosa stai aspettando? Prendi il flauto che iniziamo con gli esercizi per scaldare la voce.
La Signora Ivegne non poté fare a meno di notare il suo nervosismo, da quando era entrata teneva le mani dietro la schiena del vestito a fiori.
-Rosenne…
La chiamò sconcertata vedendo che non accennava ad una risposta.
-Rosanne, avvicinati.
Le ordinò con uno sguardo cupo. La bambina esitò.
-Ti ho detto di avvicinarti.
Disse adirata.  La bambina allora, senza il coraggio di guardare in faccia l'insegnante, si avvicinò.
-Mostrami le mani, mostramele, avanti.
Nella voce l'ombra di un ringhio a trascinare le parole. Vedendo che la bambina non collaborava  la prese per il piccolo braccio strattonandola e facendo scivolare il flauto nascosto dalle mani. Lo strumento cadde a terra graffiandosi in entrambi i lati e producendo una breve sequenza di suoni sgraziati.  
La sua insegnante osservò le piccole unghie spezzate e macchiate d’inchiostro e mollò istintivamente la presa sulla bambina, andandola a guardare con maggiore severità. Lei rinascose le piccole mani dietro al vestito, colpevole.
-Ti pare questo il modo di presentarti a lezione?!
Le urlò.
-Vede io...
Prima che potesse terminare la frase sentì lo schiaffo infrangersi sulla sua guancia. La Signora Ivegne, dopodiché, le diede le spalle e aggiunse:
-E adesso vattene a casa.

 

  
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