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Autore: wordsaredeadlythings    17/05/2012    6 recensioni
Tratto dalla shot:
Due parole. Due parole avevano fatto implodere il suo universo, la sua anima, il suo cuore. Due parole a cui non avrebbe voluto pensare, ma che invece si ripetevano continuamente nella sua mente da ore intere.
- Ci sposiamo -
Non era niente di che, no? Quel genere di frase che milioni e milioni di innamorati ripetevano ogni santo giorno. C'erano milioni di coppie in quel fottuto universo, e milioni di coppie stavano per dire "ci sposiamo", oppure lo avevano già detto.
Perché loro, però?
Perché lui?

Gerard e un matrimonio che non è ciò che vuole.
Frank e un vuoto che non riesce più a colmare.
Riusciranno a capire quello che provano, quello che vogliono?
I hope you like it ;)
_Cris
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way | Coppie: Frank/Gerard
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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{You Have My Heart











Frank voleva solo guidare.

Premere il piede sull'acceleratore e continuare ad andare avanti, lungo quella strada lunga e semi-deserta che sembrava non voler finire mai. Vari cartelli verdi sfrecciarono intorno alla sua auto, cartelli sui quali erano scritti nomi di città che Frank conosceva, altri di cui non sapeva assolutamente niente. C'erano così tanti posti dove andare, quindi perché tornare indietro?
Frank Iero voleva solamente guidare.
Premere il piede sull'acceleratore, guardare la strada, cercare di ignorare quel maledettissimo vuoto che aleggiava nel suo cuore. Un vuoto che faceva male, che bruciava e non poteva essere colmato. Un vuoto assurdo e improvviso, apparso quasi dal nulla dopo quella stupida notizia.
Frank sospirò, e la strada cominciò a diventare sfocata. Non riusciva più a leggere i cartelli: c'era qualcosa che glielo impediva. Qualcosa di bollente e poi gelato, qualcosa di liquido che prese a scorrere sulle sue guance.
Frank Iero sospirò, si asciugò le lacrime, strinse i denti.
Voleva solo guidare verso un posto che non conosceva.
Scomparire nel nulla, almeno per un po'.
Dimenticare, se era possibile.

*

Venticinque chiamate senza risposta.
Frank fissò lo schermo brillante del suo telefono, in silenzio. Era in piedi, davanti alla porta del bagno di uno squallido motel sperduto nel bel mezzo del nulla. Aveva fatto i salti mortali per trovare uno schifosissimo motel con una stanza. E aveva guidato. Un sacco. Almeno per dieci ore di fila, a giudicare dal cielo scuro che brillava fuori dalla finestra.
Era stanco, spossato, il suo viso era appiccicoso e faceva male. E il vuoto c'era, anche se aveva pianto ad intervalli regolari per quasi tutto il viaggio. Quello schifosissimo vuoto assurdo, e tutto provocato da due semplici parole, due parole schifose, orrende, immonde. Due parole.
Come potevano due semplici parole svuotarti completamente?
Frank sospirò. Lasciò cadere il telefonino sopra il comodino accanto al letto e andò in bagno. Cominciò a spogliarsi e si infilò subito sotto la doccia. Cercò di lavare via tutto il sudore accumulato in quella giornata, si lavò bene il viso e sospirò, rimanendo sotto l'acqua bollente per diversi minuti.
Quando uscì, infilò l'unico pigiama che aveva frettolosamente infilato dentro il suo borsone da viaggio e sospirò, accasciandosi sul letto. Si raggomitolò su se stesso e spense la luce, osservando la luce lunare che progressivamente cominciava ad invadere la stanza dalla finestra aperta.
Due parole. Due parole avevano fatto implodere il suo universo, la sua anima, il suo cuore. Due parole a cui non avrebbe voluto pensare, ma che invece si ripetevano continuamente nella sua mente da ore intere.
- Ci sposiamo -
Non era niente di che, no? Quel genere di frase che milioni e milioni di innamorati ripetevano ogni santo giorno. C'erano milioni di coppie in quel fottuto universo, e milioni di coppie stavano per dire "ci sposiamo", oppure lo avevano già detto.
Perché loro, però?
Perché lui?
Frank chiuse gli occhi e sospirò, nascondendosi sotto il lenzuolo.
Chiuse gli occhi e pensò solo che tutto questo facesse veramente schifo.

*

Alla fine aveva deciso semplicemente di andare da suo padre.
Non c'era voluto molto per decidere: non aveva intenzione di dormire in un altro motel, e neanche di tornare a casa da sua madre. Per quanto la amasse, quella donna era capace di irritarlo in maniera assurda. Quindi, la scelta di andare a casa di suo padre era stata quasi obbligata, in un certo senso.
Raggiunse l'uscio di quel maledetto appartamento e sospirò, prima di bussare. Bussò tre volte, per poi rimanere lì ad aspettare.
Quando suo padre venne ad aprire, lo squadrò per diversi istanti in silenzio. Doveva avere proprio un aspetto del cazzo per farlo preoccupare: in genere non si accorgeva neanche dei giorni che passavano, sempre così perso nel suo mondo per accorgersi di quello reale.
Frank Iero II guardò per diversi istanti il figlio, per poi sospirare.
- Hai intenzione di fermarti per molto, vero? - gli domandò, dopo alcuni attimi.
Frank scrollò le spalle ed abbassò lo sguardo.
- Quello che basta per... dimenticare - mormorò, tenendo gli occhi puntati contro lo zerbino.
Frank Iero II sospirò di nuovo, prima di spostarsi per far passare il figlio.
Nonostante fosse sempre perso nel suo mondo, Frankie era pur sempre suo figlio. E aveva capito che stava male, che aveva bisogno di lui. E il minimo che poteva fare, era offrirgli casa sua.
Frank entrò in quella casa e si chiuse la porta alle spalle.
Doveva solo dimenticare almeno sette anni della sua vita.

*

Passarono un paio di giorni, che poi divennero settimane. Due, per la precisione. La compagnia del padre rendeva tutto più semplice: suonavano insieme, cantavano, parlavano di musica, e tutto era più leggero, più tranquillo. Frank sapeva esattamente che cosa serviva a suo figlio, e l'altro gliene era grato, veramente grato.
Era una mattina di fine novembre quando il campanello di casa Iero cominciò a squillare ininterrottamente nelle orecchie di Frankie. Suo padre era uscito con un paio di suoi vecchi amici, e lui era rimasto in casa a suonare la sua vecchia chitarra acustica. Non aveva toccato Pansy da quando era arrivato lì: nonostante amasse quella chitarra più della sua stessa vita, prenderla in mano e suonarla richiamava troppi ricordi.
Frank sbuffò, lasciando scivolare le dita sulle corde della vecchia acustica. Alzò lo sguardo sull'orologio a parete davanti a lui, e constatò che stava suonando da almeno due ore senza interruzione. Non che la cosa lo stupisse, ovviamente: un mese prima suonare per meno di tre ore senza pause sarebbe stato un affronto alla sua anima di chitarrista.
Socchiuse gli occhi e scosse la testa, cercando di cancellare i ricordi che premevano per invadere la sua mente, e intanto il campanello suonò nuovamente.
- Cazzo, arrivo - borbottò, lasciando la chitarra del padre sul divano dov'era seduto. Inforcò le pantofole e ciabattò verso la porta d'entrata, proprio mentre lo sconosciuto bussava nuovamente.
- E che cazzo, sto arrivan... - affermò, per poi aprire la porta.
Quando vide chi era la persona che stava bussando alla porta da due ore, fu tentato da sbattergliela in faccia.
Gerard se ne stava lì, immobile, a fissarlo in silenzio. Sembravano passati secoli, millenni, eppure Frankie era sempre identico a come lo aveva lasciato. Aveva solo gli occhi più spenti.
- Frankie... - biascicò con voce strozzata.
Frank lo guardò qualche minuto ancora, prima di afferrare la porta e cercare di chiuderla con tutte le sue forze. Gerard sapeva che lo avrebbe fatto, quindi infilò il piede nella fessura che venne a crearsi tra porta e stipite. Il dolore fu lancinante, ma scelse di non pensarci.
- Frank, dobbiamo parlare -
- Non c'è niente di cui parlare -
Gerard lo guardò per alcuni istanti. Frankie sembrava veramente sul punto di scoppiare in lacrime, e in quel momento avrebbe dato ogni cosa al mondo per poterlo abbracciare, per dirgli che era tutto okay.
- Sei sparito dalla circolazione, non rispondi alle chiamate, ai messaggi, tua madre non aveva idea di dov'eri... hai idea di quanto ci siamo preoccupati? -
- Tu molto poco, immagino - ringhiò l'altro.
- Che intendi dire? Dannazione, vuoi aprire questa porta? -
- Che intendo dire? - esclamò lui, scoppiando subito dopo in una risata sarcastica e fredda, maledettamente fredda - Secondo te? Dai, prova ad usare quel tuo stramaledettissimo cervello, Way. Sono sicuro che puoi arrivarci da solo -
Way. Lo aveva chiamato per cognome. Non lo aveva mai fatto prima.
Gerard spalancò la bocca, sgranò gli occhi. Lo aveva veramente chiamato per cognome? Frankie non chiamava nessuno per cognome. Per lo meno, non il Frankie che conosceva lui.
- Ti riferisci a Lindsey, vero? - pigolò lui, oltre la porta - Al... matrimonio -
Frankie sprofondò. Dischiuse appena le labbra e lo guardò. Era tutto vero, tutto schifosamente vero. Scappare in quella casa che sapeva di passato e bei ricordi non era servito a nulla: il vuoto era più grande. Gerard stava per sposarsi veramente. E non con lui.
- Vattene - ringhiò Frankie, cercando di non cedere. Non doveva piangere, non serviva a niente.
- I-Io... Frank, io non... non potevo... - biascicò l'altro
- Qualsiasi cosa sia, non mi interessa. Vai da Lindsey, lasciami vivere. Farai un favore ad entrambi -
- N-Non posso! Frankie, io... io devo... dirti una cosa -
- Che cosa? Sei stato costretto? Ti hanno minacciato? Altrimenti non si spiega, Gerard, non si spiega davvero! - ringhiò l'altro. Stava camminando sul ciglio del burrone, e presto sarebbe crollato, lo sapeva, ma poteva ancora resistere.
- E' che... se lo aspettavano tutti. Io... dovevo farlo, Frankie. -
- Balle. E' questo che ti racconti per dormire tranquillo? Be', non funziona, perché sono stronzate -
- Frankie... -
- Mi hai riempito di bugie, Gee - sospirò lui, sconfitto. Non era neanche arrabbiato. Non era niente, semplicemente niente. - Erano tutte bugie. Abbi almeno il coraggio di ammetterlo adesso -
- Non erano bugie, Frankie! Non lo erano! -
- E allora dimostralo, cazzo! - tuonò l'altro - Sai com'è, per dimostrare di amare una persona non bisogna sposarne un'altra, non credi? -
Gee ammutolì.
- Io... -
- Vattene, Gee. Davvero, vattene. Ne ho abbastanza delle tue bugie -
Gerard Way sospirò e tolse il piede, permettendo a Frank di chiudere la porta. Guardò l'uscio chiuso per diversi istanti, in silenzio.
Non meritava uno come Frankie. Non lo aveva mai meritato.


*


Mancavano dieci minuti. Dieci minuti ed l'avrebbe sposata.
Gerard si guardò allo specchio. Fasciato in quello smoking nero non si riconosceva quasi. Sembrava quasi una persona normale. Cercò di aggiustarsi la cravatta già perfetta, in un vano tentativo di trovare qualcosa da fare per ammazzare il tempo.
Stava per sposare Linsdey. Stava per sposarla davvero.
- Io l'ho sempre detto che siete due coglioni - esclamò una voce, dietro di lui.
Gee sobbalzò, voltandosi di scatto verso la porta.
- Mikey, vuoi farmi morire proprio oggi? -
Mikey lo fissò per alcuni istanti in silenzio, per poi scuotere la testa.
- Lo sai che non è questo quello che vuoi, vero? -
Gerard sgranò appena gli occhi e lo guardò in silenzio. Si mordicchiò il labbro in silenzio, abbassando lo sguardo.
No, non era quello che voleva. In realtà voleva Frankie, il sorriso di Frankie, la voce di Frankie, la sua risata. Voleva stringerlo tra le braccia così forte da mozzargli il respiro, passare ore a guardarlo suonare, essere avvolto dalle sue braccia per tutta la notte e anche oltre, baciarlo e vivere con lui ogni stupidissimo giorno.
Aveva bisogno di Frank, ma non poteva tirarsi indietro.
- E' troppo tardi - mormorò, guardandosi allo specchio.
- Non è mai troppo tardi per cose del genere -
- F-Frank mi odia. Lo sai che mi ha chiamato per cognome? -
- Lo sai che ti ama da morire ed è per questo che se n'è andato? - Mikey scosse la testa, alzando gli occhi al cielo - Dio, voi due siete così complicati! -
- Anche se... fosse vero - affermò l'altro - Non posso abbandonare Lindsey. Non ora -
- Tu non la ami, Gee. Vuoi mettertelo in testa sì o no? Non la ami, è semplice -
- Ti sbagli, io la amo -
- Ma molto meno rispetto a Frankie. Dimmi che non ho ragione! -
Gerard si voltò verso Mikey e lo guardò per un po'. Guardò quei suoi maledettissimi occhi e capì che aveva ragione. Amava di più Frankie. Lui amava Frankie in mille modi diversi: amava quel suo sorriso da bambino, i suoi capelli, quel suo scatenarsi sul palco, la sua chitarra. Amava le sue labbra e i suoi occhi, amava quella sua stupidissima risata buffa che lo riempiva completamente. Di cosa non lo aveva ben capito, ma era una bella sensazione.
Frankie lo riempiva. Ed aveva bisogno di lui. Molto più che di Lindsey. Molto più di qualsiasi altra cosa.
- I-Io... -
Mikey scosse la testa e affondò la mano nella tasca dello smoking blu scuro che indossava quel giorno. Tirò fuori un mazzo di chiavi, per poi lanciarle al fratello, che le afferrò al volo.
- Muovi il culo. Ci penso io a spiegare -
Gerard guardò le chiavi, per poi spostare il suo sguardo sul fratello minore. Avrebbe voluto abbracciarlo, ma non c'era tempo: doveva andare da Frankie, subito. Dirgli che lo amava più di ogni altra cosa.
- Grazie, Mikey - mormorò.
- Non farmene pentire e muoviti! - lo riprese lui, sorridendo suo malgrado.
Gerard, prima di fiondarsi fuori dalla porta, afferrò un blocco da disegno che poco prima aveva lanciato sul divano. Poi si lanciò contro la porta.
Doveva andare da Frankie. Era l'unica cosa che voleva.

*

Quando vide gli occhi verdi di Gerard, sentì un colpo al cuore. Il vuoto era grande e forte, bruciava, gli toglieva il respiro, il sonno, la voglia di vivere. Era così grande che lo aveva preso totalmente, e rivedere quel maledetto bugiardo di Gee aggravava solo la situazione.
Questa volta non cercò di chiudere la porta: Gerard era lì, vestito di tutto punto, con un blocco per disegni in mano e le dita ancora sporche di grafite.
- Frank - mormorò, guardandolo.
Frankie fece per chiudere la porta, ma Gerard lo fermò.
- Frank, ti prego. Devo parlarti. Non c'è bisogno che mi ascolti, e neanche che tu dica niente: devo solo parlare con te. Ti prego -
Frank Iero guardò Gerard Way in silenzio. Lo fissò, si cibò del suo viso, della sua espressione, del colore dei suoi occhi, della muta richiesta urlata da questi ultimi. Sentì il cuore battere in modi quasi doloroso, dentro il petto. Faceva male, Gee faceva male. E tutto quel dolore veniva solo da due parole ed una verità: lui lo amava. E non poteva farne a meno, perché Gee per lui era un po' come l'aria mentre cantava: finché c'era andava tutto alla grande, ma quando cominciava a mancare si sentiva strozzato, non riusciva ad andare avanti. E c'era quel dolore, posto a metà tra il cuore e lo stomaco, quel dolore tremendo che non se ne andava più. Almeno finché non riprendeva aria.
Ma Frank non voleva riempirsi di Gerard, perché aveva visto quali erano i risultati.
- I-Io... io non ti merito, Frankie. Non ti ho mai meritato, e lo so, l'ho sempre saputo. Però... però nonostante tutto tu ci sei sempre stato. Eri lì, cazzo, sei sempre stato lì, sempre pronto a darmi un sorriso, una pacca sulla spalla, a farmi sentire amato. Nessuno mi aveva mai amato come hai fatto tu, Frankie. E io non ho mai amato nessuno quanto ho amato te. Lo so che non sono niente, non lo sono mai stato, e stare con te è stata la cosa migliore che abbia mai scelto di fare. - prese un grosso respiro, e continuò - Io ti amo, Frank. Ti amo perché con te mi sento diverso, mi sento migliore. Come se potessi fare tutto, almeno per non deludere te. E se potessi, te lo giuro, se potessi mi strapperei il cuore dal petto e te lo darei su un piatto d'argento, perché è tuo, Frank. E' tutto tuo. Non di Linsdey, non di altri: solo tuo. Ma non posso farlo, quindi... quindi tieni -
Strappò la prima pagina del suo blocco da disegno e la consegnò al ragazzo, che sbirciò il contenuto di quest'ultima. Era un cuore, ma non uno di quello romantici degli innamorati: quello era un cuore vero. Le arterie, il sangue a terra, il rosso pulsante e criptico... era veramente un cuore, disegnato su carta. Il rosso sembrava brillare sul nero della pagina. E sopra il cuore c'era scritto semplicemente "Gerard's Heart".
- E' tutto ciò che posso darti. Non è molto, ma il mio cuore tu l'hai sempre avuto. Sono un cazzone, lo so, e mi dispiace, ma... -
- Gee? - lo chiamò lui, osservando quel maledettissimo disegno.
- S-Sì? -
- Chiudi quella cazzo di bocca -
E lo baciò. Premette le sue labbra su quelle di Gerard con un tale impeto che il più grande dovette arretrare di qualche passo. Strinse il corpo di Gee a sé, accarezzandogli il palato con la lingua, e seppe che non c'era niente di più giusto.
Quando si divisero, ovvero diversi minuti dopo, Frank abbozzò un sorriso leggero, la fronte ancora a contatto con quella di Gerard.
- Anche tu hai il mio cuore, scemo. E non dire mai più che non vali niente. Sei il mio tutto -
E lo baciò ancora, e con più forza di prima.
Ora aveva il cuore di Gerard.
E non aveva bisogno di nient'altro al mondo per essere completamente, orrendamente, schifosamente felice.










_Cris Corner

No, okay... no.
Ho appena scritto una Frerard.
Cioè, IO. HO. SCRITTO. UNA. FRERARD.
Non ci posso credere.
Certo, è oscenamente banale e stupida, e il discorso di Gee non ha né capo né coda, sarò fortunata se avrò una visualizzazzione... però è la mia prima Frerard, gente! LA MIA PRIMA FRERARD sjdhbdjfbgsdhjbgdf.
Oookay, scusate lo sclero, ma ancora non posso crederci!
I hope you like it!
xoxo, _Cris










   
 
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