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Autore: myloxiloto    18/05/2012    0 recensioni
Il vetro del tourbus era nero era nero,ma sapevo che mi stavi guardando. Me lo sentivo,e non mi sbagliavo. Sentivo persino le mie labbra pesanti,come se qualcuno mi stesse baciando. 'continua,continua a farlo' - sussurravo.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Chris Colfer
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Aprii gli occhi.
Ero nel mio letto, ma sicuramente non era ancora arrivata l’ora di svegliarsi: dalla poca luce che filtrava dalle persiane, ero sicura che il sole stesse ancora sorgendo.
Gettai indietro le coperte e mi alzai.
Scrutai le cifre sul display del cellulare: ero in anticipo di mezzora sulla sveglia del telefono, impostata, per la prima volta dopo tre interi mesi, alle sei e un quarto.

Alzai la persiana e assaporai l’aria fredda dell’alba sul viso.
Fui attraversata da un piccolo brivido, ma era piacevole stare lì a guardare la città addormentata. Mi rilassava.

Neanche il pensiero della giornata che mi attendeva scalfì il buonumore regalato da quel momento di tranquillità.
Quel giorno era il MPGDS (Maledetto Primo Giorno Di Scuola).
Avevo diciassette anni e stavo iniziando il quarto liceo.
Amici? Pochi ma buoni. Ragazzi? Neanche l’ombra. Che tristezza. E che rabbia.
D’accordo, i fianchetti e la pancetta c’erano, ma, diamine, da quando portare la 44 è un fattore discriminante?
L’unica cosa che amavo veramente di me stessa erano gli occhi, di un colore che variava da azzurro a grigio a verde, a seconda del tempo, dei vestiti che indossavo, e a volte persino dell’umore.

Sospirai, mentre la brezza mi accarezzava i capelli, il viso, le braccia nude.
Era bello che a metà settembre si potesse ancora assaporare un venticello fresco come quello.

Rimasi affacciata alla finestra per minuti interminabili, con quelle gradevoli folate di vento che mi svegliavano a poco a poco dal torpore.
Il sole non era ancora sorto del tutto sopra le palazzine, quando la sveglia del cellulare suonò. Sbuffai e la spensi; l’effetto rilassante era svanito.
Andai in bagno a prepararmi; sentivo dei rumori provenire dalle altre stanze, prova inconfutabile che la mia sveglia non era stata l’unica a suonare. Quando fui pronta, venti minuti più tardi, andai in cucina a fare colazione; ero sempre la prima a mangiare, perché l’autobus che mi avrebbe riportata a scuola dopo tre mesi di meritato riposo sarebbe passato alle sette e cinque minuti.
Mia madre mi raggiunse nell’arco di due minuti.
« Hai preparato la cartella? »
« Sì, mamma, stai tranquilla » la rassicurai.
Sorseggiai il mio caffè, mi alzai e presi lo zaino; stampai un bacio sulla fronte di mia madre, salutai a gran voce mio padre e mia sorella e uscii di casa, nella fresca aria settembrina.

In breve arrivai alla fermata, mi sedetti sulla panchina lì accanto e mi guardai intorno.
Era deserto.
Vanessa, la mia migliore amica, non era ancora arrivata, e questo mi fece sorridere: di solito quella in ritardo ero io.

Non dovetti aspettare molto: dopo neanche un minuto sbucò fuori dal vicoletto che stavo tenendo d’occhio, mi vide e corse ad abbracciarmi, con i riccioli scuri al vento e la borsa in spalla. Mi strinse forte; non ci vedevamo da tanto, tanto tempo.
« Ciao! » disse lei, entusiasta, con un sorriso larghissimo.
« Ciao! » risposi io. « Com’era Miami? »
Era andata a Miami per ben tre settimane. E infatti, notai dopo un secondo, era abbronzatissima.
« Stupenda! » rispose Vanessa con entusiasmo, e si lanciò nella descrizione del suo lungo viaggio, che continuò sull’autobus, fino alla scuola.


Ascoltai affascinata il suo resoconto sull’albergo, sulle bellezze di Miami, il cibo, i ragazzi, il viaggio. Da come Nessa ne parlava, si capiva subito che il soggiorno le era piaciuto molto. Era tornata solo il pomeriggio del giorno prima, piena zeppa di dolci, e aveva già provveduto a ficcarmi nello zaino un’intera scatola di delizie sicule.
Sperai di riuscire a trattenermi dal vuotarmela direttamente in bocca e lasciare che arrivasse a casa ancora sigillata.
Molti ragazzi erano già arrivati, dato che mancavano solo quindici minuti al suono della vecchia campanella della scuola. Mentre Nessa mi raccontava delle grandi onde che aveva cavalcato, però, qualcosa mi distrasse.
Accanto al cancello, un paio di ragazzi che sembravano avere la nostra età ci guardavano con interesse.
Ero sicura di non averli mai visti prima.
Gli lanciai un’altra occhiata, mentre loro riprendevano a parlare. Carini.
Quando fui sicura che non ci stessero guardando, mormorai a Vanessa: « Hai notato? Quei due bellimbusti ci stavano fissando. »
Lei interruppe immediatamente il suo racconto, una reazione prevedibile.
Il suo radar era estremamente sensibile. « Quali? Quelli appoggiati al muretto? »

« Sì, quelli. »
« Ne conosco uno, » disse Vanessa, guardandoli di sottecchi, « è nella stessa classe di Tessa. Si chiama Michael, è quello con gli occhi scuri. Ma non ci ho mai parlato. »
Tessa era la cugina di Vanessa; aveva un anno in più di noi, ma era stata bocciata al terzo anno. Lei e Vanessa erano in buoni rapporti, ma non uscivano quasi mai insieme.
« Me l’ha presentato al suo compleanno » continuò Vanessa, lanciando occhiate fugaci ai due ragazzi. « Ma non conosco il suo amico. »
Li guardai di nuovo anch’io. Uno era castano, con gli occhi e la pelle scura, molto alto; aveva l’aria dello sportivo, resa anche dalla tuta di marca che indossava; fui immediatamente sicura che si trattasse di Michael.
L’altro, di pochi centimetri più basso, aveva i capelli di un castano-biondo fissati con il gel, e un paio di occhiali da sole stretti in mano.

Distolsi lo sguardo.
Beh, quel Michael aveva sicuramente un bel fisico, ma di viso non era poi stupendo com’era sembrato a prima vista.
Non era neanche brutto, però; anzi.

Non riuscii ad impedire a me stessa di sbirciare di nuovo in direzione dell’altro ragazzo. Era più snello rispetto al suo muscoloso amico, ma il suo fisico più naturale mi piaceva molto di più.
Rideva e scherzava con Michael.
Non sembrava ci stessero guardando, ma quando spostai lo sguardo su Michael, scoprii che mi stava osservando attentamente, mentre i miei occhi erano fissi sul suo amico.

Arrossii furiosamente e mi voltai di scatto.
Oh, Dio! Che figuraccia… proprio il primo giorno di scuola. Fantastico.
E poi, era proprio necessario che arrossissi in quel modo? Patetico, sbuffai irritata.
Mi ero quasi dimenticata di Vanessa, accanto a me. « Come ci dividiamo il Ringo? » mi chiese, sorridendo con aria divertita.
« Come, scusa? » chiesi, annebbiata. Avevo il sorriso dell'altro ragazzo stampato nella retina, e la figuraccia fatta con Michael stampata nel cervello.
« Terra chiama Sugar, rispondi, Sugar » sghignazzò Vanessa, lanciando un’occhiata maliziosa in direzione della fonte della mia distrazione.
Le diedi una botta sul braccio. « Dài, piantala » sorrisi. « Cosa stavi dicendo? »
Lei ridacchiò. « Ti ho chiesto come vogliamo dividerci questo bel Ringo. »
« Intendi crema o cacao? » Sorrisi a mia volta. Era proprio fuori di testa.
Per fortuna, altrimenti non avremmo mai potuto andare d’accordo.
« Esattamente, tesoro. »
Non ebbi neanche bisogno di rivolgere loro un’ultima occhiata. « Decisamente crema. »
« Ottimo. Io invece dico cacao… che poi tanto cacao non è » aggiunse, mentre osservava critica il colore dei bicipiti di Michael.
« Direi che è abbastanza abbronzato, no? »

Scherzammo per qualche altro minuto. Quando parlavamo di “dividerci il Ringo”, sapevamo benissimo di non avere chance con due tipi del genere.
Forse, Vanessa sì. Era molto bella, un tipo mediterraneo, e faceva girare la testa a parecchi ragazzi. A volte era difficile per me starle vicino: i ragazzi spesso si accorgevano solo di lei. Io non solo non ero esattamente quel che si definisce una taglia 40, ma nella 44 entravo a stento. Era altamente improbabile che un ragazzo così bello si interessasse ad una come me.

Ma anche loro avevano ricominciato a gettare occhiate dalla nostra parte, scambiandosi sussurri e sghignazzando. Dio, che risata adorabile.
Ovviamente, non stavo parlando di Michael.

  
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