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Autore: innerain    19/05/2012    2 recensioni
".. Hey, Platypus, indovina un po' chi ti ha portato il Frappucc-"
Si bloccò di colpo.
Sul suo viso, incredulità.
L'incomprensione della realtà, la confusione, il terrore, lo stupore; il caos.
Dipinto su quegl'occhi color ambra, grandi e spalancati.
Seduti davanti a lei, i Green Day.
Uno davanti all'altro; Tré più verso di lei, che copriva parzialmente Mike, seduto al centro, e in fondo, quasi sul lato opposto della stanza, Billie. La mente si rifiutava di capire, il cuore di battere; erano Loro. Non una foto, non un video clandestino su YouTube, non un poster, non il booklet di un CD. Non un sogno.
Erano Loro.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Billie J. Armstrong, Mike Dirnt, Nuovo personaggio, Tré Cool, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Author's notes: Come altre volte, i mesi passano e io, per pigrizia, per impegni scolastici o per mortificazione, finisco per non aggiornare, o per rimandare a data-da-definirsi.
Il capitolo successivo a questo è ancora in fase di scrittura, purtroppo; mi rendo conto di quanto sto portando avanti questa storia a rilento, e di quanto poco io possa essere ispirata in questo periodo, in cui scuola e vari impegni incombono. Ma farò del mio meglio in ogni caso.. Chiuderla (temporaneamente) sarà l'ultima spiaggia.
In ogni caso, questo capitolo ha molti richiami al capitolo 14, ma curiosamente rivoltati in molti modi.. Me ne sono accorta solo posteriormente.
Come al solito ringrazio ShopaHolic, fedelissima nel suo commentare, e nei suoi consigli. Ho scoperto che mi trovo meglio a rispondere ad personam alle recensioni, per cui credo che comincerò a fare così.. Un grazie immenso anche alla Capa, che non solo illumina le mie giornate con le sue recensioni accuratissime, affettuosissime e meravigliosamente chilometriche (inteso in tutto e per tutto come un complimento e per me motivo di gioia!), ma mi aiuta anche a concepire sviluppi e idee per la storia. <3
Spero di riuscire ad aggiornare di qui a poco.. (: Magari verso la fine della scuola, quando avrò più respiro.

Valeo si valetis!

M.






Title:
And in the darkest night. (But you still keep on falling down)
Soundtrack: Useless, Nasty Cats; Glass In The Park, Alex Turner.





"Ebrietas est voluntaria insania."
[Seneca]






L'eco della porta sbattuta le risuonava ancora tra i pensieri, lontano anni luce, lontano nella mente, lontano nel tempo, così lontano mentre rigirava tra le dita il vecchio telefonino, guardandolo rotolare tra le sue mani fredde e nervosamente tremanti.
Cosa avrebbe dovuto fare? Non era una scelta, la sua, in fondo. Azzardarsi o non azzardarsi. Provare o non provare. Cosa avrebbe avuto da perdere?
Tutto.
Era una situazione che la ingolfava, che le fagocitava qualunque pensiero, qualunque agire o pensare ragionevole o razionale, un dominio dell'istinto tale da farle perdere la cognizione della surrealtà della situazione, che sfiorava appena con un barlume di coscienza, forse l'unico rimasto.
Il numero compariva sul display, tra le chiamate ricevute. Era semplice, era chiaro, e non richiedeva poi tanto. Cosa le impediva di premere quel pulsante verde scolorito? Cosa la fermava dall'affrontare la sua voce, la sua presenza, inevitabilmente ad essa annessa? Chiuse gli occhi, lasciandosi cadere seduta sul letto, il minuscolo appartamento ancora nella penombra, unica fonte di luce le persiane ancora semi-aperte, da cui filtrava la luce dei lampioni e quella più fioca e lattea della luna.
Si passò una mano tra i capelli, per poi stringere il dorso del naso tra l'indice e il pollice, una volta lasciati cadere gli occhiali da vista in un posto dimenticato da D-o, e pure da lei.
Si strinse nelle spalle con forza, reprimendo l'istinto di urlare. Non aveva scelta, e se anche ne avesse avuta, l'aveva già fatta.

".. Pronto?"

La mano premuta sul cellulare, attaccato all'orecchio, era la stessa che aveva sfiorato il tasto di risposta, senza nemmeno far caso al nome che lampeggiava fastidiosamente sullo schermo, unica fonte di luce in quella stanza altrimenti quasi buia, se non fosse stato per la lampadina a basso consumo energetico della cucina, che non contava certamente tra le sue competenze quella di rischiarare l'ambiente assegnatogli, bensì quella di diffondere una luce giallastra e uggiosa in uno spazio estremamente limitato.
Billie allungò il braccio verso il telecomando, notando con muto divertimento le bocche improvvisamente azzittite degli ospiti del dozzinale talk show, mentre, senza abbandonare la sua posizione supina, si sistemava meglio sul divano, evitando accuratamente di far cadere con un gesto improvviso dei piedi scalzi i cartoni di take away mal accatastati e in precario equilibrio sul bracciolo opposto del divano.

"Billie, sei tu?"

Mani nervosamente torte intorno ad un lembo del lenzuolo, che pendeva dal letto ancora disfatto, respiro pesante, ansioso, ansimante, voce incrinata, occhi chiusi come in vana speranza di qualcosa, e nell'altrettanto vano tentativo di trattenere le lacrime.

".. Erin?"
Voce ed espressione altrettanto sorpresa, mentre il suo corpo istintivamente si tirava su a sedere, come per prestare più attenzione, per poter sentire, capire meglio.
Dopo aver passato l'intera giornata nel più totale ozio ed apatia, abbandonato alla non-scelta dell'azione successiva e alla passività brada più totale, sembrò come improvvisamente svegliarsi da un dormiveglia incosciente.

"Si, Billie, io.. Ciao.." Un mezzo sorriso in una breve esalazione, nervosa e di sollievo, mentre la mano cominciava ad attorcigliare il lenzuolo attorno all'indice, noncurante della sensazione fastidiosa della circolazione mancante, quasi le servisse come punizione costante di ciò che aveva fatto; dell'averlo chiamato, delle sue parole, del disturbo, dei suoi errori..

"Erin, cosa c'è? E' successo qualcosa? Dimmi.."
Voce sorridente, eppure colorata da una venatura di inequivocabile apprensione, come se fosse pronto ad ascoltare qualunque cosa. Billie si passò una mano fra i capelli, ora perfettamente seduto sul divano, i gomiti poggiati sulle ginocchia.

"No, no.. Non è successo niente. E' solo che..  Alice.. Io.."
Coperta convulsamente stretta nel pugno, infilatasi tra le dita come il dolore che le si insinuava tra le parole che non riusciva a dire, o nemmeno a formulare nella mente. Sentiva il petto stringersi, la mente urlare la sua inettitudine, la sua incapacità, rinfacciarle la sua più totale idiozia manifestatasi nella sola, insulsa iniziativa di chiamarlo, di chiedergli.. Chiedergli cosa, poi? Chi credeva che fosse, la nonna sempre pronta ad accoglierti in casa propria, piena di quell'odore di generazioni passate e di armadi chiusi, disposta ad ascoltarti, a darti consigli, a lasciarti piangere sulla sua spalla? Chi credeva che fosse, un vecchio amico, un confidente? Respirò a fatica.
Aspettava una sua parola, un suo invito ad andare avanti, ma nulla, solo il silenzio. Era in attesa, come lo era lei stessa, di capire quanto fosse successo.
Attacca, attacca, le urlava la coscienza nella mente, che esasperatamente s'insinuava nei suoi pensieri, attacca, avanti, cosa aspetti? Cosa credi, che voglia stare qui a parlare con te?
Un sospiro lungo.
Improvvisamente sentì dall'altra parte del telefono un rumore forte, voci gioviali e un battere di mani, e una voce che riconobbe istintivamente come quella di Tré.

".. Avanti, Billie-mogio-Joe, alzati quel tuo culetto da nano e vai a recuperare le birre dal frigo, qui intanto lo zio Tré si organizzerà per allestire la migliore serata all'insegna dei vecchi tempi, con vaschette di gelato senza fondo, maratone di fiction anni '90 - no, Mike, è inutile che ci speri, Fonzie e gli altri lesi di quel programma non li vedremo - e un sacco di altri-"

"Tré, che cazzo ci fate qui?" La voce di Billie, a metà tra il seccato, il perplesso e il piacevolmente stupito, interruppe l'attacco di logorrea del batterista, che Erin era stata ad ascoltare con altrettanto sconcerto.
"Billie, dai.. Andiamo, su. Abbiamo tanto da fare." Un sorriso che impregnava le parole del bassista, apparentemente insignificanti, scontate, eppure..
Billie sorrise appena, rincuorato. Avevano qualcosa da fare. Avevano molto da fare. Da quanto non aveva uno scopo a dare senso alle sue giornate, il cui scorrere si ripeteva, monotono, di giorno in giorno, di ora in ora. Avvicinò il cellulare all'orecchio, con un mezzo sorriso che gli piegava un angolo delle labbra.
"Erin, io, scusami ma..-"

Dall'altra parte, la mano destra, che non reggeva il cellulare, coprì gli occhi serrati, mentre il cuore della ragazza palpitava come un tamburo nelle sue orecchie. Cosa ti ha fatto pensare che ti volesse parlare, eh?!
Sentì il suo respiro mozzarsi nei polmoni, e un grosso peso materializzarsi nello stomaco, pieno di senso di colpa e di quella terribile consapevolezza, che Billie non potesse avere in alcun modo, in alcun momento, anche solo un secondo da dedicarle. Lui aveva ben altro a cui pensare, lui aveva migliaia, no, milioni di vite da rappresentare, da cantare nelle sue parole.. Perché mai avrebbe dovuto pensare a lei?
Allora cosa aspetti ad attaccare, idiota?
Strinse convulsamente il cellulare tra le dita, incurante dell'alta probabilità che si rompesse, mentre stringeva i denti, urlandosi nella mente la sua inadeguatezza, e quanto avrebbe desiderato sparire nel nulla, in quel preciso momento.
".. C-certo. Scusami." Mormorò con voce impercettibilmente rotta. Soffocò un singhiozzo di rabbia nella gola, mentre davanti ai suoi occhi vedeva correre immagini di un deja-vu che avrebbe dato qualunque cosa per non rivivere, in quel momento. Suo fratello, una chiamata in piena notte, lacrime amare. Scosse la testa, tentando di scacciare il ricordo; lasciò cadere il cellulare sul letto, e se stessa con esso, affondando la testa nel cuscino, sperando di soffocare con i suoi pensieri e ricordi anche quel bruciante senso di colpa che le opprimeva il respiro.

Aveva bevuto troppo, e parlato altrettanto. Era riuscito a rimanere sobrio abbastanza da godersi la serata con Mike e Tré, ridere alle battute vecchissime e non più così divertenti dei programmi televisivi di vent'anni prima, rubare l'ultima cucchiaiata del Chocolate Chip Cookie Dough ice cream, essere trascinato tra le risa generali ad un parco divertimenti alle due di notte, dove aveva preteso di fare il giro per tre volte di seguito sulla ruota panoramica, che ricordava essere la giostra, forse l'unica, su cui il padre, Andy, lo portava, indicandogli di volta in volta i luoghi dove era cresciuto, dove aveva suonato con il suo gruppo jazz, la loro casa, ricordando con affetto a Billie che la madre, Ollie, li aspettava lì, fedelmente, amorevolmente, come ogni altro giorno.

".. E' come dico io, ti assicuro! Io su queste cose la so lunga, sai.." Biascicò Billie, con quel suo stringere le labbra in un serissimo broncio, ed agitando l'indice con fare da predicatore.
Mike sospirò. “Billie, non credo che se la prenderà per così poco..” Cercò di rassicurarlo, sorridendo appena, cercando di capire dentro di sé il motivo di tanta preoccupazione.
Billie scosse la testa, serio. “No, tu non capisci.. Io lo sapevo, vedi? E’ che poi basta. Boh, nevica e uno ha freddo, uno è arrabbiato e poi piange, e non sai se piange perché piange o se piange perché è arrabbiato..”
“Billie, ti prego...”
“Vedi che uno poi si mette a pregare? Io però non prego. Io no. Io credo..” Avvicinò le gambe al petto, raccogliendole a se, come se volesse diventare sempre più piccolo, più compatto. “Io credo che lei non preghi. Altrimenti non si sarebbe messa a piangere, no? Non mi avrebbe chiesto aiuto..”
Mike sospirò, ma non riuscì ad aprire neanche bocca, prima che Billie continuasse a biascicare frasi sconnesse e apparentemente, almeno per lui, di grande significato.
“E invece mi ha chiesto aiuto. Ma io no.. Io zitto. Io.. Mi odio. Io non voglio più vedermi..”
“Billie, smettila! Sai che non è vero per niente-”
“Smettila tu! Zitto, zitto, zitto. Non ti voglio sentire! Zitto, zitto..” Billie strinse gli occhi più che poté per chiuderli, premendo le due mani sulle orecchie, ripetendo come un’esasperata litania la stessa parola.
“Zitto, zitto! Io ho ragione, le so queste cose! Io lo so che lei avrebbe potuto non chiamarmi, e invece mi ha chiamato, e mi ha chiamato perché voleva parlarmi, e io non ho parlato, e io sono un idiota.. E mi odio, non ci voglio credere.. Mi odio e non posso farci niente, e non posso fare niente per lei.. Perché mi odia, mi odia.. Mi odia... ”
“Billie!” Mike lo interruppe bruscamente, prendendo, strette tra le sue, le due mani, gelide, tremanti, di Billie, che con l’ascendere della sua sofferenza si aggrappavano sempre più impietosamente al suo viso, ai suoi capelli, alla sua pelle..
“Smettila di torturarti.. Lasciati vivere, Billie. Devi saperti perdonare, mi capisci? Respira. Respira, ecco.. Bravo..” Con la delicatezza e la familiarità che solo a lui erano date e concesse, Mike allentò la presa di quelle piccole ma lunghe, un dito alla volta, con il fantasma di un sorriso sulle labbra, inspiegabilmente a metà tra compassione, disperazione e affetto.
“Ascoltami.” riprese, con la voce apparentemente serena, quasi lenitiva. “Ora non c’è nulla che tu possa fare, capisci?”
Billie scosse la testa, sempre più convulsamente. “Lei mi odia. E io non riesco a dormire. Mi odia..”
Mike sospirò. “Non c’è niente che tu possa fare, adesso. E’ tardi, Billie, non puoi parlarci adesso, né puoi chiamarla.. Dovrai aspettare domani, va bene?”
La massa di capelli corvini si sollevò rapidamente, e due occhi scuri, appena striati di verde alla luce artificiali dei lampioni sparuti nel parchetto, lo guardarono pieni di uno stupore che il bassista non riuscì a decifrare.
“No che non va bene. Perché noi la chiamiamo adesso.” Proferì, con la voce candidamente risoluta, chiara, come se stesse riferendo l’ora, o il colore del cielo, come se stesse esponendo la verità più ovvia del mondo.
“.. Cosa? Ma che dici, Billie, sono le quattro e mezza di notte, ma che chiamare e chiamare...” Commentò Mike, quasi sul punto di esasperarsi, riuscendo a mantenere la calma grazie ad un profondo respiro.
Billie ebbe da protestare sonoramente, imbronciandosi, lagnando e lanciando occhiate omicide all’amico.
“Non puoi pensare di chiamare quella povera ragazza a notte fonda..” Ribadì un’ultima volta il bassista.
Billie lo guardò intensamente per qualche secondo, e per un attimo sembrò a Mike che i suoi occhi si fossero accesi di un qualche lampo mefistofelico. “Infatti. Io non la chiamerò.” Sorrise appena, questa volta con aria di sincera serenità e accettazione di un fatto già dato per scontato. “La chiamerai tu.”
Mike lo guardò sbigottito, senza proferire parola. Passarono una decina di secondi prima che, con voce piatta, con una vena che sperava di essere scoraggiante, il bassista potesse rispondere.
“Tu stai scherzando”.
Billie non fece altro che scuotere la testa energicamente, ridacchiando tra se e se, come se solo lui fosse partecipe della più grande trovata di tutti i tempi. Il suo divertimento di fronte alla faccenda, nonostante tentasse di evitarlo, era fin troppo evidente.
E mentre Mike cercava di dissuaderlo dal compiere un tale atto di vandalismo psicologico, Billie gli porse il telefono, su cui campeggiava una scritta bianca, chiara, inequivocabile: il nome della povera malcapitata.
“Billie, no, aspetta! .. Che stai facendo, imbecille..!” Mike tentò di strappargli il telefono di mano, ma senza successo, perché il frontman aveva cominciato a saltellare, quasi correndo, sventolando il telefono che squillava, con piccoli urletti di gioia e di scherno
“Tanto non mi prendi!”, squittiva ridacchiando sguaiatamente. Quando finalmente Mike riuscì a prendere il telefono e ad allontanarlo dalla presa dell’amico, sentì una voce femminile, impastata di sonno, roca, forse anche il risultato del fumo, rispondere.
“... Pronto?
Mike si pietrificò, terrorizzato. Cosa avrebbe detto a quella povera ragazza? Come le avrebbe risposto? Come avrebbe spiegato il motivo della chiamata, come la folle idea di chiamarla nel cuore della notte, come scusarsi per-
“Ciaaao Erin!” Sentì Billie urlare accanto a lui, mentre si sporgeva sulla sua spalla, aggrappandosi a Mike per aiutarsi a raggiungere, o quantomento avvicinarsi al telefono, che il bassista aveva alzato al di sopra di quanto Billie potesse arrivare con le braccia.
“.. Billie?” Sentì la voce dall’altro capo del telefono, dal tono perplesso, stupido, ed ancora innegabilmente assonnato.
“Pronto, Erin? Ciao, scusami, sono Mike.” Aggiunse velocemente lui, accostando il telefono all’orecchio, passandosi una mano sulla nuca, sospirando.
Si, lo so.. Cioè, lo avevo capito.” Qualche secondo di silenzio, un sospiro. “Scusami.”
“Senti, piuttosto, qui-”
“Ciaaaaaaao Erin!” Esasperando ulteriormente la vocale, Billie si era sporto verso il telefono aggrappandosi al braccio flesso di Mike, tentando di farsi sentire.
Billie..! Sono le quattro.. E’ successo qualcosa?” Una traccia di ansia non troppo nascosta.
“Ma no, figurati.. E’ solo che-”
“Qui fa freddo, ci sono i lampioni, l’erba, le panchine.. L’erba.. C’è l’erba, Mike? C’è l’erba?” Cominciò a ripetere ridacchiando Billie, tirando la manica della giacca all’altro, che tentava, esasperato, di campare quattro scuse per spiegare la situazione.
“Erin, mi devi scusare tanto, è stata una malsana idea-”
Billie cominciò improvvisamente a tirare la manica del bassista, con insistenza. “Falla venire qui, falla venire qui!” lagnava, ma, dato che Mike lo ignorava, Billie si sporse verso il telefono.
“Mike, dille di venire qui!”
Mike lo guardò allucinato, per qualche secondo, registrando il silenzio dall’altra parte del telefono.
Dopo una manciata di secondi, sentirono di nuovo la voce della giovane.
“... Dove siete?
Domanda semplicemente posta, senza pretese, e che non avrebbe accettato altra risposta se non l’ubicazione richiesta.
“Siamo a Christie Park, e c’è tanta erba!” Urlò Billie, sghignazzando, facendo ancora leva sul braccio di Mike, sul suo viso stampata un’aria compiaciuta e gli occhi che gli brillavano.
Arrivo.

   
 
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