Nameless
~I won't
tell anyone your voice
is my favorite sound.
«
Che c'è, non sai nemmeno parlare? »
L'attendente cercava di nascondere il sarcasmo, ormai fin troppo
evidente nei
suoi occhi, con un finto sorriso comprensivo e dolce che scopriva una
fila di
denti appuntiti. L'altra ringhiò e ricominciò ad
agitarsi nel tentativo di
colpirla, ma si fermò immediatamente al suono di un paio di
colpi decisi alla
porta.
« Merjatur, mettile dei vestiti decenti e poi accompagnala a
cena. »
Lydia non rispose, limitandosi semplicemente a sospirare, infastidita
dalla
situazione. Odiava dover sottostare agli ordini, e di quell'Espada
apatico in
particolare; per di più, per servire una bamboccia che
pareva un animale dopo
un scontro per conquistarsi il dominio del territorio -una lotta
fallita, a
giudicare dall'aria ferita sul suo viso.
Squadrandola con aria critica, le sfilò lentamente il logoro
straccio che aveva
addosso, sfiorando con sue unghie affilate la pelle delle spalle, della
schiena, dei fianchi. La ragazza davanti a lei rabbrividì,
quando si sentì
totalmente esposta all'aria fredda nella camera. Lydia
ghignò lievemente,
spingendola in una stanza adiacente, più piccola, dove, nel
mezzo, spiccava una
larga vasca di marmo.
Mentre preparava l'acqua, vedendo l'altra rimanere in piedi, immobile,
stringendosi il corpo intirizzito, si chiese il motivo del suo
improvviso
tranquillizzarsi: possibile che fosse bastato il suono della voce di
Schiffer a
placare quello spirito selvaggio?
Quando la vasca fu pronta, afferrò la mano della ragazza e
la guidò fino al
bordo, attendendo che entrasse; osservandola esitare, le diede un lieve
colpetto e quella si immerse. La sensazione dell'acqua sulla pelle
doveva
esserle del tutto sconosciuta, a giudicare dal suo agitarsi e sgranare
gli
occhi all'improvviso.
Lydia attese che si calmasse prima di iniziare a strofinarle il corpo
con una
spugna, lavandole lo sporco e la polvere, per poi sciogliere i nodi
incrostati
di sangue secco dei sui capelli; man mano che li puliva,
però, si rese conto
ammirata di quanto fossero belli e lucidi, e che quello che aveva preso
per un
bluastro spento, in realtà era un turchese che andava
sfumando nel viola.
Dopo qualche tempo, la fece alzare e l'asciugò con
attenzione: non fosse mai
che qualcuno la incolpasse di averla fatta ammalare.
Riportandola nella camera, afferrò con malagrazia i vestiti
sul letto e glieli
infilò in fretta. La guardò un attimo, per
accertarsi che fosse pronta per
uscire. Il corpetto candido che portava le evidenziava il seno florido,
e sotto
una stretta fascia nera legata in vita portava un largo hakama che si
richiudeva su gli stivaletti tipici di Las Noches. Alzò gli
occhi sul suo viso,
notando un'espressione frustrata.
« Su con la vita! Stai bene vestita così!
», disse
Lydia incoraggiante, e le fece cenno di
seguirla uscendo dalla porta.
*
Sospirò
piano. I corridoi che prima le
erano sembrati soffocanti ora erano leggermente più
accettabili e, nonostante
la presenza quasi opprimente di Lydia, riuscì ad osservare
le finestre che
affacciavano sul deserto, il suo deserto. Gettando una lunga occhiata
alla sua
accompagnatrice, che procedeva spedita verso una meta sconosciuta,
spiccò un
salto, provando a spaccare i vetri che la separavano dalla
libertà, ma i
tentativi furono vani, era un materiale troppo duro per le sue mani.
Con un grido, Lydia la trascinò via dalla finestra che aveva
attaccato,
scuotendole violentemente un braccio; quando poi continuò ad
opporre
resistenza, la vide sguainare una lunga spada dall'impugnatura ocra, e
puntargliela minacciosamente alla gola.
« Fa' un'altra volta una cosa simile, e quella tua bella
testolina te la
stacco. »
La guardò con occhi colmi di odio: come osava provocarla in
quel modo? Oh, se
solo avesse avuto la sua katana...
I suoi pensieri furono interrotti da un brontolio del suo stomaco.
Iniziava ad avere di nuovo voglia di sangue, e il terrore di non
riuscire ad
ottenerlo la assalì.
La testa iniziò a girarle e l'istinto animale si
risvegliò in lei, che si
predispose ad assalire Lydia. Quella dovette intuire qualcosa, e,
continuando a
puntarle l'arma alla gola, le disse: «Sta calma. Hai bisogno
di cibo, giusto?
Controllati ancora per qualche secondo e lo avrai.»
La parola 'cibo' la convinse ad ascoltare e facendo appello a tutta la
sua
forza di volontà iniziò di nuovo a camminare,
mentre la sua accompagnatrice
rinfoderava la sua katana. Il rumore dei suoi stivali che colpivano il
pavimento le sembrò riecheggiare in quelle mura
all'infinito, stordendola, e
quando finalmente giunse alla stanza
predisposta per la cena sospirò per il sollievo.
Entrò nella sala ampia e
circolare, che era gremita di persone di ogni genere; lo sguardo della
ragazza
di soffermò in particolare sul gruppo tra cui sedeva
Ulquiorra e il giovane dai
capelli argentei.
Seguì Lydia, che si diresse verso il tavolo più
piccolo. Quella, ricomponendosi
all'improvviso, l'accompagnò verso le uniche due sedie
libere, aiutandola a
sedersi. La giovane non capì il repentino cambiamento
dell'altra, ma neanche le
interessò, poichè i suoi occhi erano impegnati a
osservare il grosso pezzo di
carne arrosto posto di fronte a lei . Circospetta ne
assaggiò un boccone per
poi avventarsi selvaggiamente sulla pietanza, causando
l'ilarità dei suoi vicini.
Il sapore era decisamente migliore rispetto a quello del cibo crudo e
sanguinolento a cui era abituata lei. Appena finì si
accasciò sulla sedia e
incrociò lo sguardo di un ragazzo dai capelli rosa. Le iridi
ambrate di
quest'ultimo, nascoste parzialmente dagli occhiali bianchi, stavano
osservando
i suoi movimenti con vivo interesse, ma, quando lei lo fissò
torvamente,
abbassò gli occhi.
Tornò a fissare il piatto vuoto davanti a sé.
Detestava ammetterlo, ma quel
tipo l'aveva lasciata leggermente turbata, e per distrarsi si concesse
di
osservare i suoi commensali.
Guardò Ulquiorra, che sembrava aver finito il suo pasto e,
le mani posate sul
tavolo, sembrava fissare il vuoto, assorto. Accanto a lui, c'era un
uomo dai
capelli castani lunghi fino alle spalle, che, con aria stanca,
scambiava
qualche parola con una ragazzina frizzante al suo fianco. Un po'
più in là,
scorse un altro ragazzo, il quale, abbandonato contro la sedia,
sorrideva in
modo inquietante, giocherellando con una benda che aveva sull'occhio.
Avrebbe continuato il suo studio attento, se il silenzio
improvvisamente calato
sulla sala non l'avesse distratta.
Guardò Lydia, nella speranza che le desse qualche
delucidazione, ma quella era
troppo concentrata su un punto alle sue spalle, all'incirca dove stava
guardando lei stessa qualche istante prima.
Si voltò di nuovo, quindi, alla ricerca di qualche dettaglio
importante che
aveva attirato l'attenzione di tutti; l'unica cosa che notò,
però, fu un uomo
in piedi, accanto al giovane che l'aveva accolta, che studiava tutti i
commensali con un sorrisetto misericordioso sul volto che lei
trovò
terribilmente irritante. D'altro canto, tuttavia, non poté
fare a meno di
rimanere affascinata dal suo aspetto regale e autorevole: tutto di lui
trasudava potere, e i suoi gesti emanavano una certa sottile
sensualità che, semplicemente,
le impediva di distogliere lo sguardo. Quando poi lo sentì
parlare, non riuscì
a fare a meno di rimanere ipnotizzata dalla sua voce profonda.
« Buonasera a tutti voi, miei Arranca. Spero che la cena sia
stata di vostro
gradimento. », lo sentì dire, e lei si
unì al coro di sussurri affermativi;
subito dopo, l'uomo continuò.
« Ne sono contento. Passando ad altro, vi volevo comunicare
che, come già
alcuni di voi avranno notato, si è unita a noi una nuova
giovane Arrancar.
Alzati pure, cara, così che tutti possano vederti.
»
Si era così concentrata sul suono delle sue parole, da non
coglierne davvero il
senso. Dopo qualche attimo, però, si rese conto di
ciò che stesse dicendo, e si
guardò attorno, curiosa di sapere secondo.
Solamente quando sentì il gomito di Lydia infilarsi tra le
sue coste fin quasi
a toglierle il respiro, comprese. Spostò la sedia da
sé goffamente, facendola
strusciare sul pavimento con un acuto stridio che le fece digrignare i
denti,
mentre si alzava.
Gli occhi di tutti erano puntati su di lei, incuriositi e sprezzanti;
li
sentiva, i loro sguardi, che la giudicavano e la criticavano
silenziosamente. Voltando
la testa, squadrò tutti con sprezzante
superiorità. Ah, un solo sussurro e
avrebbe staccato la testa di chi si sarebbe permesso di...
« Io sono Sosuke Aizen, il signore di Las Noches, lui alla
mia destra è Gin
Ichimaro e alla mia sinistra Kaname Tosen. Allora, presentati pure. Fa'
che i
tuoi fratelli sappiano chi sei. Non temere, noi siamo la tua famiglia
ora. »,
sentì, e si rivoltò subito verso l'uomo, Aizen, a
quanto pareva.
Lo fissò per un attimo, sentendosi persa. Il menefreghismo
di poco prima le era
totalmente scivolato dalle dita, lasciandola totalmente vuota. Come
poteva
presentarsi, quando nemmeno lei sapeva chi fosse? E con quali parole,
poi?
Comprendeva ciò che gli altri dicevano, ma quando si
trattava di aprire la bocca
e articolare dei suoni di senso compiuto era del tutto diverso: le
labbra le si
seccavano, e la lingua non voleva saperne di muoversi; solo rantoli
riusciva a
produrre.
« Ah... Ihh. Nngh, ouw... », ansimò.
Il mormorio intorno a lei le bloccò persino i pensieri. Alle
sue spalle,
sentiva lo sguardo penetrante di Lydia sulla sua schiena, e anche di
tutti
quanti. Abbassando gli occhi verso le sue scarpe, ebbe modo di notare
Ulquiorra
che le fissava impassibile.
Sentì l'impulso di scappare, fuggire via,
in un luogo tanto lontano da poter dimenticare
l'umiliazione provata e
tornare alla vita di caccia e assassinio per il puro gusto di uccidere
a cui
era abituata.
« Non sai parlare? », chiese Aizen. Al cenno
negativo della ragazza, continuò:
« Presumo che tu non abbia nemmeno un nome, allora.
»
Lei rimase in silenzio, le guance che le bruciavano terribilmente.
Una risata rimbombò nella sala, come una cascata di vetri
sul marmo, mentre il
silenzio riprendeva prepotentemente posto nella mensa.
Sprizzando fulmini dagli occhi, lei alzò il viso, alla
ricerca di chi avesse
osato sfidarla così apertamente. Un ragazzo dai capelli e
feroci occhi azzurri
la osservava con occhi illuminati dallo scherno e il disprezzo, mentre
sedeva
scompostamente di fronte ad Ulquiorra.
Sentì l'ira montare dentro di lei, mentre la vergogna le
riempiva la mente.
Smise semplicemente di ragionare, e un basso ringhio esplose dalle sue
labbra,
rabbioso, cercando di far intendere a quel... quel... bastardo
che con lei non era il caso di scherzare; quello, di
rimando non fece altro che ridere più forte, sguaiatamente,
quasi lei fosse la
cosa più divertente che avesse mai visto. La sua mano
scivolò di riflesso verso
il fianco, alla ricerca di un'elsa inesistente, ma, quando le dita si
strinsero
sul vuoto -e quella maledetta risata crebbe-, non ci vide
più.
Con uno scatto, spinse via la sedia da dietro di sé e
attraversò la ventina di
metri che la separavano da l'altro. Quando notò un tavolo
che le sbarrava la
strada, vi saltò su, calciando i piatti; gli altri Arrancar
che la guardavano
inorriditi. In qualche attimo, si parò di fronte al ragazzo,
girando la sua
sedia verso di lei, e alzò un braccio per colpirlo. Quando
l'attacco partì, vi
infuse tutta la sua forza, decisa a distruggerlo; lui, però,
afferrò il suo
pugno come fosse una carezza e l'attirò a sé.
Vedendosi tirare, perse
l'equilibrio, finendo in ginocchio.
L'altro ghignò, abbassandosi alla sua altezza, quando lei
non riusciva a far
altro che desiderare di morire. Abbassò gli occhi sul
pavimento, quasi a
volerlo perforare, mentre un sussurro caldo le sfiorava l'orecchio.
« Grimmjow Jeaguerjaques, per servirti. Ah! », poi
si rivolse ad Aizen, alzando
la voce, in modo che tutti potessero sentirlo. « Dovrebbe
tenere più sotto
controllo questa pazza, Aizen-sama, o l'integrità del suo
corpo potrebbe essere
non proprio duratura. »
Quando alzò lo sguardo, scorse una scintilla di
ilarità nello sguardo del
signore di Las Noches che la ferì, mentre sul volto di
quell'altro, Gin, il
sorriso -ammesso che fosse possibile- si era allargato ancora di
più. Quelle
fessure taglienti che erano i suoi occhi la fissavano, e, nel momento
in cui
parlò, lei non poté fare a meno di rabbrividire,
il braccio ancora stretto
nella mano di Grimmjow.
« Pazza, eh? », disse Gin, lanciando una lunga
occhiata obliqua ad Aizen, poi
continuò: « Un aggettivo che ti sta davvero
d'incanto, piccola Kyouki. »
Erre
voleva scrivere una
PWP yaoi o yuri, ma è stata fermata da Blume.
Cattiva
editor!
Buondì,
per la prima volta è Erre a
parlarvi (addirittura qualcuno supponeva che la sua esistenza non fosse
altro
che una leggenda metropolitana!).
Ci
scusiamo immensamente - di nuovo?!- per il
terribile ritardo causa fine quadrimestre e -nel mio caso- mancanza di
ispirazione che mi faceva scrivere solo schifezze. Contiamo di
aggiornare con
più regolarità nel periodo estivo! Questo
capitolo è tutto di Blume quindi
declino responsabilità e pomodori a lei,invece in caso di
regali, cesti di
affettati e donazioni in denaro potete tranquillamente rivolgervi a me
XDD.
Alla
prossima -sperando che ci sia una prossima
-.
Erre
&
Blume
PS:
Bello il nome, nè? Ci siamo scervellate per crearlo Lol
(Kyouki
= Pazzia)