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Autore: Beauty    19/05/2012    7 recensioni
Ciao a tutti! Questa storia è una mia personale rivisitazione de "La Bella e la Bestia", la mia favola preferita...
Catherine, diciottenne figlia di un mercante decaduto, per salvare il padre dalle grinfie di un misterioso essere incappucciato, accetta di prendere il suo posto. Ma quello che la ragazza non sa è che nelle vesti del lugubre e malvagio padrone di casa si cela un mostro, un ibrido mezzo uomo e mezzo animale. Col tempo, Catherine riuscirà a vedere oltre la mostruosità dell'essere che la tiene prigioniera, facendo breccia nel suo cuore...ma cosa succede se a turbare la felicità arrivano una matrigna crudele e un pretendente sadico e perverso?
Riuscirà il vero amore ad andare oltre le apparenze e a sconfiggere una maledizione del passato? E una bella fanciulla potrà davvero accettare l'amore di un mostro?
Genere: Dark, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il mostro e la fanciulla'
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- CHE COS’HAI DETTO?!- tuonò Lord William, schioccando un colpo di frusta contro la spalla di Ralph.

Lo scagnozzo si ritrasse, portandosi una mano allo squarcio della casacca che lasciava intravedere la pelle che si stava arrossando.

- Ve lo giuro, Lord William…- disse, con voce roca.

- Idioti! Siete due emeriti idioti!- ringhiò Lord William, fingendo di non notare Glouster che teneva premuto uno straccio sulla ferita sanguinante alla spalla.

- Non è stata colpa nostra, signore…- disse Glouster, tentando di fermare il sangue.- Noi abbiamo cercato di difenderci, sul serio…

- Non mi riferisco al fatto che vi siete fatti mettere al tappeto come due patetiche donnicciole!- disse Lord William, furente.- Come avete osato anche solo pensare di mettere le mani addosso a Catherine Kingston?!

- Ma…signore…- provò a giustificarsi Ralph, tenendosi a debita distanza da lui.- Non pensavamo che v’interessasse ancora…

- Non è compito vostro pensare!- ruggì Lord William.- Se vi azzardate a toccare ancora quella ragazza vi giuro che vi consegno alle autorità e vi faccio impiccare nella piazza del paese, parola mia!- e detto questo sferrò un pugno in faccia a Ralph, che cadde riverso vicino a Glouster.

Lord William voltò loro le spalle, passandosi nervosamente una mano fra i capelli castani. Era madido di sudore, fremeva di rabbia e le mani gli tremavano.

Ralph strisciò a fatica verso Glouster.

- Era lì da sola, di notte, nel bel mezzo della foresta…- bisbigliò quest’ultimo al suo compare.- Non avrei mai pensato che ci fosse qualcuno con lei…- aggiunse, scoccando un’occhiata al panno che, da bianco, era diventato quasi interamente rosso.

A queste parole, Lord William si girò di scatto, fissandoli improvvisamente attento.

- E chi avete detto che era, questo cavaliere che è riuscito a stendervi tutti e due in un solo colpo?- domandò.

- Non lo sappiamo, Lord William…- rispose Ralph.

- Aveva il volto nascosto…indossava un mantello scuro…- aggiunse Glouster.- Aveva una forza sovrumana…sembrava quasi di avere a che fare con un demonio…

- Incompetenti!- sibilò Lord William, dirigendosi verso una delle finestre della sua lussuosa villa.

Si appoggiò ad essa con un braccio, fissando l’orizzonte dove stava spuntando timidamente l’alba.

Catherine…La sua Catherine…insieme ad un altro!

Non riusciva a sopportare quello che gli avevano riferito Ralph e Glouster. Tutto il suo animo, il suo cuore, la sua mente, tutto in lui si rivoltava al pensiero che Catherine Kingston, la sua donna, in quel momento si trovasse con un altro. Perché quel cavaliere misterioso, quell’essere fantomatico che aveva messo al tappeto i suoi uomini, era lì per lei, ne era certo. Gli attraversò la mente un fugace lampo, una rapida visione di Catherine che giaceva nuda fra le braccia di un uomo che non era lui.

Puttana!, pensò, digrignando i denti.

Di nuovo avvertì quella sensazione, quel fuoco che lo ardeva all’interno, quelle fiamme che avvolgevano il suo cuore e la sua anima, distruggendolo lentamente.

No! No, non sarebbe finita così!

Non si sarebbe arreso così facilmente. Catherine Kingston doveva essere sua, sua, e di nessun altro. E lui se la sarebbe presa, con le buone o con le cattive. Se non avesse acconsentito a diventare sua moglie, poco male, ne avrebbe fatto la sua puttana. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per averla; qualsiasi cosa, anche se si fosse trattato di ammazzare con le proprie mani quel bastardo che molto probabilmente in quel momento se la stava scopando, anche se per farla cedere avesse dovuto violentarla fino a farla morire sotto di sé. Non importava cosa sarebbe stato necessario fare. Lui l’avrebbe fatto.

Puntò lo sguardo sulle casupole del paese che stava incominciando a svegliarsi, intravedendo i contadini che si recavano nei campi e i primi artigiani che aprivano bottega. Chiuse gli occhi, sperando che Il leone d’oro aprisse presto. Era ora di fare due chiacchiere con Henry Kingston.

Era giunto il momento di mettere in atto il suo piano, pensò, mentre il fuoco, quel fuoco infernale, continuava a divorarlo, ardendo senza pietà la sua anima.

 

***

 

Catherine trascorse due giorni a letto, in convalescenza. Il padrone aveva mantenuto la sua promessa: non avrebbe lavorato finché non si fosse sentita meglio. La ragazza un po’ ne era contenta, un po’ si sentiva in colpa.

Non riusciva a non pensare che, mentre lei se ne stava in una stanza comoda e calda, senza fare il minimo sforzo, Constance, Peter ed Ernest erano costretti a faticare tutto il giorno. Aveva temuto che fossero arrabbiati con lei, per questo, ma il loro atteggiamento faceva intendere tutto il contrario.

Il padrone aveva ordinato loro che i pasti le fossero serviti in camera; all’ora stabilita, uno dei tre domestici si presentava reggendo in mano un vassoio carico di ogni ben di Dio, ma, come notò la ragazza con gran sollievo, nessuno di loro pareva invidioso della fortuna che le era toccata.

Constance esibiva sempre un gran sorriso, le rimboccava le coperte e le chiedeva in continuazione come si sentisse; Ernest si presentava un po’ meno spesso, ma quando lo faceva non si toglieva mai dalle labbra quel sorriso bonario e, aveva notato Catherine, anche un po’ malinconico. Peter ogni volta si intratteneva per diverso tempo con lei, chiacchierando del più e del meno, fino a che sua madre non veniva a prenderlo per un orecchio e lo riportava al lavoro.

Catherine fu parecchio sollevata da questo atteggiamento; lo stesso fu quando si accorse che il padrone aveva mantenuto un’altra promessa, ovvero che non l’avrebbe più punita rinchiudendola in quella celletta buia e umida.

Già, il padrone…Catherine, in quei giorni, lo vide solo un paio di volte; sentiva bussare alla porta della sua stanza, quindi lui entrava, tenendo quel suo viso mostruoso rivolto verso il basso. Si limitava a chiederle come si sentisse e se la caviglia le facesse ancora male, quindi se ne andava, veloce come era arrivato.

Durante la convalescenza, Catherine ebbe modo di riflettere a lungo su quanto fosse assurda la sua situazione. In un certo senso, si era quasi rassegnata all’idea che, probabilmente, non avrebbe mai più rivisto la sua famiglia; quello che più la sconcertava, in realtà, era l’essere finita prigioniera nel maniero di un mostro.

Già, per quanto fosse spiacevole da ammettere, il padrone di casa era veramente un mostro. Catherine pensava sempre che, se Lydia l’avesse incontrato, subito avrebbe iniziato ad urlare che si trattava di una creatura di Satana; la ragazza non era mai stata bigotta o superstiziosa, ma proprio non riusciva a capacitarsi che la natura avesse potuto dare vita ad una creatura così mostruosa.

Creatura mostruosa che da un mese a quella parte non aveva mai smesso di spiazzarla con il suo strano e ambiguo comportamento. L’aveva maltrattata e malmenata fino a pochi giorni prima, quando le aveva inaspettatamente salvato la vita da quei due tagliagole. Quindi, aveva alternato momenti di ira e sgarbatezza ad altri di infinita gentilezza, fino ad invitarla a cenare con lui.

Ecco, una delle promesse che non aveva mantenuto era stato in merito alla cena; le aveva detto chiaro e tondo che da quel momento in poi avrebbe sempre cenato con lui, che le piacesse o meno, ma infine aveva ordinato che anche la cena le fosse servita in camera.

Forse l’aveva trovata noiosa o poco interessante, forse aveva pensato fosse superfluo intrattenersi con una misera serva, o forse quella era un’altra delle sue numerose stranezze.

Ma Catherine non lo voleva sapere; non le importava perché avesse preso quella decisione, anzi, era meglio così; lei non desiderava la compagnia di quel mostro, voleva solo che la lasciasse in pace. Benché lui l’avesse salvata, Catherine era ancora restia a fidarsi del padrone di casa; e poi, aveva bisogno di stare lontana dal suo umore altalenante, sentiva la necessità di un po’ di logica e di tranquillità.

Tranquillità che aveva ogni notte, in sogno. Da che era arrivata al maniero, non passava notte che non sognasse quel bel giovane dai capelli scuri e gli occhi azzurri, e non sentisse, appena prima di risvegliarsi, una voce femminile calda e dolce che la rassicurava.

 

***

 

Al terzo giorno, verso l’ora di pranzo, Catherine decise che era venuto il momento di rimettersi in piedi. Provò ad alzarsi reggendosi al bordo del letto; la caviglia le faceva ancora un po’ male, non riusciva a poggiare interamente il piede a terra, ma in compenso finalmente si reggeva in piedi e poteva camminare.

Zoppicò fino al piano terra, reggendosi al corrimano dello scalone per non inciampare, fino ad aprire cautamente la porta della cucina.

- Ehi, Cathy!- la salutò allegramente Peter, visibilmente contento di vederla.

- Catherine!- esclamò Constance.- Stavo per portarti il pranzo. Che ci fai qui?

- Riuscivo a camminare e sono scesa - rispose semplicemente la ragazza.

Ernest l’aiutò ad arrivare sino al tavolo, scostandole una sedia perché potesse più agevolmente sedersi. Rimase parecchio sorpresa quando Constance mise in tavola, per tutti e quattro, un bel piatto di bistecca e purée di patate.

- E’ merito tuo!- disse Peter a bocca piena, notando lo sguardo interrogativo di Catherine.

- Mio?

- E’ grazie a te se ora abbiamo legna e del cibo decente, invece di quella brodaglia - spiegò Constance.- Sei stata tu a dire al padrone di darcene un po’, no?

- Sì, ma…sinceramente, non credevo che mi avrebbe dato retta…- disse Catherine, ancora più stupefatta.

- Se gliel’avessi chiesto io, di sicuro non l’avrebbe fatto - disse Constance.- Ma di te, a quanto pare, ha un’altra considerazione…

- Ce l’avete con me?- domandò timorosa Catherine.

- E come potremmo?- fece Ernest, addentando un pezzo di bistecca.- E’ per merito tuo se abbiamo del cibo e della legna per il fuoco. Come potremmo avercela con te? Noi dobbiamo solo ringraziarti, Natalie…

Natalie, pensò Catherine. Era da quando era arrivata, che Ernest la chiamava così. La cosa non avrebbe dovuto stupirla più di tanto; anche Lady Julia ci aveva messo una vita ad imparare il suo nome, storpiandolo in Christine, Caroline, e altri ancora. Ma Ernest la chiamava sempre con quello stesso nome, Natalie, e Catherine si era più volte accorta che il vecchio domestico la guardava in modo strano, bonario, quasi paterno, e che spesso era sul punto di posarle una carezza sui capelli, ma si tratteneva sempre in tempo.

- Ernest - disse Catherine, facendosi coraggio.- Chi è Natalie?

Ernest non rispose subito; sospirò tristemente, mescolando il purée con la forchetta; quindi, senza smettere di fissare il piatto:

- Mia figlia - rispose, con un sospiro.

- Non sapevo che avessi una figlia, Ernest…- mormorò Catherine.

- Non dargli corda, altrimenti non la finisce più con i suoi melodrammi!- la rimbeccò Constance.

- Vuoi stare un po’ zitta, vecchia scopa spelacchiata?- borbottò Ernest.

- Rimbambito!

- Strega!

- Ehi, fatela finita!- intervenne Peter.

Ernest sospirò di nuovo, impiegando qualche minuto prima di proseguire.

- Sai, lei ti somiglia molto…- disse, rivolto a Catherine.- Cioè, voglio dire, ti somigliava quando aveva la tua età…ora, chissà quanto sarà cambiata…

- Da quanto tempo non la vedi, Ernest?- chiese Catherine.

- Da quando sono arrivato qui. Dieci anni fa.

- Il padrone tiene prigioniero anche te?- saltò su Catherine, indignata, sentendo montare ancora di più l’astio nei confronti del mostro.

- No…no, non sono un prigioniero…

- Ma allora…?

- Nessuno di noi, qui, lo è - intervenne Constance.- Io e Peter siamo stati accolti da lui. Sai, non è poi tanto male, se lo si conosce…

- Come no!- ironizzò Catherine.- Un essere mostruoso che ci tiene tutti rinchiusi qui dentro in condizioni disumane e…

- Per quel che mi riguarda, non poteva andarmi meglio - la interruppe la donna.- Vedi, Catherine…- proseguì, notando lo sguardo esterrefatto della ragazza.- Quando mio marito…il padre di Peter…beh, quando lui mi lasciò, io ero giovane, senza un soldo e con un bambino piccolo sulle spalle…nessuno avrebbe voluto assumermi. Invece, il padrone e suo padre mi accolsero qui, mi diedero una casa e un mestiere, e non tentarono mai di abusare di me, come molti altri invece avrebbero fatto. Tu pensi che sia un mostro, Catherine?

- Io…cioè, voglio dire…- s’impappinò la ragazza. Tentò di cambiare argomento:- Ma tiene prigioniero Ernest!

- No - disse il vecchio, pacatamente.- Io non sono un prigioniero. All’inizio lo ero, ma ora non più…

- Che vuoi dire?

- Io vivevo in un villaggio poco distante da qui. Facevo il venditore ambulante - raccontò Ernest.- Ero felice, ero sposato e avevo una figlia, Natalie. Una sera mi persi nel bosco, e capitai qui…- fece una breve pausa, poi riprese:- M’intrufolai in casa del padrone, e lui mi scoprì, imprigionandomi.

- Infame…- borbottò Catherine.- E poi, cosa accadde?

- Beh, non lo so esattamente…rimasi in cella per diversi giorni, finché…non lo so, penso che fosse venuta a cercarmi, come tu hai fatto con tuo padre…Insomma, una sera mia figlia bussò alla porta del castello, e chiese al padrone se aveva mie notizie…

- E lei ti trovò imprigionato.

- Sì. Il padrone le propose un patto, la sua libertà per la mia.

Catherine distolse lo sguardo, imbarazzata; aveva la strana sensazione di sapere come sarebbe andata a finire quella storia.

- Rifiutò, vero?- disse, con un filo di voce.

- Sì - sospirò Ernest.- Sì, lei…Natalie…si rifiutò…

- L’aveva visto in volto?

- No. Ma temeva di rimanere imprigionata per sempre. Mi disse che lei era giovane, e che non voleva buttare all’aria la sua vita per salvare quella di un vecchio come me, e se ne andò.

- Non l’hai più rivista?

- No. Anche se dopo poco, il padrone mi lasciò andare…

- Cosa?

- Non so perché lo fece…Forse perché ero troppo vecchio per lavorare, o forse perché gli facevo pena. Tornai al mio villaggio, ma…niente era più come prima…

- Che intendi dire?

- Mia moglie si era risposata. E seppi che anche Natalie aveva trovato marito. Non c’era più nessuno ad aspettarmi, così ritornai qui. Da allora, lavoro qui come domestico.

Catherine non rispose, sinceramente colpita. Pensò che, se quella notte in cui aveva ritrovato suo padre lei avesse rifiutato di prendere su di sé la colpa della rosa, probabilmente la stessa cosa sarebbe accaduta anche al mercante. Si ritrovò ad odiare profondamente la figlia di Ernest, mentre il padrone cominciava ad apparirle sotto una luce nuova, più umana.

- Il padrone non è poi tanto male, Catherine - ripeté Constance.

- Allora perché si comporta così?- disse la ragazza.- Perché ci maltratta sempre tutti quanti? Perché mi tiene rinchiusa qui dentro?

- Non credo lo faccia apposta…- provò a giustificarlo Constance.- Sai, tu e tuo padre siete state le prime persone, a parte noi, che ha incontrato dopo ben dieci anni…E’ normale che dopo tutto questo tempo abbia dimenticato un po’ le buone maniere…Ma ti assicuro che prima non era così…

- Prima di che cosa?- incalzò Catherine, curiosa.

- Beh, prima che suo padre si ammalasse…

- Suo padre?

- Il vecchio padrone, pace all’anima sua…E poi prima che succedesse…

Constance non terminò la frase, bloccata da una smorfia di dolore; Catherine notò che Ernest le aveva sferrato un calcio da sotto il tavolo.

Dopo qualche minuto di silenzio, Peter iniziò a chiacchierare di quello che aveva fatto durante le sue passeggiate nel bosco alla ricerca di frutta, e l’argomento precedente venne dimenticato.

A Catherine non restò che tacere di malavoglia, finendo ciò che restava del pranzo.

 

***

 

Un rombo di tuono spezzò il silenzio della notte; poco dopo, un fulmine squarciò il cielo a metà. Rosalie, rintanata sotto le coperte della sua stanza, ascoltò la pioggia che incominciava a cadere e il vento che ululava fra le foglie degli alberi. La ragazzina avrebbe dovuto dormire già da un pezzo, ma i suoi grandi occhi scuri erano ancora aperti e bene attenti.

Rosalie udì l’orologio a pendolo nel corridoio suonare la mezzanotte.

E’ ora, pensò, scostando le coperte e alzandosi dal letto.

Raggiunse a tentoni nel buio la porta della sua camera; l’aprì, iniziando a percorrere il corridoio deserto immerso nell’oscurità, camminando in punta dei piedi nudi, cercando la stanza di suo padre.

Dopo giorni e giorni passati con le mani in mano, la ragazzina aveva preso una decisione: voleva vedere suo padre, doveva vedere suo padre.

Lydia aveva detto che, a furia di starsene chiuso in quella stanza, si sarebbe ammalato; e così era stato. Lady Julia l’aveva annunciato con apparente tristezza, ma cercando comunque di rassicurarla.

- Tuo padre è malato, Rosalie - le aveva detto.- Ma presto starà meglio, vedrai.

Rosalie avrebbe tanto voluto crederci, ma sentiva che c’era qualcosa che non quadrava. Lady Julia non aveva permesso a nessuno, nemmeno ai suoi figli, di entrare nella stanza del malato neppure per qualche minuto, giusto il tempo di salutarlo.

La porta del mercante continuava a rimanere chiusa, e nessuno poteva entrare nella sua camera. Nessuno, nemmeno il dottore.

Già, pensò Rosalie, Lady Julia non aveva neppure voluto che si consultasse un medico.

- Il mio terzo marito era un dottore - aveva detto.- Ho imparato parecchio, penserò io a lui.

La matrigna forse aveva qualche conoscenza in fatto di medicina, si disse Rosalie, ma l’unica cosa che la ragazzina sapeva era che suo padre non dava segni di miglioramento.

Le mancava sua sorella. Catherine avrebbe certamente saputo cosa fare, in quella situazione. Ma ora Cathy era morta, e toccava a lei prendersi cura della sua famiglia.

Trovò la maniglia della porta e l’aprì, ritrovandosi nella stanza di suo padre; da che si era ammalato, lui e Lady Julia dormivano in stanze separate, e Rosalie era infinitamente sollevata per questo. Aveva deciso di agire di notte perché sapeva che, se la matrigna l’avesse scoperta, allora sarebbero stati guai seri. Ora Lady Julia stava dormendo.

Un altro lampo squarciò il cielo, illuminando la figura del mercante, disteso nel letto sotto un cumulo di coperte. Rosalie si avvicinò a lui, titubante. Il mercante stava dormendo, ma stava vivendo un sonno inquieto; continuava ad agitarsi fra le lenzuola e a mugolare qualcosa di incomprensibile nei sogni, mentre la fronte e il cuscino erano impregnati di sudore.

- Papà?- chiamò Rosalie, a bassa voce.

Il mercante non rispose, continuando a dimenarsi nel sonno.

- Papà?- ripeté la ragazzina, prima che un altro lampo illuminasse di nuovo la stanza. L’attenzione di Rosalie venne attirata da un bicchiere vuoto posato sul comodino accanto al

letto. Doveva contenere una delle “medicine” che Lady Julia somministrava regolarmente al mercante. Rosalie la prese in mano con attenzione, esaminandola accuratamente. Dentro c’era ancora un residuo di un liquido violaceo; la ragazzina accostò il viso al bicchiere, inspirandone l’odore. Era un odore strano, mai sentito prima, secco e violento, come di un acido.

Il mercante ebbe un fremito, svegliandosi di soprassalto.

- Papà?- chiamò nuovamente la ragazzina.

Il mercante si riscosse, puntando lo sguardo stanco e stralunato sulla figlia minore.

- Rosalie…- mormorò, con un debole sorriso.

- Papà, come ti senti?- sussurrò Rosalie.

Il mercante ansimò.

- Lei…- disse, in un soffio.

- Lei, chi?

- Tu!

Rosalie sobbalzò per lo spavento, facendosi scivolare di mano il bicchiere che cadde a terra tintinnando. Si girò; alle sue spalle, vestita solo di una leggera camicia da notte con una vestaglia di pizzo, sulla soglia della porta, c’era Lady Julia.

I suoi occhi lasciavano intravedere tutta la sua stizza, ma quello che colpì di più Rosalie fu il medaglione con il rubino rosso sangue che scintillava nell’oscurità.

- Che cosa ci fai tu qui?- disse, sibilando.

- Io…

- Ti avevo detto di non entrare qui dentro!- Lady Julia si diresse verso di lei con passo svelto, l’afferrò malamente per un braccio, trascinandola fuori dalla stanza. Il mercante emise un debole gemito, prima che la porta si chiudesse.

Lady Julia trascinò Rosalie lungo tutto il corridoio, mentre la ragazzina tentava disperatamente di liberarsi.

- Lasciatemi!- gridò.- Lasciatemi! E’ mio padre, ho il diritto di vederlo!

- Decido io cosa puoi o non puoi fare, mocciosa!

- E’ malato!- protestò Rosalie.- E’ malato, ha bisogno di un dottore!

- Penso io a lui. E ora, fila subito a letto!

Lady Julia non attese replica, spalancando la porta della camera di Rosalie e spingendovi dentro la ragazzina.

Non appena rimasta sola, Rosalie si gettò sul letto, iniziando a singhiozzare.

Lady Julia estrasse una chiave da una tasca della vestaglia e chiuse la serratura della stanza. Per quella sera, quella mocciosa non sarebbe più andata da nessuna parte.

La donna si appoggiò al muro, sospirando.

C’era veramente mancato poco…

Lady Julia sapeva che avrebbe dovuto trovare una soluzione per liberarsi di Rosalie, e alla svelta.

Rosalie non aveva l’acume e la perspicacia di Catherine, e senza dubbio possedeva un carattere più mite e remissivo di quello della sorella, ma ciò non le impediva di rivelarsi comunque una gran rompiscatole.

Quando aveva deciso di avvelenare il mercante, Lady Julia non aveva pensato a lei. Ora che ci rifletteva con più calma, quando suo marito fosse morto – cosa che lei sperava accadesse il più presto possibile – Rosalie sarebbe rimasta sola, e avrebbe avuto bisogno di un tutore. Henry, lui, aveva vent’anni, se la sarebbe potuto cavare da solo, ma quella ragazzina petulante di anni ne aveva tredici, e qualcuno si sarebbe dovuto occupare di lei.

E lei, Lady Julia, in qualità di matrigna, avrebbe dovuto addossarsi questo fardello.

Ma no. No, lei non aveva nessuna intenzione di farsi scombinare i piani da una marmocchia che non era neppure sua figlia. Senza contare che quella piccola vipera stava diventando troppo curiosa; quella stessa sera per poco non aveva scoperto cosa aveva fatto a suo padre.

Doveva trovare il modo di liberarsi di lei, ma non poteva farlo con la magia. Se l’avesse fatta ammalare, la cosa sarebbe risultata troppo sospetta; anche ucciderla con le proprie mani non sarebbe stata un’azione prudente, non con tutti gli omicidi che si era già lasciata alle spalle.

Doveva trovare un’altra soluzione. Ma l’avrebbe trovata.

Dopo aver sistemato suo padre, si sarebbe sbarazzata anche di Rosalie.

 

***

 

Catherine si sentiva bene.

Il giovane dagli occhi azzurri le sorrideva, mentre le accarezzava dolcemente una guancia. La ragazza chiuse gli occhi, ma quando li riaprì vide che la mano calda e morbida del giovane si era tramutata in una zampa ibrida con degli artigli affilati per unghie, che le lasciava una riga di sangue sulla guancia. Sollevò lo sguardo, per incontrare gli occhi febbrili di Lord William.

Si svegliò di soprassalto, lanciando un breve grido che presto si disperse nel nulla, sostituito dal rumore sordo di un tuono.

Catherine respirò affannosamente, cercando di riacquistare un minimo di calma e di autocontrollo. Era uno degli incubi peggiori che avesse mai avuto, senza dubbio. Si ricordò di quando era una bambina e si risvegliava in lacrime nel cuore della notte dopo un brutto sogno.

Un sogno, per quanto brutto, non può farti del male, le parve di risentire la voce dolce e rassicurante di sua madre nelle orecchie.

Aveva ragione, si disse Catherine, un brutto sogno non è altro che un brutto sogno, niente di più.

Sentì un altro tuono, poi vide la luce di un fulmine; si rimise sotto le coperte, tentando di riprendere sonno, ma non ci riuscì. Si girò e rigirò fra le lenzuola per un’ora, ma i rumori del temporale, misti al nervosismo che le aveva lasciato addosso quel sogno terribile, le impedivano di riaddormentarsi.

Sentiva la gola secca, aveva bisogno di bere un po’ d’acqua.

Si alzò dal letto, posando con cautela il piede dolorante, quindi si mise addosso una vestaglia. C’era una candela con dei fiammiferi, sul comodino; Catherine la prese e l’accese, cominciando ad avviarsi lungo il corridoio, zoppicando leggermente.

Tentò di trovare lo scalone, ma al buio era molto più difficile orientarsi in quell’immenso maniero. Le ombre gettate dalla luce della candela illuminavano le statue di mostri e gargoyle che tappezzavano l’intero castello, marcando le loro fauci spalancate e rendendo un’atmosfera inquietante, quasi come se quelle sculture stessero per prendere vita da un momento all’altro e avventarsi contro di lei.

La ragazza indietreggiò, indecisa sul da farsi. Non riusciva a dormire e aveva bisogno di un po’ d’acqua, ma se non stava attenta rischiava di perdersi in quel luogo lugubre fino alla mattina seguente.

- Che ci fai ancora sveglia?- fece una voce, da lontano.

Catherine sobbalzò, e la fiamma della candela ebbe un guizzo. La ragazza si sporse un po’ più avanti, scorgendo che, poco distante da lei, una porta semichiusa lasciava intravedere un barlume di luce nella stanza.

- Allora?- incalzò la voce, stanca, quasi annoiata.

Proveniva dalla stanza.

Catherine si avvicinò, aprendo timorosa la porta. Aveva riconosciuto la voce, non aveva dubbi su chi si sarebbe trovata di fronte. E infatti, a parlare era stato proprio il padrone.

La stanza era abbastanza ampia, anche se era difficile dirlo, dato che l’unica fonte di luce proveniva da due candele, una retta in mano da Catherine, l’altra posata su un tavolino al centro della camera. La ragazza riuscì a scorgere tre scaffali, uno per ogni parete della stanza, sui quali erano sistemati in bell’ordine centinaia di libri. Catherine rimase immobile, imbambolata sulla soglia della porta, mentre il padrone la scrutava con aria insieme critica e annoiata.

Era seduto su di una poltrona color rosso porpora, del tutto simile ad un’altra che stava accanto al tavolino di fronte a lui. La prima cosa che Catherine notò fu che non indossava più il mantello, ma una camicia, pantaloni e stivali neri. Le maniche della camicia erano un po’ rimboccate e lasciavano vedere gli avambracci e le mani bestiali.

- Che fai ancora in piedi?- domandò il padrone, chiudendo con un colpo secco il libro che teneva in mano e posandolo sul tavolino di fronte a sé.

- Io…non riuscivo a dormire - ammise Catherine, non sapendo cosa fare, se andarsene o se rimanere lì in piedi sulla porta.

- Il temporale?- fece il padrone.

- Sì.

- Beh, neanch’io dormo molto, la notte.

Fece una pausa, distogliendo brevemente lo sguardo, per poi puntare subito gli occhi di gelido azzurro su di lei.

- Ti andrebbe di tenermi compagnia?- domandò, indicandole la poltrona di fronte a sé.

Catherine rimase in dubbio per un attimo, quindi annuì con vigore, un po’ timorosa; posò la candela accanto all’altra sul tavolino, quindi si sedette, rigida, visibilmente a disagio.

Il mostro non parlava, limitandosi a scrutarla con quegli occhi azzurro ghiaccio; lei iniziò a guardarsi intorno, un po’ per fare qualcosa e un po’ per non dover sostenere lo sguardo del padrone.

- E’ una libreria, questa?- chiese dopo poco.

- Sì, è una libreria.

La ragazza abbassò lo sguardo sul libro che era rimasto abbandonato sul tavolino.

- Che cos’è?- chiese.

- Un libro che sto leggendo. A dire il vero, non è la prima volta che lo leggo, ma la storia non mi dispiace...

- Posso?- Catherine indicò il libro.

Il padrone fece un gesto di assenso con la mano.

La ragazza prese il volume fra le mani, leggendone il titolo: Notre Dame de Paris.

- Non l’ho mai letto - disse.- Di che parla?

- Parla di un mostro - spiegò il padrone, senza smettere di scrutarla.

- Un mostro?

Il padrone annuì.

- Un uomo deforme, orribile, che vive nascosto in una cattedrale - continuò il padrone.- Un giorno salva da morte certa una zingara, perseguitata da un malvagio arcidiacono, e s’innamora di lei.

- E lei ricambia?- chiese Catherine, pur intuendo già la risposta.

Il padrone, infatti, scosse piano il capo.

- E’ innamorata di un altro - disse.- E lui è talmente orrendo che lei non riesce neanche a guardarlo in faccia.

Il padrone sollevò lo sguardo, puntando i propri occhi azzurri in quelli verdi di Catherine; si aprì in un beffardo sorriso a denti aguzzi.

- Tu non sei ancora arrivata a questo punto - ghignò.- Riesci a sostenere lo sguardo di un mostro.

Catherine non sapeva che rispondere; si sentì avvampare lentamente, mentre il padrone, tornato serio, aveva ripreso a scrutarla.

- Di’ qualcosa - fece il padrone, dopo un po’ che Catherine stava in silenzio.- Parlami di te.

Catherine, se possibile, si trovò più in imbarazzo di prima.

- Cosa…cosa volete sapere?- balbettò infine.

- Qualcosa che non so già. Ti chiami Catherine Kingston, hai diciotto anni e tuo padre è un mercante. E’ tutta qui la tua vita?

- Perché v’interessa sapere qualcosa della vita di una serva?- domandò Catherine, con una lieve punta di sfida.

Il padrone fece una breve risata.

- Ecco un’altra cosa che so di te. Hai una buona parlantina - ghignò.

- Si potrebbe dire lo stesso di voi - rispose Catherine, con una piccola smorfia.

Il mostro non rispose; distolse brevemente lo sguardo, picchiettando nervosamente con le dita artigliate sul bracciolo della poltrona.

- Non saprei dirlo - rispose infine.- Non parlo con un’altra persona da…da parecchio tempo, ormai…

Catherine abbassò lo sguardo; il padrone sembrava a disagio, ora.

- E…la caviglia ti fa ancora male?- chiese d’un tratto il mostro.- Ho visto che riesci a camminare…

- Sì. Domani potrò tornare al lavoro.

- No, io non…- si affrettò a dire il padrone, sporgendosi un poco verso di lei.- Non…non intendevo dire questo, io…Maledizione!- imprecò a mezza voce.

Benché fosse l’ultima cosa che avesse voluto, Catherine si ritrovò a provare pena per lui, mista anche ad un briciolo di simpatia.

- Io volevo solo sapere come stavi, tutto qui…- riuscì a dire infine il mostro.- Non era certo per rimproverarti o altro, era solo per…insomma, io volevo solo essere…

- …gentile?- l’aiutò Catherine, con un guizzo divertito negli occhi.

- Sì. Sì, esatto.

Tornò il silenzio; stavolta era Catherine ad essere tranquilla e rilassata, mentre toccava al padrone sentirsi in imbarazzo. Il mostro tornò ad appoggiarsi allo schienale della poltrona, iniziando a guardarsi intorno nella stanza semibuia, visibilmente nervoso.

Fuori, il temporale era nel pieno della sua furia; Catherine stette ad ascoltare i tuoni e le gocce di pioggia che s’infrangevano contro le grandi vetrate del maniero.

- Ti piace leggere?- chiese d’un tratto il padrone, tornando a guardarla. Incurvò leggermente le labbra in una smorfia che voleva essere un sorriso.

- Oh, sì!- confermò Catherine, sorridendo.- Sì, adoro leggere. Penso che sarei capace di leggere tutti i libri che ci sono qui dentro…- aggiunse, indicando gli scaffali colmi di volumi.- E voi?

Anche il mostro sorrise, ora visibilmente più rilassato.

- Sì, anche a me piace molto. Anche se devo ammettere di aver un po’ trascurato i libri, in questi anni…

- Ma come?- ridacchiò Catherine.- Se quando sono entrata stavate proprio sfogliando questo…tomo!- e indicò lo spessore del libro.

- Sì, ma questa è una lettura che ho sperimentato già diversi anni fa. Non leggo nulla di nuovo da parecchio, ormai…- rispose il padrone, in tono di scuse, ma senza smettere di sorriderle.

- Beh, non è che vi siate perso molto - disse Catherine.- In questo periodo è davvero difficile trovare degli scrittori siano in grado di fare il loro mestiere. Mio padre mi regalava sempre dei libri, quando tornava dai suoi viaggi, ma io sono di gusti difficili. Era molto raro che una storia mi piacesse davvero…

- Che genere di storie preferisci?- domandò il mostro, interessato.

- Oh, beh, non c’è un genere in particolare…diciamo che mi piacciono le storie un po’ diverse dalle altre…Qualcosa di diverso dal solito principe azzurro che salva dal drago la damigella oca che è solo capace di svenire ad ogni momento, avete presente?

- Sì - rise il mostro.- Sì, ne ho lette parecchie di quel tipo…

- E a voi cos’è che piace leggere?

Il padrone fece spallucce.

- Io leggo di tutto, anche se ormai conosco a memoria tutti i libri di questo castello - rispose.- Non ho preferenze, vorrei solo poter leggere qualcosa di nuovo…

- Conoscete Il conte di Montecristo, di Dumas?- chiese Catherine.

Il mostro la guardò, stupito.

- Veramente no.

- Sul serio?- fece Catherine.- Volete dirmi che non conoscete Edmond Dantès?

- Edmond Dantès?

- E’ il protagonista del romanzo. Gran libro, parola mia. E’ una storia assolutamente meravigliosa, parla di un tradimento, poi vendette, duelli…C’è anche una storia d’amore, ma alla fine lui ha il buon senso di mandarla al diavolo, quella Mercedes, perché nel frattempo ha conosciuto una schiava che…- Catherine si bloccò, sollevando lo sguardo sul padrone.- Scusatemi…- mormorò, vergognosa.- Non intendevo annoiarvi, io…

- No, no!- si affrettò a dire il padrone.- No, non mi stai affatto annoiando. Mi piace sentirti chiacchierare…- ammise.

Il temporale era cessato; mancavano solo poche ore all’alba.

- Beh, sarà meglio che me ne torni a letto…- sorrise Catherine, alzandosi dalla poltrona e prendendo la candela ormai quasi consumata. Il padrone si alzò insieme a lei.

- Grazie per essere rimasta qui con me, Catherine…- disse.

- Grazie a voi, io…

- No - la bloccò il padrone.- Per favore, dammi del tu, d’ora in avanti. Il voi non mi è mai piaciuto - ammise, con una smorfia.

Catherine sorrise.

- Va bene, allora. Grazie a te.

- Catherine - disse d’un tratto il mostro.- Io…volevo dirti che l’ho trovato piacevole…chiacchierare con te, intendo. E mi chiedevo…mi chiedevo se non ti andasse di farlo più spesso…

- Certo! Certo, molto volentieri - rispose Catherine, con entusiasmo.

- Potremmo leggere qualcosa insieme, se ti va…Potresti finire di raccontarmi la storia di Edmond Dantès…- fece il mostro, con un sorriso.

- Con molto piacere. Solo…- Catherine gettò un’occhiata al libro Notre Dame de Paris, rimasto sul tavolino.- Non è che uno di questi giorni mi presteresti quel romanzo? Sai, sono curiosa di sapere come va a finire fra il mostro e la zingara…

Il padrone sorrise, prendendo il libro dal tavolino e porgendoglielo gentilmente.

- Ecco qui. Ti avverto, però, potresti trovarlo un po’ triste…

- Lo scoprirò presto - rispose Catherine, prendendo il libro dalle mani del mostro.

Il padrone si scostò, aprendo la porta in modo che la ragazza potesse uscire dalla stanza.

- Grazie. Allora, buona notte - disse Catherine, timidamente.

- Buona notte.

La ragazza uscì dalla stanza, dirigendosi verso la propria. Era quasi l’alba, non aveva chiuso occhio praticamente per tutta notte, ma stranamente non si sentiva affatto stanca. Appoggiò la candela spenta sul comodino e si stese supina sul letto. Aprì Notre Dame de Paris e iniziò a divorare una riga dietro l’altra; senza rendersene conto, Catherine non aveva mai smesso di sorridere da che era uscita dalla libreria.

Questo la ragazza non lo sapeva, ma a pochi metri da lei, mentre scrutava il sole che sorgeva sulla foresta, anche sul viso mostruoso del padrone era comparsa l’ombra di un sorriso.

 

Angolo Autrice: Rieccomi qui più veloce di una faina con questo nuovo capitolo! XD. Dunque, ammetto che sia un bel po’ lungo (su Word mi da ben 11 pagine!), e di averci messo parecchia carne al fuoco, ma, diciamocelo gente, sono al nono capitolo e ancora la vicenda è nel pieno del suo svolgimento, se poi mi prendo anche il lusso di tirarla per le lunghe, questa avrà almeno 500 capitoli! Comunque, spero non sia risultato troppo confusionario…

Allooora…ho girovagato per un po’ su Internet alla ricerca di immagini che rimandano (e sottolineo rimandano J) vagamente a come potrebbero essere i personaggi della mia storia.

Diciamo che il mercante potrebbe essere più o meno così:


 


 

Qui è Anthony Head che interpreta “Uther Pendragon” nella serie Merlin. So che dopo aver messo l’immagine di Morgana ad indicare Catherine questa scelta potrebbe essere banale, ma ci sono dei motivi per cui l’ho fatto.

Innanzitutto, almeno nella prima serie, mi è sempre piaciuto il rapporto che ha Uther con la sua figlia adottiva (anche se poi era sua figlia davvero!), e anche Catherine e il mercante hanno un rapporto molto speciale fra di loro…Secondo motivo, volevo un po’ sfatare, nella mia storia, l’idea che il padre della Bella fosse un vecchietto debole e malaticcio, mentre il padre di Cathy (come spero si sia capito) non è affatto così. Nella mia ff, il mercante è un uomo non più giovane, ma comunque molto forte, anche se un po’ sfortunato, e Uther Pendragon mi sembrava ideale per “impersonare” lui…

Veniamo quindi a Rosalie:


 


 

Rosalie, alias Abigail Breslin. Che vi devo dire, a me quest’attrice piace molto, e la sorella di Cathy le somiglia parecchio…Chiaramente, nessuno dei miei personaggi è uguale e identico a quelli delle immagini, è sempre solo per dare un’idea, dato che nelle descrizioni faccio schifo…

Dunque, a proposito di Rosalie…come si è visto, la piccola Kingston ha cominciato a rompere le scatole a Lady Julia, e la matrigna non è affatto un tipo che subisce…che avrà in mente per lei? E il mercante riuscirà a salvarsi o cadrà vittima dell’incantesimo della moglie?

Nel frattempo, Lord William sta dimostrando tutta la sua ossessione per Catherine, e ora ha deciso di mettere in atto il suo piano. Fin dove si spingerà la sua follia?

Ora, Cathy e il padrone sembrano aver trovato un po’ di simpatia l’uno per l’altra…come si evolveranno le cose?

Tutto questo lo scopriremo molto presto!

Nell’attesa, spero non troppo lunga, ringrazio Chococat97 per aver aggiunto questa ff alle seguite, Halley Silver Comet per averla aggiunta alle seguite e per la sua recensione, e nadlehe, missballerinafb ed Ellyra per aver recensito.

Grazie per aver letto, ci vediamo al prossimo capitolo!

Ciao a tutti,

Dora93

 

 
  
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