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Autore: LivingTheDream    20/05/2012    2 recensioni
"Gira nel corridoio a destra e poi si sforza di alzare un braccio per aprirsi la porta dell'obitorio.
L'aria non è mai stata così
«Sherlock! Sherlock, ti prego!» (perché continuano a farlo soffrire, non dovrebbe già averne abbastanza?)
così pesante."
Genere: Angst, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson , Lestrade , Molly Hooper, Mycroft Holmes , Sig.ra Hudson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Autore: LivingTheDream
Titolo: And then, even the King began to cry
Personaggi/Pairing: Molly Hooper, John Watson, Greg Lestrade, Mycroft Holmes, Mrs. Hudson (ma HA un nome quella donna?), pairing se ce li volete vedere
Wordcount: 1344 (fiumidiparole)
Rating: PG
Warnings: Slash se ce lo volete vedere, AAAAAAAAAAAAAAAngst, Death
Riassunto: "Gira nel corridoio a destra e poi si sforza di alzare un braccio per aprirsi la porta dell'obitorio. L'aria non è mai stata così

«Sherlock! Sherlock, ti prego!» (perché continuano a farlo soffrire, non dovrebbe già averne abbastanza?)


così pesante."
Note: Tutto ciò partecipa alla solita Sherlothon indetta da sherlockfest_it, proprio perché mancano quattro ore e se la gente del Fanon non si muove a pubblicare ci fregano anche il secondo turno! Ormai è diventata una guerra è-é (ma ci amiamo tanto comunque).
Vecchia idea, questa, riletta e riadattata. Un grosso grazie a JollyCamaleonte per averle data un'occhiata! (vedete? È dell'altra squadra, eppure!)

Musica: Who am I to say, Hope. Sempre lei, mi sembrava adatta come musica, più che come testo.

 

Cammina lungo il corridoio a passo deciso – vorrebbe essere da tutt'altra parte.

Stava già arrivando da solo, poi Molly lo aveva chiamato e lui aveva sfondato il pedale dell'acceleratore, ammaccando l'auto nuova in troppi punti per passaci semplicemente sopra con una scrollata di spalle.

Le stanze dei pazienti sono tutte chiuse, nessuno intralcia la sua strada. Chissà se questo significa qualcosa o se è solo il suo cervello che è totalmente andato in

 

«Sherlock!» (grida che squarciano il silenzio quasi surreale, allora è ancora vivo, allora è tutto vero)

 

totalmente andato in sciopero.

Gira nel corridoio a destra e poi si sforza di alzare un braccio per aprirsi la porta dell'obitorio.

L'aria non è mai stata così

 

«Sherlock! Sherlock, ti prego!» (perché continuano a farlo soffrire, non dovrebbe già averne abbastanza?)

 

così pesante.

Molly si volta, una lacrima gli è rimasta congelata in un angolo dell'occhio destro, è lì si vede, ha i denti stretti.

Lui allarga le braccia, alza le sopracciglia e sbuffa.

«Allora? Sono venuto fin qui, bello scherzo, mi sono divertito molto, ah-ha, visto? Ora, lui dov'è? Voglio stringergli la mano, perché davvero, mi ha spaventato sul serio, stavolta, bravo».
La ragazza schiude le labbra, e prima che riesca ad emettere qualche suono lui lo sente, un rumore di cuore spezzato. Che cade e si spezza ancora, ancora, e un'altra volta ancora. Si domanda come faccia ad avercelo ancora, lei, un cuore, ma forse è proprio quello il punto, la sua disgrazia. Quella di amare un'idea, ed un'idea soltanto.

 

«Non credetegli! Sherlock! Sherlock, torna qui!» (nessuno dei due si volta, lo ignorano, il dolore altrui si ignora sempre fin quando non tocca a noi, è la regola)

 

Lui rimane a guardarla, lei non parla. Richiude le labbra e se le morde, avviandosi verso la fine della sala senza fargli nemmeno cenno di seguirlo.

«Non è uno scherzo, dico bene?»

«No».

«Perché io?»

Molly si volta, a metà del corridoio, e lo fissa ad occhi spalancati. Non gli erano mai sembrati così grandi, prima.

«Non ho avuto il coraggio di chiederlo al signor Holmes, figurati se potevo contare sulla signora Hudson».

«E Jo-»

«Sherlock! Smettila di fare il cazzone, Sherlock! Tu bastardo!» (inserito nella situazione, il tempismo, la risposta ad una domanda che arriva da boh?, da dove arriva?)

L'uomo rivolge all'altra uno sguardo interrogativo. Aspetta una risposta.

«John sta per essere sedato. Non può farlo.»

«Lasciatemi, dannazione, lasciatemi – Sherlock, aiuto!, Sher-» (l'aria si immobilizza, torna il silenzio ghiacciato del dolore ignorato ed oppresso)

Molly va a chiudere la porta, poi torna dov'era prima ma non si ferma, arrivando fino all'ultimo lettino di metallo freddo che nessun corpo ha mai riscaldato, se non le dita della stessa Molly – oggi ghiacciate dalla paura di non riuscire ad arrivare intera al mattino dopo, ma di sentire tanto freddo da congelarsi e rompersi in mille pezzi al primo, insignificante urto.

Scopre il telo senza abbassare lo sguardo, tenendo gli occhi fissi sui denti dell'altro, occupati a mordersi le labbra freneticamente. Prima che la fronte diventasse visibile, lui le afferra il polso, bloccandola. Forse lo fa troppo forte, anche se nessuno dei due sembra fare una piega. Il silenzio continua, imperterrito.

«Perché non puoi farlo tu?»

«... ti prego», la risposta scivola dalle labbra di Molly fino a gocciolare sul pavimento, una sillaba dopo l'altra, troppo debole per essere stata semplicemente pronunciata.

«D'accordo. Voltati pure, se vuoi» le concede lui, scansando il suo sguardo per evitare di ghiacciarsi anche le pupille, prendendo poi il telo e tirandolo via come si fa con i cerotti quando sai che non puoi sentire più dolore di quello che già stai provando in quel momento, ed a quel punto tanto vale tirare.

Per un secondo sente qualcuno gridargli nella testa, come se lui fosse l'unico in grado di sentirlo, suo malgrado.

Rimette a posto il telo e tutto tace, anche se il rumore della penna che raschia sulla plastica del bancone mentre firma una cazzo di dichiarazione prestampata è coperto dalle lacrime di Molly, che, con la fronte appoggiata all'armadietto, sente sempre più freddo di quanto ne abbia mai provato in vita sua – e dire che è cresciuta dove la neve le arrivava alle ginocchia ogni inverno, e alle caviglie ogni primavera – e trema, quello soprattutto. Trema come se qualcosa nel suo stomaco dovesse farla esplodere da un momento all'altro.

Lui esce, sbatte la porta, imbocca le scale, c'è del movimento, al piano di sopra. Troppo.

«Per amor del cielo, smettila!»

«Voglio Sherlock, dov'è? Sherlock! Dove sei?»

Qualcuno piange, urla, qualcuno chiede altri sedativi.

Appena entra nella sala d'attesa sente la gola serrarsi e la mandibola tremare, e deve costringersi a reprimere un conato di vomito nel quale il suo stomaco tenta di far affogare il dolore.

Tutti stavano pensando a John, tutti stavano pensando a Mycroft, tutti stavano pensando a Mrs. Hudson.

E lui? Lui boh.

Gli corre incontro John, sbatte contro di lui, e lo afferra per le spalle mentre viene stretto in una morsa a sua volta, due mani di una persona disperata, incredula, allucinata. Due mani da dottore, due mani da soldato, due mani senza più motivo di stare attaccate ad un corpo vivente.

John ha gli occhi rossi, ha le labbra secche, ha la voce roca, ha le guance umide. Ha gli angoli della bocca alzati nella pietosa imitazione di un sorriso.

«Ehi, sei venuto! Hai un caso per Sherlock, vero? Vedi che appena smettono di darmi sui nervi, qui, e di fare i cretini, mi dicono dov'è Sherlock, sì?, e lo andiamo a chiamare così corriamo dietro qualche serial killer, sì?»


Continua ad osservarlo, le labbra socchiuse che necessitano aria.

Guardarlo è come avere tra le mani un cubo di Rubik incollato, con le facce che non si riescono a muovere, e tu non sia cosa fare, come prenderlo, da dove incominciare.

Non gli vuole rispondere, sarebbe come dire ad un bambino non che suo fratello ha ragione e Babbo Natale non esiste, ma che esiste ed è malvagio, e quest'anno non gli porterà nulla per il puro gusto di vederlo piangere e disperarsi. Rischia per un secondo di cadere nell'azzurro degli occhi davanti a lui.

«Non- non dirmi che gli credi. Non dirmi che anche tu credi che sia successo, perché non è possibile!» ride, ed è inquietante. «Lo sai che non è possibile!»

«John, io-»

«No», scuote la testa, troppo forte, troppo veloce, sembra che gli si staccherà da un momento all'altro, «Sherlock Holmes non muore. Lui fa finta. Lui non morirà mai, gli angeli non muoiono, i demoni non muoiono, lui non muore. E se non lo hai imparato in tutti questi anni allora vuol dire che non lo conosci, come non lo conosce nessuno qui dentro» alza la voce, urla l'ultima frase, ma non muove un muscolo in più di prima, continua a fissarlo ed a stringergli le braccia fino a bloccargli la circolazione. Continua a fissarlo, uccidendolo.

Sente il sangue colargli dallo squarcio nel petto aperto da un pugnale che John non ha davvero usato contro di lui. Eppure il respiro gli manca, il cuore gli precipita nello stomaco, nell'acido, nel vuoto, sotto i piedi, calpestato come le ombre a mezzogiorno.

L'arroganza gli viene sputata in faccia senza che neanche lui abbia la forza di reagire, di alzare il pugno e di spaccare il naso a quello che resta del dottor John Watson solo per riportarlo alla realtà.

Si scansa con una spallata e si allontana, non corre – sarebbe penoso –, si lascia andare contro la prima rientranza nel muro che trova.

Il pianto della signora Hudson riempie gli angoli; il cellulare di Mycroft che squilla all'infinito, sentendosi ignorato, riempie il soffitto.

Le urla di John che continuano – SHERLOCK, DANNAZIONE, HAI DECISO DI ABBANDONARMI QUI? – gli riempiono le orecchie.

Li ignora tutti, uno per volta. Tranne l'ultimo.

Sherlock gli riempie le vene, lo stomaco, gli chiude i polmoni, gli ostruisce il cuore. Lo schiaccia, obbligandolo a scivolare a terra, obbligandolo a sottomettersi ancora una volta al suo volere ricordandogli che anche da morto ha bisogno di lui per andare avanti.

Stavolta sarebbe stato diverso.

Stavolta non sarebbe tornato da lui con un occhio nero ed una richiesta di asilo, sorridendo per la prima, vera, volta.

Stavolta non si sarebbe beccato un altro pugno ed un abbraccio dopo tutto quel tempo.

Stavolta non sarebbero stati tre anni.

Sarebbe stato per sempre.

 

Anche stavolta John aveva avuto la sua nota d'addio.

Anche stavolta a lui non era nemmeno stato concesso un saluto.

 

And then, even the King began to cry.

   
 
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