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Autore: suxsaku    10/12/2006    4 recensioni
Un mago ciarlatano, scorbutico e intrattabile.
Una ladra idealista, sognatrice e suscettibile.
Una profezia centenaria, astrusa e frammentata.
<< Fabrum esse suae quemque fortunae. >>
<< Che significa? >>
<< Che ciascuno è artefice della propria sorte. >>
Storia a cui tengo davvero molto. Sebbene abbia tutta la vicenda stampata in mente, non l'ho messa completamente per scritto, perciò gli aggiornamenti non saranno frequentissimi.
>> EDIT Capitolo 19. Ho fatto una correzione: alla fine del capitolo mancava una frase di Wantz; a causa dell'html si vedevano solo le virgolette. Ringrazio Yuna per la segnalazione.  <<
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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cap8

Salve. Rieccomi qui per la vostra gioia. Come promesso, i ringraziamenti:

Sophizia, 123stellina, damned88, Lotiel e il/la nuovo/a arrivato/a, Miccy. Quest'ultima mi ha lanciato un diperato appello d'aggiornamento a cui ho subito risposto. Ma il merito è della crisi che sto passando in questo periodo, che mi fa trovare nella scrittura un'ancora di salvezza. In cambio spero che voi continuate a commentare (umm, come sono ripetitiva...).

Penso che la velocità-supersonica-da-depressione-greco mi aiuterà, come sempre, a tuffarmi nella scrittura per annegare i dolori. E dopo questo esemepio pietoso della vena poetica che non possiedo, mi ritiro nel mio loculo.
A presto.

 

Capitolo 8: A caccia di guai

< Ci fermiamo qui? >

< Un posto vale l’altro. >

< Allora io mi occupo delle vivande. >

< E rispetta quello che ti ho detto. >

< Hai proprio il terrore che faccia come voglio io, eh? >

< Sai, ci tengo alla mia vita. >

Jillian evitò di rispondere, poiché secondo lei non ne valeva la pena: meglio cogliere l’occasione di stare un po’ da sola e non dover subire l’ironia di quel magonzolo indisponente. Bontà sua, almeno si erano fermati in un villaggio incontrato lungo il percorso per fare rifornimenti. Si allontanò e chiese informazioni ad una donna.

Wantz, compiaciuto di non dover fare la spesa, fece una passeggiata per il villaggio: un semplice paesello di contadini, senza nessuna attrattiva particolare. Nonostante ciò, sentiva uno strano presentimento: aveva quella spiacevole sensazione che aveva già provato in precedenza, quando quella ragazza fastidiosa lo aveva ficcato gratuitamente nei guai.

Si fermò a guardare un bambino che inseguiva un cane, cercando di convincerlo a prendere un bastone: il cane non sembrava particolarmente interessato. Restò così per un bel po’, tanto che, quando riprese la cognizione del tempo, si stupì del fatto che la chiacchierona non fosse ancora tornata.

Una mano gli afferrò una spalla e lui si voltò di scatto.

< Siete un erborista, vero? >

L’intero villaggio al gran completo si era radunato attorno a lui e lo fissava con grande solennità, in un silenzio completo e sospetto. Guardandosi attorno scorse Jillian tra la folla che cercava con scarsi risultati di mostrarsi disinteressata ed estranea a ciò che stava succedendo. Wantz fece appello a tutta la sua forza di volontà per non andare a tirarle le orecchie davanti a tutta quella gente.

< Senza errore. > rispose all’uomo, che probabilmente era il capo del villaggio.

< Desolato di disturbarvi proprio quando avete deciso di effettuare una sosta durante il vostro cammino. E ne approfitto per dirvi che è un onore avervi ospiti qui da noi. Una grave piaga ci affligge da tempo e ne stavamo giusto discutendo, allorché vostra sorella > al che il mago lanciò un’occhiata carica di sentimenti malevoli verso la ragazza < ha sentito le nostre disgrazie e ci ha assicurato > Wantz notò l’accortezza usata nella scelta del termine “assicurato” < che voi avreste potuto fare qualcosa per noi. Sappiamo che voi non siete uno speziale, e neppure un dottore, ma dovete certo avere, in quanto erborista, le basi mediche per poterci fornire un primo aiuto. Non ci aspettiamo che risolviate il nostro dilemma, ma confidiamo che la vostra bontà vi spinga ad esaminare almeno la situazione e a dirci che cosa dobbiamo fare e chi chiamare per risolverla. >

Wantz si chiese quanto fosse davvero desolato quel tipo dalla parlantina assassina e nel contempo desiderò ripudiare Jillian quale falsa sorella.

< Di che malattia si tratta? > chiese, passandosi distrattamente una mano sul volto.

< E’ esattamente questo il dilemma. Il nostro è un villaggio di contadini e non abbiamo grandi conoscenze in campo medico, tuttavia siamo uomini d’ingegno e di mente pronta, > “Nonché di lingua sciolta”, pensò Wantz amareggiato < ma nessuno di noi ha capito di che cosa di tratti. Il disturbo si è manifestato all’improvviso, cogliendoci alla sprovvista e… >

Al limite della sopportazione, il ragazzo lo interruppe. < Spero che abbiate avuto l’accortezza di isolare il contagiato. >

< Si, nobile erborista. Quando cominciarono a sentirsi peggio si sono tutti chiusi in casa e non ne sono più usciti. Nessuno di noi ha il coraggio di andare a controllare come stiano, nondimeno sono giorni che non abbiamo la minima notizia di loro e temiamo che... >

< Aspettate. > lo fermò Wantz, stupito. < Avete detto “tutti”? Quanti sono gli affetti di questo morbo? >  

< Una famiglia intera, mio signore. >

 

Wantz batteva impaziente un piede sul terreno con ritmo frenetico, aspettando che l’uomo dalla lingua senza controllo si sbrigasse a tornare e lo accompagnasse dalla famiglia degente. Jillian gli si avvicinò titubante; si fermò di fianco a lui, ma il ragazzo non la degnò di uno sguardo.

< Spero che tu non sia adirato con me. > gli disse, le mani dietro la schiena, intimorita dalla sua espressione furente.

< Perché? Adoro perdere tempo. > rispose senza guardarla nemmeno.

< Salvare delle vite non è una perdita di tempo. > lo ammonì.

< Faccio solo notare che quello che deve agire direttamente sono io. >

< Hai ragione su questo. Però vedendoli così preoccupati non me la sono sentita di ignorare la cosa. E poi sapevo che tu non ti saresti mai proposto per primo di… >

< Fortunatamente ci sei tu a farmi superare la mia intramontabile timidezza. >

< Non ho detto questo. >

< No: mi accusi di cattiveria e di menefreghismo bello e buono. >

Questa volta Jillian ebbe la risposta pronta. < Tu non dai motivi di pensare il contrario. >

< E tu dai troppo per scontato che io sia un essere senza cuore. >

Jillian lo guardò con tanto d’occhi: che la stesse prendendo in giro? Oppure che fosse veramente rammaricato dell’opinione che si era fatta di lui?

Wantz vide che l’oratore folle si stava avvicinando e disse alla ragazza di andarsene.

< Non posso venire con te? > chiese lei, sebbene sapesse che fosse perfettamente inutile: Wantz non la voleva di certo tra i piedi.

< E’ rischioso, visto che non so neppure io a cosa vado incontro. >

Il mago si allontanò con l’uomo, che lo seppellì subito di elogi e ringraziamenti. Jillian rimase impalata  a guardarli mentre si allontanavano, sempre più confusa sulla vera natura del suo compare.

 

***

< Lo capisco sempre meno: i maghi dovrebbero aiutare le persone, ma lui era evidentemente infastidito di questo cambio di programma. Inoltre, non ho capito se non mi ha portato con sé perché era preoccupato per la mia salute o perché non voleva che lo infastidissi. >

< Forse non voleva averti sulla coscienza nel caso fossi rimasta contagiata. >

< Per avere una coscienza, bisogna anche avere un cuore. >

< Stai accampando scuse al suo posto? Sembra che tu debba giustificarlo a tutti i costi. >

< Sto solo cercando di capirlo. >

< Ma per capirlo non devi costruirti un’ immagine fittizia di lui. Così resterai solo ferita quando finalmente ti renderai conto che tutte le tue illusioni su di lui erano erronee. >

< Preferisco soffrire, ma dargli una possibilità. >

< Non venire a piangere da me, quando capirai che avevo ragione io. >

 

***

 

< Quindi mi assicurate che nessuno è entrato qui da quando si sono chiusi dentro? >

< Assolutamente nessuno. > confermò l’uomo.

Wantz ragionò su quanto la paura umana a volte possa essere utile.

< Ottimo. Potete andare. >

< Siete certo che non vi serva niente? > chiese l’altro, tentando pietosamente di nascondere il suo desiderio di andarsene.

< Si: essere lasciato in pace. > Detto ciò si avviò verso l’edificio che l’uomo gli aveva indicato. Questi invece se andò tirando un sospiro di sollievo.

Wantz bussò alla porta e rimase in attesa.

D’accordo che lui detestava aspettare, ma lì si esagerava proprio: quando ci mettevano, se non ad aprire, almeno a domandare chi era? Purtroppo le circostanze non lo facevano pensare a maleducazione, ma a guai; e giganteschi, per giunta.

Sfondò la porta con un calcio.

 

I suoi rimorsi per averlo seguito svanirono in un istante: Wantz aveva sfasciato la porta e ora la fissava penzolare scassata. Lo vide grattarsi la testa con disappunto e poi appoggiare una mano sul legno: pronunciò quella parola e la porta si riassestò da sola sui cardini; il mago entrò nella casa e richiuse la porta alle sue spalle. Jillian si avvicinò ancora, con cautela. Si fermò a pochi passi dalla casa, indecisa se avvicinarsi ulteriormente oppure no. Quel quesito però fu soffocato da altri.

Se Wantz aveva sfondato la porta doveva averlo fatto perché i proprietari non gli avevano aperto: e questo per quale motivo? Inoltre, si interrogava su che genere di affezione avessero contratto: gli abitanti avevano parlato di strane pustole…

 

Wantz si guardò attorno, una mano davanti alla bocca: l’aria era irrespirabile, pareva quasi avvelenata. Gli ricordava vagamente quella volta, anni prima, quando…

Si, quella era la pesantezza tipica della morte.

Al piano inferiore non c’era anima viva, quindi salì cautamente le scale per vedere al secondo piano. Secondo quando gli avevano detto, dovevano esserci cinque persone: moglie, marito, due figlie maggiori e un ragazzo. Aprì la prima porta che incontrò, ritrovandosi in una camera da letto.

E allora capì perché nessuno gli aveva risposto. Non c’era nessun’anima lì. Nessuna viva, perlomeno.

 

Jillian camminava avanti e indietro, anima in pena che non sapeva cosa fare. Non sentiva nessuna voce provenire dalla costruzione e cominciava davvero a preoccuparsi, anche se non sapeva bene di cosa avesse paura. Ad un tratto sentì un rumore di passi frenetici che scendevano delle scale di corsa: si voltò e vide Wantz uscire di corsa dall’abitazione e richiudere con forza eccessiva la porta dietro di sé. Aveva lo sguardo allucinato e il respiro affannato. Si allontanò in fretta, senza mostrare alcuna meraviglia nel vederla, la raggiunse e la spinse via in malo modo.

< Sembra proprio che tu abbia una predisposizione naturale per trovare i guai della peggior specie. Via di qui. Subito. > le ordinò, trascinandola.

< Si può sapere che succede? Fermati! > si lamentò lei.

< No. A meno che tu non voglia morire. >

< Ma che razza di malattia hanno quei contadini per averti spaventato così? >

< Avevano. Sono già andati. >

< Sono deceduti tutti i membri della famiglia? > chiese Jillian, bloccandosi per la sorpresa.

< Non ti fermare. > le intimò, scandendo le parole.

< Non finché non mi avrei spiegato che cosa ti ha allarmato in questa maniera. Mi fai paura. > Non lo aveva mai visto così agitato. Per la prima volta aveva perso la sua incrollabile calma, il sangue freddo che lo rendeva distante da tutto, ma che proprio per questo la faceva sentire sicura e protetta, perciò ora era inquieta.

< Fai bene ad averne. > disse il mago, voltandosi verso la casa con apprensione.

< Wantz, > sussurrò lei < che cosa hai visto? >

Lui rifletté un attimo prima di risponderle, indeciso sul da farsi. Strinse i pugni, fissando l’abitazione.

< La Morte Nera. >

 

  
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