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Autore: puntoeacapo    21/05/2012    5 recensioni
Tra me e Ian Somerhalder non c’era nulla se non un bel principio d’amicizia. Già.
Quando smetterò di avere pensieri poco amichevoli su quelle labbra o su quei occhi, forse.
Genere: Angst, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ian Somerhalder, Nina Dobrev, Nuovo personaggio, Paul Wesley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A/N: Allora, sto ingranando xD Piano piano, anche questa Fic mi sta catturando… nonostante l'insicurezza (perchè davvero non so dove mi porterà questa Long ed è una situazione un po' nuova).
Quindi se avete consigli, son tutt’orecchie!

Forse è meglio premettere subito che sono un tipo che quando scrive vuole prendersela con comoda con quello che accade nelle sue storie,
nel senso che sto cercando di far diventare tutto più realistico possibile.
In Primis il personaggio di Anastasia, poi tutto il resto.
Noterete che tengo molto a snocciolare - quà e là - qualche notizia, o qualche aggettivo che lentamente formeranno il puzzle della nostra protagonista facendoci scoprire qualità, spregi, ambizioni, affetti e modi di fare.

Probabilmente ci sarà un altro capitolo di "Stasi." perchè credo sia nel terzo quello in cui Annie entrerà in contatto con il Cast e tutto il resto.
Spero non dispiaccia troppo, questo mio modo di fare :P

Beh, comunque questo è il mio inizio.. Speriamo bene, allora!

Baci,
-Eyes.

 

Ka-boom! Breaking News!


Era una passeggiata tranquilla, il sole dei primi giorni di giugno poteva mettere di buon’umore anche la persona più triste e mogia del pianeta. O almeno secondo me.
Con la mano sinistra tenevo il guinzaglio a Puck mentre con la destra il mio gustosissimo cono gelato che mangiavo canticchiando qualcosa in testa; ero quasi arrivata a casa quando vidi la signora Emilia – una vecchietta eccentrica che era al contempo la mia adorabile vicina dagli occhiali tondi e i riccioli bianchissimi.

“Anastasia, cara.” Mi salutò con un largo sorriso.
Ricambiai, fermandomi “Buongiorno, signora. Perché così di buon’umore?”
“Oh, nulla di importante! Mio nipote Francesco mi ha mandato una cartolina dalla Sicilia, salutandomi con delle ‘x’ e delle ‘o’…”
“Suo nipote la bacia e l’abbraccia, si vede che la bella isola del Sud gli piace molto!” Ridacchiai ripensando a quel ragazzo tanto burbero che avevo conosciuto appena arrivata; avevamo fatto amicizia grazie alla signora Emilia che mi aveva poi raccontato che era così con tutti e quindi di non preoccuparmi. Tutto sommato mi stava simpatico e aveva solo un paio di anni in più di me.
“Voi giovani e i vostri strani codici.” Rimbrottò la mia vicina scuotendo la testa.
Io risi e la salutai, sentendo Puck tirare il guinzaglio per tornare a casa. Probabilmente aveva fame. Onestamente ancora non avevo capito come un cucciolo così piccolo poteva avere una tale forza da sbilanciarmi; ero convinta che sarei rimasta col dubbio di aver in casa un cucciolo di dinosauro anziché di Golden Retriver.

Aprii il cancelletto della casa lasciando immediatamente il mio cagnolino libero per quel piccolo spazio verde, davvero piccolo ma per lui forse abbastanza grande, e percorsi il piccolo vialetto di ciottoli fino ad arrivare alla porta di ingresso. L’aprii entrando e cacciando il saluto al nulla “Sono tornata!” e scuotendo la testa – ormai rassegnata a quell’abitudine ormai radicata in me- mentre versavo un po’ d’acqua e croccantini nelle ciotole di Puck.
Uscii fuori e lo vidi giocare con una pallina che gli aveva regalato mia madre – sebbene contraria agli animali domestici- dopo che le avevo detto che lo avevo preso nonostante mi avesse consigliato di no.
La storia di Puck era un po’ complicata e non era certo il momento di andarla a ripescare, con un breve fischio lo chiamai e lui si fiondò su acqua e cibo.
Alzai gli occhi al cielo, ripensando al fatto del dinosauro e del cane scambiati al momento della nascita.

Involontariamente lo sguardo mi cadde sul cancello di metallo verniciato, rimasto socchiuso. La buca delle lettere era lì vicino e si vedeva che il postino aveva fatto un salto anche a casa Di Marco.
Erano passate tre settimane dalla notizia scioccante di Kristine che aveva mandato la mia storia al concorso della Plec e – con sollievo ma nonostante tutto un pizzico di delusione- a me non era arrivata alcuna risposta. Presi quello che c’era nella cassetta – pubblicità, bolletta, pubblicità, pubblicità, promozione negozio all’angolo, bolletta e pubblicità.
Nella norma. Nessun mittente oltreoceano.
Richiusi per bene il cancelletto e feci per rientrare in casa, quando Puck mi passò tra le gambe facendomi cascare come un sacco di patate. “Puck, per la miseria!” lo rimproverai ma lui non aveva fatto altro che alzare la coda e sparire da qualche parte dove non potessi trovarlo e sgridarlo a dovere. Certo che avevo trovato un bel tipetto, eh? Scossi la testa alzandomi e bofonchiando qualcosa sulla dubbia lealtà che i cani potevano avere verso i loro padroni.  Mentre pensavo a come poter rimettere in riga quel musetto sfacciato, sentii il computer trillare in modo insistente dall’altra stanza.

Sbuffai e accettai la conversazione con Kristine sedendomi e posando il portatile acceso sul tavolo della cucina, ancora una volta la prima cosa che sentii fu il grido esultante della mia amica che rischiava di essere vittima di un omicidio a distanza.
Alzai gli occhi al cielo “Sto pensando di assumere un sicario, uno bravo però.” Annunciai facendola fermare, mi guardò trattenendo a stento l’eccitazione.
“Cos’è successo?” Mi arresi e posi la domanda che lei voleva che le facessi, però prima che potesse rispondere misi in atto una piccola vendetta “Ti sei decisa a fare un passo avanti e Joe ha detto ?” Joe era il ragazzo per cui la cara biondina aveva un debole ed era l’unico fronte su cui non riusciva ad essere spavalda e sfrontata come lo era per tutto il resto, quindi mi divertivo a prenderla in giro perché anche lei era un essere umano come tutti – suo malgrado.

Lei si imbronciò e “Non era questo che volevo dirti.”

“E cosa, sentiamo.”

Stropicciò qualcosa davanti alla Webcam che non riuscii a identificare – era un foglio di carta ma perché la rendesse tanto euforica non lo avevo ancora capito.

“Tienilo fermo.” Sbottai infastidita, credendo che se avesse continuato così probabilmente mi sarebbe venuto il mal di testa.

Lei sbuffò e, estremista com’era, decise di ritirarlo precludendomi la possibilità di leggerlo sul serio. Kristine mi guardò truce per qualche secondo “Certo che a distruggere i veri momenti sei proprio brava,eh!” poi prese un profondo e teatrale sospiro e continuò con voce pimpante e solenne “ Gentile signorina Di Marco, la ringraziamo per aver partecipato al concorso indetto dalla produzione di The Vampire Diaries e siamo lieti di annunciarle – no, no, no. Oh cazzo- che è tra i cinque finalisti per il posto di aiutante sceneggiatore del cast. La preghiamo dunque di presentarsi  lunedì sette giugno alle ore quattordici alla sede cinematografica in Atlanta, Georgia. Bla, bla,bla. Cordiali saluti e arrivederci.”

Kristine mi guardò speranzosa e tutta allegra ma cambiò subito la sua espressione vedendo la mia “No. Anastasia, no. Non provarci neanche a farti venire un attacco di panico proprio ora!”

Il mio sguardo era smarrito, confuso e impaurito, proprio come me in quell’istante “Kri..”

La voce di Kristine mi arrivava lontana, come fosse irreale, ma era calma, con un accento quasi soffice e ipnotizzante “Respira, ok? Respira.”

Cercai di seguire il suo consiglio ma non ci riuscivo, l’aria sembrava essersi solidificata nei polmoni e la testa non ragionava. “Impossibile..” sussurrai in italiano, incoerente.

Vidi il bianco sorriso della mia amica allargarsi, il tono di voce immutato “Io non sono così sorpresa. Sapevo che potevi farcela.”

In risposta le lanciai un’occhiata terrorizzata che non poteva essere fraintesa “Kristine, lunedì è fra due giorni! Non posso venire in America in soli due giorni! Non ho fatto il biglietto né le valigie, non ho avvertito nessuno… Dio, è impossibile, del tutto impossibile… non così velocemente, non può accadere così in fretta!”

“Ehi, ehi.” Kristine provò a placcare subito il mio attacco di panico “Calma, ok? Non farti prendere dal terrore, ricordi? Non sei una fifona, me lo hai detto tu. Mi hai dato la tua parola che ci avresti provato ad uscire dal tuo guscio. Devi mantenere la promessa Annie.”

“Ma… come faccio?”

“Andiamo per gradi. I soldi cono un problema?”

Scossi la testa “Ho fatto dei lavoretti appena terminata l’università. Ho qualcosa da parte.”

“Sappi che non ho mai amato, tanto quanto adesso, il tuo lato da risparmiatrice incallita.” Riuscì a strapparmi un sorriso teso “Per quanto riguarda la valigia, conoscendoti ficcherai lo stretto necessario in un unico trolley quindi siamo a posto. Puoi avvertire i tuoi genitori stasera mentre cerchi su Internet un biglietto Last Minute per la Georgia.”

“Non posso farcela...” mormorai, per nulla convinta “E Puck? E la casa? Ho delle responsabilità che-”

“Per l’amor di Dio!” Kristine esclamò, perdendo di colpo tutta la pazienza e lasciando libera una frustrazione ben più che giustificata “Anastasia Di Marco piantala di cercare scuse. Puck lo porti con te, tanto è piccolo e rimane nel trasportino senza problemi. La casa la chiudi a chiave e sei a posto! Sbarra porte e finestre e avvolgi il divano con il cellofan, che so io!”

“Tu sei matta…” Scossi la testa in disaccordo “Io non sono così.. come faccio a mollare tutto per una decisione presa così all’improvviso? Non ha senso..”

“E’ una decisione che probabilmente cambierà la tua vita, in meglio. Stai per realizzare il tuo sogno, cara amica mia. Domattina all’alba sarai su un volo per l’America e domani sera dormirai nella stanza degli ospiti di casa mia. Non sei eccitata!?”

La guardai nascondendo un sorriso “Un po’.” Ammisi. Incontrare di nuovo – e di persona- Kristine Gordon  era una delle cose che volevo fare prima di morire.

“Vedi?” Fece lei, con un pizzico di superbia ben controllata “Ho sempre ragione io.”

“Mi sto davvero buttando in questa avventura..” Mormorai incredula, all’indirizzo di nessuno in particolare.

“Sì.” Annuì lei facendo muovere la sua perfetta chioma bionda “E sono orgogliosa di te, bimba.”

La guardai con un sopracciglio inarcato e feci un gesto con la mano “Ma piantala, idiota!”

Poi ridemmo insieme ma io mi fermai dopo qualche istante “Kris..” La chiamai attirando la sua attenzione “Ma come mai la lettera è arrivata a te e con così poco preavviso?”

Lei divenne tutta rossa e cominciò a balbettare un “Ti posso spiegare, Annie!”

***

Alla fine era saltato fuori che la cara Kristine aveva dato – quando aveva spedito la mia storia alla Plec - il suo indirizzo di casa come riferimento e che alla fine la produzione aveva mandato il responso da lei perché era l’unico recapito che avevano.
Per quanto il ritardo era stata ancora una volta colpa della mia cosiddetta migliore amica che aveva avuto la fantastica idea di fare un viaggetto a inizio settimana, dal lunedì precedente quindi,e che era tornata a casa trovando la lettera solo quando mi aveva dato la grande notizia, cioè oggi –sabato.
Io non ne sapevo nulla perché il genio si era portata dietro il portatile con la chiavetta Internet e avevamo continuato a sentirci tutte le sere; quando le chiesi perché non me lo aveva detto lei aveva risposto che si vergognava perché la sua gita era ad un luogo dove c’erano delle cascate ed era una cosa romantica doveva l’aveva portata una certa Elizabeth.
Elizabeth era un’amica di Joe, il che voleva dire uscire in una comitiva in cui il ragazzo rientrava, quindi non aveva potuto rifiutare.

Quando me lo raccontò la presi in giro per un bella mezz’oretta, per ripicca, infastidita più dal fatto che non me lo avesse detto che altro.
Mentre la prendevo in giro ero alla ricerca del mio biglietto solo andata per Atlanta.

Mi tremavano le gambe, sentivo le ginocchia molli e le mani mi sudavano in maniera assurda. Ero terrorizzata all’idea di quello che stavo per fare; era un salto nel vuoto e io non ero abituata a buttarmi in qualcosa senza essere sicura di avere un paracadute stabile.
Ero una delle finaliste ma probabilmente le altre quattro scrittrici ,o altri quattro scrittori chissà, erano bravi molto più di me. Se non avessi vinto sarei dovuta tornare in Italia, ma ce l’avrei fatta? Dopo essere stata in America, dopo aver sfiorato il cielo con un dito?

Il mio più grande desiderio era quello: vedere un mio sogno su carta diventare reale sotto i miei occhi, attraverso una recita, un’interpretazione .. attraverso una serie TV.
Non riuscivo a credere che esisteva la semplice possibilità di riuscirci.

Ma se non ce l’avessi fatta?  Cos’avrei fatto dopo aver constatato di non essere abbastanza in gamba?

Scossi la testa, sentendomi appesantita da tutti quei dubbi e quelle paure. Avevo già messo il pigiama nonostante fossero soltanto le sei del pomeriggio; il mio volo per la Georgia era previsto per le quattro e quarantacinque del mattino e – conoscendomi- se non avevo almeno otto ore di sonno alle spalle non sarei riuscita a svegliarmi.
Contando anche il tempo che ci avrei messo ad addormentarmi era meglio andarsi a riposare subito.

Guardai il trolley sulla sedia vicino alla scrivania dall’altra parte della camera. Battei due volte la mano sul letto sorridendo vedendo il mio Puck salire sull’altra parte del letto matrimoniale.

“Ci aspetta una nuova avventura, palla di pelo.” Mormorai sdraiandomi sotto le coperte nonostante fuori facesse abbastanza caldo – in fondo dormivo solo con una canotta e un pantaloncino leggeri, e anche questa era una delle abitudini che non sarei riuscita più a staccarmi di dosso. Dormire quasi nuda anche d’inverno ma con le coperte anche in estate era una cosa che adoravo:  il contatto della pelle con le coperte morbide era una cosa che mi aveva sempre tranquillizzato, fin da quando ero piccolina.

Mi chiesi se l’America sarebbe riuscita a cambiare tutte le cose, se davvero tutte le mie sicurezze sarebbero state distrutte.
Se cose semplici come il mio saluto inutile alla casa quando tornavo dopo scuola, o dopo lavoro, o come il mio modo di dormire o vestire, sarebbero cambiate con il Grande Continente oppure no.

Mi addormentai così, dopo chissà quanto, guardando la mezzaluna brillante d’argento fuori dalla porta finestra e sentendo l’unico amico che mi avrebbe seguito in questa pazzia appallottolato ai piedi del letto, già ronfante.

Quella notte sognai due occhi azzurri e un sorriso che avevo visto solo attraverso lo schermo, ma fu uno di quei sogni che alla fine non puoi ricordare quando ti svegli, uno di quei sogni troppo belli e piacevoli, rilassanti, che dovrebbero rimanere nell’oscurità dell’inconscio perché troppo pericolosi.

Chi avrebbe mai detto che, quello della sceneggiatura, non sarebbe stato l’unico sogno da sfiorare con un dito a sconvolgermi?

TBC

   
 
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