Anime & Manga > Axis Powers Hetalia
Segui la storia  |       
Autore: unknown_girl    22/05/2012    2 recensioni
[...] Pronunciò quella frase osservando il paesaggio umido fuori dalla finestra. Il vetro appannato rendeva indefiniti i contorni delle auto e delle case all’esterno. I pochi suoni che si percepivano, il motore di un autobus, il gracchiare di un corvo solitario o lo sgocciolio delle tettoie, erano resi ancora più ovattati dal silenzio dell’alba inoltrata.
http://ificanstop.wordpress.com
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

“ È stata la seconda volta in cui mi hai scartato come se fossi un estraneo di cui non ti importa nulla. Fallo una terza e sarà davvero l’ultima. Te lo giuro.”

 

Il crepitare crescente delle uova sul fuoco distolse improvvisamente Alfred dai suoi pensieri, o meglio, dal ricordo di quelle parole taglienti ed essenziali. Non poteva certo dire fossero state il migliore dei buongiorno da parte dell’inglese, ma almeno lasciavano intuire un’esile volontà di superare l’accaduto. Almeno, questo si augurava.

Fece saltare le uova nella padella, non riuscendo tuttavia ad impedire che si spezzassero e scomponessero, finendo a fare uova strapazzate piuttosto che una frittata come si era proposto. Spense il fuoco, voltandosi poi verso il tavolo della cucina e versando le uova nel suo piatto. – Ehi, ho finito anch’io qui! – Disse a gran voce, per richiamare gli altri due ragazzi che si trovavano poco distanti in salone. L’americano aveva deciso di cucinare da solo la colazione, anche per sperare di ricambiare il favore della sera prima da parte del francese, ma l’inglese viziato aveva rifiutato di farsi preparare qualcosa da lui rispondendo laconicamente che l’unico cibo che ingeriva era quello cucinato da sua madre, da se stesso e, per quel breve periodo di convivenza, dal francese barbetta -così l’aveva chiamato-

Non aveva dunque insistito, finendo col cucinare solo la colazione per sé mentre Francis già aveva pronto il pasto per sé e per il padrone di casa. Nell’attesa quindi che l’americano finisse di prepararsi da mangiare -sempre se fosse stato davvero in grado- Francis ne aveva approfittato per andare a rifare il letto in salone e Arthur si era proposto di aiutarlo. No, non era stato colto da altruismo spassionato, voleva semplicemente evitare di stare ancora da solo con Alfred. Avrebbe avuto bisogno di riabituarsi alla sua presenza a poco a poco, e la notte appena trascorsa era già stato un tempo più che sufficiente. Interessato alla vicenda, ovviamente, il maggiore aveva approfittato di quella breve vicinanza con l’inglese per domandargli se fosse tutto apposto e se avesse almeno dormito bene, usando tutta la discrezione possibile. Non poté lamentarsi del risultato visto che ricevé una risposta, addirittura pacata; fu meno entusiasta di sapere che no, Arthur non aveva dormito bene -almeno così gli aveva confessato-

In ogni caso non ci fu il tempo per un dialogo più articolato in quanto non appena ebbero richiuso il divano-letto l’americano urlò dalla cucina che era pronta anche la sua colazione e quindi i due tornarono in cucina e si sedettero. Francis fu sollevato dal fatto che non avvertì quella stessa pungente tensione della sera prima, vedendo più disteso sia Alfred che lo stesso Arthur, il quale anzi interloquiva di tanto in tanto con l’amico anche se senza scambiare battute particolarmente impegnative. Probabilmente quella notte avevano avuto occasione per chiarirsi, pensò. – Quindi quand’è che devi ripartire? – Si rivolse ad un certo punto Arthur al più giovane dei tre, mentre col cucchiaio nella scodella mescolava ancora un po’ lo yogurt col muesli preparato in casa dal francese. – Ho il volo il trentuno mattina. – Rispose mentre con entrambe le mani afferrò e strizzò la confezione di ketchup che aveva prima tirato fuori dal frigo, facendone sgorgare una quantità oltre l’abbondante. Si portò alla bocca la prima forchettata e aggiunse: – Spero di non disturbare troppo per qualche giorno. – L’amico non rispose, preferendo consumare la propria colazione in silenzio mentre Francis, per non lasciare l’americano in imbarazzo senza una risposta, si permise di commentare: – Dai, sarà una buona occasione per assaggiare un po’ di cucina francese. – E gli fece un occhiolino portandosi alle labbra la propria tazza fumante di caffè. Alfred rispose entusiasta. – Sì! Ti prego, mi piacerebbe tantissimo! Assaggerei cose che non ho mai mangiato in vita mia! Sono sicuro saranno ottime, anche se.. – E ruotò lo sguardo verso l’inglese. – ..a dire il vero non immaginavo Arthur potesse gradire cucina francese, sai? – L’interpellato sospirò profondamente, finendo di masticare con calma prima di rispondere. – E quando esattamente avrei detto che mi piace? – Alfred fece inavvertitamente un boccone troppo grande e ci impiegò un po’ per mandarlo giù. – Bé, la mangi no? Quindi non ti fa schifo, immagino. –

– Ma nemmeno ne sono un grande fan. Semplicemente Francis cucina bene e quello che prepara è abbastanza buono. – Rispose stringato senza volersi sbilanciare verso i complimenti. Ma il francese apprezzò molto anche quei modesti commenti. – Ma grazie, Arthur. – Disse con sincerità, sorridendogli. Alfred intanto si guardava intorno, cercando del latte che però non trovò sul tavolo. Quindi si alzò pigramente e si avvicinò al frigo mentre le voci degli altri due gli giungevano distrattamente alle orecchie. Aprì l’elettrodomestico e prese la piccola confezione di latte sul secondo ripiano, chiudendo poi lo sportello con una spallata, non potendo fare a meno di notare il foglio della poesia lì appeso. Lo stesso da tanto tempo. – Ehi Art.. – Disse sfiorando con due dita il bordo della carta e ritornando a sedersi al tavolo.

– ..quando toglierai quella poesia deprimente dal frigo? È da quando sono venuto qui la prima volta che la vedo lì appesa, perché non la cambi con un’altra più allegra? – Propose mentre si concentrava a versarsi un po’ di latte senza far danni. – E perché tu non ti fai gli affari tuoi? Se non ti piace non la leggere, io non ho alcun motivo per levarla. È perfetta lì dov’è. – Francis voltò un attimo il viso verso il frigo. Per lui che ormai trascorreva metà del suo tempo in cucina era diventata una presenza costante, quasi una compagna in quel piccolo ambiente silenzioso che ben si sposava con la malinconia di quelle parole in versi. Tuttavia comprendeva quello che cercasse di dire l’americano, anche se lui avrebbe usato un altro tipo di formula per esprimersi. – Ma potresti cambiarla no? Di tanto in tanto, dico.. – Insisteva Alfred mentre infilzava altri pezzi di uova mischiandole col ketchup. – Il cambiamento necessita di una motivazione, Alfred. Quando accadrà qualcosa che mi farà pensare di sostituirla, lo farò. Per il momento risparmiati i commenti. –

E senza aggiungere altro continuò a mangiare, così come pure gli altri due. Nessuno tirò nuovamente fuori l’argomento, nemmeno Alfred, nonostante esso continuò a serpeggiare silenzioso e a lungo all’interno dei loro rispettivi pensieri.

 

________________________________________________________________________________________________________

 

 

Il fumo bruno della sigaretta veniva velocemente trasportato dal leggero vento primaverile che soffiava alla luce di un tramonto che bruciava gli occhi. Poteva già gustare nell’aria il sapore dolce dell’estate. Tra poco anche la scuola sarebbe finita e avrebbe finalmente conseguito il Bac.⁽¹⁾

Studiare non era mai stato un problema, ma come tutte le persone scostanti e trasportate dalla corrente degli umori e dei desideri, il giovane Francis era uno di quei tipi che difficilmente manteneva i propri interessi inalterati. Per di più ci si era messo anche questo nuovo sopraggiunto spirito libero che, insinuatosi in lui, lo premeva sempre di più per una partenza: non aveva idee precise, le uniche condizioni indispensabili erano che fosse presto e in una direzione assolutamente casuale. Alcuni avevano dato la colpa agli ormoni, altri al suo carattere, altri ancora al fatto che fosse tutta una scusa per allontanarsi dai diversi impegni sentimentali che era andato accumulando con troppa pericolosa ingenuità e incuranza. Era famelico, questo sì, ma in fondo mai veramente avido. Tanto prendeva quanto donava, nessuno si era mai lamentato delle sue scarse attenzioni fino a quel momento. Un incauto insomma, ma se non altro onesto.

I suoi occhi erano fissi su quel rosso fiammingo del sole; assomigliava al colore vivido delle arance sbucciate. Inspirò ancora un tiro dalla sigaretta quasi avvizzita, non facendo caso alle danze che la cenere lucida, scivolando dalla sigaretta, eseguiva durante la caduta. Pensava invece che sarebbe dovuto salire più spesso lì sopra, sul terrazzo del suo liceo, per osservare quell’incantevole spettacolo di fine primavera. Poggiava i gomiti contro la sbarra del parapetto, lasciando che i capelli mossi dal vento gli infastidissero il profilo, la giacca penzoloni sulla ringhiera e i primi due bottoni della camicia slacciati. Il suo maestro di pianoforte della scuola lo rimproverava sempre per questo: diceva che avrebbe dovuto vestirsi in maniera più decorosa per venire a lezione, eppure si giustificava sempre dicendo che la metà del genio di Mozart proveniva dal suo essere spesso del tutto trasandato. Nulla di scientifico né fondato nelle sue parole, ovviamente, una semplice provocazione a proprio discapito; eppure il maestro, strizzando gli occhi e cominciando ad allisciarsi nervosamente i baffi, scuoteva la testa dando qualche rancido colpo di tosse, abbandonando ogni proposito di dissenso e cominciando con la lezione. Forse era così paziente con il suo allievo perché era uno dei più dotati, o forse perché il giovane francese sapeva quali carte giuste utilizzare per farsi perdonare. E già sapeva che avrebbe dovuto trovare un’altra battuta altrettanto affascinante per poter deviare il discorso dal perché non aveva svolto gli esercizi come avrebbe dovuto. Li aveva sfogliati, quello sì, anche eseguiti due o tre volte, ma in quella settimana era stato fortemente distratto da un proprio personale arrangiamento per pianoforte del Lacrimosa, dal Requiem di Preisner.⁽²⁾ Gli era giunta per caso alle orecchie e se ne era innamorato -non di rado era sedotto da più cose o persone contemporaneamente- la madre d’altronde lo incitava, essendone rimasta incantata allo stesso modo quando il figlio l’aveva condiviso con lei. In fondo, di fronte a una tale bellezza, esercizi per le scale o per i cambi di mano sembravano quasi deturpanti; e di bellezza Francis Bonnefoy se ne intendeva, nel bene e nel male. Non avrebbe mai permesso a niente di suo gradimento di svanire senza prima essere apprezzato come lui avrebbe desiderato e pertanto aveva elegantemente scansato gli studi formalistici per dedicarsi all’ultima delle sue attrazioni. Alla fine anche il suo maestro aveva dovuto arrendersi all’idea di avere di fronte l’allievo probabilmente meno incline a seguire i suoi assegni con diligenza.

Si posizionò con le mani fluttuanti nell’aria e cominciò con le mani a ripetere la sequenza di tasti del suo arrangiamento, attraverso un immaginario pianoforte della sua mente. Socchiuse gli occhi tenendo la sigaretta con le sole labbra, lasciando che quel vento tiepido e gentile continuasse a insinuarsi tra i capelli e nelle aperture della camicia. Ripercorse con i movimenti delle dita quasi tutta la sua discreta creazione che ricordava a memoria, quando fu interrotto da una voce femminile alle sue spalle.

– Sei ancora qui, pianista? – Francis schiuse gli occhi, riconoscendo la voce familiare. Sorrise e rispose senza voltarsi, tornando a poggiare i gomiti sulla ringhiera. – Sermon et melon, chaque chose à son moment.⁽³⁾ –

I passi cadenzati della ragazza alle sue spalle procedevano regolari, dandogli la certezza di un avvicinamento sempre maggiore. Afferrò la sigaretta con un paio di dita e la sfilò dalle labbra, lasciando che il fumo uscisse dai polmoni e si disperdesse in una nuvola opaca. – Bé, dimmi quale dei due preferisci per primo allora. – Vi era della leggera provocazione in quel tono, affiancato da un sorriso che sapeva di nostalgia. Il ragazzo non poté notarlo perché ancora voltato e nel momento in cui la percepì di fianco a sé e si voltò per guardarla, quel sorriso era già scomparso dal suo viso. Gli occhi del francese caddero dapprima su quelli neri come il carbone dell’altra, grandi quanto due diamanti, per poi scendere verso il busto, concentrandosi per pochi istanti sui seni che aveva sempre trovato perfetti, e poi scendere fino alle gambe atletiche che la minigonna intraprendente lasciava nude e degne di tutte le attenzioni ottiche possibili.

– Hai di nuovo fatto indisporre il maestro? – Domandò mentre le ciocche castane della frangetta mosse dal vento le sfioravano gli zigomi alti. Francis fece spallucce, sorridendo con finta innocenza. – Soffre di un’acuta forma di mentalità ristretta, io sto solo cercando di aiutarlo. – Sollevò i gomiti dalla ringhiera, tirando su la schiena e posizionandosi ritto. – Audrine, la luce di questo tramonto ti rende più bella del solito. – La ragazza rise, sollevando una mano per accennare all’altro una battuta d’arresto. – Lascia stare, non sono qui per farmi adorare. – Disse con tono fermo ma divertito, come se avesse sentito chissà quanti complimenti provenire da quelle labbra. E in effetti Francis Bonnefoy era uno che riempiva di attenzioni e di belle parole tutti i suoi compagni e compagne di avventure amorose, senza riserve.

– In realtà sono preoccupata per te. – Lo guardò negli occhi, facendo una piccola pausa. – Mi sembri più strano del solito ultimamente, più distratto e…anche malinconico. Non vorrei che fosse per colpa mia, ma se vuoi possiamo.. ­– Il giovane la fermò mentre lasciava cadere altra cenere sulle mattonelle del terrazzo. Le poggiò un palmo su una guancia e le rispose senza che potesse concludere i suoi pensieri. – Ehi, ehi, come sarebbe malinconico? Ti do davvero quest’impressione? Ti assicuro che non c’è nulla che mi turbi mia cara, tantomeno tu. In realtà ero io che pensavo che questa storia potesse averti fatto troppo male, e me ne dispiaccio davvero. Tu sei una splendida ragazza, lo sai che lo penso, vero? – Audrine, sua compagna di scuola dal primo anno, inclinò il viso verso quella mano calda che la accoglieva, rivolgendogli uno sguardo magnetico. – Mi sarebbe solo piaciuto continuare ad essere la tua ragazza, penso. Ma lo sai che non ce l’ho con te. Ho capito che è meglio così; in fondo non poteva funzionare. Però, ecco, se sei triste per colpa mia ti prego di dirmelo perché non lo sopporterei. – Il ragazzo le sorrise dolcemente, scrutando da vicino i tratti del viso di quella che fino ad una settimana prima era stata l’ultima delle sue ragazze. Aveva quasi sfiorato i tre mesi, si era mantenuto nella media. Ma come tutte le altre volte, alla fine non aveva funzionato. Le ragioni erano più o meno sempre le stesse e potevano essere raggruppate in due grandi categorie: o vi era una progressiva quanto inarrestabile perdita di interesse, oppure i suoi occhi e il suo cuore finivano con l’interessarsi a qualcun’altro. Erano sempre state acque mosse e leggermente torbide quelle dei suoi sentimenti, spesso a lui stesso incomprensibili. L’unica cosa in cui era un vero asso era quella di riuscire a non far soffrire troppo nessuno; la sua sensibilità e delicatezza lo avevano sempre avvantaggiato con le donne, era in grado di slegarsene di continuo ma non aveva ricordo di nessuna separazione furiosa né tragica. Sapeva cosa dire, come dirlo, come far sembrare la cosa inevitabile e anzi, addirittura giusta e positiva. Sapeva come lasciare il ricordo migliore di sé senza troppi rancori, sapeva far sentire le ragazze importanti e splendide senza sforzi eccessivi e in ogni caso non aveva mai avuto problemi a incontrarle e mantenere buoni rapporti anche dopo la fine di una storia, breve o lunga che fosse stata. Audrine era solo l’ultima di una lunga lista e, come tutte le altre, l’avrebbe sempre ricordata alla perfezione nella sua mente, in ogni singolo dettaglio.

– Nulla del genere ma chérie.⁽⁴⁾ Ho trascorso splendidi momenti con te e non mi pento di nulla. Voglio solo che tu non ti senta affranta per questo. – Carezzava quel viso con dolcezza, trovando tenero quel suo modo di preoccuparsi per lui ancora adesso, ancora così visibilmente innamorata di lui. Da un certo punto di vista era a dir poco elettrizzante. – Chissà se riuscirai a stare con qualcuno per più di sei mesi. – Commentò con un sorriso amaro la ragazza. Al giovane venne istintivo sorridere di rimando, seppur sapesse che c’era del tragico vero in quelle parole.

– Oh, ma è già successo una volta! Sono arrivato ad un anno tempo fa, ma è una storia vecchia. – Ormai non faceva più caso alla sigaretta che si consumava silenziosa nell’altra sua mano, quegli occhi femminili che supplicavano affetto avevano la precedenza su tutto. – Mi dispiace, davvero. In realtà sono stato parecchio giù in questi ultimi giorni, lo confesso, ma non è per colpa tua, Audrine. – Le labbra della ragazza tremarono con dei movimenti leggeri, quasi impercettibili. – Pensi molto? – Il giovane inclinò di pochi gradi il capo, osservando quel viso angelico con tenerezza. – Molto, sì. Penso proprio sia una questione tra me e me stesso. – Concluse cominciando ad essere seriamente distratto da quelle labbra rosee. – Forse è perché sei inarrivabile. Una specie di grande vaso di Pandora. Chissà che succede se qualcuno ti schiude. – Audrine esitava sul profilo dell’altro, sfiorandogli il naso e a tratti lo zigomo, lasciando che venisse tentato dal suo invito a procedere. – Pandora, eh? Trésor,⁽⁵⁾ questo è un gran bel complimento. Ma tu sei assai più bella di un vaso leggendario. – E non aggiungendo altro già stava andando a baciare quelle labbra, come a coronare una riappacificazione e a rubare un ultimo bacio nostalgico, ma Audrine lo fermò. – Promettimi.. – Sospirò a pochi millimetri dalle labbra del francese scostandosi con gentilezza per completare quello che aveva da dire. L’altro schiuse maggiormente gli occhi, mostrando il massimo dell’attenzione alla giovane di fronte a sé. – Promettimi che se mai troverai la persona giusta me la farai conoscere. Me lo prometti? Ti prego. Lo so che pensi sempre che sia quella giusta quando ti fidanzi, però…mi piacerebbe conoscere prima o poi la persona che ti renderà veramente felice. Magari non esiste e vivrai per sempre di storie a medio termine, ma se un giorno sarai davvero sicuro di averla trovata, te ne prego, vorrei conoscerla. Non sarò gelosa e nemmeno arrabbiata, te lo giuro. Se saremo ancora in contatto, Francis…mi piacerebbe. –

Inutile dire che il cuore tenero del biondo fu colpito dritto al cuore da quelle parole così sincere e del tutto inaspettate. Era sempre doloroso anche per lui vedere come diversi dei suoi fidanzati e fidanzate rimanessero in qualche modo indissolubilmente legati a lui e nel profondo ancora innamorati. A volte si domandava perché mai Madre Natura fosse stata così crudele con lui da rendere il suo cuore così facile alla seduzione. Poteva essere un dono quanto una maledizione. Eppure era stato sincero in ogni storia che aveva avuto, di breve, medio o lungo termine; era davvero innamorato delle persone con cui si impegnava. Peccato che alla fine il sentimento finisse sempre con l’intiepidirsi, se non con lo sfumare verso del semplice interesse. – Audrine.. – Cominciò Francis sorridendole. – Credi a me quando ti dico che sei una ragazza speciale. Una delle creature più affascinanti di questa terra. – Il vento che saliva portò i capelli della ragazza sul viso del francese, sfiorandone il contorno. – Te lo prometto. Ti prometto che se ci sarà in questo mondo quella persona per me, tu sarai la prima a conoscerla. È una promessa, mia cara. Sul mio onore. –

La giovane piegò le labbra in un’espressione compassionevole, seguita da poche parole espresse in un sussurro sfuggente. – Mi raccomando. E non dar troppo fastidio alle ragazze, eh…e nemmeno ai ragazzi. – Aggiunse, trovando la cosa divertente. La mano di Francis carezzò con maggiore impegno quella pelle morbida, avvicinando a sé ancora di poco quel viso, il tanto sufficiente a soffiare su quelle labbra piene poche parole prima di concedersi un malinconico bacio di addio.

– Ne t’inquiète pas.⁽⁶⁾ – E senza aspettare una risposta lasciò che le loro labbra si congiungessero, per l’ultima volta in veste di amanti, chiudendo gli occhi sul viso della ragazza che ricambiava il desiderio di consumare quell’ultimo incontro alla luce del tramonto. Chissà se la stessa stava escogitando qualche escamotage per riuscire a trattenerlo o a farlo tornare indietro; di certo non sarebbe stata la prima a farlo. In quel momento tuttavia sembrava davvero non esserci spazio per altro al di fuori dell’incontro dei loro respiri, uniti in un ritmo che procedeva all’unisono ma che avrebbe avuto vita breve: uno sbattimento di ciglia, un colpo d’ali di farfalla, la consumazione di quell’ultimo tocco di sigaretta. In quei pochi secondi il francese avrebbe definitivamente concluso un’altra delle sue tante avventure ed esaurito avidamente per l’ennesima volta l’elisir d’amore che tanto lo catturava di continuo. Forse era un uomo destinato a quella vita, a quell’inclinazione per molti peccaminosa. Magari sarebbe potuto diventare una specie di dongiovanni, un modello vivente di godimento pieno e incondizionato, un’incarnazione della vitalità intesa nel suo senso più ampio ed energico; un uomo che assapora e non si accontenta, un uomo che vive alla ricerca della sensualità euforica e che investe in un progetto di vita ignoto a lui stesso, prendendo sul momento tutto ciò che di più affascinante incontra; un galante, un gentiluomo, un amabile corteggiatore che avanzava i propri inviti con garbo e passione, trattando i propri partner come statue di avorio, elevandole alla più alta delle preziosità, ma allo stesso tempo incapace di perseverarvi fino alla coronazione di un affetto stabile, duraturo, unico.

Aveva anche pensato fosse per lui una specie di dannazione: un destino amaro che lo rendeva volubile ma allo stesso tempo, come un suggerimento nascosto, avvalorava l’ipotesi che fosse giusto e imprescindibile per lui continuare a mutare, a migrare, a saltare da un cuore all’altro, come se lui stesso fosse un dono da condividere, troppo egoista da riservare ad una sola persona. Indubbiamente c’era un’importante quantità di narcisismo in questa sua personale interpretazione, ma Francis Bonnefoy non era mai stato solo ego sbrigliato: chiunque tra tutti quelli che si erano trovati tra le sue braccia poteva confermare quanto fosse straordinariamente in grado di far sentire la propria controparte la presenza più prodigiosa e indispensabile nella sua vita. Non era l’attaccamento né il rispetto né la sincerità che gli mancava. L’unica cosa che non riusciva a coltivare e a garantire, era la sola costanza. La fedeltà eterna che gli amanti più o meno consapevolmente si scambiano in ogni bacio, respiro, gesto. Certo, era solo un tassello in mezzo a tanti altri che rappresentavano pregi e qualità notevoli, ma sfortunatamente era anche quello più importante.

Se gli avessero chiesto cosa cercava dalla vita avrebbe risposto: la bellezza. La ricerca di ciò che piace e la sua conseguente venerazione costituivano il suo obiettivo principale e le persone erano senza dubbio la meraviglia più affascinante di quella terra; più ne avrebbe amate più avrebbe potuto godere e accrescersi, più avrebbe avuto e più ne avrebbe voluto, incontentabile e incontenibile quanto nel dare quanto nel ricevere, eppure ancora così ingenuamente inconsapevole che il sentimento provato fino a quel momento rappresentava solo dei poveri granelli di sabbia rispetto ad una costa ben più immensa e pericolosa, di gran lunga più lontana dalla sua portata e da qualunque altra esperienza.

 

 

 

 

 

 

⁽¹⁾ Abbreviazione di Baccalauréat. Corrisponde all’incirca alla maturità dei licei italiani nel sistema scolastico francese. Per maggiori informazioni: http://it.wikipedia.org/wiki/Maturit%C3%A0_francese

⁽²⁾ Requiem For My Friend, di Zbigniew Preisner. Il Lacrimosa rappresenta l’ottavo movimento. Per chi volesse ascoltarlo http://www.youtube.com/watch?v=1MOkUwbAdEU

⁽³⁾ Proverbio francese che significa: “Sermone e melone, ogni cosa al suo momento”.

⁽⁴⁾ “Mia cara”, in francese.

⁽⁵⁾ “Tesoro”, in francese.

⁽⁶⁾ “Non ti preoccupare”, in francese.

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Axis Powers Hetalia / Vai alla pagina dell'autore: unknown_girl