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Autore: Theredcrest    22/05/2012    2 recensioni
Attorno ad un pianeta lontano orbitano sette lune, sette satelliti che vegliano sulle luci della Città, immenso agglomerato abitato da alieni non troppo diversi da noi. Il fulgore della Città è l'unica cosa in grado di squarciare la vasta desolazione di questo mondo, immerso nelle tenebre eterne. Mentre le lune brillano, la Stella Oscura brucia distante. Le leggende la vogliono in grado di esprimere i desideri, ma nessuno osa farlo all'ombra della sua influenza malsana. Le superstizioni, tuttavia, non fermano un bambino dal farlo, Cor.
E un giorno, molti anni dopo, qualcosa cambia.
Genere: Guerra, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PRIGIONIA


Siamo uomini e non lo siamo. Siamo alieni, eppure non siamo neanche quello. E allora chi siamo veramente, noi? In un modo o nell'altro, nei secoli tutte le popolazioni se lo sono chieste. Cosa fossero, cosa ci fosse in alto nel cielo, se esistessero altre vite, altri mondi, altri spazi infiniti. É un lavoro di fantasia che solo i più primitivi si limitavano ad eseguire nei tempi dei tempi.
Mentre invece, adesso, sappiamo la verità. O quasi.
C'è stato un tempo in cui eravamo anfibi, e non scimmie come voi. Un tempo in cui siamo usciti dalle acque di questa terra fredda e arida, evolvendoci sulla terra ferma, sviluppando gambe e arti. Siamo umani per forma, ma allo stesso tempo siamo i vostri temuti alieni, niente di diverso dai corpi organici che anche voi possedete e con cui camminate, bevete, mangiate. Con la sola differenza della qualità della nostra evoluzione. Delle nostre conoscenze e caratteristiche. E allora sono come voi, vedete? Tranne per il fatto di non avere una libertà.
Quella me l'hanno tolta tempo fa.
Camminai avanti e indietro nella mia cella imbottita illuminata a giorno, innervosito dalle pareti quadrate e bianche che si univano in un cubo di pochi metri quadrati. Nella nostra era moderna, a mille e mille anni di distanza dal vostro pianeta, tutto è racchiuso in uno spazio ristretto: un'interfaccia neurale installata nella scatola cranica ci permette di richiamare a comando ciò che si trova nelle nostre case o in quelle altrui, dai servizi ai lavabi, alle cucine, salvo gli elementi personali doverosamente protetti.
Abitudinario, mi fermai al centro della stanza, richiamando con un battito di mani un'interfaccia olografica che vi sognereste di avere. Vi trafficai davanti, raccogliendo numerosi dati, nessuno dei quali mi faceva piacere vedere, dopodiché richiamai un posto a sedere. Emerse dal pavimento permettendomi di prendere posizione, dopodiché dovetti addentrarmi nella realtà virtuale di tutti i giorni.
Avevo finito l'ora d'aria.
Suppongo non possiate capire appieno quello che dico, vi basti sapere che sono un "carcerato", termine corretto utilizzato per indicare una persona che crea disagio al pubblico e che viene disposta in quarantena, o in poche parole, imprigionata per il bene degli altri. Qualsiasi sia questo grado di disagio provocato, che sia fisico o mentale, non importa. L'importante è disporci ordinatamente, separarci e rinchiuderci. Ma come esseri evoluti e senzienti, pur se dissonanti dalla normalità, abbiamo bisogno di interagire socialmente, motivo per il quale ci viene fatto dono di un'interfaccia di RV, anche chiamata Realtà Virtuale, per continuare a vivere nella comunità senza danneggiare l'agglomerato. Come potrete intendere, siamo esseri sensibili: non desideriamo privare il nostro prossimo dell'indipendenza, solo contenerlo. L'autodeterminazione è un nostro grande punto di forza e viene creata con l'ordinato controllo, raggruppandoci in insiemi di elementi "liberi" in una determinata ristrettezza. Ma è il prezzo di ogni evoluzione.
Noi lo accettiamo. Pensiamo per il bene d'insieme e sebbene limitati organicamente, ai soggetti come me viene data la possibilità di muoversi virtualmente tra le strade della Città continuando una propria vita d'affetti e lavoro, affinché la produttività resti invariata. Questa interfaccia virtuale, un'appendice di cui veniamo dotati, ci permette persino di toccare e di provare sensibilità con dei limiti regolati in tempo reale. Accarezzare e sollevare sono azioni di routine di cui non si viene privati, ma il tentativo volontario di ferire o rompere, se non effettuato in risposta ad un attacco organico, viene registrato e inibito spegnendo le funzionalità relative alla fisicità delle nostre proiezioni.
In quel caso, la nostra è pura realtà immaginaria. Diventiamo incorporei e solo quando l'impulso è sedato ci viene restituita la normalità. Dopo poco si capisce come controllare le proprie emozioni, anche se nessuno ci vieta di provarle. Sfortunatamente, io sono un soggetto che fatica ad imparare.
Collegandomi attraverso l'impianto del mio visore, mi ritrovai catapultato dov'ero rimasto disattivato, intento a condurre affari per conto della mia famiglia. Sono figlio di una corporazione che si tramanda in generazioni, specializzata nella costruzione di materiali adatti alla biosfera in cui viviamo. La mia storia si tramandava nella genetica e, a differenza di quanto potrete pensare, non era una sorpresa per la comunità che l'ennesimo discendente fosse sotto RV, né appariva come un'onta nelle indubbie qualità della mia famiglia. Siamo socialmente accettati e riconosciuti da tutti, indistintamente. Non siamo suore o monaci di clausura, nonostante la nostra ambigua condizione.
Portai a termine alcuni scambi, valutando i prezzi della fibra minerale usualmente impiegata in tutte le nostre costruzioni, essendo perfettamente biocompatibile con gli impianti e fotoreattiva. Perfino le nostre vesti sono fatte dello stesso materiale degli edifici, in modo da renderli mutevoli a piacere, con un'altissima resistenza alle basse temperature. Patteggiai per ottenere almeno il cinquanta percento sui profitti di vendita e raccolsi in fretta le borse, spostandomi tra la folla del mercato per dirigermi ad un secondo banco gremito di volti pallidi. Constatata la quantità di gente stipata lì attorno, mi venne da pensare ad un rivenditore di visori. La mia supposizione si rivelò esatta e mi diressi anche lì per contrattare sui prezzi degli aggiornamenti. Tuttavia, non fu una buona vendita e ricavai un accordo del trenta percento.
Provai disappunto.
Finendo il giro, caricai tra le braccia le buste di viveri acquistate per mettermi sulla strada della mia abitazione. Com'era ovvio per le nostre usanze, a piedi: i veicoli inquinanti a combustibile sono stati eliminati più di quattro secoli fa, lasciando il posto a stringhe di trasporto, veloci nastri trasportatori che fungono da mezzi pubblici gratuiti. Scorrono in tutta la Città da una parte all'altra, coprendo le distanze più svariate: illuminano eternamente le strade come i nostri abiti e gli edifici che ci circondano. Siamo un mondo di chiaroscuri al neon, un piccolo mondo, dopodiché il fuori è nulla, il deserto, l'assenza. La notte eterna, il motivo per cui adoriamo la luce come si farebbe con un dio.
Il mio peso si alleggerì immediatamente con un passo sulla stringa. Mi lasciai trasportare fino a raggiungere la destinazione, circondato da altri soggetti che a malapena notai, dopodiché scesi, raggiungendo la mia casa in un tempo catalogabile a voi come pochi minuti.
Sulla soglia bussai due volte, poi entrai silenziosamente. É nelle nostre abitudini che le porte siano solo accessori, invece che suppellettili utili. Non sussistendo il concetto di criminalità, eliminato tramite l'intervento preventivo sui portatori di disagio, da noi non si pone il vostro problema di sbarrare entrate e finestre dai malfattori e dai ladri.
Venne ad accogliermi mia madre, che raccolse le borse con un sorriso di saluto. Ricambiai il suo affetto aiutandola a portare gli acquisti sul tavolo composto da blocchi di pavimento, mentre mio padre faceva capolino dallo spazio salotto raggiungendoci in quello dedicato alla cucina. Suppongo fosse intento a leggere gli ultimi aggiornamenti sul visore, constatando quanto sembrasse distratto.
«Cor, bentornato» mi salutò, espandendo la proiezione olografica dei dati nell'aria in modo la potessi vedere. «Oggi gli acquisti sono scesi del quindici percento. Mi vuoi passare i tuoi aggiornamenti?»
Annuii, mentre aiutavo mamma a riporre gli alimenti acquisiti. Sincronizzai il mio visore col suo e gli passai le buone notizie della giornata, assieme al resoconto degli affari fruttuosi e di quelli infruttuosi. Sentii il suo lamento su questi ultimi, un'imprecazione sulla produzione degli "occhiali", poi sparì indaffarato oltre la soglia. Mia madre scosse la testa mentre riponeva una varietà di tuberi fluorescenti nei cabinetti appositi, e passò ad informarmi sul resto.
«Abbiamo invitato Elenia per il pasto, caro. É di sopra che ti aspetta, ti vuole vedere.»
«Preferirei farlo a cena, se possibile.»
«Come mai, Cor?»
«Mi sento particolarmente indisposto, oggi.»
«Comprendo, ma è molto che attende. Potresti fare uno sforzo?»
«Potrei, madre. Dopo aver finito qui.»
«Bravo, caro.» Mi scoccò un bacio sulla fronte ed io, ubbidiente, quand'ebbi finito mi diressi al piano superiore. Digitai alla parete il codice per gli ambienti privati e le scale si sollevarono davanti a me uno scalino dopo l'altro, portandomi al pianerottolo punteggiato dalle porte delle stanze da letto.
Mi diressi alla mia a passi pesanti, aprendola e constatando l'ovvio. Aspettare una persona nelle sue camere private indica un'approfondita conoscenza del suo carattere e la volontà di voler instaurare una relazione intima con essa. Elenia non aveva affatto la prima e io non desideravo da lei la seconda. La mia visione di lei seduta sul mio letto era assolutamente neutrale.
«Cor, sei tornato» mi fece, sorpresa, subito dopo amareggiata. «Non ti fai trovare mai.»
«Questo è perché ho precisi orari di veglia e sonno» le risposi atono.
«Eppure non arrivo mai tardi dal centro di raffinazione minerale. Sembra quasi che tu non voglia vedermi.»
«Affatto.»
Mentivo, e la mia rigidità virtuale lo tradiva. Elenia è la mia "consorte", ma stiamo assieme solo perché è usuale avere una compagna alla mia età. Cerco di sotterrare la mia diversità comportandomi come i miei simili, usandola, se mi volete passare il termine. La conosco fin dalla giovane età e il nostro, all'inizio, era solo un gioco. Adesso è diventato una trappola mortale.
«Non fare finta di nascondermelo, me ne sono accorta. Non ti piaccio, vero?»
«No.»
«Non... ti sono mai piaciuta?»
«No.»
«E non mi darai un bambino.»
«No.»
Non avrei saputo come meglio risponderle. Non volevo affatto avere un bambino con lei, anzi, non volevo affatto stare con lei. Non ne avrei nemmeno avuto l'obbligo: la società non esige che un rapporto sia per la vita, eppure mi sentivo in dovere di adeguarmi. Con me stesso e con i miei familiari. In realtà provavo nausea al solo pensiero di sfiorarla. I miei desideri erano altri, e non c'era lei tra di essi, ma lo spazio e le stelle.
«Lo sai che tutti se lo aspetterebbero da noi?»
«No, Elenia. Nessuno pretende di unirci in una famiglia.»
«Io si.» Iniziò a sbottonarsi il colletto della tuta tecnica, con intenzioni che mi apparvero lampanti. «Lo pretendo. Pretendo un rapporto, qui e subito. E mi darai un figlio. Dovrai farlo, prima o poi, lo sai. É la regola.»
«Me ne vado.»
Mi girai, e lei si alzò dal letto per raggiungermi e afferrarmi un braccio. Non strattonai. Rimasi a guardarla da dietro il mio visore. «Posso scollegarmi in qualunque momento, Elenia.»
Fui eloquente, ma non tanto da farla smettere.
«Fallo allora! Chiamerò il centro quarantena e verrò a trovarti nel tuo corpo reale.»
«Non se ti tolgo gli accessi come consorte e confidente.»
«E perché dovresti farlo?» Avrei voluto spaccarle una sedia-blocco in testa, ma mi controllai. Aveva il diritto di fare le sue domande, anche se era arrivata al limite dell'insistenza.
«Perché questo gioco è durato troppo. Basta con gli accanimenti. Hai voluto tu che fossi il tuo consorte.»
«E lo voglio ancora! Ti ho solo chiesto quello che qualunque altra avrebbe fatto.»
«Non "qualunque altra". Ci sono consorti che si uniscono a cento anni, anche centoventi, e altri mai. C'è tempo. Potresti trovare qualcun'altro di tuo gradimento.»
Per intenderci, ho ottant'anni, corrispondenti ai vostri trenta. Invecchiamo più lentamente di voi.
«Ma io voglio te.»
«Io no.»
«Perché? Potresti accontentarti. Avresti me, potremmo essere felici insieme.»
«Non è questa la felicità che desidero.»
«Ma potremmo essere normali!»
«E se non riuscissi ad esserlo? Mi costringeresti a diventare come tu desideri?»
Mi guardò con l'espressione affranta, sul punto di mettersi a piangere.
«Io non... non intendevo...» La guardai. Non le credevo, e nemmeno lei ci credeva davvero. Il suo unico intento era quello di ferirmi. «Perché devi essere sempre così diverso?»
Come sospettavo. La domanda suscitò in me il più profondo disgusto nei suoi confronti.
«Perché esisto.»
Era chiaro che consideravo la discussione conclusa, ma Elenia non voleva lasciarmi andare, non comprendendo - o non volendo comprendere - cosa ciò significava. Se non era in grado di accettarmi per com'ero, era chiaro io avrei fatto altrettanto con lei.
Stavo già azionando i protocolli di estromissione quando, all'improvviso, un rombo scosse il pavimento dell'abitazione. Mi guardai attorno per capire cosa stesse succedendo, trovando ad attendermi solo le pareti bianche della mia cella: ero stato disconnesso.
Considerai un'anomalia del sistema, considerazione interrotta da un sussulto dei blocchi sotto i miei piedi. Sotto l'insistenza della scossa, i suppellettili che emergevano nella stanza si inclinarono, accompagnati da un acuto cigolio che attirò la mia attenzione.
La porta della cella si era aperta.
Dal nulla mi si prospettava un'opportunità di scappare. Ma perché avrei dovuto farlo?
Avevo tutto ciò che volevo, attraverso l'RV. Non mi mancava nulla.
Un rombo simile a quello che avevo sentito prima, accompagnato dal continuo sussultare del pavimento, capovolse immediatamente tutte le mie opinioni. Certo, non mi mancava proprio nulla. Potevo godere di ogni cosa come se fossi all'esterno. Ma non ero veramente all'esterno, e non lo sarei mai stato. E non gradivo quella prospettiva.
Sistemai il visore e presi il giubbotto termico, indossandolo. Con circospezione mi diressi alla porta e sbirciai nel corridoio su cui si apriva, non vedendo un'anima viva in circolazione.
Finalmente mossi qualche passo fuori dal cubicolo che era stata la mia prigione per poco meno di cinquant'anni. Quando presi sicurezza, mi misi a correre.




Note dell'autore
Ecco a voi il progetto a cui mi sto dedicando davvero tanto in questo periodo, una storia di fantascienza ispirata per caso dalla copertina di un album. Incredibile dove mi portino i miei viaggi mentali xD E' la prima volta che scrivo qualcosa di simile, oltre ad essere la mia prima ff "a punti", ovvero con un numero di capitoli più o meno programmato che non dovrebbe superare la decina. Chissà se ne uscirà qualcosa di buono! Per ora, ecco qui il primo capitolo, che spero sia finalmente degno di questo nome in lunghezza e in qualità. Ringrazio chiunque decida di leggerla poichè è uno di quei racconti in cui ho deciso davvero di credere e che, nonostante la mia pigrizia, vorrei riuscire a portare avanti e a finire. Non so quanto possa essere avvincente, ma spero che per voi lo sia almeno un po'!
Come sempre, vi ringrazio nel caso decidiate di lasciare dei commenti di qualsiasi tipo, sia positivi che negativi (credo di averne davvero bisogno in questo mio primo "esperimento" xD); in ogni caso vi risponderò subito!
Bene, direi che per ora è tutto qui. Al prossimo capitolo!
  
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