Film > Sherlock Holmes
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Autore: Ephi    22/05/2012    0 recensioni
[Storia al momento ferma, causa altro lavoro in corso. Tornerà, Holmes, eccome se tornerà.]
- Sarà che forse, lavorando di testa, si vive di più.
- Mi sta dicendo che sarà immortale, quindi.
- E chi può dirlo – conclusi, ironico.
Sherlock Holmes alle prese con qualcosa che, nemmeno lui, saprà controllare.
Genere: Comico, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Quella notte dormii poco. La mia mente continuava a rielaborare le immagini della giornata appena passata, pronta a cogliere ogni minimo particolare di essa.
Il pranzo fu delizioso. Mi accomodai vicino a Watson, mentre il primo veniva servito dai domestici e da Mary Jane stessa.
Quella ragazza si presentava ogni momento più diversa da quello precedente. Si dimostrava cortese e gentile con loro, volenterosa e propensa a non stare mai ferma. Non si sedette finché tutto non fu sistemato e suo padre non la costrinse a farlo.
- Ha visto che bella che è? - mi chiese Watson, nel pomeriggio, mentre passeggiavamo per i campi verdi e dorati, dirigendoci nel boschetto.
- Sì, molto – commentai neutro – Mi chiedevo solo da chi avesse preso il colore dei capelli, tu e Mary siete più biondi di chiunque altro.
Il mio amico rise, continuando a camminare. - Dal padre di Mary. Assomiglia molto a lui, non solo fisicamente, ma anche come persona. Lei è forte, forte e determinata, come lui. Grande uomo di industria, uno dei pochi che sapeva lavorare col cuore.
- E' mancato? - chiesi, accendendo la pipa.
- Si quando Mary Jane aveva cinque anni. Ne soffrì molto. Crescendo si riprese, ma conserva ancora gelosamente una foto loro, assieme. E' nella sua stanza, te la mostrerò.
- Di cosa è morto?
- Infarto, così, all'improvviso. Queste cose non si prevedono. Non me la sentii di operare di mio pugno, nel verificarne la morte.
Annuii pensieroso mentre il terreno terroso si inoltrava nel verde delle fronde boschive.
- Le dirò – disse poi Watson, di punto in bianco – che mia figlia non fu dell'avviso del referto medico e mio, una volta capito come andarono i fatti.
- Cioè?
- Cioè che credette che non era possibile che suo nonno fosse morto così. Il buon Theodore era in perfetta salute, allora. Cosa che ho potuto condividere.
- Perché dice ciò? - chiesi, fumando un poco.
- Perché lui era una persona attiva, mai sedentaria. Viaggiava molto, ha contratto anche molte malattie infettive, sebbene di relativa importanza, eppure ne era uscito sempre vive e vegeto, forse anche meglio di come stava prima. Era inoltre una persona tremendamente sportiva. Pugilato da giovane, equitazione fino alla sua venerabile età.
- Capisco allora da chi ha preso la passione per i cavalli, la sua figliola.
Lui annuì in silenzio, sorridendo sotto i baffi.
Tornammo a casa verso sera, dopo che Watson mi illustrò tutti i possedimenti del territorio, di chi fossero, che fine avrebbero fatto.
Non gli chiesi se avesse intuito la mia straordinaria capacità di tacere, di non essere più particolare del solito. Decisi di smetterla di essere me stesso solo per quella giornata, ma sapevo che sarei durato poco, data la mia scarsa costanza.
Più volte avrei voluto rispondere a tono ai discorsi idioti che Watson intratteneva con Mary per coinvolgerla in qualche modo. Non capivo perché un uomo innamorato debba fare tutte queste frivolezze per compiacere la sua amata.
Non fraintendete, io avevo cominciato ad adorare seriamente Mary, gli arrosti come li fa lei, non li fa nessuno, nemmeno Mrs. Hudston, soprattutto Mrs. Hudston, dato che mi lascerebbe a digiuno volentieri, pur di vedermi agonizzante sulla poltrona e pronto per andare via da casa sua, direzione ospedale. Ma io sono uno che non demorde. Non importa cosa mangio, l'importante è che, in qualche modo, io viva.. o sopravviva.
A cena qualcosa in me cominciò a smuoversi di nuovo all'idea di dover stare a tavola tutti assieme. Mi sedetti al mio solito posto, mentre Mary si accomodava di fronte, aiutata dal marito.
- Dov'è Mary Jane? - chiese Watson, sedendosi.
- E' ospitata a cena dai McClean, tesoro, non ricordi?
- Oh, che sbadato – commentò il mio amico, scuotendo il capo – Grazie, Grace – disse poi alla domestica, che sorrise cortese, servendogli del pollo.
Non sapevo chi fossero i McClean, ma la mia mente scattò come al suo solito. Le ipotesi più azzardate si elencarono davanti ai miei occhi, non trovando però un senso.
Cosa diamine mi stava succedendo?
- I McClaen sono nostri amici di famiglia – cominciò Watson, salvandomi – La loro figlia ha la stessa età della nostra Mary Jane, sono molto amiche.
Nell'udire quelle parole mi rilassai un poco. Lo strano senso di pesantezza svanì come non fosse mai avvenuto e ascoltai Watson, tagliando elegantemente, o almeno mi sforzai a farlo, la carne, apparentemente interessato.
- Si conoscono da molto, sì – continuò lui, alternando delle forchettate – E Jodie ha rubato anche il possibile, futurissimo, fidanzato di Mary Jane...
- Rubato? - commentò Mary – Ma John caro, lo sai meglio di me che Mary Jane non si è minimamente interessata a lui.
Watson ammise suo malgrado ciò che la moglie aveva detto.
- Deve avere proprio un bel caratterino, eh, Watson, chissà da chi l'ha preso – commentai, buttando giù il bicchiere di vino.
Lui mi guardò alzando un sopracciglio, rilassandosi dopo un poco – Troppo, direi. Ne ha rifiutati ben due e credo che anche il terzo verrà declinato da qui a breve, se non l'ha già fatto.
Mi trattenni dal ridere, mentre inforchettavo un carciofino al vapore.
Passai il resto della serata a sorseggiare del brandy con Watson e consorte, finché quest'ultima non si ritirò nelle sue stanze, sul tardi. Io e Watson parlammo di ogni argomento che mi saltava in mente, come eravamo soliti fare, quando eravamo a Baker Street.
- Se vuole può passare a trovarmi, il posto non è cambiato di una virgola – gli dissi, posando il bicchiere.
- Lo immaginavo – commentò lui – Ma passerò volentieri, una volta Londra.
- Dubita del mio ordine domestico?
- Ne dubito da una vita.
- E' un bisogno puramente professionale.
- L'ho capito, ormai.
- E' sempre un piacere, Watson.
- Anche per me.
Salii in camera verso l'una, pronto a dormire il prima possibile, data la mia partenza il mattino seguente. Mi ritrovai ad ammettere che un po' mi dispiaceva, andare via, la quiete casalinga che qui si respirava non era così pressante come mi aspettavo.
Mi distesi nel letto e poco dopo mi appisolai. Nuovamente fui risvegliato da un rumore impercettibile al piano di sotto. Ancora nel dormi veglia mi tirai su, guardai l'orologio: le tre e mezzo. Presi il mio violino e me lo portai vicino all'orecchio, cominciando a svegliarmi sul serio, poi chiusi gli occhi.
Avvertii un rumore di ombrello, un appoggiare di giacca, passi leggeri, troppo per chi portasse delle scarpe, dedussi quindi fosse ormai scalza. Udii i passi fermarsi di fronte alla porta della mia stanza, esattamente come la mattina prima, poi aprire, ed entrare.
Tenni ancora gli occhi chiusi quando sentii appena il rumore del fruscio di un vestito, il leggero tossicchiare, l'acqua scorrere, il tocco spugnoso della tovaglia sul viso di chi si muoveva.
Tutto ciò sarebbe stato inudibile ad orecchio umano, tanto che né Watson né sua moglie si svegliarono.
Non passò molto tempo prima che la porta si aprì nuovamente. Scattai dritto, guardandomi intorno. Mi accorsi perfino di aver abbracciato il mio violino, nella sensazione che qualcuno stesse venendo esattamente da me. E così fu. Udii un deciso e silenzioso bussare, poi l'attesa.
Mi alzai dal letto e mi avvicinai, aprendo piano la porta.
- Buonasera, signor Holmes.
Mary Jane era davanti alla porta, sveglia e vestita con il suo solito sguardo penetrante. Mi sorrise gentilmente, porgendomi stavolta la sua mano, che io baciai educatamente.
Che ragazza spavalda e strana, che era. La mattina pronta a ricambiare il saluto da vero uomo, ora la rappresentazione di una donna raffinata e sicura di sé.
- Avevo notato il lume acceso, così mi sono permessa – continuò, entrando nella stanza – Volevo salutarla, so che domani partirà.
- Mio malgrado – confessai – Devo ammettere che qui non si sta così male.
Lei sorrise, avanzando fino alla finestra. Era vestita con una leggera vestaglia color blu scuro, lo stesso della notte che fuori dominava. I capelli erano ordinatamente sciolti, i boccoli ricadevano sulla schiena esile, circondando il viso chiaro, ombrato appena dalla luce della lampada.
- Sono stata molto contenta di averla conosciuta – riprese, sedendosi sulla poltrona accanto al letto – Mio padre mi ha parlato più di lei che della sua famiglia.
- E' un immenso piacere.
- Mi sarebbe piaciuto averla qui con noi ancora per un po', data la mia assenza a casa, quest'oggi.
- Oh mia cara non si turbi. Ci vedremo ben altre volte – le dissi, accendendo la pipa.
- E' troppo se le chiedo di restare?
Mi voltai a guardarla, stupito, quelle parole mi colpirono, costringendo la mia mente ad attivarsi nuovamente, cominciando a chiedersi ogni tipo di perché. Mary Jane mi fissava però ancora, stavolta più seria, mentre fuori il temporale cominciò a rimbombare, lontano. Nel silenzio, mi sorrise di nuovo.
- Immagino che abbia da fare, lo so.
- Bhè, io avrei anche dei clienti a cui badare, a Londra – le dissi, cercando di rimanere impassibile.
- Oh, sono sicura che Scotland Yard se la caverà anche da sola, per qualche giorno – disse, sorridendomi di più.
- Sì, può darsi – conclusi, fumando.
- Bene, lo prendo come un sì – disse, alzandomi e venendomi incontro - Mio padre afferma che suona il violino.
- A modo mio, sì – risposi – Lei ne è capace?
- Non molto – ammise senza mezzi termini, guardandomi – Mi farà vedere quanto è bravo, allora – concluse, sempre sorridendomi.
Annuii in silenzio, ricambiando il sorriso. La mia mente si spense di botto, concentrandosi ancora sul designo del suo viso, non aiutandomi a trovare qualcosa da dire.
- Bene, la lascio riposare. Buonanotte signor Holmes.
La osservai uscire come un ebete, tirando un po' dalla mia pipa, mentre fuori un tuono esplodeva in lontananza. I miei occhi caddero sul suo collo, arrivando quasi a cogliere il profumo lì racchiuso, prima che sparisse dietro la sua porta.
Mi chiusi subito nella mia stanza, abbracciando il mio violino. Lo portai vicino al mio orecchio, fumando ancora e tentando di capire cosa la mia mente mi diceva.
Mary Jane mi spegneva la mente quando era nelle vicinanze e di nuovo mi sentivo vulnerabile. No, non era proprio così. Era l'idea di essere spento a darmi fastidio. L'idea di essere in balia di qualcosa che la mia mente non capiva.
Cominciai ad agitarmi, mentre suonavo con più rabbia. Passai tutta la notte a tentare di capirci qualcosa, senza successo.
Con la sua sola presenza quella persona mi scombussolava. Il suo profumo aleggiava ancora nella stanza, costringendomi a rimanere sveglio. Per qualche secondo fui tentato di andare a vedere se dormisse davvero o stesse architettando qualcosa contro di me, ma poi mi fermai, sicuro che se avessi rivisto quegli occhi non sarei stato più capace di collaborare col mio pensiero.
Fu allora che mi stoppai, con un ultimo acuto, la corda del violino tacque. Fissai il vuoto davanti a me. Era il suo viso, la chiave di tutto, era il suo viso che mi avrebbe condotto alla risposta che cercavo.
Il suo viso nascondeva qualcosa e di questo ne ero ormai sicuro. Nei suo occhi, lì dietro, c'era qualcosa che doveva essere detto da troppo tempo e doveva essere detto a me. Mio malgrado, ero sicuro che non sarei uscito da quella casa, prima di averlo saputo. Avrei alloggiato in casa Watson per mesi, pur di saperlo.
A costo di non farmi ammazzare da Watson in persona, si intende. L'importante, infondo, era che non mi togliesse il violino.

 

nota: ricordate di tenerlo bene a mente, questo capitolo qui!

  
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