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Autore: Yukino    23/05/2012    4 recensioni
Frank è in vacanza come ama definirsi lui, una vacanza che assomiglia tanto a una fuga, e incontra Gerard, un mezzo vagabondo che abita nei gradini di una piazza sperduta. E forse Frank può imparare qualcosa sul valore dei sogni che vale la pena seguire, sui luoghi da trovare e sulla libertà di poter essere ciò che si vuole.
-Sai che è una cosa assurda vero?- lo informò ad ogni buon conto, sia mai che il ragazzo ritenesse normale fare una cosa del genere.
L’aveva detto con una tale tranquillità che pareva pensarlo.
L’altro si mise a ridere, guardando il cane e accarezzandogli la testa.
-Tranquillo ne sono consapevole.- rispose, guardandolo poi di sottecchi, gli occhi verdi appena visibili da sotto la cortina di capelli nerissimi.
-Devo chiamare anche te con un nome diverso ogni giorno?- aggiunse poi, sorridendo come se il pensiero in realtà lo divertisse enormemente
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Coppie: Frank/Gerard
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO SECONDO


Una famiglia vera e propria non ce l'ho
e la mia casa è Piazza Grande,
a chi mi crede prendo amore e amore do, quanto ne ho.

Con me di donne generose non ce n'è,
rubo l'amore in Piazza Grande,
e meno male che briganti come me qui non ce n'è.

A modo mio avrei bisogno di carezze anch'io.
Avrei bisogno di pregare Dio.
Ma la mia vita non la cambierò mai mai,
a modo mio quel che sono l'ho voluto io


Era stata una settimana strana per Frank. Aveva passato tutti i giorni, ogni ora disponibile, e dato che era tecnicamente in vacanza erano decisamente molte, con Gerard. Era strano come stare con lui azzerasse tutte le sue preoccupazioni. C’erano, erano sempre lì in una parte della sua testa, ma guardarlo dipingere, sentirlo cantare, riduceva tutto a non più che a grandezza naturale. Quando stava con lui, semplicemente vicino a lui parlando di tutto quello che passava nelle loro teste, sembrava tutto così fottutamente stupido.  
Affrontabile.
I momenti che preferiva erano quando lui suonava la chitarra e Gerard cantava. Frank adorava suonare, lo faceva fin da quando era piccolino e suo padre gli aveva messo una chitarra fra le mani. Era la sua vita si potrebbe dire, e parte del motivo per cui aveva intrapreso quel viaggio attraverso l’America. Quindi lui suonava, e lo faceva decisamente meglio di Gerard, e l’amico cantava. Ecco, era precisamente quello il momento in cui si sentiva in grado di prendere in mano la sua vita e spaccare il mondo. Quando Gerard seguiva la melodia che lui sentiva in testa e tirava fuori frasi, parole, concetti, che gli si incuneavano dentro con la potenza di un colpo di pistola.
Nessuno dei due aveva parlato chiaramente del motivo per cui erano in quella città, in quella piazza. Del motivo che aveva spinto Gerard a lasciare tutto e vivere così e del motivo che spingeva Frank da lui.
Forse perché Frank sentiva che quello sarebbe stato portare il loro rapporto a un livello superiore, qualcosa che non era sicuro di volere. Gerard era la persona più dannatamente libera che avesse mai incontrato, non si legava a nessuno, nessun luogo avrebbe potuto contenerlo.
Era il vento e per quanto afferrarlo fra le mani potesse essere la cosa più bella della sua vita, Frank era cosciente del fatto che sarebbe potuta essere anche la più dolorosa.
Tuttavia era innegabile che in quel momento fosse l’unica persona che avrebbe voluto avere vicino, l’unica persona che, lentamente, gli stava mostrando una via che lui avrebbe potuto percorrere.
Era grazie alla tranquillità che gli aveva finalmente donato Gerard che quel pomeriggio non era andato alla solita piazza, decidendo invece di chiamare sua madre. Non la chiamava da settimane ed era consapevole che era stato una merda ad andarsene in questo modo, anche se in realtà sentiva di non avere alternative.
Per questo quando si diresse verso la piazza era piuttosto tardi, quasi notte in effetti. Si chiese se oggi Gerard avesse mangiato, perché lui di solito era così preso da quello che stava facendo da dimenticarsene. Era sempre lui che lo trascinava verso qualche chiosco di hot dog o lo convinceva a farsi offrire una pizza. Spesso aveva il dubbio che dicesse di non avere fame perché in realtà quel giorno non aveva raccolto abbastanza soldi; allora si alzava sbuffando, andava a comprare qualcosa e glielo porgeva insultandolo. Il sorriso che Gerard gli rivolgeva come ringraziamento lo faceva immancabilmente aggrovigliare dentro. Questo amava di lui. Era orgoglioso e non avrebbe mai chiesto aiuto, ma quando glielo porgevi lo accettava con un sorriso grato. Era qualcosa che lui faceva una dannata fatica a fare, accettare l’aiuto gratuito della gente, e prima di incontrare Gerard era seriamente convinto che farcela da soli era l’unico modo per essere poi soddisfatti del risultato. Ora non ne era più così sicuro. Forse non era una questione di farcela da soli, ma di sapere quali erano i propri limiti e cercare di superarli con tutto l’aiuto possibile.
Affrettò il passo. Benché fosse primavera inoltrata quella mattina aveva piovuto e la temperatura si era decisamente rinfrescata, quello stupido era capace di estraniarsi del tutto e restare lì fino a notte inoltrata, ammalandosi. Non voleva che si ammalasse, significherebbe non vederlo più. Andare a casa sua non aveva lo stesso valore apparentemente casuale che aveva quello di piombare nella sua piazza. Dopotutto non era davvero sua, era suolo pubblico.
Quando svoltò l’angolo aggrottò la fronte vedendo che non era nel solito posto. Strano. In una settimana di stretta frequentazione non l’aveva mai visto in posti diversi, se non quando ce lo trascinava lui. Però in realtà le sue cose erano lì. In effetti quella mattina avevano fatto colazione assieme e Frank l’aveva aiutato a montare il cavalletto e disporre le sue tele, che erano esattamente nella stessa posizione.
Si avvicinò ai gradini e dovette puntellarsi sui piedi abbastanza forte per non cadere sotto l’assalto nel cane di Gerard.
-Scarlet!- esclamò dopo un momento, quello che gli ci volle per ricordare il nome che quel giorno Gerard le aveva dato.
Il cane però non sembrava in procinto di fargli le feste, tutt’altro. Era nervoso ed agitato e continuava ad abbaiare. Fu allora che si preoccupò.
-Dov’è Gerard, Scarlet?- il cane guaì al nome del padrone, girando in tondo sul posto e guardandolo ansiosa.
-Portami da lui, bella, andiamo.-
Scarlet abbaiò ancora, voltandosi e sfrecciando dalla parte opposta.
Lo trovò sotto i portici, nascosto in un angolo, le gambe rannicchiate al petto e la testa chinata. Si precipitò verso di lui, inginocchiandosi di fronte e cercando di capire cosa fosse successo, se potesse toccarlo o cosa.
-Gerard- chiamò piano, senza ottenere risposta.
-Gee, andiamo… cazzo amico, mi stai spaventando.- insistette, scuotendolo delicatamente. Ancora nessuna risposta. Si decise ad alzargli il viso per valutare effettivamente cosa poteva fare, scostò i capelli dalla fronte e con l’altra mano gli alzò il mento. Cazzo era una fottuta maschera di sangue.
Emise un suono soffocato, per un attimo il panico si impadronì di lui. Cazzo sapeva che doveva succedere prima o poi. Dei bastardi, stronzi, figli di puttana l’avevano ridotto piuttosto male. Il sangue usciva da un taglio sul sopracciglio e dal naso, un occhio si stava chiudendo e il labbro era spaccato. Porca puttana a trovarli li avrebbe uccisi.
-Frankie?- lo raggiunse un sussurro, strappandolo dai suoi pensieri di morte. Non riuscì a trattenere un sospiro di sollievo.
-Gee, ce la fai ad alzarti? Quegli stronzi potrebbero tornare…- sibilò, strisciando accanto a lui e abbassandosi ulteriormente per essere alla sua altezza.
Gerard annuì con una smorfia, cogliendo il suggerimento e passandogli un braccio dietro le spalle. Si strinse a lui quasi spasmodicamente quando Frank si alzò. Gemette stringendosi lo stomaco col braccio libero e Frank non imprecava come un maledetto marinaio solamente perché Gerard tremava, stretto a lui, e non voleva spaventarlo.
-Abiti lontano?- chiese delicatamente, lanciando un occhiata rassicurante a Scarlet che li guardava inquieta.
Gerard scosse la testa facendo un cenno verso sinistra e Frank si incamminò.
Non era davvero preparato al calore che lo avvolse camminando con Gerard stretto al suo fianco. Era una cosa che aveva provato raramente nella sua vita, e mai così forte. La consapevolezza che c’era qualcuno che si fidava ciecamente di lui, che sarebbe andato ovunque lui l’avrebbe condotto senza fare domande, semplicemente perché sapeva che l’unico desiderio di Frank era farlo star bene, e non l’aveva mai deluso.
Era intossicante.
-Eccoci- sussurrò Gerard, si reggeva su di lui sempre di più, camminare doveva essere diventato un vero supplizio ormai.
Il quartiere non era decisamente dei migliori e il palazzo era fatiscente e vecchio. Almeno non c’era nessuno intorno, anche se dubitava che in un quartiere del genere qualcuno si prendesse la briga di fare domande.
Le scale erano decisamente cadenti e Frank aveva il terrore che Gerard gli capitombolasse giù da un momento all’altro, costringendolo così a portarlo in ospedale nonostante le sicure proteste.
-All’ultimo fottutissimo piano, cazzo- borbottò Frank, lanciando un occhiata ad un sempre più affaticato Gerard.
-Tu ti lamenti- borbottò quest’ultimo, lasciando poi andare un piccolo gemito di dolore.
Frank lo strinse più forte, rendendosi poi conto che forse non era la cosa migliore da fare, non sapeva dove quei bastardi l’avevano colpito, per quel che ne sapeva lui potevano pure avergli incrinato una costola.
-Scusa- mormorò, mordendosi il labbro e lasciando un po’ la presa.
-Cosa?- chiese Gerard, aggrottando le sopracciglia, osservando per un attimo il braccio che Frank aveva lasciato scivolare via.
-Ti sto facendo male, io…-
Non riuscì a finire la frase, Gerard si appoggiò a lui nuovamente con un sospiro morbido, mentre armeggiava per aprire la porta.
-Non dire cazzate Frank. Ti sembro il tipo che si fa scrupoli a lamentarsi?- chiese con un sorriso che si tramutò poi in una smorfia alla fitta di dolore che doveva avergli rimandato il labbro spaccato.
-Sì- rispose Frank, sincero e diretto come sempre.
-Mi sembri il tipo che si lamenta per le cazzate e non fiata sulle cose importanti- concluse, guadagnandosi un debole pugno di protesta da Gerard.
-Non dovresti essere tutto carino e curarmi dal mio dolore micidiale? Pensa se un pezzo di costola si è staccata ed è finita nel sangue raggiungendolo e uccidendomi. Ti pentiresti di sicuro di avermi parlato così!- borbottò, ostentando un cipiglio offeso e decisamente adorabile.
Oh Dio, se Frank riusciva a trovarlo adorabile anche con la faccia devastata e piena di sangue la situazione era decisamente grave.
Cazzo.
-Un pezzo di costola Gerard? Non ti sembra un tantino inverosimile?-
Rispose sarcastico, cercando di trattenere le risate.
-Ridi ridi. Riderò io dall’aldilà quando tu piangerai disperato perché le ultime parole che mi hai rivolto erano insulti- rispose altezzoso il ragazzo, trascinando Frank verso il divano e sedendosi sopra con attenzione.
-Sai che ti stai portando una sfiga colossale da solo vero? Ti stai toccando?-
-È una proposta?- ritrose Gerard, punzecchiandogli il fianco col dito. Frank si contorse, ridendo e arrossendo allo stesso tempo.
Beh volendo.
-Mi appello al quinto emendamento- rise Frank alzando le mani. Gerard doveva stare decisamente meglio adesso per scherzare così con lui, anche se era ancora pallido e ogni tanto si lasciava sfuggire una smorfia o un piccolo mugolio di dolore.
-Fammi vedere bene- mormorò poi, smettendo di ridere e alzando delicatamente i capelli dalla fronte di Gerard. Scarlet si era accoccolata ai loro piedi e ora sembrava che anche lei stesse trattenendo il respiro.
Non era la prima volta che toccava Gerard. Aveva perso il conto di tutte le volte in cui si erano stretti per ripararsi dal fresco della sera, o camminato così vicini da confondere i passi dell’altro. Però ora era diverso, c’era una consapevolezza che bruciava l’aria attorno a loro e li spingeva a trattenere il respiro. Non poteva ritirarsi, sarebbe stato imbarazzante e ancora più strano. E poi non voleva.
Era da tempo immemore che non si sentiva così, con quest’euforia e questo terrore dentro, emozioni così forti e violente da togliergli il fiato. Aveva inseguito queste sensazioni per tutta l’America, viaggiando senza tregua, cercando qualcosa che avrebbe potuto risvegliarlo dal suo torpore, indicargli la via da seguire, fargli capire cosa voleva davvero.
Ora l’unica cosa che voleva era continuare a sfiorare il viso di Gerard; la fronte, piano; scivolare lungo la tempia, saggiare la morbidezza della guancia; perdersi sulle labbra screpolate, premendo appena il pollice, solo per sentire la sensazione che davano sotto le dita. Evitò il taglio, sfiorandolo con una leggerezza che non credeva di possedere e si arenò sull’angolo della bocca, alzando finalmente lo sguardo.
Gli occhi di Gerard stavano bruciando la pelle pallida del viso, una fiamma di un verde impressionante. Si incatenarono ai suoi e finalmente il mondo acquistò un senso. Gli sembrava che l’unico modo per essere felice fosse stare lì in eterno, immobile a guardarlo e a farsi travolgere da tutto quello che provava per Gerard.
-Frankie- sussurrò lui, le labbra si mossero sotto la pelle delle sue dita, facendolo rabbrividire. Le immaginava sul suo corpo, trascinarsi sul torace per divorare la strada verso le sue cosce.
Si morse le labbra, costringendosi a staccare le dita e distogliere lo sguardo. Non era giusto, non in questo momento, non quando Gerard era ridotto in quel modo.
-Non hai nulla per medicarti?- chiese a fatica, il cuore era partito per vincere la gara di Formula uno che stava ingaggiando col suo respiro. Chissà se si poteva morire d’infarto a ventidue anni.
-Forse qualcosa in bagno- mormorò Gerard, con un tono… deluso?
Represse il desiderio di guardarlo per sincerarsene e si alzò dal divano.
Prese un grosso respiro cercando di calmarsi e finalmente si guardò attorno. Come immaginava era un’unica stanza che conteneva la cucina, un divano minuscolo dove si erano seduti loro, e un letto dalla parte opposta. Era piccola e le pareti erano scrostate, però erano piene di tele e disegni, un universo di pazzi colori, violenti e luminosi, intervallati da altri più cupi, scuri e macabri. Immaginava che in quei disegni doveva esserci tutto il mondo di Gerard e che fermarsi a guardarli doveva voler dire perdersi inevitabilmente in lui e in quello che sentiva e provava, in quello che aveva passato e che amava.
Era così dannatamente facile perdersi in Gerard.
Il bagno era decisamente meno pittoresco, piccolo e sporco. Trovò una cassetta rossa malandata e si affrettò a tornare da Gerard.
Non aveva cambiato posizione da quando si era alzato, aveva solo appoggiato la testa sullo schienale e chiuso gli occhi. Sembrava sfinito.
Si sedette nuovamente accanto a lui e si armò di cotone e acqua ossigenata. Pulì le sue ferite in silenzio e delicatamente. Gerard non si mosse di un millimetro nemmeno quando il cotone passò sulle ferite e doveva bruciare parecchio dalle smorfie che faceva. Era come se riponesse una fiducia sconfinata in lui, come se sapesse, con istinto infallibile, che non gli avrebbe mai fatto del male se non fosse stato strettamente necessario.
Era totalmente destabilizzante, totalmente distruttivo. Lo guardava e aveva solo voglia di baciarlo fino a divorargli il viso, graffiargli la pelle per incidergli tutto il devastante desiderio che provava e poi baciare i segni che avrebbe lasciato per dimostrargli la devozione che gli portava.
Gli sembrava di poter impazzire.
-Va tutto bene- sussurrò Gerard, facendo sussultare Frank.
-Non è vero- rispose Frank, impotente. Avrebbe voluto essere lì per proteggerlo, per prendere a calci quei bastardi e impedire che riducessero così Gerard. Avrebbe voluto cancellarli dalla faccia della terra.
-Se fossi stato lì…- cominciò, subito interrotto da Gerard. Non aveva ancora aperto gli occhi.
-Non sarebbe cambiato nulla. Erano in cinque Frank. Scarlet ne ha messo uno fuori gioco e teneva l’altro occupato, ma ne restavano sempre tre. Non avresti potuto fare nulla, avrebbero pestato anche te e poi sarebbe stato peggio perché nessuno ci avrebbe curato.- finì scherzando e quando aprì gli occhi Frank vide la gratitudine che provava e qualcos’altro che ebbe paura di identificare.
-Io vorrei andare lì e ucciderli Gerard. Ucciderli davvero. Non so come fai a stare qui tranquillo e rassicurare me quando sono io che dovrei rassicurare te- disse veemente, stringendo il cotone e gettandolo dall’altra parte della stanza.
-È solo che ho trovato il mio modo di vedere le cose Frank. Penso che il segreto sia tutto lì. È come vedere il mondo attraverso un fondo di bottiglia o vederlo attraverso un prisma. Hai mai provato a vedere attraverso uno di quei cristalli?- Frank scosse la testa, incapace di parlare. La rabbia gli stava ancora divorando la testa.
-Beh ecco, vedi tutto a frammenti, è stranissimo. A seconda di come la luce colpisce il prisma tu vedi questi pezzetti di mondo, sempre diversi, sempre colorati. Dipende tutto dalla luce. Capisci? È questo che ho deciso di fare. Preferisco vedere il mondo da dietro un prisma piuttosto che da dietro una bottiglia. Ha una luce incredibilmente migliore. È il mio modo di vedere le cose, forse è sbagliato, ma mi rende felice. Nessuno ha il diritto di venirti a dire niente se con fatica trovi il modo di salvarti dalla merda che il mondo ti getta addosso. È tutto lì Frank. Non so cosa ti sia successo, non so perché hai quello sguardo perso, non so da cosa stai scappando, ma credimi. Fottitene. Alla fine la felicità si nasconde nelle cose più impensate.- Frank non lo guardava, era troppo doloroso adesso. Lui era così appassionato e sincero, così dannatamente bello di una bellezza che esulava da ogni canone estetico conosciuto. Come faceva a stare di fronte a una persona così, una persona che era in grado di dire cose simili e continuare a pensare a quanto fosse miserevole e quanto bisogno avesse di scappare dalla sua vita?
Deglutì, abbassando la testa. Gerard si era interrotto e ora lo guardava in silenzio. Faceva male, era come cauterizzare una ferita che si era infettata, faceva male e bene allo stesso tempo ed era maledettamente difficile costringersi a non piangere.
-Sto scappando dalla mia vita Gee.- sospirò, inghiottendo le lacrime e arrendendosi. Si accoccolò al suo fianco, chiudendo gli occhi e cercando di non pensare alla fitta di sollievo che lo avvolse quando Gerard avvolse un braccio attorno alle sue spalle e lo tirò contro di lui.
-A mio padre hanno diagnosticato la Sclerosi Multipla tre mesi fa. È da allora che cerca di convincermi a prendere le redini della sua azienda. Sto studiando economia all’università perché era quello che voleva lui, perché la mia passione per la musica non doveva impedirmi di avere dalla vita tutto quello che volevo. Solo che io non sono certo di voler vivere come lui, di dirigere un azienda da miliardi, vivere nel lusso e consumare la mia passione nel tempo libero.- si interruppe, prendendo un grosso respiro. Era dannatamente liberatorio dirlo finalmente.
-Dovrei passare tutto il mio tempo con lui, cercare di capire come sarà la sua qualità di vita, viverlo finché è ancora lucido e capace di insegnarmi tutto quello che sa, accettare l’eredità che mi sta lasciando. Invece ho una paura fottuta di quello che mi sta richiedendo e sono arrabbiato con lui perché è ingiusto. È dannatamente ingiusto che si sia ammalato e mi stia lasciando. Non mi ha mai obbligato a fare niente, non a parole, ma è come se lo stesse facendo, no? Lui ha così tanto da combattere, non è giusto che debba preoccuparsi anche di me. E io vorrei solo non tornare mai a casa.-
Gerard si limitò a stringerlo forte, senza curarsi del male che probabilmente sentiva. Frank non riusciva a capire come un abbraccio potesse essere così dannatamente confortante, ma lo era. Gli dava la sensazione di poter dire tutto quello che voleva, tutto quello che gli si agitava dentro, tutta la merda che aveva pensato di se stesso, certo del fatto che Gerard avrebbe continuato ad abbracciarlo e basta.
Quando parlò lo fece lentamente, come se stesse pensando attentamente alle parole da dire.
-Sai…- iniziò, senza smettere di stringerlo. Era strano sentire le vibrazioni della sua voce provenire dal petto.
-Quando è morta mia nonna è stato il giorno peggiore della mia vita. C’era il sole, lo ricordo bene, e questa cosa mi aveva fatto incazzare perché… beh non pensavo fosse giusto. Essere sepolti in una fottuta giornata di primavera, la prima bella dopo un mese di pioggia e freddo. Quando finì la funzione mi ero rifugiato in un angolo del cimitero e le ho sentite parlare. Sai quelle cose che si dicono sempre a un funerale, i soliti convenevoli. Era una persona tanto buona, tanto pronta ad aiutare gli altri, così disponibile… ha avuto una vita così dura e difficile.-
Si interruppe un attimo, Frank non fiatò. Non sapeva come questo poteva rispondere ai suoi dubbi, ma era un pezzo della vita di Gerard e lui lo beveva avidamente.
-E lì mi incazzai definitivamente. Capisci? Una vita. Come se noi ne avessimo infinite altre da poter vivere, come se morto una volta da sfigato morto di fame tu potessi rinascere, che so, pascià! No cazzo. La vita è quella ed è stata dura e difficile! Non ci sono altre fottutissime occasioni-
Non aveva ancora terminato, Frank lo sapeva. Anche se ormai aveva capito dove voleva andare a parare.
-È stato lì che ho cominciato a pensarci. A questa vita dico. Certo, sento ancora mio fratello, a volte vado da loro, a volte loro vengono da me… ma è come se ci fosse qualcosa di sbagliato, come se mi sentissi costantemente fuori posto. Ed è la sensazione più orribile del mondo, io l’ho provata da quando ho cominciato a pensare cose più complicate di ho fame, voglio essere cambiato. Non è nemmeno il posto, vedi, sono io. Sono io che lì sono diverso.-
Gerard sospirò, continuando a stringerlo. Era come se avesse paura che una volta lasciato andare, tutta la magia che si era creata fra loro, quell’attimo di perfetta condivisione, svanisse nel nulla.
-Non dico che sia facile. Pur nel mio strano modo di amare, anche io alle volte sento che potrei uccidere per una carezza. Mi verrebbe la tentazione di pregare Dio solo perché possa aiutarmi a cambiare un po’, rendermi più facile da amare, rendermi una persona più gestibile. Rendere meno complicato lo starmi accanto. So che sto facendo soffrire la mia famiglia. So che si preoccupano ogni giorno e io ogni giorno tento di cambiare, tento di dirmi che andrà bene lo stesso, che riuscirò a non sentire la dannata voglia di bere fino al collasso se tornerò a casa. Ma poi penso che è la mia unica occasione. Penso che la mia cazzo di vita non la potrò mai cambiare, e anche se potessi non vorrei. Ho creato quello che sono sulla sofferenza di troppe persone, ho raggiunto una felicità fragile e delicata sulla pelle di tutti quelli che mi vogliono bene. A loro devo almeno un po’ di onestà verso me stesso. Quello che sono l’ho voluto io, l’ho creato e solo adesso ho imparato ad amarlo un po’. Anche se nel mio strano modo.-
Frank non rispose. Era un discorso che non aveva davvero bisogno di una risposta d’altronde. Non era diverso da tutto quello che gli avevano detto i suoi amici, ma era diversa la passione che ci aveva messo Gerard nel dirlo. Lui non si limitava a credere in quello che diceva, lui l’aveva vissuto sulla sua pelle. Rendeva tutto più… grande, in un certo senso. Forse più vero.
-Devo trovare il modo in cui voglio essere. E ‘fanculo tutti gli altri-
Commentò ridacchiando. Era da cazzoni, lo sapeva, ma sentiva il bisogno di alleggerire un po’ l’atmosfera, era diventata così densa da poterla afferrare, se solo avesse allungato la mano.
- Perché tu hai detto in venti parole quello che io ho detto in cento?- rise Gerard, per nulla offeso.
-Perché tu ami parlare. Penso che tu potresti fare un poema solo descrivendo una margherita, partendo dalla creazione dell’ape che ha impollinato sua madre.-
Gli arrivò uno schiaffo leggero sulla nuca, che lui accetto ridendo. Era bello stare con lui, era rilassante e denso di emozioni allo stesso tempo. Non pensava di essere in grado di rinunciarci. Se doveva essere onesto il pensiero gli faceva una dannata paura.
-Parlando di cogliere l’attimo…- borbottò, alzando la testa in tempo per vedere l’espressione confusa sul volto di Gerard.
-Io non ho parlato di cogliere…-
Finì la frase fra le labbra di Frank, si erano schiantate sulle sue con una veemenza che parlava della disperazione che aveva provato e che in parte provava ancora.
Poi tutto si annullò. C’era solo la morbidezza delle sue labbra, il modo in cui Gerard gemette appena lui prese il labbro inferiore fra i denti tirando un po’, l’irruenza che ci misero entrambi nell’aprire la bocca e lasciare finalmente che le loro lingue si toccassero.
Si stavano divorando a vicenda, gemendo nel bacio e spingendosi sempre più contro l’altro. Frank strinse con foga la maglietta di Gerard, incastrando le dita nella stoffa, strattonandolo verso di sé. Non doveva finire mai, non avrebbe dovuto finire mai perché era la cosa più devastante che avesse mai provato.
-Vedo che hai fatto tesoro delle mie parole- sussurrò poi Gerard, appoggiando la fronte contro la sua e sorridendo affannato.
Frank ghignò, tirandosi poi improvvisamente indietro quando si rese conto che il labbro era gonfio e usciva del sangue dal taglio.
Era un cretino, Gerard stava male e lui gli saltava addosso!
-Gee, mi spiace, cazzo, ti ho fatto male, io…- cominciò, guardando nervoso il rivolo di sangue che continuava a uscire.
Gerard scosse la testa, alzandogli il mento con due dita, costringendolo a guardarlo negli occhi.
-Fottitene.- sussurrò, tirandolo nuovamente contro di sé e continuando a baciarlo.
Non fecero altro per tutta la notte.
..........
NOTE:
È vero che il padre di Frank è malato di Sclerosi multipla e che lui per un periodo ha frequentato l’università. Tutto il resto è inventato^^.
Manca solo l’epilogo ora, arriverà presto, penso addirittura domani, devo solo correggerlo ma è davvero corto per cui non starò molto.
Bene, detto questo, alla prossima!

   
 
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