Film > Sherlock Holmes
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Autore: Ephi    24/05/2012    2 recensioni
[Storia al momento ferma, causa altro lavoro in corso. Tornerà, Holmes, eccome se tornerà.]
- Sarà che forse, lavorando di testa, si vive di più.
- Mi sta dicendo che sarà immortale, quindi.
- E chi può dirlo – conclusi, ironico.
Sherlock Holmes alle prese con qualcosa che, nemmeno lui, saprà controllare.
Genere: Comico, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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 - Allora, cosa ne dice Holmes?
Watson mi guardava da dietro il suo giornale, gli occhi ridenti almeno quanto le sue labbra.
Io continuai a fumare la mia pipa, mentre suonavo il violino con aria assente.
- Assolutamente no - decretai, cominciando una nuova scala musicale.
- Ha detto di volersi fermare, dunque sono convinto che si troverà bene anche dai McClean.
Dannata famiglia borghese. Dannate usanze borghesi. Dannati compleanni borghesi.
I signori McClean avrebbero dato una festa in occasione del compleanno del Signor David McClean, il capo famiglia, il padre Jodie, amico di Watson e Mary, insomma, un dannato borghese.
Ero incastrato, non avevo possibilità di fuga e Watson lo sapeva bene, lo si vedeva dal sorriso fin troppo contento che traspariva sotto i baffi curati.
Non gli diedi alcuna soddisfazione, continuando a suonare a testa alta, lo strumento vicino all'orecchio e pipa fumante. Cominciò a venirmi una sorta di ansia all'idea di dovermi immergere in quella marea di persone sconosciute dall'odore nauseabondo e dai dialoghi idioti. Mi voltai verso Watson, ancora allegro.
- Spero si metterà bene in tiro, se vuole può prendere qualcosa di mio.
- Mi sta dicendo che mi vesto male?
- Malissimo.
- Apprezzo la sua sincerità.
- E' il mio punto forte.
- Mh.
- Mh?
- Vorrei il suo gilet nero.
- No, quello lo metterò io.
- Cosa vorrebbe dirmi? Che è più importante la sua estetica della mia?
- Si, anche.
- Lei è ingiusto - conclusi accennando una nota col violino.
- E lei non sa vestirsi.
Lo sentii trattenere una risata, nascosto dietro il suo giornale del mattino.
Erano passati due giorni dalla passeggiata con Mary Jane ed ero arrivato a chiedermi se davvero ne valesse la pena di rischiare di mandare in frantumi il bell'equilibrio familiare che il mio amico amava così tanto.
La ragazza, dal canto suo, non sembrò volermi dare alcun fastidio, preferendo svolgere le sue occupazioni per conto suo, soffermandosi a parlarmi per pochi minuti e di cose del tutto irrilevanti.
Mi ricordava il mio amico Watson, all'inizio, quando ancora non conosceva i miei modi di fare, di essere. Lui era silenzioso, scaltro, acuto, proprio come lo era lei. Non voleva dare fastidio, ma era sempre pronto ad un confronto d'idee, ad aiutarmi meglio di chiunque altro, confrontandoci su casi in cui c'eravamo imbattuti.
Quando tornai nella mia stanza mi sorpresi di trovare sul mio letto un completo nuovo, di colore scuro, ornato con un fazzoletto verde nel taschino. Guardai il biglietto che vi era sotto e non scorsi altro che il nome di una sartoria ben nota a Londra, ma non ebbi alcun dubbio, quel verde era assolutamente indiscutibile.
Non avevo alcuna intenzione di preparami ore prima dell'evento, decisi quindi di starmene in camera, dovevo assolutamente pensare.
Ripercorsi il poco che sapevo, sempre indeciso se andare oltre o restare dov'ero. La cosa che mi lasciava disturbato era la certezza che avevo ormai dato a Mary Jane. Non ero il tipo di persona da tirarmi indietro o da non mantenere una parola data.
Era chiaro che il segreto era oscuro anche a lei, almeno in parte, anche se ero sicuro che avesse in mente qualche teoria. Mi sedetti sulla poltrona di fronte alla finestra e cominciai a fumare.
Qualcosa che riguardava suo nonno non andava. Suo nonno era un grande industriale, un uomo conosciuto e rispettato. Non mi pareva che Mary fosse una donna scontrosa e poco socievole,e ra anzi ben disposta al prossimo, Watson mi aveva anche detto che andava spesso ad aiutare volontariamente i bambini di un orfanotrofio a Londra e di sicuro non poteva essere cresciuta in una famiglia in cui i valori morali erano assenti.
Il signor Morstan era quindi un nobile esempio di aristocrazia ancora con un cervello dentro il cranio. Era questo che mi lasciava insospettito, che qualcuno, magari, non apprezzasse la sua buona volontà di lavorare per il bene non solo dell'economia inglese, ma anche per i suoi clienti. Avevo curiosato in giro per casa, non ricordo esattamente in quale ora della notte precedente.
Assieme ai libri che il salotto mostrava in bella vista, ve ne erano anche altri, veri e propri diari scritti dallo stesso Theodore. Molti illustravano come era stata costruita quella casa, altri la storia della famiglia Morstan. Altri erano proprie considerazioni scientifiche, evidentemente era un chimico di professione, studiante come rendere più brillanti i colori delle proprie stoffe. In altre pagine avevo notato la presenza di persone anche straniere, come l'incontro che aveva avuto con il signor Chevreul, uno studioso francese che si occupava anche lui di migliorare la lucentezza delle stoffe.
Il signor Theodore era quindi un abile scienziato, un viaggiatore e un ottimo comunicatore.
Aveva molti consensi da parte dei suoi operai. All'interno di uno dei suoi diari vi era ripiegata una lettera con una scrittura difficile e contorta, appartenuta di sicuro ad uno dei suoi operai. Lo ringraziava per avergli trovato una casa per lui, sua moglie e i tre figli. Ogni settimana gli scriveva una lettera diversa, sempre contenente dei ringraziamenti.
In un altro diario trovai altrettante lettere quante le persone che lavoravano per lui. Tutte ricche di affetto e stima, tutte indirizzate a quell'uomo che, secondo quello che potevo sentire anche io, era ancora vivo nella mente di tutti loro.
Ammetto che avevo in mente di andare a trovare il prima possibile chi avesse scritto la prima delle lettere che mi era capitata sotto mano. Me la sfilai dalla tasca, deciso a capire da dove provenisse.
Ne annusai il forte odore un po' ammuffito, ma ancora intatto, evidentemente nella casa di Watson l'umidità non era molto presente. Intuii un leggero retrogusto di rosmarino, di cenere e carbone, mi resi dunque conto che il signore abitava dalle parti di una fabbrica o magari di un fornai. La seconda mi parve più plausibile, quando mi accorsi di alcune macchie bianche incrostate sul fondo.
Farina, non vi era alcun dubbio. Un operaio del suo calibro non poteva possedere la penna e la carta giusta per scrivere ad un uomo del livello di Morstan, evidentemente era andato a chiedergliela in prestito.
Dovevo dunque trovare il modo di andare in paese e capire chi fosse quell'uomo e se, magari, potesse essere ancora vivo.
Quando alzai la testa mi resi conto che il pomeriggio era passato troppo in fretta e il cielo stava assumendo colori tipici di quei quadri impressionisti che Mrs. Hudston, santa donna, voleva attaccare all'entrata di casa sua.
Mi alzai e decisi di impegnarmi come si deve, per evitare di fare una pessima figura. Inoltre non volevo che Watson potesse avere alcun modo per infangare la mia immagine.
Quando finii di lavarmi mi resi conto che i capelli erano sempre il punto critico della mia opera. Tentai di sistemarli alla meglio che potevo, infilai la pipa nella tasca e il fazzoletto nel taschino.
No, no, il fiocco non potevo sopportarlo. Lo tolsi e aprii un bottone della camicia. Elegante sì, ma senza perdere troppo me stesso.
Scesi in salotto, ma non trovai altri che Grace, la domestica, che mi guardò fin troppo compiaciuta e mi sorrise in un modo che trovai troppo, tanto che mi affrettai ad uscire dalla stanza, dirigendomi fuori.
L'aria era tiepida e piacevole, la nottata sarebbe stata limpida. Fuori il silenzio era solo canzonato dal cantare delle cicale, cosa che mi rilassava, ogni volta. Pregai ci fosse anche da questi McClean.
- Holmes, Holmes, lei mi sorprende sempre.
Waston mi guardava veramente sconvolto, ma con un sorriso soddisfatto stampato in faccia. Aveva un abito grigio formale, il suo solito cappello in testa, i guanti che uscivano dalla tasca. La sua signora scese poco dopo, bella come sempre, delicatamente vestita con la sua solita semplicità, che Watson evidentemente, per come la guardava, adorava.
- Bene, tra poco andremo. Mary, vado a prendere la carrozza, mi accompagni?
I due uscirono e si diressero nel cortile, mentre le domestiche si affrettavano a portare loro i soprabiti.
- Ah Holmes, aspetti Mary Jane, vi raggiungeremo subito- mi disse poi, prima di voltare l'angolo.
Annuii con la testa, attendendo. Ma non volle molto.
Quando mi voltai, in cima alla scalinata c'era la creatura che avrebbe potuto rovinare le mie giornate, se solo avesse voluto, e, se solo avesse voluto, avrebbe potuto dar loro il senso che avevo sempre cercato e mai trovato.
La guardai, non seppi cos'altro fare. Il suo viso era diventata la mia ossessione, ossessione mista a curiosità logica e curiosità senza alcuno scopo.
Io di scopi ne avevo sempre avuti, ma in lei, ecco, non avevo motivo di mettermi a trovarne uno.
Era vestita di scuro, con le spalle scoperte, coperte appena da uno scialle bianco, nessun cappello, solo qualche forcina che permetteva a tutti di vedere quanto bello fosse quel viso pieno di cose nascoste.
Mi avvicinai alla scalinata e le porsi la mano, cosa che fece comparire su di lei un sorriso, quando me l'afferrò.
- Vedo che il vestito le sta di incanto, signor Holmes – mi disse, guardandomi dalla testa ai piedi.
- Lo so, ho un portamento invidiabile.
Lei annuì, trattenendo una risata.
- Lei non crede? Di sicuro molto meglio di quello di suo padre.
Ci avviammo alla porta e salimmo sulla carrozza appena arrivata.
Arrivammo dai McClean in meno di una trentina di minuti, la casa si presentava meno isolata di quella di questi ultima, ma ugualmente ben curata, forse solo appena più grande.
L'interno era ornato di opere d'arte provenienti dall'Olanda e dalla Francia, mentre i tappeti, quelli, addirittura dalla Persia.
Mi misi a girovagare tra le persone, ero sicuro che nessuno lì mi conoscesse o speravo che fosse così. Evidentemente, mi sbagliavo.
- Lei è il signor Holmes?
Mi voltai di scatto e fui sorpreso di vedere una ragazza dell'età pressappoco come quella di Mary Jane che mi squadrava da capo a piedi.
Aveva i capelli biondo cenere, gli occhi castano verdi, un avvenente vestito appena scollato. Teneva in mano un fazzoletto che, sicuro, aveva appena tolto dalla borsetta di pelle, una “J” e una “M” erano ricamate sopra.
- Jodline McClean, molto lieta.

Mi sorrise, tendendomi la mano. Io la salutai con un cenno di labbra, annuendo poi con la testa.
- E' un vero piacere conoscerla, Mary Jane mi ha parlato molto di lei.
Certo, tra amiche del cuore.
- Dice che siete un un uomo di grande intelletto, dedito alla scoperta.
- Più o meno – confessai, sorridendo.
- Bhè, spero non vi dispiaccia fare un ballo con me, a Mortimer di sicuro no – disse poi, indicando con la testa un ragazzo appena poco distante da noi, evidentemente il suo fidanzato.
- Ma certo che no - dissi, invitandola ad andare nella zona danzante.
- Lui stima molto gli intellettuali, uomini ricchi di valore, li chiama – continuò poi, mentre aspettavamo di entrare in pista.
- Oh sì, anche io ne ho, di valori. Solo un po' più contorti di altri.
Le strinsi un braccio intorno alla vita e ci immergemmo nelle coppie, mentre la mia mente si preparava a quello che volevo compiere.
Una volta entrato nelle mura di casa McClean notai subito gli arazzi luminosi e splendidi all'ingresso e per il corridoio, opera di sicuro del chimico Chevreul, dato che quel tipo di stoffa veniva lavorata in Francia. Mentre ballavamo guardai tutto quello che c'era da guardare, ogni persona che respirava in quella stanza, ogni oggetto, granello di polvere e attimo era sotto il mio controllo.
Lasciai libero una parte di me, rispondente alle domande di miss McClean, mentre il resto della mia persona studiava ogni angolo di quel luogo.
- Signor Holmes?
- Mh?
- Si fermerà qui per molto?
- Chi può dirlo.
- Mi farebbe piacere rivederla di nuovo.
- Mh, piacerebbe anche a me rincontrare una persona del mio calibro.
Dopo gli interminabili minuti trascorsi a immagazzinare ogni istante guardai di nuovo Jodie, che mi fissava confusa, e sorrisi, tentando di sdrammatizzare la mia ovvia, forse troppo ovvia, frase.
Fu allora che lo vidi. Un altro quadro, posizionato accanto al divano, raffigurava un uomo, assieme a sua moglie e ai suoi figli. Riconobbi il padre di Jodie, il signor David, che all'ingresso mi aveva stretto la mano.
Era il più piccolo dei tre fratelli, sedeva in braccio al padre, il sorriso infantile e innocente sul volto. La cosa che però mi ridestò fu l'anello che il padre del signor David portava sulla mano destra: lo stesso di quello del signor Morstan. La mia mente viaggiò fin troppo velocemente, tanto che mi bloccai in mezzo alla pista e mi voltai verso il signor David, certo di averglielo visto addosso, sulla sua mano, poco tempo prima.
Vi era dunque un collegamento certo tra i due signori, e avrei dovuto scoprire come e perché i due erano così legati e vincolati da un simbolo così forte come un anello.
Ripresi a ballare, scusandomi con Jodie di aver avuto un attimo di giramento di testa.
Ero fin troppo elettrizzato per riuscire a non pensare al caso in cui mi ero immerso, tanto che divenni quasi simpatico e socievole, agli occhi della mia compagna di ballo.
Uno sguardo alle mie spalle, però, mi costrinse a cambiare direzione, voltandomi ancora. Mary Jane mi fissava con uno sguardo indecifrabile, non accennò un sorriso, si limitò a voltarsi e a sparire tra gli invitati, seguita da un ragazzotto con le spalle larghe. Provai una sensazione strana, quasi l'impulso di seguirla.
Aveva capito che avevo scoperto qualcosa di essenziale, ma non voleva parlarne.
Poi abbassai gli occhi su Jodie, che mi sorrideva.

Evidentemente era altro, ora, che la disturbava troppo.



nota: come può Sherlock dire di no ad un caso, vero?
ditemi cosa ne pensate!

  
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