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Autore: Darko    13/12/2006    0 recensioni
Cosa succederebbe se un esercito di immortali distruggesse tutto ciò che un ragazzo ha amato? Cosa succederebbe se questo ragazzo , dopo essere stato ripudiato dagli Elfi, combattesse la sua prima battaglia mostrando di non essere umano? "Sei colui che è nato per dissipare le tenebre. Non ti farai attrarre dal male e lo combatterai. Sei l'eletto. Diventa ciò che sei nato per essere"
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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1.Nella foresta
1.
Nella foresta
    






“Ci sono delle giornate che cominciano nel migliore dei modi, in cui ti senti imbattibile e onnipotente. Ti svegli e il sole ha appena cominciato la sua ascesa, ti aspetta una giornata meravigliosa in cui nulla potrebbe andare storto”. Vaolin stava pensando, vagando con l’immaginazione nei meandri della fantasia, come in ogni momento del suo tempo libero, ad epiche battaglie, agli eroi e alla magia, alle foreste magiche e alle montagne mistiche. Mentre stava ancora fantasticando sua madre lo chiamò per la colazione distruggendo le sue fantasie. Ancora un po’ assonnato si alzò dal letto, si diresse verso il bagno e si lavò il viso nel bacile di pietra. L’acqua era gelida e sussultò quando si portò le mani colme d’acqua al viso, poi guardò la sua immagine riflessa nel bacile: il suo viso era affusolato, aveva capelli castani che sua madre aveva costretto a tagliare, ma la cosa che più lo affascinava di sé erano gli occhi. Erano verde smeraldo con dei riflessi ambrati. Una volta aveva visto un vecchio incappucciato, un viandante che transitava per il paese che molti paragonavano ai leggendari elfi poiché era snello e molto agile; quando vide il ragazzo spalancò gli occhi, e dopo un momento di interdizione, disse qualcosa in una strana lingua, poi riprese il suo viaggio ad un passo più sostenuto.
Vaolin non conosceva il significato di quelle parole e così nemmeno il resto del paese, alcuni sostenevano che fosse elfico e così per un certo periodo cominciarono ad osservare Vaolin in modo diverso ogni volta che lo incontravano, in preda ad una specie di strana superstizione, nonostante credessero che gli elfi fossero creature mitiche e inesistenti. Poi ancora una volta sua madre interruppe il corso dei suoi pensieri.
–Vaolin! Sbrigati o tuo padre e tuo fratello non ti lasceranno che le briciole!-
Quando sentì la voce della madre capì quanto avesse fame. Scese le scale a due a due e si precipitò in cucina. SBAMM! Vaolin si ritrovò a gambe all’aria e avvertì una sensazione di umido sui vestiti.
-Quante volte ti ho detto di stare attento all’acqua in fondo alle scale! Vaolin, sei sempre il solito distratto.-
Si alzò e sentì suo fratello Durin che sghignazzava:-Sei il solito fesso!-
-Smettila Durin!- ribatté Vaolin.
-Piantatela voi due!- e poi rivolta al marito:-Quando verrà Shawn a sistemare quel condotto?-
-Quando smaltirà il lavoro- rispose Yan.
-Speriamo presto, altrimenti quel baccalà finirà a gambe all’aria un’altra volta!-disse Durin ridendo forte. Vaolin si limitò a lanciargli un’occhiata che l’avrebbe ucciso se ne avesse avuto la capacità.
Durin aveva cinque anni più di lui e accompagnava loro padre a caccia e a pesca. Aveva ventuno anni ed era il suo quinto anno da adulto riconosciuto, anche Vaolin presto sarebbe diventato un adulto, in primavera, quando avrebbe compiuto sedici anni.
Vaolin voleva molto bene a suo fratello Durin, e Durin a lui, ma quando faceva così era proprio odioso. Tutti i giorni, quando Durin tornava a casa dal lavoro per il pranzo, Vaolin aspettava che finisse di mangiare e poi prendeva due spade di legno che suo padre aveva intagliato per addestrarlo nell’arte della scherma, e correva incontro a Durin agitando le spade. Nonostante Durin fosse sfinito dalla mattinata di lavoro, anziché riposarsi, accettava sempre le sfide di Vaolin e lo batteva sempre; a volte prendeva il suo arco da caccia e faceva tirare al fratellino qualche freccia.
Durante una di queste sessioni di tiro al bersaglio Durin, che stava ammirando i pregevoli tiri del fratello, gli disse:
-Sei bravo a tirare, e non avresti problemi a colpire un cervo in corsa da duecentocinquanta piedi. Ma, nell’infuriare della battaglia, riusciresti a tirare così bene?-
-Non so- rispose Vaolin.
-Incocca una freccia-
Vaolin eseguì l’ordine. –Ora concentrati sul tuo bersaglio- disse Durin. Cosiddetto si avvicinò e mentre Vaolin stava per tirare, gli soffiò nell’orecchio facendolo completamente sussultare e, come aveva previsto, la freccia mancò il bersaglio e andò a finire nella foresta.
-Valla a riprendere. Io devo tornare a lavorare- disse Durin –Fai in fretta o la mamma si preoccuperà-
Detto ciò si avviò verso il villaggio e Vaolin andò a cercare la freccia.
La notte era già calata, poiché era inverno, e ormai il giorno era arrivato all’ora sesta del pomeriggio e la luna illuminava già la foresta nonostante fosse così presto. Ricordandosi la direzione e l’altezza del tiro, studiò una traiettoria che la freccia avrebbe potuto compiere e cominciò a cercarla. Avanzando nel fitto sottobosco si rese conto di averla perduta, ma mentre si stava districando da un cespuglio di rovi, vide alla sua destra un baluginio argenteo. La freccia era conficcata nel tronco di un tasso, le aveva spezzato la corteccia e si era piantata per metà della sua lunghezza nel morbido legno dell’albero. “Però, gran bel tiro!” pensò Vaolin. Si avvicinò all’albero e provò ad estrarla, ma dopo molti tentativi si rese conto che era inutile, la punta era troppo in profondità. Allora estrasse il suo pugnale e cominciò a scavare il legno di tasso; dopo un buon lavoro riuscì ad estrarla senza danni e la infilò nella tracolla di cuoio.
Recuperata la freccia, si avviò verso casa e stava già pensando a cosa gli avesse preparato sua madre e pregustava in bocca il sapore del pranzo, ma un movimento alla sua destra interruppe bruscamente i suoi pensieri. Si girò di scatto pronto a tutto, e scrutò la foresta, ma non vide nulla.
Riavviandosi per il sentiero si sentiva osservato, è una sensazione stranissima, una specie di quinto senso e mezzo, che non sbaglia mai. Aveva sentito da suo padre che quella foresta era abitata da animali feroci, e a ricordarsene fremette di paura, non avrebbe potuto opporre resistenza ad un orso adulto o ad un cinghiale armato solamente del suo pugnale. “Se solo mi fossi portato anche l’arco di Durin. Avrei potuto abbatterli da lontano evitando lo scontro fisico” pensò tristemente Vaolin.
Poi d’un tratto riconobbe ancora una volta quel movimento, questa volta alla sua sinistra. Però, quando si girò per la seconda volta, lo vide. Non era un orso o un cinghiale, e nemmeno, come aveva sperato, un uomo.
Era un lupo.
La bestia era enorme, arrivava alle costole inferiori di Vaolin e le sue zampe erano proporzionate alla mole maestosa dell’animale. Era appollaiato su un tronco caduto che sovrastava un enorme masso. Il suo manto era per la quasi integrità grigio, ma aveva delle sfumature nere su testa, schiena e coda; in tutta quella dimostrazione di maestosità la cosa che si impresse maggiormente nella memoria di Vaolin furono i suoi occhi: verdi, identici a quelli del ragazzo.
Mentre Vaolin fissava al tempo stesso ammirato e impaurito quello sguardo fiero e orgoglioso, si sentiva tremare le gambe, e provava un terrore che non aveva mai provato fino ad allora. Trovò in ogni modo la forza di estrarre il suo pugnale.
Provò ad indietreggiare, ma il lupo balzò e in un attimo gli fu addosso e, mentre stava per spiccare l’ultimo balzo verso la sua preda, Vaolin si accorse che non aveva spalancato le fauci e che l’espressione dell’animale pareva paradossalmente posata.
Il lupo aumentò la sua velocità e lo investì in pieno, ma incredibilmente, non ci fu nessun impatto, bensì una fortissima e accecante esplosione di luce verde. Vaolin si sentì mancare le forze e mentre stava cadendo notò con stupore che il lupo non c’era più, scomparso, dissolto nel nulla.
Poi si accasciò al suolo privo di sensi.


Vaolin rimase svenuto per quel tanto che bastasse da non ricordarsi dove fosse o cosa fosse successo. Questi furono i suoi pensieri quando si alzò dal suo morbido letto di muschio, cominciò ad aprire gli occhi strizzandoli contro il riverbero del sole, che era ormai al suo declino e quando finalmente riuscì a svegliarsi completamente, nonostante il suo intontimento e giramento di testa, si accorse che la schiena gli duoleva da matti, esaminò la zolla di terra da cui si era appena alzato e scorse una grossa radice sulla quale doveva essere caduto.
Ripensò a quella sua strana avventura, anche se ormai dubitava della veridicità di quell’accaduto e si era convinto sempre di più che fosse stato soltanto un sogno. Ad un certo punto il filo dei suoi pensieri fu interrotto da un altro subitaneo e sicuramente di priorità maggiore: era passato quasi un giorno! I suoi genitori e Durin sarebbero dovuti essere molto preoccupati e ormai avrebbero già cominciato a cercarlo nei dintorni del villaggio; un secondo pensiero che gli passò per la testa gli annunciò che erano passate ventiquattro ore da quando non aveva toccato cibo, e ora al posto dello stomaco aveva una morsa che si stringeva sempre di più a mano a mano che il tempo passava, tormentandolo con continui crampi.
Decise di incamminarsi verso casa, conosceva molto bene la foresta vicino al villaggio, però continuando a camminare si accorse gradualmente di troppe differenze rispetto alla foresta che conosceva, dopo qualche tempo si avvide definitivamente che quella non era la foresta nella quale si era inoltrato il giorno prima e prese coscienza che si era perso. Il ragazzo fu colto da disperazione e si portò le mani al volto, come poteva essere possibile? Quella storia aveva dell’incredibile, perché doveva capitare proprio a lui? Pensando ciò si incamminò e continuò a camminare in preda al panico finché non svenne nuovamente, due ore dopo, provato dalla stanchezza e dalla fame. L’ultima cosa di cui ebbe coscienza furono due braccia che lo sollevavano da terra.      

Durin corse all’interno della casa e cominciò ad urlare, Vaolin era sparito, nessuno lo aveva più visto nei dintorni del villaggio dal giorno precedente e ormai era in preda al panico. Chiamò a gran voce i suoi genitori, ma dalla grande e silenziosa fattoria non giunse alcuna risposta. Allora corse in paese continuando a ripetere a se stesso che era colpa sua, che non avrebbe dovuto lasciarlo andare da solo nella foresta. Continuava a struggersi quando incrociò sua madre che stava tornando dal mercato. Quando la donna vide che il figlio era trafelato dalla corsa e i suoi occhi erano in preda alla disperazione, gli chiese: - Durin! Cosa è accaduto?-
-Vaolin….foresta…sparito- però non riuscì a dire altro perché non aveva fiato; dopo essersi preso qualche attimo di riposo, si calmò e disse alla madre:- Vaolin è sparito. L’ho mandato a recuperare la freccia che aveva tirato ieri sera e da allora non l’ha più visto nessuno. Ma…- aggiunse poi vedendo che la madre non lo degnava di uno sguardo ed aveva ripreso a camminare senza che fosse accaduto niente. Non riusciva a spiegarsi una reazione simile, ma ci pensò subito la madre:- Non urlare, non attirare l’attenzione e seguimi senza fare commenti di alcuna sorta, intesi?-
-Si – disse Durin, anche se era ancora scioccato.
Seguì la madre fino a casa, e quando arrivarono notò che il padre era preoccupato quanto lui, si avvicinò a sua moglie e disse: -E’ andato nella foresta, vero?-
-Si- rispose Durin.
-Sapevo che sarebbe dovuto succedere prima o poi- disse Yan rassegnandosi.
Queste ultime parole colpirono Durin come un martello su una lastra di vetro.

Vaolin sentiva gli uccelli intonare le loro melodie del mattino, ma non riusciva a capire se stava sognando o se erano reali, sentì una breve conversazione sommessa che si interruppe quando aprì gli occhi, forse perché i loro fautori non volevano essere sentiti. Strizzò gli occhi per la luce e gemendo, si alzò a sedere. Per la seconda volta in un giorno -o forse due?- ignorava dove si trovasse. Era sdraiato su un morbido letto, davanti a lui si stendeva un paesaggio montano incantevole che poteva osservare dalle bifore di marmo e pietra che ornavano la stanza. Tutta la valle era cosparsa di vegetazione di ogni tipo e su uno dei suoi versanti si trovava una città, non molto grande ma abbastanza da essere definita tale, che risplendeva del bianco marmo di cui le sue costruzioni era composta. A completare tutto il favoloso scorcio di natura c’era una cascata stretta, ma molto alta che si gettava nel lago sottostante la sua stanza senza il minimo rumore. Tutta la scena aveva un che di surreale e Vaolin ne rimase totalmente rapito. In quel momento non stava più pensando a niente, non gli importava dove fosse o chi ve lo avesse portato, voleva solamente restare lì seduto a osservare quella parte di paradiso e pensò che avrebbe potuto stare lì in contemplazione per ore.
Ad un certo punto, però, il suo attento esame fu interrotto da una voce:
-Anche tu, come gli altri del resto, sei stato rapito dai nostri paesaggi. Essi hanno una sorta di magico potere che incatena gli occhi di colui che li scorge per la prima volta, io non ho potuto provare questa sensazione poiché sono nato tra queste valli e crescendo vi ho fatto l’abitudine-
-Ma tu chi sei?- chiese Vaolin –Dove ci troviamo?-
-Io non ho nome, ma se preferisci appellarti alla inconsueta usanza degli abitanti di questo mondo di chiamare per nome ogni persona o cosa, potrai chiamarmi Wildarin Guhntar, che nella lingua corrente significa il Saggio della Foresta- detto ciò, il vecchio rivolse al ragazzo un sorriso raggiante. Solo allora Vaolin si accorse di quanto fosse vecchio, l’unica cosa nel suo aspetto che aveva mantenuto vigore erano i suoi occhi grigi che risplendevano tra le rughe del suo volto. Questo era molto affusolato, le rughe coprivano la maggior parte della sua superficie e sotto i lunghi e fluenti capelli argentati si facevano spazio due orecchie lunghe e con le estremità appuntite.
Vaolin aveva sentito parlare degli elfi, di loro dicevano che erano creature incredibili, agili e maestri nelle arti. Dicevano anche che tra loro non esistessero le donne e che gli artigiani decantassero i materiali direttamente dalla natura cantandole melodie magiche. Aveva sentito dire che fossero degli abili maghi e che praticassero la padronanza degli elementali e l’uso delle armi celesti. Vaolin, naturalmente, non aveva la minima idea di cosa fossero gli elementali e che differenza ci fosse tra delle armi comuni e le cosiddette armi celesti. Non sapeva nemmeno che di lì a poco la sua vita sarebbe cambiata per sempre.   
  
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