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Autore: nightwind    26/05/2012    7 recensioni
E anche se dovesse costarmi il cuore, anche se dovessi perdere pezzi della mia anima ad ogni tuo respiro che non sfiora la mia pelle, mi limiterò a guardarti. Ti proteggerò con tutta me stessa, perchè tu meriti una vita normale, non una vita come la mia. Niente battaglie, niente nemici, niente pericoli. E anche se io sarò sola, guardarti correre da lontano basterà alla mia felicità.
Genere: Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena, Nuovo personaggio | Coppie: Haruka/Michiru
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima dell'inizio
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CAPITOLO 6 – ALL I EVER WANTED

 

Rigel aprì il rubinetto e lasciò scorrere l'acqua gelida sulle mani, chinandosi poi per bagnarsi il viso. Rabbrividì leggermente mentre chiudeva gli occhi. Certo, l'acqua ad una temperatura che sembrava vicina allo zero in faccia non era molto piacevole, ma fin da bambina era l'unico modo che aveva trovato per svegliarsi completamente. Sbattè le palpebre, fissandosi nello specchio del bagno. Aveva i capelli talmente scompigliati che sembrava un carciofo, lo sguardo stanchissimo anche dopo l'acqua in faccia e perdipiù il bagno in cui era non era nemmeno il bagno di camera sua, dove, come da regolamento dell'istituto, avrebbe dovuto trovarsi a quell'ora di mattina. Sorrise, stiracchiandosi. Negli ultimi quindici giorni aveva dormito sì e no tre notti nella sua stanza, tutte le altre le aveva passate lì, in camera di Haruka. E non poteva dire che avessero esattamente “dormito”... Chinò la testa da un lato, massaggiandosi il segno rosso che aveva alla base del collo. Pe fortuna era in un punto che sarebbe stato coperto dalla camicia dell'uniforme.

«Dovresti smetterla.» fece una voce alle sue spalle.

Rigel si voltò. Haruka era appoggiata allo stipite della porta del bagno, e la fissava con insistenza.

«Di fare che?» chiese Rigel, sentendosi arrossire sotto a quello sguardo blu che sembrava trapassarla come sempre.

«Di girare senza niente addosso.» sorrise Haruka, avvicinandosi «Poi sai come vanno a finire le cose.»

«E secondo te, perché lo faccio?» replicò Rigel sorridendo a sua volta.

Haruka allungò una mano e la fece scorrere lentamente sulla schiena nuda di Rigel, che rabbrividì.

«Comunque...» Haruka le passò l'altra mano sulla guancia «Buongiorno.» le sussurrò, prima di chinarsi in avanti e baciarla.

Le mani di Rigel si aggrapparono automaticamente alle sue spalle, stropicciando ancora di più il tessuto della vecchia maglietta che la ragazza indossava. Potevano essere passati quindici giorni, potevano passare quindici anni, ma i baci di Haruka le facevano sempre lo stesso effetto, quello di essere trascinata via da una tempesta di vento a cui non poteva e non voleva resistere.

Haruka sentì il corpo di Rigel abbandonarsi totalmente al suo bacio. Da quando stavano insieme sembrava essere cambiata, anche se non riusciva esattamente a dire in cosa. Sembrava più... Più dolce, più arrendevole. I futuri avversari della temutissima Rigel Kurama non ci avrebbero creduto, vedendo come si comportava con lei.

Sentì la mano di Rigel infilarsi sotto alla sua maglietta e si staccò da lei.

«Non adesso.» disse, abbassandole la mano «Dobbiamo andare a fare colazione, o moriremo di fame!»

Rigel sospirò e annuì, uscendo dal bagno per recuperare i suoi vestiti. Haruka rimase a fissarsi nello specchio. Forse era la prima volta che qualcuno si innamorava di lei in quella maniera, e lei non sapeva esattamente come comportarsi. E, soprattutto, non riusciva ancora a far luce sui suoi sentimenti. Certo, insieme a Rigel stava davvero bene, eppure aveva sempre pensato che l'amore fosse una cosa diversa da quello che provava con lei. Sospirò, aprendo l'acqua della doccia. Forse, in realtà, non era capace di innamorarsi davvero.

 

*

 

Michiru sollevò un po' il vassoio della colazione per passare accanto ad un gruppo di studenti che si stavano sedendo ad uno dei tavoli della mensa.

«Kaioh!» la chiamò una voce.

Michiru si girò.

«Buongiorno, Hitomi.» rispose alla ragazza che l'aveva appena apostrofata.

«Siediti con noi, Kaioh.» continuò lei «Ci farebbe piacere.»

Michiru sorrise. Dall'inizio dell'anno scolastico aveva sempre mangiato da sola, colazione, pranzo e cena erano gli unici momenti della giornata in cui poteva stare sola con i suoi pensieri, e c'erano tante cose su cui doveva riflettere. Cos'era quell'ombra che aveva avvistato per ben due volte, proprio prima che accadessero due incidenti? Era un possibile nemico, qualcosa che avrebbe reso la sua missione di guerriera improvvisamente concreta? E poi c'erano quei pensieri che sapeva che le facevano comparire una strana luce negli occhi, e preferiva davvero che nessuno se ne accorgesse.

Chinò leggermente la testa, preparandosi a rifiutare con tutta la cortesia necessaria, quando la porta della caffetteria si spalancò e, come ogni mattina, l'intera sala ammutolì. Michiru sapeva perfettamente chi era appena entrato, e sapeva benissimo anche che non avrebbe dovuto voltarsi per controllare di avere effettivamente ragione, ma il suo corpo agì da solo, girandosi nell'esatta direzione di Haruka. Persino da quella distanza riusciva a vedere le occhiaie che segnavano il volto di Kurama, che si dirigeva verso il tavolo delle colazioni ignorando totalmente le occhiate degli altri studenti. Era evidente che le due avevano ancora passato la notte insieme. Michiru strinse di più le mani sul vassoio, mentre cercava invano di non guardare Haruka e, come al solito, non ci riusciva. La vide servirsi di caffè e brioches come ogni mattina, la vide dirigersi al solito tavolo facendo scorrere uno sguardo di sfida sull'intera sala, la vide sedersi e, quando Kurama le si fu seduta di fronte, la vide lanciare un'altra occhiata di sfida all'intero corpo studentesco e poi chinarsi attraverso il tavolo, afferrare Kurama per le spalle e baciarla appassionatamente.

Michiru chiuse gli occhi. Perché amava così tanto farsi del male? Perché continuava a guardare quelle due quando sapeva perfettamente che la stessa scena si sarebbe ripetuta ogni volta? Si costrinse a non perdere il controllo che aveva sempre sul suo atteggiamento in pubblico e tornò a sorridere a Hitomi.

«Ti ringrazio, accetto volentieri.» rispose, stupendo sé stessa prima del gruppo di ragazze sedute a quel tavolo.

Si sedette e si preparò a sostenere una qualunque conversazione più o meno futile, a condizione che la distraesse dal pensiero di Haruka con la bocca premuta su quella di Kurama. Una parte di lei le ripeteva di dimenticarla per il suo bene, ma quella stessa parte sapeva che sarebbe stato semplicemente impossibile.

 

*

 

Shinichi si riaggiustò la giacca del kimono e diede un'occhiata dall'altra parte della palestra, dove il club di arti marziali femminile stava cercando di riprendersi dall'ennesimo allenamento con Rigel. O meglio, contro Rigel. Cercò la ragazza con lo sguardo, poi la avvistò seduta su uno dei gradoni. Agrottò le sopracciglia. Rigel non si fermava mai quando si allenava, solitamente dopo aver distrutto le sue avversarie continuava a provare mosse da sola fino a quando Sato non annunciava con un urlo che era il momento di andarsi a cambiare.

Shinichi attraversò la palestra, raggiungendo Rigel. C'era qualcosa di strano in lei, e non era la prima volta che lo notava. Sembrava essere cambiata, anche se probabilmente solo lui, che la conosceva bene, poteva accorgersene. Era meno attiva del solito, perdeva persino l'abitudine di rispondergli con le sue frecciatine pungenti, cosa che non avrebbe mai creduto possibile. Più volte l'aveva sorpesa come in quel momento, seduta tranquilla a pensare, lei che aveva sempre preso in giro anche piuttosto crudelmente quelli che rimanevano al margine della vita, come diceva, e non facevano nient'altro che osservare. Scosse la testa. Sapeva da quando la sua amica aveva cominciato a comportarsi così, ed era da quando stava con Tenoh. Shinichi aveva sempre pensato che quelle due fossero decisamente troppo simili per fare altro che sfidarsi o odiarsi cordialmente, e invece Rigel si era proprio innamorata, per la prima volta nella sua vita, di Haruka Tenoh. E forse proprio perché erano davvero troppo simili stava cambiando atteggiamento. Si stava adattando a quello che voleva Tenoh. E Rigel Kurama, la Rigel Kurama che conosceva lui, non si adattava mai, per nessun motivo e per nessuno.

«Ehi!» esclamò, fermandosi accanto a lei.

«Ciao, Shinichi.» rispose lei, alzando lo sguardo e passandosi una mano sulla fronte con aria stanca.

«Tutto bene?» chiese Shinichi.

Lei annuì.

«Ho solo mal di testa.» disse.

«Magari dormi troppo poco...» ridacchiò Shinichi, sedendosi accanto a lei.

«Non è questo...» cominciò Rigel, ma si interruppe di colpo con una smorfia, premendosi entrambe le mani sulle tempie.

All'improvviso, aveva l'impressione che il cranio stesse per esploderle, schiacciato da... Schiacciato da cosa? Chiuse gli occhi, mentre il dolore aumentava ancora, facendole venire voglia di urlare. Urlare. Sì, ecco cos'era quel dolore. Era un urlo, un grido atroce che le rieccheggiava nella testa. Rigel gemette, mentre riconosceva la voce che stava urlando. Era la stessa voce che ogni tanto sentiva nella sua mente, la stessa che sembrava essere sparita dalla sua vita da almeno un paio di settimane, anche se, presa com'era dalla sua storia con Haruka, non se n'era quasi accorta.

L'urlo si fece ancora più forte, più distinto, anche se non era composto da parole. Era un grido, un grido di rabbia.

«Rigel? Rigel!» esclamò Shinichi, posando una mano sulla spalla dell'amica, che aveva il viso contorto in una smorfia di dolore.

Rigel, però, non lo sentì. L'urlo che sentiva solo lei sembrò aumentare ancora di più, diventando insostenibile, e all'improvviso non vide nent'altro che il buio. Shinichi fece appena in tempo ad afferrarla prima che cadesse dal gradone.

 

*

 

Haruka esitò per un attimo, poi bussò alla porta del laboratorio di pittura. Dopo un momento, un ragazzo con i capelli un po' lunghi e un pennello dietro l'orecchio le aprì.

«Tenoh.» salutò, riconoscendola «Posso esserti utile?»

Haruka sorrise, rendendosi conto di quanto la sua presenza in quel luogo potesse sembrare strana ai ragazzi del club di belle arti.

«Stavo cercando Michiru Kaioh.» disse con calma.

«Ce... Certo.» balbettò il ragazzo, spostandosi per farla passare «E' alla sua postazione.»

«Grazie.» rispose Haruka, entrando nell'aula luminosa.

Questa volta c'erano anche altre persone, intente a disegnare o a dipingere, ma Haruka non ci fece molto caso e raggiunse direttamente il cavalletto di Michiru. Quando le si fermò accanto, la ragazza alzò lentamente lo sguardo. Aveva davvero degli occhi di un azzurro incredibile, si disse Haruka, ma non era solo il colore a renderli bellissimi, era... Haruka non sapeva nemmeno come definirlo. Era il qualcosa che era presente in quello sguardo a renderli così brillanti, così belli.

«Haruka Tenoh.» mormorò Michiru, stringendo impercettibilmente le dita fini attorno al pennello.

«Solo Haruka.» sorrise l'altra «Ti disturbo?»

Michiru scosse la testa. No, non mi disturbi mai, avrebbe voluto dire, se tu fossi un disturbo vivrei la mia vita nel caos solo per starti accanto.

«Volevo...» Haruka esitò. Ogni volta che voleva parlare con Michiru dei suoi dipinti, della sua arte, si sentiva un groppo in gola, come se dovesse affrontare un argomento misterioso, quasi sacro «Vorrei vedere come procede il tuo ultimo quadro, mi piaceva molto.»

«Ho finito quel quadro un po' di tempo fa.» sorrise Michiru «Ho dipinto molto ultimamente.»

In realtà, non aveva fatto altro che dipingere, aveva continuato a dipingere e disegnare quasi senza interruzione da quella notte di due settimane prima, quando aveva pianto fino quasi a consumarsi l'anima seduta sugli spalti della pista di atletica. Non era tornata in camera sua, quella notte. Era andata nel laboratorio di pittura e aveva finito il quadro con il paesaggio costellato da palazzi quasi traslucidi, poi aveva fatto schizzi per almeno altri dieci dipinti ed era andata avanti ad un ritmo quasi inumano da allora.

«Presto li esporremo a scuola, potrai vederlo.» continuò, tornando ad appoggiare il pennello sulla tela.

«E adesso, cosa stai dipingendo?» chiese Haruka, facendo il giro del cavalletto e andandosi a piazzare alle spalle di Michiru.

Per qualche secondo, ebbe l'impressione di cadere in avanti, come se fosse risucchiata dalla tela stessa.

Era di nuovo un paesaggio, ma molto diverso da quello del quadro che aveva visto la volta precedente. Sembrava quasi un deserto, costellato da morbide dune color oro, con ruscelli di un blu profondo che scorrevano attraverso la terra, sotto un cielo nero come la pece.

Haruka sbattè le palpebre, incapace di distogliere lo sguardo dal dipinto. Qualcosa, qualcosa che non sapeva spiegarsi, qualcosa che non capiva, le pulsava nella mente, mentre faceva scorrere lo sguardo su quelle dune, su quei ruscelli, sulla sensazione di pace che l'intero quadro trasmetteva. Sentì il suo cuore accelerare, poi rallentare, calmandosi mentre osservava, sullo sfondo del paesaggio, la sagoma traslucida di uno splendido castello a spirale ergersi sopra alle dune. Era così strano... Quello le sembrava molto più che un semplice quadro.

«E' meraviglioso...» riuscì infine a mormorare «E quel castello... E' davvero stupendo.»

Accanto a lei, Michiru sentì il suo cuore stringersi di colpo in una morsa. Non avrebbe dovuto farlo, lo sapeva, eppure, dopo quella famosa notte, non era riuscita a trattenersi. I ricordi della sua vita precedente, la vita in cui viveva su Nettuno, quella vita passata a sognare Uranus, principessa di Urano, le si erano scontrati con troppa violenza nella testa, e non aveva potuto far altro che dipingerli, come aveva dipinto il quadro che aveva adesso davanti, realizzando davvero solo una volta che aveva cominciato a disegnare dune e ruscelli che stava dipingendo il paesaggio di Urano com'era stato una volta, millenni e millenni prima. Era pericoloso farlo, con Haruka nei paraggi. Lei non voleva che Haruka ricordasse, che Haruka sapesse, e invece, quando aveva visto il quadro, la ragazza lo aveva automaticamente completato con il Miranda Castle, che Michiru non aveva affatto dipinto. Inconsciamente, ma i suoi ricordi stavano tornando. Doveva intervenire, se voleva che Haruka continuasse a vivere una vita normale. Chiuse gli occhi per un paio di secondi, tentando di mettere a tacere il suo cuore urlante, poi guardò Haruka.

«Non c'è nessun castello.» disse piano, sentendosi morire ad ognuna di quelle parole.

Haruka riuscì a distogliere lo sguardo dalla tela e a fissarle addosso i suoi occhi blu.

«Nessun... Castello?» balbettò.

Michiru deglutì e annuì, tentando di reagire come avrebbe fatto una persona normale. Alzò la mano libera dal pennello e la appoggiò rapida sulla fronte di Haruka, agrottando le sopracciglia.

«Ti senti bene?» chiese «Non è che hai qualche linea di febbre?»

Haruka allontanò immediatamente la fronte dalla mano di Michiru, voltandosi di nuovo verso la tela. Non c'era nessun castello. Eppure, lei aveva visto un castello, non poteva essersi inventata una cosa simile.

Michiru rimase a fissarla. Doveva portarla via da lì, doveva allontanarla da quella tela prima che cominciasse davvero a ricordare. Si alzò in fretta, afferrando l'album da disegno, e sfiorò il braccio di Haruka.

«Vieni, andiamo a prendere una boccata d'aria.» disse.

Haruka non oppose resistenza e si lasciò guidare fuori dal laboratorio, incapace di scacciare dalla sua mente l'immagine di quel quadro e di quel castello.

 

*

 

C'era qualcosa sopra di lei. Vedeva qualcosa, o forse qualcuno, a pochi centimetri da lei. Gemette. La testa le pulsava violentemente, non capiva dove si trovava, ma c'era almeno una cosa buona: il silenzio. Non sentiva più quell'urlo tremendo nella sua mente, c'era solo silenzio.

Sbattè un paio di volte le palpebre, mentre tentava di mettere a fuoco la sagoma che aveva davanti.

«Haruka?» mormorò.

Una mano le si posò sulla fronte, scostandole le ciocche di capelli.

«Stai calma... Sei svenuta, non è il caso di agitarti.»

Rigel sbattè un'altra volta le palpebre, riuscendo finalmente a mettere a fuoco il volto dell'infermiera scolastica del Morii. Con un grugnito, si mise a sedere.

«Dovresti stare sdraiata.» l'ammonì la donna, ma Rigel la ignorò, facendo scorrere lo sguardo sulla stanza chiara che era l'infermeria e fermandosi a fissare Shinichi, immobile accanto alla porta.

«Dov'è Haruka?» domandò.

Shinichi si trattenne dal sospirare. Rigel non sembrava semplicemente innamorata della sua ragazza, era quasi ossessiva quando si trattava di Haruka.

«Sei svenuta dopo l'allenamento in palestra e ti ho portata qui.» rispose con calma «Sono rimasto a vedere come stavi, non l'ho cercata.»

Rigel annuì, tentando di ignorare la testa che le pulsava, e buttò le gambe giù dal letto.

«Ferma, ferma, dove credi di andare?» esclamò l'infermiera, afferrandole una spalla.

Rigel si liberò con uno scrollone e si alzò.

«Sto benissimo.» borbottò, fulminando con lo sguardo la donna «Vado a cercare la mia ragazza.» disse, voltandosi verso l'uscita «Comunque, grazie, Shinichi.» aggiunse, prima di aprire la porta.

Shinichi si passò stancamente una mano fra i capelli mentre guardava l'amica che si allontanava lungo il corridoio. Non la riconosceva più.

 

*

 

Haruka chiuse gli occhi e respirò a fondo l'aria fresca del parco del liceo. Adesso si sentiva meglio, anche se continuava ad essere convinta di aver visto davvero un castello dipinto sul quadro di Michiru. Riaprì gli occhi e sorrise alla ragazza, immobile accanto a lei.

«Scusami per prima.» disse «Non so cosa mi sia successo.»

«Forse sei solo stanca, avrai dormito poco.» rispose Michiru.

Immediatamente dopo aver finito la frase, si morse la lingua. Perché aveva detto una cosa simile, perché? Abbassò la testa, mentre sentiva lo sguardo dell'altra trapassarle il cranio. Vederla davanti a quella tela, ad un passo da ricordare la sua vita precedente, quella in cui si conoscevano, quella in cui erano quasi riuscite ad amarsi, le aveva scavato una nuova voragine nel petto, e il suo inconscio si aggrappava ad ogni minima cosa pur di non lasciar sfuggire quell'occasione, anche se sapeva che era sbagliata, sbagliatissima.

«Beh, in effetti non ho dormito molto...» cominciò lentamente Haruka, non sapendo se prendere la frase di Michiru come una semplice constatazione o un doppio senso «E dovrei davvero riposarmi di più, visto che ho la scuola, gli allenamenti di atletica e che mi alleno piuttosto spesso anche con Rigel.»

Michiru tentò di respirare a fondo e fece qualche passo, raggiungendo una panchina poco lontana e appoggiandoci l'album da disegno. Doveva stare calma, anche se sentiva quella voragine pulsarle dolorosamente nel petto.

Haruka rimase a fissarla per un attimo. Era così fine, così delicata... E in quel momento sembrava anche così fragile, anche se non riusciva a spiegarsi il perché di quella sensazione. Le si avvicinò lentamente, fermandosi alle sue spalle.

«Ehi...» disse piano «Va tutto bene?»

Michiru si sentì tremare e incrociò le braccia. Haruka era vicina, troppo vicina perché il suo cuore potesse reggere. Doveva andare via, scappare, ma non riusciva a muovere nemmeno un muscolo.

«Che cosa vuol dire “bene”?» balbettò, rifugiandosi in una domanda pur di non dover dare una risposta.

Haruka fece un altro passo in avanti. Esitò per un secondo, poi posò leggermente le mani sulle spalle di Michiru. Michiru credette di morire, sentiva il calore del corpo di Haruka attraverso il vestito che portava, la ragazza che amava era lì, vicinissima, poteva sentire il suo respiro.

«Vuol dire “felice”.» mormorò Haruka.

Michiru sentì nettamente che stava perdendo il controllo, perdendo il controllo sul suo corpo, sulle sue emozioni, sui suoi sentimenti. Sentiva già le lacrime bollenti rigarle le guancie, era solo una questione di secondi prima che anche Haruka se ne accorgesse. Stringendo di più le braccia al petto, si voltò di scatto.

«Sono felice.» balbettò, incapace di frenare quel fiume di parole che aveva chiuso nel cuore per troppo tempo «Sono felice se tu sei felice, e tu lo sei. Sei felice perchè stai con Rigel, e io sono felice per te, per Rigel che... Per Rigel che...» ormai balbettava, ma era troppo tardi per fermarsi «Sono felice per Rigel, perchè lei ha ottenuto tutto ciò che io ho sempre desiderato!» con un sonoro singhiozzo, si voltò di nuovo e corse via.

Haruka rimase interdetta a fissarla mentre si allontanava di corsa. Non riusciva a credere a quello che aveva appena sentito, il suo cervello non riusciva ancora a comprendere che Michiru le aveva sostanzialmente detto che era innamorata di lei.

Alzò lo sguardo sugli alberi. Non era cambiato nulla da quando li aveva guardati pochi minuti prima, eppure, all'improvviso, si sentiva vuota. Vuota senza un rimedio possibile, vuota come non si era mai sentita prima. E non riusciva a capire perché.

Lentamente, strascicando il passo come non aveva mai fatto prima, si allontanò dalla panchina in direzione dei dormitori.

 

*

 

Le unghie di Rigel si staccarono con fatica dalla corteccia dell'albero in cui le aveva piantate appena aveva avvistato Haruka con Michiru Kaioh. Non era riuscita a sentire quello che le due si erano dette, ma le mani di Haruka sulle spalle di quella ragazza, le lacrime di Michiru e infine la sua fuga non avevano certo bisogno di interpretazione.

Stringendo i denti, Rigel raggiunse la panchina. La testa continuava a pulsarle ritmicamente, ancora più forte di quando si era alzata dal letto dell'infermeria. Prese l'album da disegno che Kaioh aveva abbandonato e lo aprì, saltando la prima pagina su cui era scritto il nome della proprietaria, in caratteri eleganti.

Sentì quasi la rabbia morderle l'interno del petto quando cominciò a sfogliare le pagine, mentre un ruggito sordo le rieccheggiava nella testa. Tutti i fogli, ogni singolo foglio di quell'album era coperto con un ritratto di Haruka. Haruka che correva, Haruka che camminava, Haruka ferma, e poi gli occhi di Haruka, i capelli di Haruka, le mani di Haruka, soprattutto le mani occupavano ogni centimetro libero dell'album.

Rigel cominciò a tremare di rabbia. Come osava quella piccola insignificante ragazzina passare il suo tempo a ritrarre Haruka, la sua Haruka? Come osava anche solo sperare di avvicinarsi a lei? Come osava pensare a lei?

La testa le pulsò sempre più forte, stordendola. Lasciò cadere l'album, che atterrò sulla panchina, e crollò a terra senza riuscire a capire nulla, il buio che si richiudeva su di lei per l'ennesima volta, il ruggito sordo che le assordava la mente.

Quando riaprì gli occhi qualche minuto più tardi, la panchina accanto a lei stava bruciando. Insieme all'album da disegno di Michiru Kaioh.

 

 

 

 

 

 

NIGHTWIND'S CORNER

Ciao a tutti! Per prima cosa, scusatemi per il mostruoso ritardo con cui pubblico questo capitolo, mi sono quasi letteralmente persa per strada fra le troppe cose che ho da fare... Ogni tanto avrei davvero bisogno del potere di Sailor Pluto per bloccare il tempo, così magari potrei riuscire a fare tutto quello che devo e anche quello che voglio!

Comunque, tornando alle nostre eroine, che cosa sta succedendo adesso? Bella domanda! Michiru non ce l'ha fatta e ha fatto capire ad Haruka quello che prova per lei, Haruka non sa assolutamente cosa pensare né di lei né della sua ragazza e ha avuto un flash della sua vita precedente e Rigel passa letteralmente il suo tempo a svenire! Ma non vi preoccupate troppo per loro, perchè ormai siamo oltre la metà della storia, e il prossimo capitolo conterrà una svolta decisiva...

Spero vi sia piaciuto, e alla prossima!

  
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