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Autore: UnLuckyStar    26/05/2012    7 recensioni
REVISIONE IN CORSO
Questa è la storia di Fortunata, una ragazza come tante altre, che nasconde il suo nome dietro a 'Lucky'. Lei si odia, odia il suo corpo, odia ciò che la circonda. Non sopporta le persone, fosse per lei potrebbero morire in tutti i modi che vogliono. E' sarcastica, acida nei confronti di tutti, intollerante alle persone stupide. Le uniche persone che sopporta sono Alice e qualche compagna di classe. Suo fratello è lontano, sua madre è in un centro di recupero per tossicodipendenti, suo padre è inesistente, il mondo non la capisce, non capisce la sua rabbia. Poi una mattina qualunque arrivano loro... Loro, che cambieranno tutto.
⁂⁂⁂
Dal primo capitolo:
Cammino svelta, con il mio passo vagamente saltellante, percorrendo la strada per andare a scuola.
Quel triste edificio rosso mattone, con il cancello arrugginito e dalla vernice verde scrostata.
Non poteva esistere scuola più brutta qui a Torino, soprattutto dal punto di vista di una che è all'ultimo anno.
La verità è che fa schifo. Tutto fa schifo in questo posto.
⁂⁂⁂
Da prestavolto per questa storia ho deciso di usare i bellissimi visi di Giuseppe Giofrè, Jonathan Gerlo e Nunzio Perricone.
#PeaceAndLove
Genere: Commedia, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Piacevoli sorprese


La lingua italiana è una lingua ricca di parole, proprio per questo viene considerata una delle più difficili da apprendere, ma nonostante questa enorme ed esponenziale quantità di termini e aggettivi non riesco a trovarne uno che descriva a pieno questa settimana. Credo che potrei definirla “infernale”.
Prima cosa: la scoperta di un cinque in diritto e francese.
Seconda cosa: Alessandro e Co.
Il punto è che prima di conoscere la sua esistenza, non ero a conoscenza nemmeno del suo enorme e indecente ego, cosa che mi permetteva di non notarlo e ignorarlo, ma adesso parlarci è una cosa quasi inevitabile, e per certi versi è anche divertente, ma presto la mia testa esploderà se continuerò a cercare o a inventare qualche nuovo insulto apposta per lui. E mentre tra noi scattano fuoco e fiamme, Alice, Emanuele e Sebastiano se la ridono di gusto, e Mattia mi da una mano a tenere testa ad Alessandro, anche se ovviamente non ne ho bisogno.
Okay, magari questa settimana non è stata poi così terribile, ma i prossimi dieci giorni saranno sicuramente da suicidio. Perché? Perché non ho proprio voglia di bocciare un altro anno per colpa di due miseri cinque, quindi mi aspetta almeno una settimana di reclusione da studio, senza l’opportunità di vedere la luce del sole. Ma prima di dire addio alla mia libertà, è meglio andare al mercato. Un semplice, banale e fin troppo comune mercato del lunedì, che uso volentieri come scusa per saltare l’ultima ora di inglese per farmi un giro con le mie compagne.
Siamo già davanti alle prime bancarelle, dove espongono oggetti più che altro etnici, come orecchini di piume e bracciali in cuoio, insomma, tutto ciò che richiama allo stile hippie, quello che preferisce Debora. Ovviamente lei è tutto tranne che hippie, anzi, se si tratta di litigare, lei è la prima a farlo, dopo me. La tipica ragazza che non la noti nemmeno fino a che non la conosci, ma che se si arrabbia quel poco in più, i suoi occhi sembrano diventare rossi, tale e quale ai suoi capelli. Come molte ginger, ha il naso e gli zigomi ricoperti di buffe lentiggini. Una bellezza comune, ma comunque apprezzabile e distinguibile tra la massa.
«Hai finito di guardarmi?!-
Mi riscuoto dalla trance in cui sono caduta, incantata a guardare i suoi occhi verdi, ricchi di striature più scure, che sembrano quasi nere.
«Lo sai che mi incanto a guardarti, quindi… No, non ho finito.»
«Oh, va bene»dice alzando le mani.
«Invece di leccare il culo a Deb, vieni qui»mi chiama Federica.
Solita finezza. Quando Dio distribuiva la grazia e il tatto, lei… Boh, scaricava le merci al porto o parcheggiava il camion.
«Sì, vengo, che c’è?»
«Come che c’è? Non vedi che bei vestiti?»interviene Alice, passando la mano su un vestito azzurro, di quelli leggeri e svolazzanti, adatti per l’estate.
«Carini, ma troppo lunghi»rispondo passandomi una mano tra i capelli, tirandoli indietro.
«Ma arriveranno al ginocchio…»
«Appunto.»
«Vuoi fare sempre la strafiga, eh?»mi dice sorridendo.
Do' un’occhiata ai vestiti, ma non sono affatto il mio genere. Colori troppo chiari, poco sgargianti, niente di nero... Vestiti da ragazzine.
«Okay, mi sono innamorata di questo»dice Alice dopo aver visionato buona parte della merce. Solleva in aria un vestito verde chiaro con delle sfumature gialle e nere, qualcosa che io non avrei mai il coraggio di comprare, figuriamoci a indossarlo.
«E che devo dirti… Provalo.»
Mi guardo intorno mentre lei sale sul furgone per indossare quel ridicolo straccetto.
Mi carico in spalla il mio zaino, e nell’altra il suo, di un assurdo color pesca con sopra faccine e dediche, che rientrano tra le più banali che la storia abbia mai concepito.
«Noi andiamo dagli indiani, vieni con noi?»mi chiede Esmeralda inclinando la testa da un lato.
«No, aspetto Al, poi vi raggiungiamo. Sempre che non abbia deciso di morirci, lì dentro»dico alzando la voce nell’ultima frase, per farmi sentire dalla diretta interessata.
«Ora esco, cazzo!»urla da dentro.
Intanto che Esme si allontana, lascio vagare lo sguardo in giro, sulle persone che popolano questo spazio, e tra i tanti e aberranti visi, scorgo per un attimo quello di Mattia. Cioè, non sono sicura che sia lui, ma lo spero…
Mi volto verso lo sportello semichiuso del furgone, dandovi un colpo secco.
«Quanto ti decidi a uscire?»
«Tra un attimo! Sto dando gli ultimi ritocchi.»
«Ritocchi a cosa? Non c’è nulla che può migliorare quel coso.»
«Lucky, fatti le tua e non rompere.»
Sbuffo, butto a terra le cartelle e appoggio la schiena allo sportello, incrociando le braccia al petto e calciando svogliatamente i sassolini dell’asfalto.
«Lucky!»
Mi sento chiamare da una voce profonda. Alzo lo sguardo e vedo Mattia venire verso di me, con le mani infilate nelle tasche dei jeans larghi.
«Ciao»ricambio il saluto e accosto la mia guancia alla sua.
«Che ci fai qui? Sei sola?»
«Sono venuta a perdere un po’ di tempo con le mie amiche»
«Quelle immaginarie?»
«Ehm… No. Alice è dentro che si cambia e le altre sono andate… Boh, da qualche parte. Tu che fai qui?»
«Sono in giro con i ragazzi… Stanno cercando qualche lavoro in giro…»
«Ah, e ci sono tutti?»chiedo speranzosa di sentire un: “No, Alessandro è rimasto a casa perché ha preso una malattia mortale di cui non si conosce la cura”.
«Sì, sì, ci siamo tutti»dice girandosi un attimo, giusto in tempo per vedere i tre ragazzi venire verso di noi.
«Ciao belve»li saluto una volta che mi sono arrivati davanti. Nulla di personale, io saluto spesso le persone con appellativi come “belve”, “bestie” o “animali”.
«Ciao stronza»risponde Alessandro scostandosi il ciuffo.
Sono già pronta a rispondere, ma Sebastiano ci interrompe.
«Non cominciate, dateci un attimo di tregua!»
«Sì, ma dov’è Alice?»chiede Emanuele.
«Sono qui»dice quest’ultima, aprendo lentamente lo sportello e uscendo dal furgone.
Devo dire che quel vestito le sta da schianto. La fa così… Boh, bellissima. Vedo infatti la mascella di Emanuele cadere verso il basso, come se la molla che la teneva su si fosse rotta.
«Sei una bomba» esordisco sollevandole un lembo della gonna, mostrando le sue gambe nella loro intera bellezza.
«Sta ferma, cazzo.»
«Al, sei figa, lei ti aiuta solo a metterlo in risalto»dice Sebastiano facendogli l’occhiolino.
«Sì, sei bellissima»interviene Mattia.
«E’ sexy, altroché!»esclama Alessandro.
Ovviamente lei è più che grata per questi complimenti, ma viste le occhiate che lancia di sottecchi al più basso del gruppo, si vede che aspetta solo un suo commento.
«Sei molto carina»le dice infine Emanuele, guardandola negli occhi, nello stesso identico modo in cui vorrei che qualcuno si rivolgesse a me, ma io sembro dannatamente incapace di trovarmi un ragazzo decente.
«Grazie.»
Ma per favore. Pensano di passare davvero inosservati facendosi complimenti come bambini delle elementari? Se è possibile, danno ancora più nell’occhio, visti i commenti deliranti di poco fa, da parte degli altri.
«Okay, vatti a cambiare e non metterci diec’anni» dico spingendola nel furgone.
Stare con queste bestie è l’ultima cosa che chiedevo alla vita.
<> <> <>
Le ragazze sembrano aver preso velocemente confidenza con i nostri “cari amici”. Sebastiano ed Esmeralda se ne stanno a chiacchierare amabilmente di piercing e tatuaggi, Alice sta ovviamente con Emanuele, Alessandro è fin troppo appiccicato a Debora, Federica è da qualche parte a farsi una canna, e io… Beh, effettivamente non sono in compagnia di nessuno, ed è l’unica cosa che non mi va affatto bene.
Mi muovo lungo il perimetro della bancarella, sotto gli occhi vigili del proprietario, che mi ricorda vagamente un  terrorista, e vado verso Mattia, che sta osservando alcuni orecchini.
«Trovato qualcosa?» gli chiedo sorridendo.
«Niente di speciale, ma questi mi piacciono» dice mostrandomi due orecchini dai colori giamaicani.
«Belli, ma…» mi avvicino al suo orecchio per non farmi sentire «Questo qui li vende solo in coppia, ho già provato a chiedergliene solo uno.»
«Vabbè, li prendo tutti e due, allora» dice tirando fuori il portafoglio e pagando con una banconota.
«Anzi, facciamo così» riprende porgendomi uno degli anellini giamaicani «Uno lo prendi tu.»
Mi sfilo velocemente la mia “girandola” nera e la sostituisco con l’orecchino, cosa che fa anche lui.
«Adesso siamo decisamente fighi» dico sorridendogli, probabilmente come un’ebete, e andando verso gli altri.
«Uh, vi siete presi gli orecchini uguali, che carini!» esclama Esmeralda, sempre attenta ai dettagli.
Le sorrido e la supero, andandomi a sedere su un muretto rosso di una casa, poco più in là. Io adoro Esmeralda, dopo Alice, è la persona con il cuore più grande che io conosca. Ha un carattere tranquillo, non ama sproloquiare, le basta avere un accendino e una sigaretta per essere felice. L’unica pecca, di un certo spessore, è che è considerata la puttana della classe, anzi, di tutte le quinte. Ed è vero, effettivamente l’ha data a molti ragazzi, ma onestamente non credo che lo faccia solo per il gusto di una scopata. La realtà è che ha un carattere molto debole, è rimasta segnata da quando suo padre l’ha abbandonata con sua madre e sua sorella, a dodici anni. Credo che alla fin fine cerchi nei ragazzi quella figura paterna che gli è mancata in questi anni, e spesso crede di aver trovato davvero un ragazzo che la ami senza interesse, e questo lo so bene perché ogni volta che la mollano me la ritrovo spesso sotto casa che piange, a orari improbabili. Mi dispiace per lei, ma non riesco a capirla a fondo, abbiamo caratteri troppo diversi, l’unica cosa che riesco a fare è prepararle un tè e farla sfogare. E adesso la vedo appiccicata a Sebastiano. Fino ad ora l’unica cosa che mi ha impedito di andare a picchiare i suoi ex, è che non li conoscevo, ma se accadesse qualcosa con Sebastiano, non avrei nessuna scusa per non ucciderlo, anche se mi sembra un tipo a posto.
«Oh Lucky, fai l’asociale?» mi riscuoto dai miei pensieri, attirata da Federica, spuntata non si sa da dove.
«Dici a me che sono asociale? Tu dove sei sparita?»
«C’era un mio amico e ci siamo messi a chiacchierare.»
«Sì, ci credo proprio ora che avete chiacchierato.»
Il mio commento non fa assolutamente riferimento a qualche maliziosità, ma piuttosto all’odore di erba che proviene dai suoi vestiti.
«Non rompere. Perché non vai da quelli là?»
«Uno di loro mi sta sul cazzo, perché non ci vai tu? Se sei fortunata trovi qualcuno che vende fumo a buon prezzo.»
«Non credo proprio» risponde con una smorfia «E poi anche a me uno non mi va tanto a genio.»
«Chi?» chiedo avvicinandomi incuriosita.
«Quello lì con il ciuffo» mi sussurra in un orecchio.
Sorrido tra me e me, cercando di non pensare al fatto che l’odiosità di Alessandro è più che palese anche all’occhio degli altri.
<> <> <>
Schifo. L’unica parola che mi viene in mente è questa. Superiamo le porte automatiche, e guardo con disgusto un’impiegata che strofina velocemente un straccio su un tavolo per “pulirlo”. Il McDonald’s è in assoluto il posto in cui non entrerei nemmeno se mi pagassero, a parte in questo caso. Solo l’odore mi fa rivoltare lo stomaco, mentre dietro di me sento già i ragazzi che parlano di cosa ordinare.
«Tu cosa prendi?»
Vedo Alice sbucarmi alle spalle e appoggiarmi una mano sul fianco.
«Niente, non ho fame.»
«Tu non hai mai fame. Dovresti mangiare qualcosa.»
«E invece no» rispondo un po’ scocciata dall’argomento della conversazione.
Ma saranno cazzi miei? Se mangio o no non influisce nella sua vita. Ma perché la gente non vuole capirlo? Ogni cosa che faccio deve per forza avere una spiegazione e anche ciò che non faccio deve avere una spiegazione. Non ho un briciolo di vita mia, eppure sono adulta e vaccinata, quindi perché devo farmi tanti problemi? Effettivamente, non lo so nemmeno io.
Andiamo alle casse e diamo il via alle infinite ordinazioni, tra “Big Questo” e “McQuest’altro”.
«Io intanto vado al tavolo» dico per poi dileguarmi velocemente, per non dover sentire le repliche di qualche rompicoglioni.
Vado spedita verso un tavolo in legno chiaro, circondato da sedie verdi e marroni. Mi siedo su una di queste, prendendomi la testa fra le mani mentre sento un cupo gorgoglìo provenire dal mio stomaco.
Sento gli occhi pizzicati dalle lacrime calde, che premono per trovare una fessura e uscire fuori. Sospiro e rivolgo lo sguardo verso l’alto, tentando in qualche modo di farle riassorbire. Odio questo mio bisogno di piangere nei momenti meno opportuni, odio il fatto che queste lacrime non hanno alcun senso… Odio tutto.
Mi passo una mano tra i capelli scostandomeli dal viso e vedo i ragazzi tornare con dei vassoi tra le mani e accomodarsi al mio tavolo e a quello vicino.
«Ti ho preso delle patatine» mi dice Alice accomodandosi nella sedia verde accanto alla mia.
Sbuffo mettendomi seduta in maniera decente.
«Che palle Al, ti ho detto che non ho fame!»
Come se non avessi parlato mi piazza davanti una porzione di patatine per bambini.
«Hai qualche problema con il cibo?» domanda Alessandro.
«No, ma sembra che tu abbia qualche problema con il farti i cazzi tuoi» rispondo inacidita.
Vedo già le labbra di tutti incurvarsi in un sorriso, segno della loro preparazione psicologica ad assistere ad un’imminente litigata.
Ora come ora, Alessandro è il mio unico antistress.
<> <> <>
 
Perché cazzo non ci riesco? E’ terribilmente frustrante. Non so da quanto tempo sono china su questo stupido cesso, tentando di vomitare, ma a me sembra fin troppo. Che siano passati due minuti o dieci, con due dita in gola non sono affatto piacevoli. Sono ancora incazzata per il comportamento di Alice, mi ha praticamente costretto a mangiare dodici patatine. Ripeto: dodici patatine. Sono appena tornata a casa e… Beh, credo che  abbiate già capito che sto cercando di evitare un disastro e di vomitare ciò che ho mangiato, ma nonostante i  continui conati, non riesco rigettare nulla. Mi accovaccio esausta sul pavimento, appoggiando la fronte alle ginocchia  sentendo le lacrime scivolarmi giù dal viso. Mi piacerebbe riuscire a rigettare anche le mie paure e le mie paranoie, ma se non sono capace mi buttare fuori ciò che è nel mio stomaco, figuriamoci ciò che è nella mia anima, se ne ho una. Mi asciugo le lacrime con il bordo della manica e mi alzo da terra facendo finta che non siano mai sorte. Vado in camera, infilandomi una maglia a maniche corte e nei pantaloni bianchi della St. Diego.
Mentre raccolgo i capelli con una pinza rosa cerco il mio mp4 con lo sguardo, scorgendolo sepolto tra i fogli lasciati sparsi sulla scrivania, insieme alle penne mordicchiare e distrutte.
Esco fuori all’aria aperta mettendo una traccia a caso dell’mp4. Una corsetta è ciò che mi serve per smaltire le schifezze che ho mangiato. Comincio a correre appena uscita fuori dal cancello, con movimenti ampi e leggeri, respirando lentamente. Senza neanche rendermene conto sento le note di “Cyrcus”, di Britney Spears, spegnarsi nelle mie orecchie, passando a “Ciao” di Alessandra Amoroso, la mia adorata Ale. Ripeto le parole nella mia mente e le sussurro lievemente, mentre stringo gli occhi facendoli ridurre a due fessure, sia per impedire di farmi accecare dal sole, sia per osservare un ragazzo in lontananza che sta venendo nella mia direzione. Cammina tranquillo a passo spedito, concentrato a giocherellare con un portachiavi, e sorridendo non appena solleva lo sguardo su di me. Che cazzo sorridi?
Si avvicina e continua a sorridere, mettendomi a soggezione. Abbasso lo sguardo e faccio per superarlo accelerando leggermente, ma mi afferra per un braccio.
«Che fai? Non saluti nemmeno?» mi chiede facendomi specchiare nei suoi occhi azzurri.
«Oddio Mattia, non ti avevo riconosciuto» dico togliendomi le cuffie dalle orecchie e cominciando ad avvolgerle.
«Che stavi facendo?»
«Correvo, non si vede? Cosa fai tu, piuttosto.»
«Camminavo, non si vede?» risponde cercando di imitare il mio tono di voce.
«Simpatico che sei. Comunque…»
Vorrei dire qualcosa, ma non so cosa di preciso, non lo conosco tanto da riuscire a instaurare una conversazione su due piedi.
«Comunque… Pensavo, se…» riprende cominciando di nuovo a giocare con la piccola tartaruga che usa come portachiavi.
«Se…?»
«Non lontano da qui ha aperto un ristorante cinese che vorrei sperimentare e mi chiedevo se ti va di venire con me.»
Cinese, lo adoro. Ma l’idea di mangiare non è affatto invitante, specialmente dopo l’esperienza di questo pomeriggio. Mi mordo il labbro inferiore, già abbastanza screpolato.
«Veramente dovrei…»
Dovrei studiare, è questa la verità, e sarebbe anche una scusa perfetta, ma…
«Niente, non devo fare niente. Vengo volentieri.»
Fanculo tutto. Fanculo allo studio e anche al cibo, per una sera mangerò come una persona normale, credo.
«Ti vengo a prendere io verso le… 20:00?»
«Va bene, io abito infondo alla terza traversa a destra. La mia casa è rossa, quindi la riconosci subito» dico sorridendogli e chiedendomi come sia riuscito a chiedermi di uscire mentre sono in tuta, con i capelli arruffati e magari con il trucco sbaffato.
«Okay, allora ci vediamo stasera» dice dandomi un bacio leggero sulla guancia, scappando via a passo rapido, e sento nettamente un sospiro di sollievo uscirgli dalle labbra.
Non posso fare a meno di sorridere come un’idiota mentre riprendo a correre.
Per la prima volta da un po’ di tempo aspetto che il tempo passi veloce, non per liberarmi di un’ennesima e inutile giornata.




Il tempo di una sigaretta:
Mi rendo conto che buona parte di voi vorrebbe uccidermi in questo momento, e se volete potete farlo.
Avete svariati motivi per uccidermi, tra questi il fatto che vi ho fatto aspettare una settimana di troppo, o che questo capitolo è piuttosto corto, oppure che fa semplicemente più schifo degli altri, soprattutto per il fatto che ci sono pochissime descrizioni e ancor meno riflessioni.
Mi dispiace di avervi fatto attendere, davvero tanto, perchè personalmente odio aspettare i capitoli.
Ringrazio la mia adorata Freakyyep, Mistina e Opora per aver recensito, e anche se Emma Wright non ha recensito, sono sicura che ha letto lo scorso capitolo, e spero di sentirla almeno in questo qui xD
Vorrei spiegarvi che a Lucky viene spesso da piangere perchè la depressione è uno dei sintomi dell'anoressia, e spesso le persone depresse piangono senza motivo.
Sì, va bene, a momento queste note sono più lunghe del capitolo stesso, quindi chiudo qui.
#PaceAmore&Giofrè, UnLuckyStar
Twitter: @Un_Lucky_Star


PRESTAVOLTO:
 Alessandro
 Alice
Emanuele
 Lucky/Fortunata (capelli chiaramente tinti)
 Mattia
 Sebastiano

   
 
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