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Autore: Trick    27/05/2012    4 recensioni
"«Sei il Prefetto di Hogwarts, Remus» le spiegò Lily con un sorriso, camminando verso di lui e stringendogli con salda gentilezza la mano. «Di nuovo».
«No, Lily» ribadì con decisione lui. «Io non posso morire».
«Lo so. Lo abbiamo creduto tutti».
"
(Remus Lupin/Lily Evans).
Un'antologia di fan fiction che copre ogni ship fanon o canon della Vecchia Generazione.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Lily Evans, Remus Lupin
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Racconti di sabbia
Fan fiction perdute nel tempo
*

Ho scelto il mio nome
Rabastan Lestrange/Alice Paciock
*


La fissava gemere sul pavimento con l'espressione un po' annoiata e un po' disgustata di chi ha appena schiacciato un grosso insetto. Pallido e sciupato, il suo viso rotondo era distorto in una maschera di dolore, con gli occhi gonfi e arrossati dalle lacrime che scendevano fino alle labbra e al mento, i lunghi capelli biondi scarmigliati attorno alla fronte sudata, ed ogni centimetro del suo corpo florido tremava incessantemente. Soffriva, soffriva più di quanto avesse mai sofferto, Rabastan lo sapeva e si beava della vista del suo dolore con aria compiaciuta.
L'hai scelto tu.
C'era qualcosa di perversamente terapeutico nella soddisfazione provocata dal vederla lì, ai propri piedi, sconfitta e umiliata, con la camicia da notte candida strappata poco sotto la spalla e i vetri del lampadario frantumato conficcati nei palmi delle mani.
«Ti prego...» la sentì rantolare appena. «Ti prego...».
Una microscopica parte di lui si ritrovò a pensare che avrebbe dovuto portarla via da quella casa distrutta e dalla ferocia follia di Bellatrix. Avrebbe potuto salvarla, forse, se solo l'eco delle risate strappatele da quel dannato Paciock non gli stessero ancora rimbombando nella testa. La guardava, lì a terra, ai suoi piedi, e la vedeva patire le pene dell'inferno e scongiurare pietà e misericordia per il bambino, il dannato bambino, ma lui la vedeva ben più lontana, con l'abito a fiori che ondeggiava al vento e i riccioli biondi acconciati sulle spalle, e Frank Paciock, sempre lì, sempre dannato, con la mano appoggiata alla sua schiena a gioire del suo sorriso.
Aveva scelto lui.
E il bambino, quel dannato, maledetto bambino, quel lurido bambino che portava il suo nome, piangeva e strepitava e strillava, e Rabastan avrebbe solo voluto ammazzarlo. Avrebbe potuto eccome, ma non riusciva a muoversi.
«Rabastan... ti prego».

*

«Rabastan, ti prego».
Stupefatto, Rabastan Lestrange sgranò stupidamente gli occhi. Rimase a fissarla inebetito, con le labbra dischiuse e un continuo ronzio confuso nel cervello. Alice chinò gli occhi con timorosa colpevolezza, si alzò di colpo dalla raffinata poltroncina e si avvicinò a lunghi passi alla finestra che si affacciava sul cortile della grande dimora dei Blishwick. Iniziò a tormentarsi le mani e quando parlò nella sua voce risuonò una note di genuino dispiacere.
«Sappiamo entrambi per quale motivo mi stai chiedendo di sposarti».
Rabastan si alzò a sua volta in piedi e si lisciò istintivamente il mantello.
«Alice, io...».
«Non sarò io a sostituire Andromeda Black nel tuo letto nuziale» lo interruppe con voce bassa. «Lei è fuggita e Narcissa è destinata a diventare la signora Malfoy a breve. Mi rendo conto della spiacevole situazione in cui sei finito, ma...» si voltò per rivolgergli un'occhiata penetrante, «io sono una Blishwick».
«Una nobile casata...».
«Dai vanti ben diversi dei Lestrange» continuò imperterrita. «Mi dispiace, Rabastan. Comprendo che tu voglia mantenere alto l'onore della famiglia che rappresenti, ma non credo di essere la donna giusta».
Paralizzato dall'incredulità, aveva continuato a fissarla in silenzio. L'improvvisa sensazione del fallimento gli rovinò addosso con la consapevolezza che suo fratello aveva avuto successo laddove lui si era impantanato. Di nuovo, Rodolphus continuava ad essere il primogenito di spicco e l'importante baluardo degli ultimi Lestrange, mentre lui, Rabastan, aveva permesso che un sudicio Sanguesporco gli rubasse la promessa sposa. Non amava Andromeda Black, né mai probabilmente avrebbe potuto amarla, ma sarebbe potuta diventare una moglie devota e servizievole come la sorella più giovane si apprestava a diventarlo per Malfoy. Non poteva vantare né la bellezza eterea di Narcissa né la tempra e la passionalità di Bellatrix, ma Rabastan si sarebbe accontentato, arrendendosi ancora una volta alle ben più floride possibilità del fratello maggiore. Andromeda avrebbe dovuto pagare lo scotto dell'umiliazione, della vergogna, della sua fuga d'amore con quel cane di un Tonks, eppure era lui, Rabastan, la testa sul quale stavano scrosciando tutte le derisioni e le beffe delle famiglie Purosangue.
Aveva sperato di poter trovare in Alice Blishwick quello che non aveva potuto ottenere da Andromeda Black; lo aveva sperato al punto tale da convincersi che nessuna giovane nubile avrebbe mai potuto rifiutare la sua proposta di matrimonio. Era ricco, era nobile ed era puro. Era un Lestrange, ma ora quella dannata ragazza – una Tassorosso, per giunta! - gli si opponeva. La bellezza di Alice Blishwick si discostava largamente da quella delle sorelle Black: di modesta statura, dai fianchi floridi e dal portamento semplice e sereno di una persona a cui non è mai stata insegnata l'arte dell'ambizione. Non era niente, a conti fatti, non era che l'ultima discendente nubile di una casata destinata a estinguersi con lei, eppure sembrava non interessarle. Lui e ciò che poteva offrirle non le interessava.
Rabastan si sentì montare dalla furia.
«Non potete pretendere altro» le ringhiò con una smorfia. «Credete forse che saranno in molti ad accorrere alla porta di vostro padre per chiedere la vostra mano? Non possedete né la ricchezza dei Malfoy né il fascino dei Black né potete vantare conoscenze altolocate. Non siete che una famigliola di periferia alla stregua dei Weasley, come potete rifiutare me? Sono quanto di meglio potreste mai ottenere».
Per un attimo Rabastan credette che l'offesa l'avrebbe fatta inferocire, che l'avrebbe scacciato dalla propria proprietà, dandolo in pasto agli Ippogrifi allevati nelle scuderie del padre. Invece, la giovane Blishwick rimase impassibile, rigida davanti alla grande finestra del salotto e con le mani compostamente strette al grembo. I suoi grandi occhi celesti luccicavano appena, ma Rabastan non intravide nulla nel suo viso che potesse esprimere rabbia o indignazione. Sembrava serena, tranquilla... compassionevole.
«Mi sposerò solo per amore» ripeté con un sorriso mesto. «E mi dispiace, Rabastan, che voi non possiate capire quanto questo sia importante».
«L'amore non è che...».
«L'amore è vitale» lo interruppe. Si avvicinò di qualche passo a lui e gli posò appena la mano sul petto. «Spero solo che un giorno possiate rendervene conto a vostra volta».
Il ricordo fin troppo limpido della sincerità e dell'apprensione della giovane strega tentò di torturarlo per diversi giorni a seguire. Lo tenne distante, ripetendosi che non c'era nulla di giusto in quella maledetta Tassorosso, nulla di puro, nulla di nobile. Era solo Alice Blishwick, era solo l'ultima di una dinastia di perdenti. Era solo una ragazza dal viso rotondo e il sorriso allegro che mai avrebbe potuto rendere onore alla famiglia dei Lestrange. Eppure, parecchi mesi più tardi, quando la Gazzetta del Profeta pubblicò l'annuncio del suo matrimonio con quel ridicolo Auror, sentì nuovamente la collera montargli nel petto. L'aveva osservata ridere dalla fotografia in bianco e nero e agitare una mano accanto a quello stoccafisso con la divisa degli Auror – quell'idiota – fin quando il pensiero che lei sarebbe dovuta essere sua non divenne troppo feroce e gli fece strappare ogni centimetro del giornale.
Avrebbe dovuto essere sua.

*

«Rabastan... ti prego».
«Ti avevo offerto una straordinaria possibilità, Blishwick. Avrei potuto donarti tutto ciò che una donna potrebbe desiderare, qualunque gioiello e qualunque abito... avresti avuto ogni cosa, se solo avessi scelto me».
Rabastan si inginocchiò davanti al suo volto cereo con un sogghigno maligno. Avvertiva nell'aria qualcosa di tremendamente giusto, come se ogni pezzo avesse dovuto incastrarsi proprio lì, nel soggiorno di casa Paciock, con lui che finalmente sovrastava quella folle sciocca che lo aveva denigrato per l'ennesima volta e che aveva portato ogni membro della comunità magica ad additarlo come un idiota, un fallito, un incompetente. L'ombra del fratello Rodolphus, l'ombra di qualunque altra conquista dei Lestrange. E ora Alice era davvero lì, sconfitta e umiliata, e la sua fastidiosa bontà era distante nel tempo e nello spazio.
«Saresti stata ricca. Saresti stata potente. Saresti stata tutto ciò che non potrai mai più essere, ma hai fatto la tua scelta, e alla fine era la scelta sbagliata, Blishwick».
Le afferrò con rudezza il mento e la costrinse a sollevare il capo verso di lui. Quando incrociò i suoi brillanti occhi celesti, Rabastan trattenne a stento un brivido. Vi era qualcosa di folle, nel suo sguardo intenso, qualcosa di malato nella feroce determinazione con cui lo fissava. Sembrava voler gridare, sembrava esplodere di coraggio e virtù, sembrava non temere più né lui né la morte, e Rabastan si convinse di non aver mai visto un paio d'occhi più belli di quelli di Alice Blishwick. Sebbene gli stesse morendo ai piedi, sebbene le grida infinite e il dolore gli avessero ormai strappato la voce, pareva proprio che fosse lei, quella in procinto di vincere.
Tremanti, le labbra di Alice si storsero in un sorriso beffardo che lo fecero rabbrividire.
«Rabastan, ti prego...» mormorò con audace sarcasmo. «Il mio nome... è Alice Paciock».
   
 
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