Avventura nella Selve
In questo mondo è importante
Non
avere l’aria di ciò che si è.
«E’ assurdo, non capisco per quale motivo dobbiamo
scomodarci così presto», asserì Ser Jory, esibendosi in strane contorsioni per
infilare un paio di pantaloni in pelle marrone.
«Suvvia, cavaliere, non credevate mica di essere giunto fin qua per dormire»,
lo schernì Daveth, suo compagno di stanza da quando era arrivato a Ostagar,
appena due giorni prima.
«Certo che no, ma buttarci giù dal letto all’improvviso», grugnì l’ultima
parola, nello sforzo di coprirsi il sedere, «inoltre, l’iniziazione non era
stata decisa per domani?»
«Eh amico mio, se frequentassi le serve come faccio io» asserì lascivo,
alzandogli il mento con la punta di un coltello dalla lama serpeggiata,
«sapresti che Duncan ha scovato un altro sventurato come noi, da qualche parte
a ovest», fece un passo indietro e prese a pulirsi l’unghia del pollice con il
pugnale.
Jory lo fissò aspettando il seguito che non arrivò.
«E questo che cosa c’entrerebbe, di grazia, con la nostra ultima prova?»
Domandò a denti stretti, già pentito di avergli dato spago.
«C’entra; c’entra», buttò giù l’altro, fingendosi sovrappensiero, quel tanto
che bastava per creare il giusto pathos.
«Oh, andate al diavolo, Daveth!» Esclamò perdendo la pazienza dopo l’ennesima
pausa enfatica del compagno.
Pensò che dopotutto non avesse importanza, non era lì per dormire ma per
diventare custode e combattere la Prole Oscura, come da tradizione.
E se il suo comandante aveva deciso di iniziarli all’alba, così sarebbe stato.
Infilò malamente anche la maglia di lana spessa, necessaria sotto l’armatura,
e, a grandi passi, uscì dalla stanza, diretto al quartiermastro.
Daveth scosse la testa, seguendo con lo sguardo quella rossiccia e stempiata
dell’amico sparire oltre la soglia; strinse l’ultima cinghia dello stivale di
cuoio e scese, con tutta calma, al piano di sotto. Trovò anche il tempo di
scherzare con una servetta dal seno pieno, strizzato nel corsetto.
«Finalmente, Daveth, credete forse che abbiamo tempo da perdere?» lo ammonì
Alistar, un veterano dei custodi, nonostante la giovane età.
Il moro si limitò a un sorriso sghembo, sollevando da terra un piccolo scudo di
legno con un piede.
Ser Jory rivolse ad Alistar un’espressione esasperata, mentre il mastro
armaiolo gli chiudeva le giunture laterali dell’armatura.
Alistar ricambiò quello sguardo, infilando la spada nel fodero con un gesto
secco.
A volte si chiedeva dove li pescasse, Duncan, tipi del genere! Di Daveth si
sapeva solo che era uno scapestrato, un ex furfante che aveva avuto la fortuna
di trovare il comandante sulla stessa strada.
Chissà, poi, perché riceveva tanta fiducia.
«Allora», proferì.
Scacciò via i cattivi pensieri, e camminando davanti alle due reclute,
continuò:
«Sapete già che dall’esito di questa missione dipenderà la vostra entrata nei
ranghi dei custodi».
«Sì», risposero i due, l’uno convinto, l’altro annoiato.
Il custode si avvicinò a Daveth e, alitandogli in faccia, riprese il filo del
discorso con tutta l’autorità che riuscì a raccogliere nel proprio animo.
«Quest’oggi dovremo recuperare delle antiche pergamene, che si trovano nella
roccaforte assediata pochi giorni fa dalla prole oscura».
«Cosa c’è in quelle pergamene?»
«Lo saprete a tempo debito», asserì, girando solo il capo alla volta di Jory,
il quale indietreggiò, raccogliendo le mani dietro la schiena.
«Siete stati allenati per combattere la prole oscura, oggi avrete la
possibilità di mostrare il vostro valore!» continuò Alistar, camminando avanti
e indietro davanti alle due reclute.
«Inutile dirvi che non sono ammesse seconde possibilità», tagliò corto
non sapendo più cosa aggiungere; decisamente, non era mai stato bravo con le
parole.
«Voi sì che sapete come accattivarvi le folle, eh?», lo canzonò Daveth
superandolo.
Alistar arricciò le labbra in una smorfia e seguì il moro al cancello del
confine con le selve Korcari, nel cuore delle quali si trovavano le antiche
pergamene.
Le selve dovevano essere viste dall’alto, per essere apprezzate in tutto il
loro decadente fascino: la palude laccata dai pallidi raggi del sole; gli
aironi indolenti che con il becco lungo increspavano l’acqua; le gemme di brina
che, all’alba, impreziosivano le ragnatele tra gli alberi, cui la nebbia faceva
da chioma…
Un grosso corvo nero, dalle lucenti piume, si appollaiò sul ramo di una quercia
dal tronco marcio.
Poco distante, sullo stesso ramo, una piccola larva gialla usciva, tranquilla,
da un foro.
Il grosso corvo la osservò indifferente per alcuni istanti e, poi, tlack!
Affondò il suo becco sulla povera bestiola e, con aria tronfia e soddisfatta,
la fece scendere nel gargarozzo. Pulì infine il becco sotto l’ala.
In quel momento, un curioso trio di soldati catturò la sua attenzione; aguzzò
la vista: erano proprio umani, non Prole Oscura; ma che curioso incontro: cosa
ci facevano lì, nel cuore delle selve?
Solitamente, infatti, si limitavano a fare la ronda lungo i confini.
Decise che voleva saperne di più, perciò volò sull’albero accanto e così via,
fino ad averli vicino.
Allungò il collo, girando la testa per meglio sentire le loro parole.
«… e poi questo posto non mi piace per niente.»
Disse uno di loro.
«Ah, ah! Daveth, a quanto pare avete finito di fare lo spavaldo!»
Lo canzonò un cavaliere tarchiato, con un grosso naso a patata e i capelli
rosso scuro.
«Parlate voi, che siete il primo dei fifoni! E poi perché non conoscete le
leggende su questo posto: dicono sia abitato da strane creature.»
«Non più strane della prole oscura con cui dovrete combattere!».
Un ragazzo biondo, di bell’aspetto, zittì il piccolo teatrino, arrestando il
passo; cacciò dallo zaino una mappa malridotta. La studiò un po’ e riprese il
cammino, indicando la strada con l’indice.
«Già, ma potrebbero non esserci.»
Constatò il moro con fare saccente.
«E invece vi dico di stare in guardia, Daveth.»
«Sembrate sicuro di ciò che affermate.»
«Più che sicuro!»
«E come fate a…»
«Ehi guardate là!»
Li interruppe il rosso, fermandosi nel bel mezzo del sentiero.
«Quella sì che è una strana creatura: mai visto corvo più grasso!» esclamò,
fissando la bestiola.
La quale si arruffò, gonfiando tutte le piume.
Il moro scoppiò a ridere: «Ah ah, a quanto pare, sembra che l’abbiate offeso.»
Alistar li fissò in cagnesco. Non era un musone, ma c’era un tempo e un
luogo per tutto; e le selve Korcari, piene zeppe di Prole Oscura, di certo era
il meno adatto per simili perdite di tempo.
Alzò un pugno in aria e, riempiendo i polmoni richiamò le due reclute
all’ordine, mentre il corvo si gustava la scena: divertito che giustizia fosse
stata fatta.
Ciò che diverte, però, finisce sempre in fretta, e ben presto, l’uccello, fu
costretto a librarsi nuovamente, per non perdere di vista quel mal riunito
trio.
La sua curiosità cresceva ad ogni frase sentita: parlavano di una
missione da svolgere; ma in cosa consistesse non era ancora molto chiaro.
Certo che, il biondo aveva intuito bene. Infatti, non lontano da lì, c’era
proprio un accampamento di demoni.
E il corvo sapeva cosa avrebbe comportato tutto ciò, per questo seguiva con
interesse quel pugno di uomini.
«Fermi!» ordinò poi il biondo, allargando le braccia per bloccare i compagni.
«Ci sono dei Prole Oscura, a circa un miglio da qui.»
Il corvo, incredulo, alzò la testa all’orizzonte e con sua somma sorpresa
scoprì che era vero: esattamente a un miglio da lì, c’era un accampamento di
Prole; proprio al di là del ponte di pietra.
Planò su di un ramo sopra la testa dei tre soldati.
Anche prima, quell’Alistar, aveva giurato di sentire la presenza dei demoni; ma
la bestiola l’aveva creduto un semplice sfoggio di arroganza. Invece, quell’uomo
sapeva per certo della loro presenza, finanche la distanza.
Com’era possibile? Che si trattasse di un Custode?
Questo avrebbe cambiato ogni cosa.
Giorni fa, infatti, quegli stessi demoni avevano occupato una vecchia
roccaforte; all’interno della quale erano custoditi dei documenti molto
importanti per l’ordine dei grigi.
«Ascoltate, da adesso non sono ammesse distrazioni.»
Alistar staccò dall’albero un piccolo ramo e, con quello, iniziò a tracciare
dei segni sul terreno limaccioso.
«Prima di questo ponte, ci sono delle file di alberi…
proprio qui; voi Daveth, che sapete usare l’arco, vi nasconderete in questo
punto e ucciderete i…»
Il guerriero alzò la testa volgendosi a nord, e riprese:
«Quattro Prole Oscura.»
«Sapete addirittura quanti ne sono?»
Alistar fulminò Daveth con lo sguardo, e tornò alla strategia di attacco.
«Il vostro obiettivo sarà di ucciderli al primo colpo, quindi cercate di mirare
ai punti vitali.»
«Mentre voi, Jory, verrete con me: faremo il giro da qui e…»
Il corvo, annoiato da tutte quelle chiacchiere, decise di lasciarli ai loro
piani e di precederli al ponte.
Poco dopo, scorse il trio avvicinarsi quatto al ponticello.
Daveth rivolse agli altri un segno di assenso e si schiacciò contro il tronco
di un albero ricoperto di muschio; fece un grande respiro e, quando i polmoni
furono pieni della nebbiolina della palude, li svuotò, posizionando la freccia.
Li vedeva: erano in quattro, proprio come aveva anticipato Alistar; ma nessuno
si era preso la briga di descriverglieli.
Daveth il furfante immaginava a cosa sarebbe andato incontro, unendosi ai
custodi; ma il giorno in cui aveva ricevuto la proposta, non era stato in grado
di dire di no all’uomo che gli aveva appena salvato la vita: Duncan.
Tuttavia, se solo avesse saputo… se solo…
Le mani gli iniziarono a sudare; la bocca a seccarsi, al punto da non riuscire
nemmeno a deglutire.
Tornò a nascondersi dietro l’albero per recuperare il controllo, ma il cuore
non voleva saperne.
Fu un attimo: quando tornò in posizione, un mostro tarchiato gli apparve
dal nulla, urlandogli in faccia e brandendo una mazza.
Aveva un guscio duro al posto dei capelli, e gli occhi erano quanto di più
terrificante potesse esistere.
Il ragazzo non ci pensò due volte e scappò, scoprendosi completamente.
La corsa, tuttavia, non durò molto: incespicò su una radice e rovinò in un
laghetto melmoso.
Il mostro lo seguì in acqua. Così Daveth cercò di camminare fino a riva ma le
alghe gli bloccavano le gambe. E il fondo paludoso era talmente molle da non
sentirlo sotto i piedi.
Il giovane si portò istintivamente le mani al viso, in attesa del colpo di
grazia.
Uno schianto; un urlo; un’onda d’acqua. Poi nulla: era ancora vivo.
Quando riaprì gli occhi, vide Jory che gli sorrideva beffardo, con il pesante
scudo ancora parato in avanti.
Alistar, nel frattempo, era alle prese con un emissario harlock:
un prole oscura dall’aspetto simile a quello di un essere umano, se non fosse
stato per la bocca e gli occhi cuciti da filamenti membranosi.
La lama della sua spada sfavillò a contatto con l’altra, che riuscì a
sopraffare.
Il prole oscura tentò di colpirlo ad un fianco ma, prontamente, Alistar si parò
con lo scudo.
Digrignando i denti, spinse il demone a terra, a mezzo metro da lui.
Si gettò per sferrare l’ultimo colpo ma un altro mostro gli rovinò addosso,
conficcandogli un pugnale tra il collo e la spalla.
Alistar urlò di dolore e cadde in ginocchio; afferrò il mostro per un braccio e
lo tirò di fronte a sé. Appena lo vide toccare terra, gli fracassò la testa con
il bordo dello scudo. E tornò poi, sull’emissario; mentre una pioggia di frecce
oscurava il cielo.
I tre custodi combatterono strenuamente fino a sera; quando Ser Jory gettò a
terra lo scudo, decretando la fine della battaglia.
Con una smorfia di dolore si cacciò una freccia dal costato; sputò a terra un
grumo di sangue.
Alistar si accasciò su una pietra; e si pulì la fronte sudata e sporca di
sangue con il dorso della mano, rivestita di maglie metalliche.
Il corvo, allora, si acciambellò su un muro diroccato, alle spalle dei tre
uomini.
Vide il biondo alzarsi a fatica dalla propria seduta; mentre il moro, sebbene
fosse malridotto, aveva ancora la forza di rovistare tra i cadaveri, in cerca
di oggetti di valore.
«Coraggio, Daveth, non perdiamo tempo: Duncan si è raccomandato di tornare il
più presto possibile», gli urlò Alistar, raccogliendo da terra le proprie armi.
«Perché tanta fretta, ormai il grosso è fatto: le pergamene sono già in mano
nostra.»
Dopo aver proferito quelle parole, Daveth sentì un grosso corvo
gracchiare sopra la sua testa e i capelli scompigliarsi, sfiorati dalle ali dell’animale.
La bestiola, una volta superato l’uomo scomparve in una nube scura; e quando
questa si dissipò, al suo posto apparve una donna dai capelli neri e gli occhi
gialli.
«Una strega», constatò Alistar a denti stretti, stringendo i pugni «che cosa
volete?»
La donna si avvicinò dissoluta al ragazzo, incastrando gli occhi nei suoi.
«Vedete una povera fanciulla dispersa nella palude e la chiamate subito
“strega”; siete davvero un uomo originale», proferì sarcastica, alitandogli in
volto con le labbra carnose.
«Non fate la leziosa con me, strega, e rispondete alla domanda», tuonò il
biondo.
«State attento, Alistar, o ci trasformerà in ranocchi: è una strega delle selve»,
fremette Daveth.
«Ah ah», la ragazza proruppe in una risata argentina, piegando indietro il
collo sottile e bianco «e non vi
piacerebbe? Almeno sareste in grado di nuotare nello stagno, invece d’annodarvi
le caviglie con le alghe», lo schernì, riferendosi al suo tentativo di fuga.
Il moro indietreggiò risentito.
La giovane calciò una pietruzza con la punta dello stivale che le arrivava alle
cosce: «Ad ogni modo, ciò che cercate non è qui».
«Che cosa intendete dire?»
«Esattamente ciò che ho detto», asserì seccata: detestava doversi ripetere.
«Uno stolto e un pavido», riprese, guardando Alistar »qual è, invece, la vostra
qualità? La bravura nello scegliere i compagni?»
«Credete di essere divertente?» domandò il diretto interessato.
«Uhm, a dire il vero», si osservò le unghie corte e vi passò sopra un pollice ,
«sì!».
Il custode approfittò di quell’attimo di distrazione e la ghermì per un
braccio, tirandoglielo dietro la schiena.
Il viso della donna si contrasse in una silenziosa smorfia di dolore.
«Non provocatemi, strega, o dovrete vedervela con me.»
«Me lo promettete?» ansimò con un filo di voce.
Alistar la scagliò a terra: «Sappiate che sono in grado di controllare i vostri
poteri quindi, se fossi in voi, inizierei a collaborare.»
La donna si rialzò, massaggiandosi il polso; con un’espressione livida in
volto.
Parve rimuginare su quell'avvertimento, come a constatarne la veridicità.
Infine, pulendosi la gonna sfilacciata, annunciò.
«Le pergamene non sono qui: mia madre le ha prese tempo fa per proteggerle dai
prole oscura», parlò con voce atona, portandosi un ciuffo di capelli dietro le
orecchie.
«Vostra madre?»
«Sì.»
«Chi sarebbe?»
«Rivolgetele a lei le vostre domande», sentenziò, seccata: quel gioco aveva
smesso di piacerle nell’istante esatto in cui aveva perso il controllo della
situazione.
Per quanto le riguardava, aveva finito: non avrebbe detto altro a
quell’arrogante uomo.
Girò sui tacchi e prese la strada per casa, senza aspettare una risposta, né
preoccuparsi che la stessero seguendo.
Si era fatta sera, quando la strega si fermò davanti a una capanna di mattoni
bianchi, dal tetto di sterpi.
Torturò il batacchio fino a quando la madre non le aprì la porta. E apparve una
vecchia donna, dai capelli bianchi scomposti sulle spalle, e un bastone stretto
nella mano ossuta.
«Ragazza, chi sono i tuoi ospiti?» domandò tranquilla, affettando lo sguardo su
ognuno di loro.
«Custodi, madre.»
«Ah, suppongo che siate qui per le pergamene», e mostrò una fila di denti
ingrigiti dall’età.
«Quindi avete detto la verità!» esclamò Jory, rivolto alla giovane.
«Ne dubitavate, forse?» lo riprese quest’ultima, «Sono stanca di questi inetti,
madre, consegnategli ciò che vogliono e facciamola finita.»
La vecchia rise di gusto all’atteggiamento della figlia.
«Scusatela, signori, a Morrigan non sono mai piaciuti gli inutili convenevoli.»
Jory fece un passo avanti: «Nemmeno a noi, in simili circostanze.»
«Dovrei dedurre che la nostra conoscenza non vi ha fatto piacere, cavaliere?» lo
schernì la vecchia.
«Siete uno stolto, Ser: non si fanno certe allusioni in presenza delle streghe
delle selve!» sussurrò Daveth, credendo di non essere stato sentito.
«Ah ah, “streghe delle selve”! Che appellativo pittoresco: è stata Morrigan a
mettervelo in testa?» tirò la faccia in un sorriso bambinesco e riprese «Benedetta
ragazza, le è sempre piaciuto dar spago a simili leggende; e dovreste vederla
ballare al chiaro di luna!»
«Madre!» la riprese Morrigan, colta nel vivo.
«Oh, sarebbe fantastico!» asserì Alistar sarcastico, «Magari un’altra volta!
Adesso ridateci le pergamene, vecchia: non abbiamo tempo da perdere.»
«Siete davvero noioso lo sapete?» lo contestò la ragazza.
«Già, perché tanta fretta, custode?» domandò, invece, la vecchia.
«Ciò non v'interessa.»
L’anziana assottigliò lo sguardo sul ragazzo, con il volto serrato in
un’espressione severa.
Quell’uomo insolente stava tirando imprudentemente la corda; troppo, per i suoi
gusti… ma l’avrebbe lasciato fare, almeno quel
giorno.
Distese le rughe e, sorridendo melliflua, ordinò alla figlia di portare le
pergamene.
La giovane tornò poco dopo, con i documenti stretti nella mano affusolata.
«Sono proprio queste: a quanto pare ho sbagliato a dubitare di voi», sentenziò
Alistar, afferrandole.
«Posso sapere per quale motivo le tenevate?»
«Semplicemente, per proteggerle; ve l’ho detto», rispose l’anziana, «ora che sono tornate nelle mani dei custodi,
posso anche congedarmi e godere di sonni tranquilli; Morrigan vi accompagnerà
ai confini.»
«Che cosa?» chiese quest’ultima, contrariata.
«Non fare la difficile, ragazza: sono tuoi ospiti», ricordò la donna,
chiudendosi rumorosamente dentro casa.
«Tsk; a quanto pare vi farò compagnia ancora per un
po’: non è ironico?» sorrise, mal celando lo scontento per il compito
affidatole.
Ser Jory stiracchiò il collo, avvolto nella maglia di lana che portava sotto
l’armatura steccata; sebbene ben coperto, l’umidità era riuscita a penetrargli
nelle ossa e il freddo gli mordeva la nuca.
Alzò il viso al cielo coperto di nubi.
Raccolse da terra un bastone umido; ne constatò la robustezza e decise di
adoperarlo come ausilio: non ricordava di aver mai camminato tanto, e gli
dolevano i piedi, forse più delle ferite che aveva sul corpo.
«Ser, la vecchiaia avanza, eh?» lo canzonò Daveth che lo sorpassò saltellando,
per poi tornare a zoppicare due metri più in là.
Il cavaliere scosse la testa; quel Daveth: che stolto! Prima aveva persino
dovuto salvarlo, e adesso faceva lo spavaldo, come se stesse in gita di
piacere. E, nonostante fosse così malridotto aveva ancora l’energia per prenderlo
in giro.
Riprese il passo e si affiancò ad Alistar, il più esperto dei tre: si era
lanciato senza paura contro tutti i nemici. Chi l’avrebbe mai detto, nonostante
la giovane età, si era rivelato un ottimo stratega e combattente.
«Devo confessarvi di aver avuto qualche remora nei vostri confronti!» gli disse
Jory.
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«A dire il vero, ne avevo già incontrati alcuni quando, con Duncan, sono
partito da Highever .»
«Già, è da lì che venite… so che avete una moglie.»
Jory assottigliò le labbra in un sorriso sognante: »Sì: aspetta il mio ritorno
insieme al figlio che porta nel grembo.»
Annunciò con gli occhi lucidi, proiettati verso chissà quale fantasia.
«Allora vi auguro di riabbracciare i vostri cari; sempre se riusciremo a uscire
da qui.»
«Che intendete dire?» si agitò il cavaliere.
«Non mi sembra di aver percorso questa strada all’andata, voi che ne pensate?»
La recluta si guardò intorno.
«La vegetazione è più fitta», arguì.
«Già, quindi o la strega ha sbagliato strada o ha qualcosa in mente.»
Jory si fermò e deglutì agitato.
«Non è la strada per la fortezza, dove ci state portando?» domandò il custode a
gran voce.
L’etere fu scosso dalla risata piena di Morrigan: «Come siete perspicace.»
I tre uomini si fermarono.
«Che intenzioni avete?» promulgò Alistar, con la mano pronta sull’elsa.
La donna si voltò lentamente, a braccia conserte e, con voce suadente, proferì:
«Uhm… sto disperdendo le vostre tracce per poi
uccidervi.»
A quelle parole il ragazzo brandì la spada, seguito da Ser Jory, pronto
all’attacco. Solo Daveth rimase immobile, a riflettere se fosse conveniente o
no, fingersi morto: quella era una dannata strega delle selve!
«Ah ah, ma guardatevi, bastano due piante fuori posto per mettervi in
agitazione, guerrieri.»
Li canzonò la donna, sorridendo melliflua.
«Non scherzare, strega», l’ammonì Alistar.
«In tre contro una povera fanciulla indifesa, questo sì che si chiama valore.»
«Non siate sciocco, e riponete le armi», aggiunse subito dopo, seria in volto, «questa
è una scorciatoia: non ho intenzione di passare la notte a scarrozzarvi per le
selve.»
E si rimise in viaggio.
Alistar la seguì con lo sguardo, fino a quando non la vide svoltare dietro un
cespuglio.
Fece un sospiro di sollievo, e ripose la lama sotto al mantello rosso.
«Coraggio, andiamo», incitò gli altri e ripresero il sentiero.
Quell’arrogante strega non gli piaceva per niente; peggio per lei se avesse
deciso di inguaiarli!
Prima aveva mentito, poiché in realtà non sapeva come placare i suoi poteri, ma
di una cosa era sicuro: sapeva usare molto bene la spada e di certo, quella lì,
non era la prima maga con cui aveva a che fare; avrebbe trovato pane per i suoi
denti, se solo avesse osato sfidarlo.
Morrigan, però, era stata di parola: grazie a quel sentiero arrivarono a
destinazione in meno tempo del previsto. Mentre all’andata avevano impiegato un
giorno intero.
«Quella è la vostra fortezza; prendete il sentiero alla destra del ceppo e vi
ritroverete al cancello nord.»
Alistar annuì: «Detesto doverlo dire, ma… grazie .»
«Ah, finalmente un po’ di educazione: dite la verità, non siete abituato a
trattare con le signore.»
«E voi sareste una signora?»
La strega sorrise beffarda: «Allora ho detto bene: non ne avete mai vista una!»
Ciò detto, balzò in aria in una nube nerastra; al suo posto apparve un grosso
corvo che, sbattendo le ali, volò via.
Sashar affacciava alla finestra, in attesa di scorgere i tre guerrieri di
ritorno dalle selve.
Il vento gli alitava sul viso rugoso, torturandogli la lunga barba canuta; ma
la vera tortura era sentire i lamenti di dolore del moribondo alle sue spalle.
Si voltò a guardarlo: era contorto dal dolore impietoso della lacerazione
dell’anima.
Il vecchio curatore, infatti, sebbene fosse riuscito a suturargli le ferite,
nulla aveva potuto contro la corruzione che, implacabile, scorreva sotto quella
sua pelle sottile.
L’ultima possibilità sembrava essere solo l’unione: l’antico rito per diventare
custode, tramandato in gran segreto da secoli.
Sashar si allontanò dal davanzale per tornare al capezzale del malato; immerse
una pezza nell’acqua fredda e gli umettò la fronte bollente.
Si domandò, se davvero, proprio quel rito avesse potuto salvarlo; in fondo non
era altro che una bevuta di sangue corrotto, misto ad altre sostanze.
Tuttavia, perché non avrebbe dovuto funzionare? Non era, forse, l’ingestione di
quell’intruglio che rendeva i custodi grigi immuni da tale contagio?
Il vecchio sfiatò i propri polmoni, tornando ad agitare le lunghe dita sopra il
corpo sudato del ragazzo.
Un soldato correva per i corridoi della fortezza, calpestando la scacchiera di
luce proiettata sul pavimento dal sole del mattino.
Si fermò di fronte allo studio del comandante dei custodi. Poggiò una mano
sullo stipite della porta e riprese fiato prima di varcarla.
«Mio signore, le reclute sono tornate», annunciò.
Duncan scompose solo la testa, mantenendo un dito sopra una mappa.
«Signori, continueremo più tardi», promulgò ai custodi intorno al tavolo, lì
per discutere i preparativi riguardo la battaglia contro la prole oscura, che
marciavano verso nord.
I guerrieri annuirono e si diressero all’uscita, con i pesanti mantelli carmini
che svolazzavano contro le loro caviglie.
«Dove sono le pergamene?»
«Consegnate al siniscalco, che provvederà ad attestarne l’autenticità.»
La fronte del comandante si corrugò in un’espressione perplessa, che fu colta
dal giovane come una domanda.
«Ahm… Alistar ha detto che gli sono state date dalle
streghe delle selve.»
«Dalle streghe delle selve?», incalzò Duncan.
«Sì, così ha detto», terminò il giovane.
«A quanto pare sono autentiche», constatò il siniscalco, con un occhio
ingigantito da un spessa lente di vetro.
«Bene, Duncan ne sarà contento.»
«Già, se qualcuno mi spiegasse cosa sta accadendo» promulgò proprio il
comandante, apparendo dietro le spalle di Alistar che s’irrigidì.
«Per quale motivo erano in mano alle streghe delle selve?»
«Ahm… perché hanno voluto proteggerle dalla Prole
Oscura.»
Duncan ragionò su quelle parole, non sicuro di averle comprese bene.
«E per quale motivo, di grazia, avrebbero dovuto?»
«La strega ha…»
«Suppongo abbia un nome», lo interruppe il comandante con sguardo severo.
«Ecco… una di loro si chiama Morrigan.»
«Una di loro, perché quante erano?»
«Due: una giovane e una vecchia», rispose titubante il ragazzo, iniziando a
sospettare di aver sbagliato qualcosa.
«Una giovane e una vecchia», echeggiò Duncan, la cui calma era tradita dallo
sguardo adirato, chiedendosi se Alistar avesse fatto il possibile per valutare
la situazione.
Infatti, conoscendo l’avversione del ragazzo per la magia, temeva che avesse
agito frettolosamente, né le sue risposte lasciavano presagire il contrario.
«E di grazia, l’anziana ha detto il suo nome?»
Il giovane custode deglutì, con le gote leggermente arrossate, maledicendosi di
aver agito come aveva agito.
«No... non gliel’ho chiesto», ammise, sperando che, per una volta, Duncan
lasciasse correre; ma così non sarebbe stato, s’illudeva soltanto: quell’uomo
esigeva sempre la massima attenzione da lui. Da quando aveva saputo della sua
identità.
Di fatto, lo fissava livido in volto o, semplicemente, deluso.
Proprio non capiva perché Alistar fosse tanto restio a comportarsi come si
confaceva a un uomo del suo intelletto, perdendosi spesso in un bicchiere
d’acqua.
«Alistar, spero voi abbiate considerato, durante il vostro colloquio con quelle
donne, che c’è una guerra in atto e inimicarsi delle streghe tanto potenti
sarebbe davvero da stolti; soprattutto se si sono mostrate interessate a
venirci in contro, preservando l’incolumità di tali documenti», proferì.
La mente del giovane si annebbiò all’improvviso e una goccia di sudore freddo
gli scivolò dalla fronte.
Duncan scosse la testa: «Tornerete oggi stesso da quelle donne, e chiederete
loro di unirsi a noi in battaglia.»
Alistar sgranò gli occhi, passando mentalmente in rassegna i comportamenti
tenuti la sera prima, trovandoli tutti discutibili.
«Oggi?» sillabò preoccupato: le sue ferite non si erano ancora rimarginate.
«Certamente, ragazzo; credete forse che la Prole Oscura aspetti i vostri
comodi? E a proposito di questo, ci sono nuove reclute da sottoporre all’unione»,
tagliò corto, lasciando la stanza.
Alistar si umettò le labbra e lo seguì, attraverso la sala dalle grandi
finestre broccate.
Daveth camminava avanti e indietro, sotto il porticato circolare, dove si
sarebbe svolta l’unione.
Si sentiva agitato, come uno scolaretto che aspetta la punizione del proprio
mentore.
Afferrò la borraccia che portava alla cintola, e bevve un sorso.
Ci ripensò, poco prima di riporla, e si attaccò ancora, tracannando il contenuto.
Raggiunse il centro del porticato, in cui convergevano le ombre delle colonne,
e alzò il viso al cielo.
Che cosa ci faccio qui?
L’uomo chiuse i pugni, per via del formicolio che gli torturava le mani
sudaticce.
Pensava e ripensava al motivo per cui aveva accettato di unirsi ai custodi;
l’aveva fatto semplicemente per riconoscenza, non essendo stato in grado, per
l’unica volta nella sua vita, di dire “no”.
Tuttavia, che senso aveva avuto salvare la pelle quella volta, se con i custodi
l’avrebbe rischiata ogni giorno?
Certo, i curatori erano stati bravi con la sua gamba: una sutura perfetta,
quasi invisibile, palesata solo da una sottile linea rosata.
Persino il respiro era tornato regolare… appunto,
era!
Giacchè da un’ora a quella parte diventava sempre più
veloce e irregolare, con l’aumentare dell’attesa.
Probabilmente se fosse stata una cosa immediata, non avrebbe nemmeno avuto il
tempo di farsi tutti quei problemi; di ripensare… di
pentirsi.
Ecco, l’aveva ammesso: era pentito di aver seguito Duncan.
Il ragazzo si accomodò su un gradino; il contatto con la pietra fredda gli gelò
il sedere.
Puntò le mani dietro di sé e si rivolse, nuovamente, al creato, quel giorno di
un vaniglia pallido.
Solo poco tempo prima aveva visto la morte in faccia, letteralmente: quei
mostri andavano al di là di ogni immaginazione; l’incarnazione perfetta della
nera signora.
In seguito aveva combattuto e vinto, ma solo perché Jory glielo aveva reso
possibile, salvandogli la vita; e se fosse stato da solo in quel momento? Avrebbe
finito i suoi giorni in quel luogo inospitale e il suo corpo sarebbe marcito
nella putrida melma che gli aveva incatenato i malleoli.
Voleva davvero vivere la vita in un costante campo da battaglia?
Perché era a questo ciò a cui sarebbe andato incontro, e non era più tanto
sicuro di volerlo.
Desiderava una vita di agi e un letto comodo, non una brandina scalcinata.
«Vi vedo pensieroso», promulgò Ser Jory, salendo i gradini; accompagnato dal
rumore argenteo dei suoi stivali sul marmo.
«Pensavo, già.»
«Vi capisco, sapete: anch’io sono agitato e curioso di sottopormi all’antico
rito. Non siete orgoglioso di essere stato scelto, fra mille, a beare di un
simile privilegio?»
«Certo, m'invidieranno da ogni dove», fece tristemente raccogliendo la testa in
una mano.
Comportamento che stupì notevolmente il cavaliere; non conosceva molto quel suo
compagno di stanza, a dir la verità, eppure era la prima volta che si mostrava
così diversamente dal solito, così “non Daveth”.
«Dite la verità, c’è per caso qualcosa che vi turba?» azzardò a chiedere.
«Ah ah, ma state scherzando? Sono solo annoiato: sono un tipo attivo e tutta
questa attesa mi snerva!»
Mentì, senza sapere di essere appena stato sbugiardato da un velo di mestizia
negli occhi.
Tuttavia, Ser Jory non disse nulla e si limitò a far finta di credergli: forse
aveva sbagliato giudizio sul quel ragazzo.
Passò una mano sui capelli cortissimi color vino, e pensò di trasmettergli un
po’ di conforto dicendo:
«Ad essere onesti, qualcosa l’ho sentita; ma le vostre “servette” vi hanno
detto nulla?»
«Nulla.»
Jory si assicurò di non essere sentito da orecchie indiscrete, poi continuò,
con l’aria di chi la sapeva lunga:
«Ho sentito dire che il rito serve a mostrare il nostro valore.»
«Sarebbe?» chiese Daveth svogliatamente.
«Non so bene come funzioni ma pare che solo chi ha il cuore di un custode possa
farlo.»
«Che intendete dire?» volle sapere Daveth, la cui curiosità fu svegliata da
quella frase.
«Forse che bisogna sentirselo dentro», buttò giù Jory, che aveva iniziato a
parlare solo per tranquillizzare l’amico, non era nemmeno sicuro di dire il
vero.
«Io per esempio, credo di sentirmelo!» esclamò poi, sorridendo, «Entrare tra i
ranghi di un esercito così glorioso da fare la storia!»
Un esercito che fa la storia, si ripeté Daveth. Non l’aveva mai visto sotto
quell’ottica.
«Allora siete pronti?» proferì d’un tratto Alistar.
Ringrazio tutti coloro che ti trovano a passare di qui, chi lascia un commento
e anche coloro che (ogni riferimenti è puramente casuale :P ) si ritrovano a
rileggere queste pagine in attese delle nuove. :)