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Autore: Beauty    27/05/2012    7 recensioni
Ciao a tutti! Questa storia è una mia personale rivisitazione de "La Bella e la Bestia", la mia favola preferita...
Catherine, diciottenne figlia di un mercante decaduto, per salvare il padre dalle grinfie di un misterioso essere incappucciato, accetta di prendere il suo posto. Ma quello che la ragazza non sa è che nelle vesti del lugubre e malvagio padrone di casa si cela un mostro, un ibrido mezzo uomo e mezzo animale. Col tempo, Catherine riuscirà a vedere oltre la mostruosità dell'essere che la tiene prigioniera, facendo breccia nel suo cuore...ma cosa succede se a turbare la felicità arrivano una matrigna crudele e un pretendente sadico e perverso?
Riuscirà il vero amore ad andare oltre le apparenze e a sconfiggere una maledizione del passato? E una bella fanciulla potrà davvero accettare l'amore di un mostro?
Genere: Dark, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il mostro e la fanciulla'
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Catherine si era ripromessa di ritornare al lavoro il giorno seguente, ma così non fu. La nottata passata quasi del tutto in bianco l’aveva sfinita. Si era addormentata all’alba, reggendo ancora Notre Dame de Paris fra le mani, e aveva continuato a dormire per buona parte della giornata.

Si svegliò solo verso le quattro passate del pomeriggio, quando Constance entrò nella sua stanza.

Catherine aprì gli occhi di colpo.

- Oh, scusa, non volevo svegliarti - si scusò la donna, senza smettere di riporre nell’armadio un abito dopo l’altro.

- Constance…- mugolò Catherine, con la voce impastata e la gola secca.- Constance, ma che ore sono?

- Quasi le cinque del pomeriggio.

- Che cosa?!- scattò su Catherine.- Mamma mia, ma quanto ho dormito? Perché nessuno mi ha svegliata?

Constance fece spallucce, senza smettere il suo lavoro.

- Sei convalescente, puoi dormire quanto vuoi…- rispose.

- Non sono più convalescente!- protestò Catherine.- Il padrone mi voleva al lavoro, stamattina.

- Credimi, se davvero il padrone avesse voluto così, allora sarebbe venuto di persona a buttarti giù dal letto.

- Ma…- iniziò la ragazza, ma il suo sguardo cadde su un grande baule marrone ricolmo di abiti, che Constance stava riponendo ordinatamente nell’armadio della sua stanza.- Constance, che stai facendo?

- Ordini del padrone - rispose la donna.- Mi ha ordinato anche di riferirti che questi abiti d’ora in avanti sono tuoi.

- Cosa?- Catherine strabuzzò gli occhi, incredula.- Mi stai prendendo in giro?

- Certo che no! Il padrone ha detto anche di dirti che stasera cenerai con lui.

- Oh…- non trovò niente di meglio da dire Catherine.

In realtà, ci sarebbero state parecchie cose che avrebbe voluto dire. Del tipo, chiedere a Constance se per caso sapesse che cosa fosse preso al padrone e come dovesse interpretare questo improvviso cambio di rotta di cui aveva avuto un assaggio la notte prima.

- Constance - mormorò Catherine.- Perché tutto questo?

- Questo, cosa?

- Insomma, niente lavoro, i vestiti…ieri…dove vuole arrivare il padrone, con questo?

Constance la guardò, sospirando.

- Non lo so, Cathy. Anche se, a dire il vero, una mezza idea ce l’avrei…- aggiunse poi, con un mezzo sorriso.

- Che cosa?- fece Cathy, sporgendosi verso di lei.

Constance chiuse in fretta l’armadio, scostandosi da esso.

- Beh, è evidente che ha una grande considerazione di te, e non mi stupirei affatto se…

Crack!

Constance ammutolì, abbassando lo sguardo sul proprio vestito che, impigliatosi fra le ante dell’armadio, ora presentava un lungo spacco sulla gonna già rattoppata.

- Oh, per tutti i diavoli dell’Inferno!- imprecò rabbiosamente Constance, liberando quel che restava dell’abito dal punto in cui si era impigliato.

Catherine si alzò velocemente, dando un’occhiata al vestito; nonostante ora avessero cibo e legna, i domestici avevano comunque mantenuto gli stessi abiti, sempre pulitissimi, ma vecchi, logori, tutti stracciati e tenuti insieme con un’infinità di toppe e cuciture. Ernest indossava sempre la solita camicia cascante, Peter il più delle volte se ne andava in giro scalzo con addosso degli abiti tutti bucherellati, mentre Constance, di abiti, ne aveva solo due o tre, compresa la camicia da notte, e il fatto che ora si fosse strappato era un bel guaio.

- Magari si può riparare, Constance…- provò a dire la ragazza, anche se, memore delle lezioni di cucito di Lydia, non ci sperava troppo.

- Lo posso ricucire, ma non durerà a lungo - disse infatti Constance.- E’ inutile, ormai è quasi da buttar via…Pazienza, finché il padrone non si deciderà a fornirci della stoffa…cercherò di farmelo durare fino a quando potrò - concluse infine, con un sospiro sbrigativo e rassegnato al tempo stesso.- Su, basta perderci in chiacchiere, adesso. C’è del lavoro da fare - aggiunse subito, riprendendo la sua solita aria affaccendata.

Catherine la osservò dirigersi verso la porta.

- Indossa uno di quegli abiti, stasera. E sta’ serena - aggiunse, con un sorrisetto sghembo, prima di uscire.

Rimasta da sola, Catherine spalancò le ante dell’armadio, ritrovandosi di fronte ad almeno venti abiti meravigliosi ed eleganti. La ragazza ne sfiorò uno con la punta delle dita. Da brava figlia di mercante, aveva imparato a riconoscere le varie stoffe, quindi non le fu difficile capire di cosa fossero fatti quei capi: pizzo, taffetà, seta, broccato, velluto…Tutt’altra cosa dal vestito da lavoro di stoffa povera e grezza pieno di strappi e rattoppature che aveva indossato sino al giorno prima.

Il padrone non faceva altro che confonderla sempre di più ogni giorno che passava.

Per un intero mese si era comportato come un tiranno, per poi salvarle la vita quando aveva tentato di scappare; i suoi sbalzi d’umore la spaventavano ancora un po’, benché la notte precedente fosse rimasta piacevolmente sorpresa dal suo comportamento.

E ora questo.

Catherine gettò un’occhiata all’orologio. Le cinque e mezza. La cena sarebbe stata servita per le nove. Meno di quattro ore, prima di ritrovarsi faccia a faccia con il mostro.

 

***

 

Catherine continuava a torcersi le mani da mezz’ora, ormai. Lanciava in continuazione occhiate furtive al vecchio orologio a pendolo del corridoio, in piedi di fronte alla sala da pranzo.

Aveva una gran voglia di entrare e di mettere fine a quel supplizio, ma era terrorizzata al pensiero che, anche solo per una minima mancanza, il padrone sarebbe andato su tutte le furie.

Catherine aveva fatto come le aveva detto Constance. Fra tutti gli abiti aveva scelto quello più semplice, un vestito da sera azzurro con il corpetto ricamato con sottili fili dorati e la gonna stretta, e aveva acconciato i capelli in un’anonima treccia.

Quando l’orologio a pendolo suonò le nove, Catherine prese un bel respiro e spinse in basso la maniglia della porta, entrando nella sala.

Il padrone era già lì.

Era seduto a capotavola, ma non appena la vide entrare si alzò in piedi, piegando lievemente il capo in segno di saluto. Catherine sorrise in risposta, prendendo posto alla sua sinistra.

Non appena si sedette, la ragazza sentì che tutto il suo nervosismo e la sua ansia erano svanite come per magia. Passato il momento dell’attesa, ora si sentiva tranquilla, rilassata e perfino allegra.

- Vedo che ora riesci a camminare come prima…- osservò il padrone.

Era sempre vestito di nero, ma senza il mantello e senza guanti.

Catherine annuì.

- La caviglia non mi fa più male.

- Mi fa piacere. Hai sete?- chiese il padrone, facendo per versarle del vino.

Catherine rifiutò gentilmente.

- Preferirei dell’acqua, per favore…

- D’accordo.

Il padrone le versò dell’acqua nel bicchiere.

- Sei astemia?- domandò poi.

- Non proprio. Bevo vino solo nelle occasioni importanti. Per il resto del tempo, cerco di evitarlo. Non lo reggo molto bene, e mi terrorizza il pensiero di finire distesa per terra come mio fratello quella volta alla festa di Natale di un nostro cugino…- disse Catherine.- Pensa che aveva bevuto così tanto che alla fine era crollato addormentato sul tappeto. Non ti dico l’imbarazzo! Quella volta ho proprio creduto che la mia matrigna sarebbe morta per la vergogna, sai, lei tiene molto all’apparenza e al buon nome, e il pensiero che gli altri possano ridere di lei…Oh, scusa, sto parlando troppo?- si bloccò, scoccando un’occhiata al padrone.

- E’ la seconda volta che me lo chiedi - disse il mostro, con un sorriso sghembo.- Non ti ho detto niente, perché hai paura di parlare troppo?

- Beh…la mia matrigna sostiene che non so tenere la bocca chiusa. Chiacchierare troppo non si addice ad una signorina!- disse la ragazza, parlando in falsetto, facendo il verso a Lady Julia.

Il padrone fece una breve risata.

- Ammetto di non essere molto d’accordo con la tua matrigna - disse.- A me piace sentirti parlare. Senza contare che finalmente so qualcosa di più su di te. Hai detto di avere un fratello, giusto?- chiese, incoraggiandola a continuare.

Catherine annuì.

- Sì, ha due anni più di me. Ho anche una sorella minore, si chiama Rosalie. E tu?

Il padrone la guardò, stranamente sorpreso.

- Io?

- Non posso parlare sempre io!- rise Catherine.- Andiamo, dimmi qualcosa di te! Io ti ho parlato della mia famiglia, ora vorrei sapere qualcosa di più sulla tua…

Il padrone sorrise, abbassando lo sguardo, un po’ in imbarazzo.

- Io…beh, c’è poco da dire. Non ho una famiglia, come penso avrai capito.

- Non hai fratelli o sorelle?- chiese Catherine.

Il padrone scosse il capo.

- No, mai avuti.

- E i tuoi genitori?

- I miei genitori…beh, mia madre è morta quand’ero piccolo…

- Scusa!- disse Catherine, in fretta.

La ragazza s’incupì, di colpo concentrata solo su quello che aveva nel piatto.

- Perché ti scusi?- fece il padrone, sorpreso.

- Non volevo toccare un punto dolente. Scusami - ripeté Catherine.

- Ti riferisci a mia madre? Guarda che non è affatto un punto dolente - disse il padrone.- Me la ricordo a malapena. Non ci sto male, a parlare di lei. Dico sul serio.

- Come t’invidio…!- borbottò Catherine.

Il mostro si fece improvvisamente serio.

- Hai detto di avere una matrigna - disse.- Quindi, anche tua madre…?

Catherine annuì, pulendosi la bocca con il tovagliolo.

- Due anni fa. E mio padre si è risposato poco dopo con quell’oca della mia matrigna.

- Mi pare di capire che non nutri molta simpatia per lei…- sorrise il padrone.

- Hai presente una gallina tirata a lucido?- rise Catherine.- Ecco, quella è la mia matrigna!

Il padrone rise, ma a Catherine la sua risata a denti aguzzi suonò stranamente amara.

- Sì, ne so qualcosa, di matrigne…- disse poco dopo.

- Anche tu ne hai avuta una?- chiese Catherine.

Il mostro non rispose, evitando il suo sguardo.

- Scusa, ma preferirei non parlarne…- sussurrò.

Catherine non disse nulla.

Rimasero in silenzio per qualche minuto; poi, la ragazza si decise a rompere il ghiaccio.

- Parliamo di cose un po’ più allegre - propose.- Ad esempio di vestiti.

- Vestiti?- fece eco il padrone, sollevando lo sguardo su di lei.

Catherine annuì, sporgendosi verso di lui, appoggiando il mento su una mano.

- Perché mi hai regalato tutti quegli abiti?- domandò.

Il padrone cercò di assumere un’aria noncurante.

- Perché…perché ho visto come erano ridotti i tuoi vestiti e ho pensato che fosse ora di rimediare, tutto qui.

- Solo per questo?- insistette Catherine, poco convinta da quella risposta.

- Non è un motivo sufficiente?

- Non dopo un mese in cui non te ne sei minimamente curato.

Il padrone non rispose. Entrambi ripiombarono nuovamente nel silenzio per qualche minuto.

- Dimmi la verità - disse infine Catherine, seria.- Perché mi hai salvato la vita, quella notte?

Il mostro non rispose subito; si guardò intorno per diversi secondi, prima di puntare i suoi occhi di ghiaccio in quelli verdi della ragazza.

- Nessuno aveva mai cercato di scappare da qui, prima…- disse.- Nessuno. Quando te ne sei andata, io…non lo so, credo di essermi reso conto di aver esagerato. E quando ho visto quei due mascalzoni, quello che stavano per farti…

- Quindi - fece Catherine.- E’ per questo? La cena, la stanza, i vestiti…tutto questo è per farti perdonare?

- No…insomma, sì, è anche per questo, ma…quello che voglio dire è che…che mi dispiace, Catherine…- riuscì a dire infine.- Mi dispiace di averti trattata male. E se c’è qualcosa, qualunque cosa che desideri, non devi fare altro che chiederlo.

Catherine non rispose, ma abbassò lo sguardo sulle proprie mani.

Quello che voleva veramente, tornare a casa dalla sua famiglia, sapeva che lui non gliel’avrebbe mai concesso. Ma forse c’era qualcos’altro che poteva chiedere…

- Io…io vorrei…se non ti è di troppo disturbo…vorrei della stoffa - disse infine.- Con ago e filo, per favore…

- Della stoffa?- ripeté il padrone.

Catherine annuì.

- Voglio cucire dei vestiti…voglio fare un regalo a…a degli amici…- spiegò la ragazza.

Il padrone non disse nulla, e per un momento lei temette che avrebbe rifiutato.

- Va bene - disse infine.- Manderò Ernest a comprarne un po’.

- Grazie - sorrise Catherine.

- Ti piace cucire, allora…- fece il padrone, con un sorriso sghembo.

Catherine scosse vigorosamente il capo.

- Per niente. Odio cucire, anche se Lydia dice sempre che sono molto brava…

- Chi è Lydia?

- La mia vecchia balia. E’ da quando sono piccola che m’insegna a cucire, ma io non sono mai riuscita a farmelo piacere…

- Strano. Di solito, quando si studia così tanto qualcosa, si finisce per appassionarsi…

- Prova a pungerti le dita ogni volta che prendi in mano un ago, e vedrai…

Parlarono del più e del meno per tutta la cena, fino a che, quando questa non fu finita, Catherine se ne andò a letto, congedandosi con un sorriso.

 

***

 

Non appena entrò nella sua stanza, Catherine notò che sul suo letto, chiuso, c’era Notre Dame de Paris. Aveva trascorso tutta la nottata a leggerlo, e l’aveva terminato.

Lo prese, rigirandoselo fra le mani. Il padrone gliel’aveva dato in prestito, e Catherine pensò che sarebbe stato gentile, da parte sua, riportarlo in libreria.

Quando entrò, la biblioteca era buia, ma la ragazza notò che sul tavolino era posata una lampada ad olio; l’accese, cominciando a cercare lo scaffale giusto per riporre il libro, ma presto la sua attenzione venne catturata dalle centinaia di titoli che riempivano gli scaffali.

Alla fine, la tentazione fu più forte di lei.

Non c’era nessuno, si disse, poteva anche permettersi di sfogliare qualche pagina per qualche minuto.

Si sedette su una delle poltrone, aprendo il libro che aveva preso dallo scaffale.

Iniziò a leggere avidamente, perdendo totalmente la nozione del tempo.

Si riscosse solo quando udì la porta aprirsi con uno scricchiolio. Sollevò di colpo gli occhi dal libro.

- Chiedo scusa - disse il padrone, ritraendosi leggermente.- Non era mia intenzione disturbarti. Per favore, continua.

Fece per andarsene, ma Catherine lo trattenne.

- Veramente - disse la ragazza.- Ero venuta a restituirti questo.

Prese Notre Dame de Paris e glielo porse.

Il mostro sorrise, sedendosi sulla seconda poltrona.

- L’hai già finito?- chiese, stupefatto.

Catherine annuì.

- L’ho letto tutto ieri notte. E’ una storia molto avvincente. Però, avevi ragione, è un po’ triste…- aggiunse.

- Quindi, non ti è piaciuto?

- Non ho detto questo. Solo…- Catherine cercò di trovare le parole adatte.- Insomma, secondo me la Esmeralda ha sbagliato!- esclamò infine.- Voglio dire, ha continuato ad essere infatuata di quel capitano fino alla fine, anche se lui la stava prendendo in giro, e non si è mai minimamente accorta che Quasimodo era innamorato di lei.

- Beh, è difficile ricambiare le attenzioni di un mostro, non credi?- fece il padrone, piegando lievemente il capo di lato.

- Ma lui gliel’aveva dimostrato in tutti i modi. Era l’unico, tra il prete e il capitano, che l’amava veramente…

- Tu credi?

Catherine annuì con vigore.

- Assolutamente sì. Quando lei è morta, non ha saputo resistere al dolore e si è lasciato morire anche lui. Tu questo come me lo chiami? Io dico che è amore, e di quelli veri.

Il padrone ridacchiò.

- Sì, forse hai ragione - si sporse un po’ verso di lei.- E ora, cosa stai leggendo?

Catherine gli mostrò il titolo scritto in copertina: Il Fantasma dell’Opéra.

- Lettura molto piacevole anche quella - commentò il padrone.- Anche se per certi versi è molto simile alla storia del gobbo e della zingara…

- Spero almeno che finisca meglio dell’altra!- esclamò Catherine, allegra.

- Beh, a dire il vero…

- Non dirmelo!- lo bloccò Catherine.- Non dirmelo. Odio quando mi si rivela il finale. Deduco che tu abbia letto anche questo…

Il padrone annuì.

- E’ vero, l’ho già letto. Ma mi farebbe comunque piacere rileggerlo insieme a te. A questo proposito…- aggiunse.- Volevo dirti una cosa…

- Che cosa?

Il mostro la guardò.

- D’ora in avanti non lavorerai più.

Catherine rimase interdetta.

- Come? Perché?- balbettò, incredula.

- Non riuscirei più a obbligarti a lavorare. Non dopo…- non terminò, incapace di continuare.

Catherine non disse nulla per qualche istante, poi mormorò:

- Io ti ringrazio. Sul serio, ti sono molto grata per questo. Ma…- aggiunse.- Ma ti prego, lascia che io faccia ancora qualcosa. E’ per via di Constance, Ernest e Peter…- spiegò.- Loro sono stati sempre molto gentili con me, e mi sentirei davvero in colpa nel vederli lavorare e io starmene a far nulla.

Il padrone ghignò, divertito.

- Sei molto più particolare di quanto pensassi…

- E’ un complimento?

- Forse…Facciamo così - disse il mostro.- Lavorerai un po’ solo la mattina. Per il resto della giornata…beh, puoi ritenerti libera. Anche se…

- Anche se?

- Anche se mi piacerebbe che tu volessi spendere qualche momento con me, di tanto in tanto - disse il padrone.- Mi riferisco alla proposta di ieri sera. Potremmo leggere qualcosa insieme, se ti va, oppure parlare un po’, o…

- Certo - disse Catherine, con un sorriso.- Con molto piacere. Se non ricordo male, l’altra sera ci eravamo interrotti parlando di un libro…

- Già, è vero - sorrise il padrone, appoggiandosi allo schienale della poltrona.- Cosa mi dicevi, a proposito di questo Edmond Dantès?

Parlarono a lungo, risero e scherzarono, e, quando venne il momento di andare a letto, Catherine si ritirò sentendo il cuore più leggero e un senso di serenità che non aveva provava da tempo.

 

***

 

All’interno del Leone d’oro c’era puzza di alcool, di chiuso e di aria viziata mista al fumo delle pipe e delle sigarette. Le imposte erano accostate, e praticamente nel locale regnava l’oscurità.

Come al solito, l’osteria era gremita di ubriaconi e perdigiorno, ma quel giorno la maggior parte dei clienti era accalcata attorno ad un tavolo a cui erano seduti due uomini.

L’uno, un giovanotto biondo sui vent’anni, con la camicia sbottonata sul petto e visibilmente alticcio, l’altro un uomo sui venticinque, con lunghi capelli castani e un sorriso simile ad un ghigno sulle labbra.

Henry si terse il sudore dalla fronte con una manica della camicia, mentre la prostituta che aveva pagato ridacchiava volgarmente nel suo abito scollato, standosene appollaiata sulle sue ginocchia. Il giovane si costringeva a pensare che sarebbe andato tutto bene, imponendosi di distogliere il pensiero dalla montagna di debiti che aveva sulle spalle.

Ancora una volta, si era lasciato prendere la mano, e aveva collezionato una sconfitta dopo l’altra, accumulando debiti sempre più numerosi che, si era reso conto troppo, non aveva il denaro per saldare.

Aveva accettato di giocare contro Lord William Montrose per disperazione; quella partita a poker era la sua ultima occasione, l’ultima possibilità che gli era concessa per rimediare a quello che aveva fatto.

Lord William teneva lo sguardo fisso su Henry Kingston, ghignando soddisfatto. Era praticamente certo di avere la vittoria in pugno: tutto, tutto era contro il suo avversario.

Lord William sapeva che Henry non aveva la mente lucida, era troppo preoccupato per i soldi che doveva restituire, e l’alcool che continuava a trincare non lo aiutava certo, anzi, rendeva la sua mente ancora più confusa e annebbiata, e i suoi riflessi meno attenti. Era ubriaco, praticamente rovinato, e con una sgualdrina dal seno scoperto seduta sulle sue ginocchia.

L’ideale per distrarlo e distogliere la sua attenzione dal gioco.

- Bene!- esclamò ad un tratto Henry, sforzandosi di apparire rilassato e sicuro di sé. - Direi che possiamo cominciare, non credete?

- Quando volete, Henry - rispose Lord William.

Fece un cenno ad un servitore, che iniziò a mescolare le carte. Un’altra prostituta si avvicinò a Lord William con l’intento di strappargli un bacio, ma lui la respinse con un gesto brusco e seccato della mano. Non voleva distrazioni, non in quel momento.

- Ah, dimenticavo, Henry!- esclamò d’un tratto.- Non avete stabilito la posta in gioco. Quanto siete disposto ad offrire?

- Un milione - rispose prontamente Henry.

Tutt’intorno si levarono mormorii di stupore e sconcerto. La prostituta di Henry gettò un gridolino di ammirazione, accarezzandogli la chioma bionda e guardandolo con aria sensuale e seducente.

Solo Lord William rimase impassibile.

- Un milione?- ripeté, calmo.- Ne siete certo, Henry?

- Assolutamente.

Giocarsi un milione a poker era una follia, questo Henry lo sapeva, così come sapeva anche di non possedere quella somma. Ma non poteva fare altro. Doveva vincere quella partita e quei soldi, per riuscire a saldare tutti i debiti. Non aveva altra possibilità.

- Molto bene, allora - sorrise Lord William.

Il servitore distribuì le carte. Henry iniziò ad osservare le proprie con occhi febbrili, mentre gocce di sudore gli imperlavano la fronte. Lord William gli gettò un’occhiata di sottecchi, mentre sulle sue labbra si disegnava il suo solito sorriso simile ad un ghigno.

Presto Catherine sarebbe stata sua.

Che la partita abbia inizio!

 

Angolo Autrice: Ciao a tutti, scusatemi tanto x il ritardo, la prossima volta cercherò di essere puntuale, promesso! J. Dunque, questo capitolo è molto più breve del precedente, e non succede granché di emozionante, ma spero comunque che vi sia piaciuto.

Comunque, ora l’atteggiamento del padrone nei confronti di Cathy ha cambiato completamente rotta…che succederà fra i due? Lo scopriremo presto J! Nel prossimo capitolo, inoltre, vedremo come andrà a finire la partita fra Henry e Lord William e cos’avranno in mente di fare lui e Lady Julia…J.

Quindi, vi do appuntamento al prossimo capitolo e ringrazio tutti coloro che leggono, in particolare Black Fairy per aver aggiunto questa storia alle seguite e per la sua recensione, marzo2000 per averla aggiunta alle seguite, jekikika96 per averla aggiunta alle preferite e per aver recensito, e Halley Silver Comet ed Ellyra per le loro recensioni.

Grazie a tutti x aver letto, ciao!

Dora93

  
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