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Autore: Trick    28/05/2012    3 recensioni
"«Sei il Prefetto di Hogwarts, Remus» le spiegò Lily con un sorriso, camminando verso di lui e stringendogli con salda gentilezza la mano. «Di nuovo».
«No, Lily» ribadì con decisione lui. «Io non posso morire».
«Lo so. Lo abbiamo creduto tutti».
"
(Remus Lupin/Lily Evans).
Un'antologia di fan fiction che copre ogni ship fanon o canon della Vecchia Generazione.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Lily Evans, Remus Lupin
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Oggi sono particolarmente in vena di tirare avanti questa mastodontica raccolta – e dire che ho una vita da questa parte dello schermo da mandare avanti a sua volta, eh. Che posso farci?


Racconti di sabbia
Fan fiction perdute nel tempo
*

Fra capo e coda
Rufus Scrimgeour/Minerva McGranitt



«Non starai gongolando un po' troppo?».
Le sottili labbra di Minerva si arricciarono in un sorriso borioso. Sollevò appena il capo dalla coppa dorata che stringeva fra le mani e rivolse al ragazzo un'occhiata impertinente.
«Ne ho tutto il diritto. Grifondoro ha vinto la Coppa di Quidditch per merito mio».
Rufus fece uno sbuffo e si avvicinò alla poltrona sulla quale si era acciambellata come un gatto. Della rumorosa festa improvvisata nella sala comune di Grifondoro non restava che qualche festone rosso e oro abbandonato sul pavimento e diversi calici vuoti appoggiati un po' su questo e un po' su quel tavolo. Agli occhi di Rufus, quel caos era oltremodo intollerabile e se solo quella disgraziata di Minerva non gli avesse chiesto di dimenticare i propri doveri di Caposcuola per quella sola serata, avrebbe probabilmente dato di matto.
«Non sei rimasto nemmeno un minuto per festeggiare» disse lei.
Rufus si lasciò scivolare sulla propria poltrona preferita, situata in una posizione particolarmente tattica per il controllo di qualunque cosa accadesse all'interno della sala comune. Intravide un paio di mozziconi di sigarette Babbane davanti al davanzale di una delle grandi finestre, lasciata un poco aperta, e fece una smorfia stizzita.
«Dimenticavo» riprese con tono divertito Minerva. «Tu odi le feste».
«Sono Caposcuola».
«Lo è anche Margareth Collins, ma non mi pare che questo le abbia impedito di pomiciare con Herbert Proudfoot nella sala da tè di Madama Piediburro».
Rufus la fissò con espressione pensierosa.
«Com'è possibile che tu sia sempre informata su qualunque sciocchezza accada in questa scuola?».
Lei fece le spallucce e riprese a rimirare la coppa.
«Nessuno studente sano di mente racconterebbe al proprio Caposcuola cosa combina o non combina a Hogsmeade. E tu, poi, sei proprio uno di quelli a cui non raccontare nemmeno cosa si combina o non si combina al gabinetto».
«Che vorresti insinuare?».
Senza sollevare lo sguardo dalla coppa, Minerva inarcò un sopracciglio con profondo divertimento. Rufus fece un sospiro rassegnato: quella ragazza era tremenda. Presuntuosa, ironica e dannatamente intelligente, Minerva McGranitt era una di quelle giovani streghe che Rufus non avrebbe augurato di sposare nemmeno al peggiore dei suoi nemici. Più che di una dama, sfoggiava la bellezza sfacciata e incurante di una guerriera delle brughiere scozzesi, con i lunghi capelli neri spettinati attorno al viso e gli occhi verdi rilucenti di brillante arguzia. Era selvaggia, esattamente come le terre dalle quali proveniva, e Rufus ben si ravvedeva dal farsi incantare da quella sua aria da studentessa modello. Nascosta sotto la divisa e gli eccellenti voti, c'era una strega malata di competizione – e questo Rufus proprio non riusciva a sopportarlo, perché lui, per primo, sapeva di voler vincere sempre.
«Io non insinuo mai. Io faccio constatazioni» ribatté lei pungente. «E ho constatato, Rufus, che sei un vecchio bigotto nascosto nel corpo di un diciassettenne».
«Sono Caposcuola».
«Sì, mi era giunta la voce...» lo prese in giro Minerva, appoggiando il capo sul palmo della mano. «Rissati, Rufus, o un giorno le regole finiranno per ammazzarti».

*
«Saresti un ottimo Auror».
«Ho già trascorso fin troppo tempo fra le mura del tuo Ministero» ribatté pungente Minerva con un sopracciglio boriosamente inarcato. «Francamente, Rufus, quel posto mi dà la nausea».
«Francamente, Minerva, quel posto ti dà lo stipendio».
Le sue labbra sottili si storsero in un sorriso saccente. Minerva si allungò verso di lui, evitando con la grazia di un gatto il grande calice di Idromele che stava sorseggiando. Se solo non fosse stato certo che l'avrebbe fatta adirare, sarebbe scappato a ridere davanti alla sua espressione pretenziosa. Era fastidiosa e saccente, c'era poco da discutere – e, a conti fatti, Rufus non le avrebbe chiesto di cambiare, né lei avrebbe mai tollerato una proposta simile.
«E se ti dicessi che non lavorerò a lungo in quel buco?».
«Di che stai parlando?».
«Il Preside Silente mi ha offerto la cattedra di Trasfigurazione» soffiò soddisfatta. «E io ho accettato».
Rufus si fece quasi sfuggire dalle mani il bicchiere di Whisky Incendiario. Lo sconcerto del primo impatto durò ben poco e venne rapidamente sostituito da un'ombra scura e maldisposta e una profonda ruga comparve in mezzo alla sua fronte. Appoggiò cauto il bicchiere al tavolo del Paiolo Magico al quale si erano accomodati venti minuti prima e rimase in silenzio qualche istante. A modo suo, anche Minerva sembrava improvvisamente cauta e attenta ad ogni reazione del giovane mago.
«Silente ti ha... cosa?» mormorò Rufus, e l'ultima parola parve quasi un sibilo furente.
«Hai capito perfettamente».
«Tu hai... non mi hai detto nulla».
Minerva sollevò austera il naso.
«È la mia vita, Rufus. La mia, non la tua».
«Credevo di farne parte».
Lei accusò il colpo con quanto più contegno possibile. Senza calare lo sguardo, né smuoversi dalla sua impassibile posizione composta, continuò a fissarlo con una luce dura e fredda negli occhi verdi. Rufus sentiva la collera montare vorticosamente dentro di lui e a poco servì ripetersi nuovamente il mantra con il quale aveva sempre sopportato ogni colpo di testa di Minerva: è fatta così.
«Sebbene tu non abbia alcuno scrupolo nel lasciare da parte me per il tuo lavoro, io non ti ho mai chiesto di mettere da parte il tuo lavoro per me» lo ammonì con voce tremante. «Dunque non osare intrometterti nelle mie scelte».
«Avrei solo voluto esserne informato prima».
«Lo avrei comunque accettato. Non sarebbe cambiato niente».
«Sarebbe cambiato tutto!» esclamò concitato lui, sbattendo il pugno sul tavolo e attirando su di loro l'attenzione di due maghi seduto al tavolo a fianco. «L'avrei saputo prima, avrei potuto dirti se ero d'accordo con--».
«Con cosa?» replicò testardamente lei, afferrando il bordo di legno con entrambe le mani e fulminandolo con un'occhiata gelida. «Con cosa, Rufus? Con le mie scelte? Credi davvero che io abbia bisogno del tuo parere per decidere cos'è meglio per la mia vita? Io non ho bisogno di nessuno».
«Tu hai sempre bisogno di qualcuno. Sei davvero così sciocca da credere di potertela cavare da sola? Sei una testa calda, agisci sempre prima di pensare ed io, povero idiota, ti sono sempre dietro per sistemare ogni tua imprudenza. Hai pensato alle conseguenze? Hai pensato che sarai perennemente a Hogwarts? Hai pensato che anch'io faccio parte della tua vita?».
Minerva aprì la bocca per protestare, ma si bloccò tutto d'un tratto e rimase ferma. Fece un respiro profondo, socchiuse le palpebre e bevve d'un sorso quel poco che restava del suo Idromele. Poi si alzò di scatto, estrasse dal portamonete una manciata di Zellini e le lanciò sul tavolo.
«Eccoti la risposta, Rufus» ringhiò fra i denti prima di svanire rapidamente oltre la porta del Paiolo Magico.
Lui non tentò nemmeno di fermarla.
Era fatta così.
*

Quasi le venne un colpo quando si ritrovò Rufus Scrimgeour nel bel mezzo del corridoio del settimo piano. Era ormai sera inoltrata e Minerva si era appena accertata che nessuno dei suoi studenti di Grifondoro avesse oltrepassato varco celato dalla Signora Grassa. La giornata era stata oltremodo spossante e a ben poco era servita la Pozione Rinvigorente di Poppy; avvertiva un gran bisogno di riposare e le palpebre si arrischiavano a socchiudersi da sole.
Quando lo vide, la sonnolenza svanì di colpo e lasciò spazio ad un fastidioso senso di smarrimento. Lui parve provare la stessa sensazione – e Minerva fu attraversata dal pensiero che Rufus avesse percorso i corridoi del castello con la speranza di non incontrarla affatto.
Erano trascorsi anni dall'ultima volta in cui avevano avuto modo di parlarsi. Entrambi avevano inutilmente cercato di risanare un rapporto che non era mai stato destinato a perdurare, ci avevano riprovato e avevano fallito innumerevoli volte. Avevano litigato ancora, ancora e ancora, ma nessuno dei loro tentativi era valso a qualcosa. Forse erano troppo simili; forse erano troppo diversi; forse non era così che sarebbe dovuta andare, si erano detti, e qualunque cosa avessero condiviso si era seccata con la rispettiva decisione che non avessero più niente da recuperare. Dopotutto, la loro non era stata che una storia come tante altre e il tempo aveva fatto il suo corso, portandoli agli antipodi della società magica.
«Minerva» disse Rufus stupito, e più che un saluto parve proprio un'esclamazione non voluta.
«Rufus» rispose lei. «Perché sei qui?».
Lui fece un profondo sospiro e indicò vagamente un punto alle sue spalle.
«Sono qui per conto del Quartier Generale degli Auror» spiegò con rigida professionalità. «Devo parlare con Silente».
«Ricordi dov'è il suo ufficio?».
«Naturalmente».
«Bene».
Rimasero in silenzio diversi secondi, senza che nessuno dei due si decidesse ad aggiungere altro. Era assurdo, pensò Minerva, che l'indifferenza generata dal passare dei giorni potesse svanire così rapidamente. Ritrovarselo davanti l'aveva scossa fin dentro le viscere; e dire che mai avrebbe pensato di poter provare sentimenti tanto caotici nel rivederlo. Non c'era amore, non c'era affetto, non c'era nulla di quello che c'era stato in passato: c'era solo turbamento e imbarazzo e lei, sempre così ostinata ad avere il controllo su tutto, iniziava a innervosirsi.
«Devo andare, ora» la liquidò sbrigativamente Rufus, riprendendo nuovamente i proprio passi. «Ho molte cose di cui discutere con Silente e il tempo non è dalla mia parte. Arrivederci, Minerva».
La superò senza aggiungere altro, ma per una volta, per la prima volta, uno dei due si decise a fermare l'altro. Chissà, ripensò nuovamente Minerva, forse il motivo per cui nessuno dei due si era rivelato adatto all'altra era proprio quello: non si erano fermati abbastanza, non si erano fermati quando avrebbero dovuto fermarsi e si erano intromessi quando avrebbero dovuto lasciar andare.
«Rufus» lo richiamò Minerva.
Lui si bloccò e rimase immobile con le spalle rivolte verso di lei.
«È per Riddle? È per quella storia dei Mangiamorte?».
«Sì» rispose dopo qualche istante.
«È vero quello che si vocifera? È vero quello che sta facendo?».
Rufus si voltò per rivolgerle un'occhiata preoccupata.
«Sì».
Minerva fece una smorfia addolorata e serrò per un attimo gli occhi. Lei e Tom Riddle, ormai noto con la timorosa nomea di Lord Voldemort, avevano frequentato Hogwarts nello stesso periodo. Non erano mai stati nemmeno conoscenti – né qualcuno dei due avrebbe voluto esserlo – ma il semplice fatto che conoscesse quel folle che andava incitando lo sterminio dei Babbani e dei Nati Babbani era maggiormente frustrante. C'era un'atmosfera cupa e densa di aspettative e ansie, in quei tempi, e Minerva non era del tutto certa che sarebbe svanita in fretta.
«Devo andare» la informò Rufus. «Stammi bene».
«Fa' attenzione».
Per la seconda volta, lui si bloccò di colpo. Senza muovere un muscolo, rimase piantato nel mezzo del corridoio, con le mani insaccate nelle tasche della divisa da Auror e il capo chino sul pavimento.
«Fa' attenzione, Rufus» ribadì Minerva, senza avere la più pallida idea del motivo di quell'ondata di apprensione. «Qualunque cosa succeda... fa' attenzione».
Lui si voltò quel poco che bastava per rivolgerle un flebile sorriso amaro.
Era fatta così.





   
 
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