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Autore: Kristen Williams    28/05/2012    5 recensioni
Il passato di Alice, la storia della sua famiglia, la vita in manicomio e la sua trasformazione.
Visioni di vita e di morte, costruzione e distruzione di un equilibrio familiare, il crollo della nostra protagonista e la sua rinascita: questo e molto altro vi aspetta in questo mondo grondante di sangue.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alice Cullen, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Precedente alla saga
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DISCLAIMER
Questa fan fiction non è a scopo di lucro.

Alice, James e Victoria sono di proprietà di Stephenie Meyer (e ci mancherebbe altro!).

Le canzoni e le immagini che hanno ispirato questa storia sono proprietà dei rispettivi autori (vorrei vedere u.u).

L’autrice non intende commettere alcuna violazione del copyright.

 

 

 

A chi crede in me, mi ama così come sono e mi sta vicino nonostante le difficoltà, senza voltarmi mai le spalle.
A chi sperimenta  e ama il rischio al punto da leggere il frutto delle mie fantasie notturne e dei miei deliri “all-day-long”.
A Stephenie Meyer, senza la quale tutto questo non sarebbe stato possibile.
A tutte quelle persone che mi ispirano ogni giorno, per un motivo o per un altro.
E, perché no, anche a questi adorabili esserini presi in prestito e usciti dalla mia mente traviata, che devono sopportare capricci, ripensamenti e tutto ciò che è possibile patire in quanto  personaggi letterari.

Ma soprattutto, a tutte quelle persone meravigliosamente pazze, che vedono un mondo al contrario. Non permettete a nessuno di fermarvi e infrangere i vostri sogni.

Con infinito amore,

K.W.

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 1: Spark of insanity

A Jeff Dunham, la mia dose di elettroshock preferita

 

Leakesville Memorial Asylum, Leakesville, Contea di Greene, Mississippi – Ottobre 1920

 

Una ragazza in una stanza buia, sola, seduta su un letto sporco, arrugginito e scomodo. Non ricorda nemmeno da quanto tempo non si sentiva così triste.
Intorno a lei, ogni tipo di rumore: urla, passi, perfino bestemmie, prontamente interrotte ogni volta da colpi di frusta, percosse o punizioni di altro tipo, che atterriscono e lasciano doloranti gli ospiti di quella che sembra un’assurda reggia sopraffatta dal tempo e dal dolore degli strani individui che ospita nei suoi appartamenti sciatti. La struttura, circondata da una natura lussureggiante benché in stato di abbandono, accoglie entro le sue mura ormai da anni grida, ordini, nefandezze di ogni genere - secondo alcuni persino fantasmi - al punto che nessuno dei cittadini osa avvicinarvisi. Gli alberi, gli arbusti spuntati qua e là, l’erba a tratti più alta e a tratti quasi inesistente, colma di fiori come un cielo trapunto di stelle, ingentiliscono non poco il suo aspetto altrimenti trascurato.
 “Perché sono finita qui?” pensa fra sé e sé la giovane donna dall’aspetto di folletto, rimirandosi il polso destro, sul quale spicca un numero tatuato, lo stesso che da ben due anni, con il suo inchiostro blu scuro, ormai leggermente sbiadito, porta sulla sua pelle di porcellana: 41627.
Si guarda intorno. La stanza anonima, con le pareti tinte di un verde triste e smorto e le piastrelle bianche rovinate e sudicie, odora di chiuso, di stantio, talmente tanto che quella piccola creatura si sente soffocare. Sembra quasi una fatina intrappolata in un barattolo: spaventata, indifesa, disperata.
Riesce a percepire i movimenti di ogni singolo essere lì intorno, isolandoli uno per uno dal frastuono di sottofondo. I suoi sensi sono acuiti dalle pessime condizioni in cui vive da chissà quanto tempo.
Si raggomitola sul letto, come per proteggersi da qualcosa. Qualcosa che la tormenta sin da piccola e che ora è diventata la sua condanna.
La gente le chiamava nei modi più disparati: deliri, immaginazioni, visioni, assurdità, maledizioni, allucinazioni.
Premonizioni sarebbe stato il termine più corretto. Glielo diceva anche la mamma, la sua dolce, fantastica mamma. Quante volte l’aveva confortata, mentre piangeva disperata e offesa dal modo in cui adulti e coetanei la apostrofavano…


«Non importa ciò che dice la gente là fuori. Hai un dono diverso dagli altri e questo può spaventare o suscitare invidia. Ma non temere, Mary Alice, non c’è nulla di malvagio in te. Queste tue doti ti porteranno lontano e ti renderanno grande.» Diceva in tono rassicurante, mentre lei, piccola, innocente e senza tutta questa voglia di crescere, la guardava negli occhi con aria un po’ spaventata e al tempo stesso si lasciava cullare dalla sua voce melodiosa e tranquilla.
«Diventerai alta e sempre più bella, anno dopo anno … ma anche quando questo accadrà, rimarrai sempre la mia piccola dolce Alice.» Aggiungeva, con un sorriso, stringendola a sé e continuando a passare le mani candide e profumate di fiori tra i lunghi boccoli neri che amava tanto, mentre la sua amata bambina si lasciava inebriare dal profumo della sua pelle e dal calore delle sue coccole, sentendosi protetta al sicuro, quasi avesse paura che tutto questo non fosse destinato a durare per sempre. E non aveva tutti i torti, visto quello che accadde qualche tempo dopo…


«Resta sempre la piccola Alice, resta sempre Alice… » sussurra, sgranando gli occhi, in preda al panico, mentre dei fotogrammi confusi e delle urla di dolore mettono in allerta i suoi sensi e inibiscono la sua lucidità. Ripete quelle parole cento, mille volte, fino a perderne il conto, come per autoconvincersi.
Si tocca i capelli e prova una strana meraviglia nel sentirli corti. Dovrebbe essersi abituata ormai, ma quello stato di incontrollabile agitazione le impedisce di ragionare in maniera lineare e rapida.

“E’ vero… l’epidemia di tifo… due mesi fa…”

Le erano stati tagliati dal personale del manicomio (così tutti chiamavano il posto in cui si trovava adesso), che l’avevano trascinata a forza in infermeria per controllarla e, nel caso, metterla in quarantena. Si era ribellata più che poteva – la sua mamma non avrebbe mai tollerato un simile scempio – ma era stato tutto inutile. Sotto gli occhi impietosi del direttore, un paio di infermieri l’avevano legata alla lettiga con spesse cinghie di cuoio, mentre un terzo, armato di lunghe forbici, la privava della lunga, morbida chioma di cui andava tanto fiera.

Tutto ad un tratto, si catapulta fuori da quel labirinto di ricordi e fa per un attimo ritorno alla realtà. Un continuo brivido le scuote mente e corpo in contrasto con la sensazione di torpore che esso lascia dietro di sé. Ogni frazione di secondo è una tortura, un’agonia continua, rinnovata e Alice ne percepisce tutto il peso.
Inaspettatamente viene investita da una nuova sensazione. Si sente come trascinata in un vortice, come un mulinello la cui corrente, inarrestabile, attira con violenza verso di sé tutto ciò che c’è intorno. Inizia a vedere bianco intorno a sé, il fiato corto e il corpo madido di sudore.
Il flusso dei ricordi, una forza che conosce fin troppo bene nella sua forma più distruttiva, prende possesso ancora una volta della sua mente con prepotenza, senza neanche chiederle il permesso,  lasciandole dentro solo paura e una gran voglia di piangere.
Altre immagini passano davanti ai suoi occhi, dapprima sbiadite, poi via via più nitide, come se stesse riacquistando gradualmente la vista. Nella sua testa si agita un turbinio di voci: quella della mamma, quella di suo padre, imperiosa e austera, quelle degli abitanti di Biloxi…

«Ecco la visionaria! Attenti  alla spiritata!» gridano i bambini, fuggendo lontano da lei.

«Strega! Al rogo la strega! Brucia, figlia del diavolo!» incalzano in coro gli adulti, quasi fossero a messa, guardandola con aria torva, alcuni brandendo torce e forconi come si faceva soltanto molti secoli prima di allora.

«E’ soltanto pazza.» Asserisce in risposta suo padre, per placare la folla urlante.

I bambini, crudeli, ora compongono canzoni con gli insulti che vengono loro in mente, accompagnandole con sguardi crudeli e allegri balletti.

«Al riparo, ora è arrivata! E’ Mary Alice la spiritata!»

Un urlo di dolore esce prepotentemente dalla sua bocca, propagandosi in un’eco straziante nella cella vuota e nel lungo corridoio freddo, spoglio e polveroso, coprendo i mugolii e gli altri rumori prodotti dagli abitanti delle celle vicine.
Si sforza di distogliere la mente da quelle orribili sensazioni, ma ogni suo tentativo è ormai vano. Non resta che arrendersi e abbandonarsi alla corrente, sperando di sopravvivere.

Speaker's corner Angolo dello Sproloquio

My God, che emozione! Il primo capitolo... sono così in ansia.... Non so ancora cosa ne pensate (a parte te, piccola Seele) e penso che mi rosicchierò i gomiti finchè non leggerò le vostre recensioni. Sarà già tanto se ne avrò un paio credo, non ho scritto un'introduzione molto accattivante. Ma la dedica dovevo assolutamente metterla (e il disclaimer pure, altrimenti zia Steph mi sgozza nel sonno xD). Che dire, fino a qui non succede ancora molto, è il primo capitolo in fondo. Inutile dire che da questo momento in poi inizia un lungo, lunghiiiiissimo flashback. Ma torneremo al 1920, non temete, anche se credo che dopo questo salto temporale enorme ci vorrà la DeLorean. xD

Io me la rido, ma in realtà ho una fifa blu. Non so se chiedervi di essere clementi con i frutti della mia mente deviata o se chiedervi di non esserlo affatto. Perciò fate un po' come vi pare. xD A parte gli scherzi, spero davvero che questa storia vi piaccia e soprattutto prego Iddio di finirla bene e in fretta. Il mio proposito era di postarla solo una volta conclusa, ma ho seguito il consiglio di Seele (grazie mia cara :*) e così eccola qui, sul vostro schermo insieme a questo Angolo dello Sproloquio (si, credo che lo chiamerò così ormai).

Non temete, i prossimi capitoli saranno ben più consistenti e più in là ci saranno anche le foto dei personaggi principali (ebbene si, le ho trovate). Per il momento non vi dico altro: se questa storia vi piace, non vi resta che seguirla. :)

Grazie per aver letto questo capitolo fino alla fine e per aver sopportato anche i miei deliri.

That's all, folks! Al prossimo capitolo!

K.W.

PS: guardate i video di Jeff Dun-ham! E' un maledetto genio!

  
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