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Autore: avalon9    16/12/2006    2 recensioni
Gli youkai sono essere terribili: affascinano e uccidono. Sono esseri diversi. I ningen sono insignificanti, per uno youkai; creature semplici, irrazionali, che trascinano la vita senza comprenderla. Dei ningen gli youkai non si curano; li ignorano con superiore indifferenza.
Sesshomaru è youkai ed è orgoglioso della sua essenza. Ma un inverno, incontrerà una ningen e, da quel momento, la linea netta che separa uomini e demoni inizierà ad assotigliarsi.
Genere: Romantico, Malinconico, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Sesshoumaru
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 7

CAPITOLO 7

PAURE E SOTTERFUGI

 

 

Ecciii…”.

 

Kagome si strinse di più nel pesante piumino, arrotolando di nuovo la sciarpa attorno al collo e calandosi il berretto sulle orecchie. Ormai, del suo viso, si intravedevano solo gli occhi.

 

“Ti buscherai un malanno. Perchè non torni indietro?”. Inuyasha si era voltato ed era tornato indietro fermandosi di fronte alla ragazza. Ma perché doveva essere così testarda? Non lo capiva che lui era preoccupato.

 

Forse dovrei dirglielo… Scosse la testa. Neanche morto! La prenderebbe troppo male e poi mi toccherebbe anche scusarmi! Se vuol fare di testa sua si accomodi!

 

“Non ti sembra di esagerare, Inuyasha? Ho solo starnutito! In quest’epoca fa più freddo che nella mia e io non ci sono abituata!”

 

L’hanyou si girò stizzito. Ma quale freddo?! L’inverno vero non era neanche iniziato e lei già diceva che era freddo?

 

“Tornatene indietro, allora!”.

 

Tono duro, scocciato. Quello che Kagome non sopportava. E lui lo sapeva bene. Molto bene. Lo aveva fatto apposta. Adesso si sarebbe arrabbiata, gli avrebbe dato dello stupido, probabilmente lo avrebbe sbattuto a terra e poi se ne sarebbe tornata nella sua epoca. Tutto calcolato. Sarebbe stata al sicuro e lui più tranquillo.

 

“Ti scoccia tanto viaggiare da solo con me?”.

 

Non c’era livore, solo paura. Paura di una risposata affermativa. Di sentirsi dire che non la voleva con lui. Di essere scacciata. Kagome viveva spesso quella sensazione. Temeva che prima o poi Inuyasha non sarebbe più andato a prenderla.

 

Attese. Quanto ci metteva a risponderle? Si divertiva, forse, a tenerla sulle spine? Una volta loro viaggiavano da soli. Solo in un secondo tempo il gruppo si era allargato. Perché allora non la voleva più con lui?

 

“Stupida…”.

 

Braccia forte attorno al suo corpo, un petto sicuro su cui affondare il viso e una voce calda sussurrare al suo orecchio, con la bocca nascosta fra il nero dei suoi capelli. Inuyasha l’aveva attirata a sé e ora la stava abbracciando. Un abbraccio nervoso, disperato, ma che le trasmetteva anche tanta dolcezza. Preoccupato? Possibile che lo fosse? Ma perché? Non stavano facendo nulla di diverso dal normale; anche se Sango e Miroku erano dovuti andare con Kirara al villaggio degli Sterminatori e se avevano deciso di lasciare Shippo con Kaede, nulla era diverso. Stavano cercano Naraku. E presto i loro amici li avrebbero raggiunti. Ma allora perché il mezzo-demone era così diverso dal solito? Perché un attimo prima era scorbutico e maleducato e un attimo dopo tenero e appassionato?

 

Kagome era spiazzata. Non riusciva più a capirlo. E allora si affidò all’istinto. E lo abbracciò forte a sua volta.

 

“Voglio solo che non ti succeda niente…”

 

“Ma ci sei tu con me”. Voleva mostrarsi sicura perché, quando era accanto a lui, nulla le sembrava impossibile. Nulla.

 

“Basterà?...”

 

Inuyasha…Si può sapere che ti succede?”.

 

Non lo aveva mai visto così. Dubitava persino di se stesso. Della sua forza. Di quella forza di cui andava tanto orgoglioso e che gli aveva permesso più di una volta di mettere in difficoltà non solo suo fratello Sesshomaru, ma anche Naraku. Cosa gli stava succedendo?

 

L’hanyou sospirò pesantemente. Doveva dirle tutto.

Sciolse l’abbraccio e la prese per mano, facendola sedere davanti a , sotto ad una grande magnolia secolare. Rami spogli con fiori di neve.

 

Kagome si sentì stringere nuovamente. Un abbraccio diverso, come alla ricerca di una presenza che sta per fuggire. Non si voltò. Sapeva che per Inuyasha sarebbe stato più difficile parlare se lei lo fissava. Si limitò ad abbandonarsi contro il suo petto e a stringergli le mani. Erano fredde.

 

Hai paura?...

 

“Coraggio…Dimmi cosa ti preoccupa…”

 

 

 

 

Sangue. Piccole gocce cadevano a terra, macchiando la stuoia intrecciata. Nel buio, risuonava solo un respiro affannato. Quello di chi ha appena compiuto uno sforzo immenso.

 

“Avevi scoperto troppo…”

 

Un corpo, a terra, in una pozza scarlatta. Trapassato. Naraku si lasciò andare all’indietro, sbatte contro il muro e scivolò lentamente a terra, mentre alcune strisce scure sporcavano la parete. Aria. Aria. Ne aveva bisogno. Gli girava la testa. Troppo velocemente per restare in piedi. Dannazione! Era ancora debole. Molto debole. Nonostante fossero passate ormai due settimane.

 

Si guardò la mano. Rossa. Brillante. Sinistra. Contro la sue pelle diafana, quel colore cupo risaltava ancora di più. Gli era costata grande fatica, quella morte. Più del previsto.

 

Ed era solo un semplice subordinato…

 

Un pensiero che gli fece scorrere un brivido lungo la schiena. Compiaciuto. Lo era davvero. Perché con simili alleati la vittoria sarebbe stata sua. Certamente. Ma ora doveva provvedere a fruttare quella situazione a sua vantaggio. Non era stato previsto quel contrattempo e, anche se gli creava qualche preoccupazione, in fin dei conti poteva farlo fruttare. Per rinsaldare il patto. E forse accelerare un po’ le cose. Era impaziente. Molto impaziente.

 

Kagura!”.

 

La yasha apparve veloce e silenziosa. Vento. Ne era l’incarnazione. L’essenza resa concreta e tangibile. L’essenza imprigionata. Così simile alla sorella Kanna nello sguardo vuoto, così diversa da lei nel carattere ribelle. Due volti dello stesso Naraku. Due parti del suo essere.

 

Il demone la percepì entrare, gustò il suo moto di disgusto e sorpresa nello scorgere il cadavere e lui a terra, ferito. Una ferita non insignificante. Uno squarcio su tutto il fianco destro. Quel maledetto sapeva usarli bene, i suoi affilati pugnali. E avevano già inciso sopra il suo nome. Ma non era andata come aveva previsto. Lui non si sarebbe mai fatto sconfiggere. Neanche da loro.

 

Riaprì gli occhi. Rubino nel rubino. Un sorriso scaltro, una smorfia di sinistra soddisfazione. Naraku assaporava già l’effetto della sua trappola.

 

“Porta via questo sprovveduto. Liberati del cadavere come preferisci, ma fa in modo che sia ritrovabile. Semina indizi, corrompi qualche demone non apertamente nostro alleato. Ti lascio carta bianca. Agisci come preferisci, ma incolpa chi sai”

 

La yasha non rispose nulla, limitandosi ad uno sbuffo fugace ed aprì il suo ventaglio con gesto rapido ed aggraziato. Una corrente d’aria tagliente sollevò il corpo esanime, producendogli tagli sottili come quelli di una spada. Opera perfetta. Una messa in scena perfetta.

 

Kagura…Vedi di non fallire…Altrimenti…”

 

Di schiena, la demone fremette di paura. Anche se ridotto in quello stato, Naraku era sempre temibile. Soprattutto per lei. Perché ne aveva in pugno il cuore. La vita. Si allontanò senza rispondere; l’unico suo pensiero era fisso su quel demone. Quanto c’era di vero nella sua debolezza e quanto era invece un inganno?

 

 

 

 

Shin!”

 

Voce profonda. Voce di chi è abituato a dare ordini. Voce di chi comanda. Da secoli. Voce distorta da rabbia e furore. Il demone aveva fissato i suoi occhi in quelli del figlio. Occhi opposti. Per sfumature e luce. Neri come il dolore quelli dell’youkai anziano; viola quelli del giovane. Occhi di velluto.

 

Il ragazzo aveva in mano una pergamena, sgualcita. La stava lisciando con gesti nervosi. Appena convocato, gli era stata messa in mano. E dopo averla letta l’aveva stretta. Forte. Come se potesse distruggere il suo contenuto. Cancellare la realtà.

Sei parole. Sei maledettissime parole.

 

Il tuo inviato è morto. Assassinato.

 

Non riusciva a crederci. Uno dei demoni più anziani che vivessero al palazzo. Un veterano, abituato alla morte, allo scontro, abile con la diplomazia e ancor più abile con la spada. Invincibile, se liberava la sua forza demoniaca. Un subordinato,è vero. Di suo padre. E anche suo. Ma per lui, soprattutto un compagno, un amico. Il suo maestro d’armi…

 

“Andrai da Naraku”.

 

Un ordine secco. Che non ammetteva repliche. Giusto. Lui non era vincolato. I sigilli su di lui non potevano più fare effetto. Ma presto neanche su suo padre.

 

Si alzò senza dire parola e si girò. Il fuoco del tramonto incendiò la stanza, facendo brillare le armature indossate e le armi appese alle pareti. Era un arrivederci…Si sarebbero rivisti su un campo di battaglia. L’inizio della fine. Per poi festeggiare la vittoria. La vendetta.

 

Vendetta…una parola dal sapore dolce, di acqua che disseta nella calura estiva…

 

Un ronzio intenso. Vicino all’orecchio. La sua guida. Il suo lasciapassare. Un saimyosho. Va bene. Sarebbe andato. Glielo doveva. A chi lo aveva cresciuto.

 

 

 

 

Kagome trascinava l’hanyou per una mano. Sorridendo.

Accidenti! Quel sorriso non voleva proprio spegnersi. E Inuyasha ne era felice. Perché quel sorriso lo inebriava. Lo stordiva. Come una ventata calda d’estate. Come un profumo intenso.

 

Le aveva detto tutto. Tutto. Le sue sensazioni, il potere della sfera (o almeno un potere molto simile a quello che lui aveva sentito molti anni prima) confuso nell’aura di Naraku, la sua inquietudine. Quella sensazione che preannuncia sempre guai. E il pulsare sommesso di Tessaiga.

 

Già…perché la spada era viva. E reagiva. Rispondeva a qualcosa che lei sola sentiva. Una minaccia, o forse un richiamo. Una sola volta l’aveva sentita pulsare così. Palpitare. Una sola volta. Quando l’aveva unita a quella del fratello. Quando Tessaiga e Tenseiga avevano combattuto assieme. Contro Sounga. Contro il passato.

 

Tutto. Le aveva detto tutto. E lei si era limitata a voltarsi, guardandolo negli occhi. Uno sguardo disperato. Ma non di paura. Lo sguardo di chi vuole trasmettere qualcosa. Con tutte le sue forze. Ma non trova le parole. Per paura di non riuscire a farsi capire. Per paura di essere frainteso. Inuyasha non aveva più pensato a nulla. Si era smarrito nelle sfumature di mogano dello sguardo della ragazza. Si era lasciato avvolgere. Vi era sprofondato. Niente pensieri. Niente preoccupazioni.

 

Pesca…Sapore di pesca…Fresco e dolce; delicato e invitante…Un bacio…

 

Kagome lo aveva baciato. Piano. Con la paura di osare troppo e la sicurezza di riuscire a farsi capire del tutto. Lo aveva baciato. Con trepidazione.

 

E poi si era alzata, spezzando quel contatto che aveva spiazzato il mezzo-demone. E si era incamminata. Tranquilla. Rilassata. Come se lui le avesse appena narrato una bella storia. Sorrise, scuotendo rassegnato la testa. Pazza. Doveva esserlo. Per fidarsi di lui anche quando lui, di fiducia, non ne aveva. E glielo aveva confessato. Candidamente. Le aveva detto di temere per lei. E lei in risposta lo aveva baciato.

 

Sì, doveva essere pazza. Malata di quella pazzia che si chiama amore…

 

Inuyasha!”.

 

Alzò gli occhi; era ferma su un masso verde e bianco. E lo salutava con la mano. Sorrideva. Poi, aveva aperto le braccia e si era lasciata cadere all’indietro. L’hanyou si aspettava di vederla subito rialzarsi, magari con una palla di neve in mano. Niente. Attese un attimo, poi scatto. Rapido. Preoccupato.

 

La trovò sdraiata nella neve alta; fradicia e divertita della sua espressione spaventata. Rideva. Una risata cristallina. Fresca. Acqua di sorgente. Il ragazzo pensò al suono dell’acqua di una sorgente. Lucente, fra il muschio e le felci. E intanto Kagome rideva e muoveva le braccia e le gambe: su-giù, su-giù; destra-sinistra; destra-sinistra.

 

“Aiutami…”. Prese la mano che gli tendeva e l’aiutò ad alzarsi. Lei si girò, osservando compiaciuta il suo lavoro. “Ti piace?”

 

“Cos’è?”. Inuyasha fissava la sagoma nella neve. Non riusciva a darle una forma chiara.

 

“Un angelo di neve”

 

“È bello…”

 

Mentì. Non vedeva nessun angelo. Solo una sagoma informe. Ma non gli importava. Perché l’aveva fatto lei. Perché vi vedeva la ragazza distesa, con gli occhi che ridevano. Perché lei gli aveva ridato quel coraggio che il sentire quel potere gli aveva tolto. Gli aveva restituito se stesso. Forse già da molto tempo. E lui se ne era accorto solo in quel momento. Mentì. Perché l’unico angelo che vedeva era la suo fianco.

 

 

  
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