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Autore: fewlish    28/05/2012    1 recensioni
Sono una bastarda.
Sono cattiva.
Sono senza scrupoli.
Sono subdola.
Sono una bugiarda, mento persino a me stessa.
Mento per sentirmi bene nel mondo e per essere accettata e amata dagli altri.
Porto molteplici maschere: con i miei amici ho un volto, con i miei genitori un altro e con Marco ne avevo un altro ancora.
L’ho fatto soffrire, l’ho fatto star male, gli ho spremuto ogni linfa vitale, ho succhiato ogni goccia del suo sangue finché non è diventato solo un corpo, un automa, un cucciolo indifeso nelle mie mani.
Mi sono cibata dei suoi pensieri, mi sono dissetata con il suo amore.
Era il mio giocattolo, era il burattino e io il burattinaio, l’ho ammaliato, l’ho imprigionato nel mio incantesimo.
L’ho usato, gli ho mentito e poi l’ho lanciato nel vuoto, come foglie al vento.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sono morto.
Non ho più un'anima da quel fatidico giorno. Non lo scorderò mai, rimarrà per sempre impresso nella mia mente, indelebile, incancellabile. Posso ricordarlo chiaramente, come se fosse accaduto ieri.
Ricordo quella sera, quando il mio amico Leo mi aveva spronato e costretto ad uscire, nonostante volessi restare a casa a leggermi un buon libro.
Nitidamente posso vedere il locale in cui andammo: molto chic, un po' appariscente, ma sopratutto pieno di gente. Non era un locale nel nostro stile e non era il solito che frequentavamo, ma quella sera, per un inspiegabile motivo, decidemmo di cambiare aria.
Ricordo ancora la birra che ordinai, una Becks, ma ancor più nitido è il ricordo dell'istante successivo.
Lei, circondata dalle sua amiche, sedute ad un tavolo, mi stava guardando con i suoi occhi neri come l'abisso. Neri come il cielo stellato, neri come l'universo, neri come il buio della notte.
Fra tutta la gente nel locale, lei scelse me: un povero aspirante poeta-musicista senza il becco di un quattrino.
Il suo volto perfetto mi squadrava ammiccante, l'arcata precisa delle sue sopracciglia sottolineava i suoi occhi grandi, maestosi, avvolti da folte ciglia. Le sue labbra carnose e rosse come il sangue, come la passione e come l'amore che non mi ha mai dato, si aprivano in un sorriso amichevole, che solo dopo scoprii essere tutt'altro. Ella sorrideva perché sapeva di avermi in pugno. E aveva ragione.
Vorrei non averla mai incontrata, lei è stata sicuramente il mio sbaglio più grande, uno sbaglio che ripeterei all'infinito.
Ricordo il momento esatto in cui la vidi: mi si seccò la gola, il mio cuore dapprincipio si fermò, poi, batté all'impazzata.
Non avevo mai visto una creatura tanto armoniosa e piena di grazia. Pensavo fosse un angelo e io un comune mortale, la credevo una dea inavvicinabile e fuori dalla mia portata. Scacciai subito dalla mente il pensiero di avvicinarmi e parlarle, non ero decisamente alla sua altezza! Non appena finii la birra, lanciai un'occhiata furtiva al suo tavolo, ma non la vidi più.
Fui pervaso da un senso di angoscia e delusione: come avevo potuto lasciarmela scappare? “Stupido! Stupido!” Continuavo a ripetermi.
Finché non mi cadde lo sguardo verso l'uscita, dove vidi la sua esile figura aprire armoniosamente la porta per far uscire le amiche, per poi chiuderla, facendo fluttuare i lunghi capelli corvini che le arrivavano ai fianchi.
Per un attimo rimasi di nuovo folgorato. Lei non poteva essere un essere umano, lei era qualcosa di trascendentale, di mistico, era una ninfa dei boschi, una dea greca, un angelo diabolico.
Sconvolto ancora da quell'apparizione, mi congedai da Leo, con la scusa di dover studiare per un esame importante all'università.
Tornai a casa malinconico, con il pensiero di non rivederla mai più.
Sdraiato sul letto, fui colto da un'improvvisa ispirazione poetica e incominciai a scrivere delle poesie, forse le più belle che io abbia mai scritto, come le successive che le dedicai in seguito per farmi amare almeno un po' da lei.
Lei era la mia musa.
Lei è la mia musa.
Lei sarà sempre la mia musa.
Solo ora che guardo lucidamente al passato, mi rendo conto di come fin da subito lei mi avesse imprigionato nel suo incantesimo.
Solo ora capisco appieno le parole di Baudelaire dedicate alla vista di una passante bella, nobile, elegante e maestosa: "la douceur qui fascine et le plaisir qui tue" (la dolcezza che affascina, il piacere che uccide). Io sono morto, morto dentro.
La amo come amo il profumo di pane caldo al mattino, come amo le verdi colline irlandesi, come amo l'odore del mare all'alba, come quando infilo la mano in un sacco di ceci freddi, la amo perché è la cosa più bella e più brutta che mi sia capitata. La amo perché è lei, Francesca, o semplicemente Fra, il mio amore, la mia vita.
Non ho un cuore, non ho un animo, le ho donato tutto pur di farla felice, ma la sua voracità la rendeva insaziabile, ha succhiato ogni goccia del mio sangue. Sono uno zombie che reclama la sua vita, sono una vittima che chiede giustizia.
Non posso dormire, lei si è presa anche i miei sogni, lasciandomi solo degli incubi allucinanti.
Non posso star sveglio, il suo volto occupa insistentemente ogni mio pensiero.
Lei mi ha fatto sentire così vivo e così morto allo stesso tempo.
La voglio togliere dai miei pensieri, la voglio cancellare, eliminare dalla mente.

  
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