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Autore: Nikki Cvetik    28/05/2012    6 recensioni
(Da " A White, Pure Life")
-Abbiamo sentito di nuovo il sangue nelle vene, accorgendoci di quanto e per quanto tempo ci sia mancato.
Genere: Azione, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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A White pure life.
Una pura vita bianca.

 

When you feel you’re alone, cut off from this cruel world.
Your instincts telling you to run.

Listen to your heart, those angel voices: they’ll sing to you.
They’ll be your guide back home.


When life leaves us blind, love keeps us kind.
It keeps us kind.


When you’ve suffered enough and your spirit is breaking.
You’re growing desperate from the fight.

Remember you’re loved and you always will be.
This melody will bring you right back home.


When life leaves us blind, love keeps us kind.
When life leaves us blind, love…
 
The Messenger – Linkin Park

 
 
Ho visto pesi terribili caricati sulle spalle di chi mi è stato attorno.
Alcuni, nel loro essere fragili, sono caduti vittime della crudeltà di questi. Sono dovuti soccombere -innocenti- senza colpa.
Altri, avvezzi a fardelli non meno gravosi, sono stati ugualmente schiacciati dal peso di loro, malèfici, incuranti delle cicatrici su cui si erano posati.
Altri, infine, questi pesi li hanno ancora sulla schiena, persone che sono vive per esclusione. Non per regola.

Io sono tra questi. Sono tra coloro che hanno le scapole rotte ed incrinate. Ma che ancora si trascinano dietro il proprio carico.
Siamo tutti consapevoli che non ci sarà mai concesso di posarlo, nemmeno per un secondo. Nemmeno quando ci sembrerà di non poter fare altrimenti.
Le azioni, i ricordi, i rimorsi, i morti, le vittime ed i carnefici, i colpevoli e gli innocenti, le cicatrici e i coltelli, il sangue, le lacrime non se ne andranno mai via. La storia, anche quella più piccola, è per tutti noi immutabile, scritta nella memoria.
Ed anche se questa svanisce, anche per il tempo di un solo respiro, continua ad aspettarci sulla porta simichiusa della nostra camera da letto.
Dunque questa è la pena della vita?
Dunque questo è il prezzo per il dono che ci è concesso?
No

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Poso la bic dopo aver apposto l’ultima firma sul rapporto e mi stiracchio.
Sento finalmente le ossa del mio collo tornare alla loro posizione abituale, dopo ore.
Queste sedie saranno pure ergonomiche, ma un rapporto del genere ti sfinisce e basta, sedia ergonomica o meno.
Mi accorgo che il mio chignon ha bisogno di essere rassettato, insieme alla camicia.
Il bullpen è semideserto, a parte gli ultimi impiegati e quelli del turno di notte. Mi concedo uno stiracchio ancora più sonoro, prima di posare i gomiti sulla scrivania e mettermi a pensare.
Guardo le foto davanti a me e sorrido, come sempre.

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No.
Non sarebbe vita, non sarebbe accettabile.
Sarebbe sopravvivere, svolgendo le nostre funzioni biologiche solo perché non potremmo far altro. E' l'iniqua e falsa gratitudine verso il destino e verso chi ci ha lasciato.
Vivere sotto questo peso è di per sé un’antitesi.

Qualcosa c’è permesso, però.
Una volta. Una sola.
C’è permesso di dividere la gravità di questo peso.
C’è permessa una persona alle nostre spalle, quando saremo costretti ad aprire la porta.
C’è permessa la scelta, sotto la nostra responsabilità e sotto il nostro giudizio.
C’è permessa la felicità.
Ma solo se sappremo ottenerla.
Lottando fino a farci sanguinare le unghie per amor nostro e degli altri.


La mia battaglia è stata lunga, iniziata quando nemmeno immaginavo di avere abbastanza forza per lottare contro gli eventi che mi si sarebbero abbattuti addosso.
Sono andata avanti, facendomi strada tra i cadaveri delle persone con cui il giorno prima avevo riso.
Per me.
Per loro.
E per chi, lo sapevo, mi avrebbe aspettato alla fine del campo.


-----
 
Alzo il sedere dalla sedia, facendo perno sui gomiti per vedere cosa sta facendo.
Dorme ancora allungato sulla poltrona, come di suo solito.
Strano: era un bel po’ che non lo faceva.
Dormire, intendo.
Di solito si mette lì ore intere a pensare ad occhi chiusi. Ma non dorme più, ormai.
Ha detto che stanotte non è riuscito a prendere sonno.
Sarà…

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Per anni interi mi sono limitata a sopravvivere perché dovevo.
Lo dovevo a mia madre.
A mio padre.
A Bosco.
Alla mia squadra.
Al CBI.
A Jane.

Vedere i giorni della mia vita passarmi davanti. Ed io del tutto disinteressata.

Quando ho fatto finta di essere impazzita, be'…forse non era del tutto una pagliacciata come doveva essere.

Ma ancora una volta dovevo, dovevo, dovevo, dovevo vivere.
Continuare a far battere il mio cuore.

Un po’ come non buttare il cibo, quando sai che tanti bambini in Africa muoiono.
Fatto sta che il cibo, che tu non butti, loro non l’avranno mai.
Così la vita, che io stavo vivendo in nome di altri, non li avrebbe riportati qui.

Per questo quando John mi ha passata a fil di coltello sono stata quasi felice che tutto questo fosse finito.
Avevo trovato una scusa, avevo trovato un modo per fermarmi.
Eppure…

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Ritorno seduta e sfioro il vetro liscio del portafoto davanti a me.
Il mio matrimonio.
Quasi piango ogni volta che ci ripenso.
La visione di Patrick sulla spiaggia davanti all’altare. Completamente vestito di bianco, ad aspettarmi. Rimarrà nella mia memoria come una delle immagini più belle della mia vita.
Mi hanno detto che tremavo come una foglia, finché non ci siamo presi per mano.
Rido, pensando che ancora più impressa mi rimarrà l’immagine delle mie mani che spogliavano Patrick da quel divino completo bianco, quella sera stessa.

La luce dei neon brilla sulla fede che porto al dito.
Che strana storia, quella di questa fede.
L’abbiamo fatta forgiare unendo la vecchia vera di Patrick e la mia croce.
Ora entrambi abbiamo al dito il peso delle nostre tragedie. Dei relitti dei nostri orrori. Uniti, per formare una nuova cosa.
Qualcosa di puro, brillante, di bellissimo.

-----
 
Eppure ho trovato una persona che -lo sapevo- avrebbe potuto condividere il peso che avevo addosso.

La sua schiena non era libera: era stata anche lei sull’orlo di spezzarsi.

Ma sapevo di poter essere fiduciosa, e affidargli parte della mia zavorra. Sapendo che l’avrebbe custodita. Sapendo che sarebbe stato in grado di sostenerla.
Mi sono anch’io fatta carico di parte della sua. Felice, perché nonostante la massa sulle nostre spalle fosse rimasta la stessa, il suo peso, stranamente, era diminuito.

E il carico, che se n’è andato dalle nostre costole ci ha permesso di tornare a respirare.
Abbiamo sentito di nuovo il sangue nelle vene, accorgendoci di quanto e per quanto tempo ci sia mancato.

-----
 
In un angolino della cornice c’è una foto, più piccola, segreta.
E’ uno scatto quasi rubato, che ho fatto io stessa.
Pochi giorni dopo il parto, siamo venuti qui al CBI per far conoscere la nostra piccola a tutta la squadra.

Étoile Lisbon Jane.

“Elle” per tutti noi.
Quel giorno Patrick ha tenuto la nostra piccola in braccio per tutto il tempo.
Solo Cho è riuscito a coccolarla per più di qualche secondo. Forse perché era l’unico col quale Elle non piangesse.

Nella foto c’è Patrick, seduto sul divano con Elle addormentata in braccio, tutta avvolta nella sua copertina bianca, mentre la culla e le bacia le piccole dita strette attorno al suo pollice.

-----
 
Abbiamo sentito finalmente la differenza tra il vivere e il sopravvivere.
E vivere, proprio perché l’abbiamo ottenuto lottando, ci sembra ancora più bello.

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Stavolta devo proprio alzarmi e andare da mio marito.
Mi dirigo verso il bullpen con tutte le intenzioni di svegliarlo con una seduta di solletico perforante, ma tutto svanisce quando mi avvicino al divano.
Patrick è steso a pancia all’aria con un braccio vicino al volto e l’altro sul petto, le gambe incrociate e un viso angelico, completamente rapito dal sonno.
Nonostante siano ormai cinque anni che siamo sposati, non riesco ancora a essere indifferente a certi suoi aspetti.

Mi mordo un labbro e lascio totalmente sfumare la mia vecchia idea.
Mi siedo sui talloni, dietro l’appoggiabraccio del divano, ormai da anni il suo cuscino.

Inserisco la mia mano tra la pelle del divano e la sua testa piano, piano fino ad arrivare alla nuca, dove inizio a fargli un leggerissimo solletico.
Lo sento lamentarsi e muoversi, piegando il collo all’indietro per trovare un po’ di sollievo.
Povero il mio mentalista, è troppo addormentato perché capisca che mi ha appena assecondata.
Gli mordo le labbra, finalmente alla mia portata, mentre lui s’irrigidisce, visibilmente stupito.
Ma quando lo sento sorridere perdo ogni minimo contegno, facendo scivolare la mia mano fino ad incontrare la sua, sopra il suo cuore, mentre sento le sue dita premermi sulla nuca, invitandomi a approfondire.
Lascia le mie labbra ed io mi metto a guardare il suo volto al contrario e i suoi bellissimi occhi azzurri, quasi liquidi quando si sveglia.

-Buongiorno, amore.
-Buongiorno.

Con le mani ancora intrecciate mi attira verso il basso per darmi un bacio sulla punta del naso.
-Penso che farò più spesso pisolini al lavoro, visto che questa è la sveglia.
-Non ci fare l’abitudine, signor Jane. Sono ancora il tuo capo.
-E io sono consulente del CBI, quindi in teoria non sei tu il mio capo.
-Un Senior Agent ha più influenza di un consulente.
-Non se il consulente sono io. E comunque non credo che a te sia dispiaciuto.
-Mmmmm…solo un po’.
Si tira su di nuovo ed io mi avvicino a lui, cambiando traiettoria all’ultimo momento per baciargli una guancia.
-E poi devi ancora spiegarmi perché hai così tanto sonno ultimamente.
-Sono stato tutta la notte a guardarti.

Colpo al cuore. Ormai c’ho fatto l’abitudine.

-Stai scherzando, vero?
-Assolutamente no. Sono un po’ di giorni che…non lo so…vedo qualcosa di diverso in te…
Mi tiro indietro spaventata.

Cribbio, non può averlo capito!

-Per quanto credevi di potermelo tenere nascosto? Ti conosco da più di dodici anni. Certi cambiamenti, a un occhio come il mio, non passano certo inosservati.
Sto letteralmente boccheggiando mentre mi guarda con quegli occhi troppo sicuri perché abbia frainteso.
Fortunatamente sento l’ascensore aprirsi e qualcuno entrare, passi sicuri, accompagnati da piccoli zampettii.

-Pattik! ‘elesa!!
Una vocina inconfondibile fa scattare in piedi Patrick, che subito corre verso il corridoio, chinandosi con le braccia aperte per accogliere Elle, che si è letteralmente catapultata lungo il corridoio in direzione del papà.
Mi fermo a guardarli, mentre Patrick se la fa saltare in braccio per poi stringerla forte, baciandole una guancia.
-‘elesa!!!
Ancora in braccio al padre, mi schiocca un bacio sulla guancia ed io le accarezzo i morbidi ricci color ebano.

Durante la gravidanza temevo che Elle potesse assomigliare troppo a Charlotte, temevo che Patrick non avesse potuto amare la sua bambina senza pensare a lei.
Non l’avrebbe mai fatto apposta, questo è sicuro, ma come si sarebbe sentito dentro, se l’aspetto di sua figlia fosse stato troppo simile a quello di Charlotte?
Forse non lo sapremo mai.
Sta di fatto che Patrick è un padre magnifico: da quando Elle è entrata nella nostra vita, lo vedo sotto una luce del tutto nuova.
Come quando ha insistito per entrare in sala parto per non perdersi nemmeno un minuto della nascita di Elle. E stava per mancare l’obiettivo, visto che è svenuto appena iniziato il travaglio riprendendosi, fortunatamente, poco prima che la nostra piccola venisse alla luce.
O quando è rimasto sveglio per tutta la notte davanti alla sua culletta la prima volta che ha avuto gli orecchioni. Devo ammetterlo, però: anche per me quella notte non è stata per nulla serena.
Hanno un rapporto speciale. Basta che si guardino negli occhi, gli stessi occhi, per capirsi. E quando due Jane si mettono d’accordo vuol dire solo una parola: guai, per me, ovviamente.

-Tobbiamo brigarci! Tio Tho è già arrivato al bistorante!
-Ohhhhh…Lo zio Cho, addirittura? Nono, lo zio Cho non può arrivare prima di una principessa.
-Allora tu e ‘elesa ovete brigarvi!
-Certo, prendiamo le giacche e poi accompagniamo questa principessa al ballo.
-Iccoddati il egalo pe o tio Wayne!
-Certamente, come potrei, l’hai scelto tu!
-Tiiiiiiii!!!
Patrick mi guarda, ed io non posso non sorridere.
-Avanti, la principessa deve ancora prepararsi. Su, vieni dalla zia Grace, ora andiamo a casa e ci mettiamo il vestito blu.
-Io vojo quello vedde!
-Ma a quello verde manca un bottone.
-‘O cucisco io!
-D’accordo.
Grace guarda al cielo e s’incammina verso l’ascensore con Elle in braccio, che intanto ci manda tanti baci con le mani.

-L’abbiamo fatta proprio bene, non trovi?
-Già, il tuo lavoro migliore, credo.
-E già pronto a fare il bis.
Le sue dita sfiorano la pelle della mia pancia sotto la maglia, facendo tanti piccoli cerchi attorno al mio ombelico. 
-So che volevi dirlo a tutti durante la festa. Prometto che farò finta di niente.
Gli do un bacio sul collo e lo abbraccio forte.
-Grazie.
-Grazie a te.
-Per cosa?
-Per te.
-Perché?
-Perché sei speciale.
-Sì, e tu sei di parte!
-Non c’entra nulla. Sei speciale lo stesso.
Recuperiamo le nostre cose e ci incamminiamo verso l’ascensore.

-Chissà chi sarà. Eloise o Alexander?
-Alexander.
-E tu come lo sai?
-Lo so e basta.
-Che fai, mi fregi il lavoro?
-No…
Mi giro verso di lui, attirandolo a me per baciarlo intensamente.
-…solo Alexander.
Le porte dell’ascensore si chiudono, mentre noi continuiamo a baciarci, ebbri di questa vita, insieme alla nuova piccola creatura che mi sta crescendo dentro.
 
********************************************FINE****************************************

The Corner:
E così, anche questa storia è finita. La mia prima Long, quasi mi commuovo a mettere la spunta su "Completa".
Alla fine di questa storia voglio dirvi una cosa: non so proprio cosa dirvi.
O meglio sì.
Grazie.
Solo questo.
A chi mi ha sostenuto.
A chi mi è stato vicino per tutto questo tempo, silenziosamente.
A chi ha speso anche solo cinque minuti a leggere questo pasticcio :)
A chi mi ha fatto partecipe delle sue idee.
A chi ha recensito.
A chi questa storia non gli è piaciuta proprio.
A tutti quelli che sono miei inconsapevoli stimoli, perchè sappiate che siete tutti nel mio cuore e vi terrò sempre dentro, anche se le nostre strade si divideranno.
A te, che presto ti lascerò. Per quell'Hysteria che una volta suonò solo per me, grazie di tutto, a parte il dolore.
A Heller, che ha creato questa magnifica storia.
A Simon e Robin, che le hanno dato forma.
A Patrick e Teresa, che non smetteranno mi di farci sognare.
Detto questo, vi lascio per l'ultima volta :), ma solo perchè anch'io voglio tornare.

Quando la vita ci lascia ciechi, l'amore ci rende gentili.

Tanti baci e a presto.

Per sempre vostra.
Nikki C.
  
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