Note
dell’autrice: salve a tutti. Girottolavo tra le vecchie fiction nel mio computer
e mi sono ritrovata davanti a questa, cominciata e mai finita.
In
uno sclero pre-esame di Glottologia, ho deciso di
ultimarla.
Trattasi
di una song-fiction che ha per protagonisti il dottor Holmes ed il professor
Lowell, due dei personaggi del Circolo Dante di Matthew
Pearl.
La
canzone invece si intitola ‘Sorry’ ed è di Chris Daughtry.
Buona
lettura.
Sorry
James
Russel Lowell camminava per le strade di Boston, che, decorate dalla neve,
brillavano sotto i raggi del sole morente.
Come
gli sembravano solitari quei luoghi ora che Phineas Jennison non c’era più,
ucciso in uno dei modi più brutali che la mente umana potesse
concepire.
Perché poi, l’assassino aveva scelto lui?
Tra i
suoi tanti difetti potevano esserci la boria, la pomposità, l’arroganza, ma di
certo non era un seminatore di scismi.
Santo
cielo, non aveva senso che fosse stato fatto a pezzi in quel modo così crudele!
Conosceva
Phineas, era stato uno dei suoi migliori amici, la spalla su cui piangere per le
angherie subite dalla Harvard Corporation, la voce con cui ridere e scherzare
nei tempi felici. Più di una volta gli era parso di vederlo camminare per
strada, con il suo sgargiante cappotto bianco. In un’occasione era anche corso
dietro all’apparizione e, quando aveva provato ad afferrare il braccio
dell’individuo, si era trovato carne ed ossa sotto le
dita.
Le
lacrime di gioia, però, si erano ben presto congelate sul suo volto e non solo a
causa del clima rigido di Boston: l’individuo che si era trovato davanti, altri
non era che il barbone che aveva trovato il corpo del suo amico. I vestiti che
indossava li aveva trafugati dalla scena del delitto.
A
quell’episodio era seguito un periodo terribile. Aveva subito attacchi da ogni
parte: dalla Harvard Corporation, nella persona di Augustus Manning, poi dal
dottor Agassiz, dal quel lurido verme di Simon Camp. Aveva intravisto un po’ di
speranza quando, qualche giorno prima, Fields era venuto a dirgli che la polizia
aveva acciuffato Lucifero.
Peccato
che si trattasse di un povero ignorante senza la minima conoscenza di Dante o,
comunque, della lingua italiana. Un altro buco nell’acqua.
Quando
era cominciato ad andare tutto storto?
‘Dalla
sera della scoperta dell’omicidio di Phineas’ si rispose. Già, perché in quel
maledetto giorno non aveva perso un solo amico, ma addirittura due.
Ricordava
ancora la tremenda discussione avvenuta tra lui ed il dottor Oliver Wendell
Holmes nella sede dell’editoria Ticknor & Fields. Erano volati grossi
insulti ed il solo ricordo gli fece ribollire il sangue.
Era
convinto di essere dalla parte giusta: aveva difeso Longfellow, aveva difeso
Dante come Lancillotto avrebbe difeso Artù ed il Graal.
Perché
allora aveva nel suo cuore la sensazione di aver compiuto qualcosa di sbagliato?
D’un
tratto, i suoi occhi scorsero la sagoma dell’abitazione del dottor Holmes che si
stagliava in lontananza.
Si
fermò lì dov’era e la osservò.
Un
pensiero improvviso gli attraversò la mente: avevano sbagliato
entrambi.
Holmes
si era tirato indietro proprio quando si erano ritrovati nel bel mezzo
dell’intera questione. Li aveva abbandonati. Era pur vero, però, che, tra loro
quattro, il piccolo dottore asmatico era quello che aveva vissuto di più
l’intera vicenda.
“Scambierei
quello che ho visto con diecimila mosche carnarie.”
Il
ricordo di quelle parole fece nascere un sorriso amaro sulle sue labbra. Non
poteva biasimare l’amico. Si era dovuto calare nel buco che aveva ospitato il
corpo agonizzante del Reverendo Talbot alla ricerca di indizi, aveva assistito
agli ultimi spasmi di vita del corpo mutilato di Phineas Jennison… sarebbe stato
troppo per chiunque, anche per un docente di medicina dell’Università di Harvard
quale era Holmes.
Dal
canto suo, come al solito, si era comportato in maniera impulsiva. Non aveva
voluto vedere oltre l’idea che tutti avevano di Holmes, ovvero di un uomo
vigliacco, buono solo a parole, ma incapace di agire quando era necessario
farlo. L’aveva insultato pesantemente senza capire che l’amico non li stava
abbandonando, ma stava semplicemente cercando di dire “ho bisogno di prendere un po’ d’aria, di
cercare di dimenticare gli orrori di cui sono stato testimone in attesa di
compiere la prossima mossa.”
In un
attimo, prese la sua decisione e si diresse a passo spedito verso il numero 21
di Charles Street.
Mentre
camminava, però, alcuni dubbi gli invasero la mente.
Will you listen to my story?
It’ll just be a minute
How can I
explain?
Whatever happened here never meant to hurt you
How can I cause
you so much pain?
Holmes
sarebbe stato ad ascoltarlo? O avrebbe reagito rendendogli pan per focaccia,
ovvero sbattendolo fuori di casa senza nemmeno ascoltarlo? Avrebbe dovuto essere
rapido, avrebbe dovuto spiegargli in poche parole che non era stata sua completa
intenzione ferirlo in quel modo, che le parole erano state dettate
dall’ira.
Cielo,
com’era potuto arrivare fino a quel punto?
Come
aveva potuto trattare così uno dei suoi migliori amici?
When I say I’m sorry
Will you believe me?
Listen to my story
Say you won’t leave me
When I say I’m sorry
Can you forgive me?
When I say I will always be there
Will you believe, will you believe in
me?
Si
chiese se gli avrebbe creduto quando gli avesse chiesto scusa, se avrebbe
accettato di perdonarlo.
Si
chiese se avrebbe voluto essere ancora suo amico e si ritrovò a sperare
ardentemente di sì. Con tutti i difetti che poteva avere, Holmes era comunque
un’ottima persona ed un grande conoscitore in vari ambiti di scienza e cultura.
Quando se n’era andato dall’editoria di Fields, tutti loro, anche se non
l’avevano confessato, avevano sentito come se un vuoto si fosse aperto nei loro
cuori.
A lui
poi sarebbe mancato in particolar modo: era divertente stuzzicarlo,
battibeccarci sotto lo sguardo divertito di Longfellow e Fields.
Gli
sarebbe mancato come amico, si decise ad ammettere.
All the words that I come up with
They’re like gasoline on flames
There’s no excuse, no explanation
Believe me if I could undo what I did
wrong
I’d give away all that I own
Si
irrigidì quando si ricordò di aver detto all’amico che sarebbe stato meglio
avere suo figlio nel Circolo Dante invece di lui. Che lui sarebbe stato di
maggiore aiuto.
Quello
era stato un colpo davvero basso e si vergognò di se stesso per esserne stato
l’autore. Non pensava davvero ciò che aveva detto e maledisse mentalmente il suo
caratteraccio. Gli piaceva la compagnia del giovane Holmes, di quel ragazzo che
si ostinava a cercare di essere sempre così diverso dal padre, stimandolo ed
ammirandolo molto, però, anche se segretamente.
Tuttavia,
non avrebbe mai e poi mai sostituito il dottor Holmes con il figlio.
Si
sentì ancora più in colpa quando realizzò che, forse, se avesse assunto un
atteggiamento più comprensivo, non sarebbero mai giunti ad offendersi in quel
modo e Holmes non se ne sarebbe andato così
precipitosamente.
Dannata
impulsività!
Gli
ritornò alla mente la caduta dell’amico a terra, dopo che questi aveva urtato
Teal, uno degli impiegati di Fields.
Anche
allora non era andato ad aiutarlo, benché fosse chiaro che era in preda ad un
terribile attacco d’asma dei suoi.
Aveva
continuato ad insultarlo, l’aveva accusato di tradimento e gli aveva voltato le
spalle.
Sospirò.
Se
avesse posseduto la capacità di tornare indietro, non avrebbe di certo detto
quelle cose. O, quantomeno, avrebbe cercato di trattenersi dal farlo.
Tanto
non poteva cambiare gli eventi. Così erano e doveva tentare di porvi rimedio ad
ogni costo.
Take me for who I am
And not for who I’ve been, who I’ve
been
Oramai
era arrivato a casa Holmes. Preso un bel respiro, varcò il cancello d’ingresso e
si diresse alla porta. Non ricordava di aver mai compiuto un tragitto tanto
breve e, al contempo, tanto lungo.
Alla
fine, comunque, si trovò di fronte alla porta d’ingresso.
Bussò
e, dopo pochi minuti, venne ad aprirgli una cameriera. Lo riconobbe all’istante
e lo fece accomodare nell’atrio prima di andare a chiamare i
padroni.
Nell’attesa,
Lowell si trovò di nuovo immerso nei suoi pensieri. Tuttavia non si mise a
riflettere su ciò che avrebbe detto.
Si
scoprì a sperare, quasi disperatamente, nonostante fosse ingiusto, che l’amico
non compisse il suo errore, che non lo giudicasse in base ad un unico singolo
episodio.
Lo
sperò con tutto se stesso e continuò a farlo anche quando Amelia Holmes venne a
riceverlo e lo condusse allo studio dove, una volta entrato, si trovò faccia a
faccia con il dottor Oliver Wendell Holmes.
FINE