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Autore: Eirien    29/05/2012    5 recensioni
La notte degli inganni ha avuto ufficialmente tre vittime: il Gran Sacerdote Shion, Aioros di Sagitter, la sanità mentale di Saga di Gemini.
Questo, perché non tutti sanno che due giorni dopo Mitsumasa Kido è andato in cerca di un Cavaliere d'Oro. E che si può vivere due volte lo stesso destino, anche se una volta sarebbe già troppo.
Genere: Azione, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aquarius Camus, Chameleon June, Nuovo Personaggio, Phoenix Ikki, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Track #08: On The Turning Away TRACK # 08

ON THE TURNING AWAY

It's a sin that somehow
Light is changing to shadow
And casting it's shroud
Over all we have known
Unaware how the ranks have grown
Driven on by a heart of stone
We could find that we're all alone
In the dream of the proud

(Pink Floyd)

Seiya crollò sulle ginocchia, sfiancato dal peso della sua stessa armatura. Quella Veste Sacra, di cui era stato tanto fiero il giorno della sua investitura, gli si stava crudelmente rivoltando contro. Il suo respiro era affannato, aveva chiesto troppo alle sue forze. Sbirciò di sottecchi Shiryu, riverso a terra. Il suo amico, il suo salvatore. Che lo aveva sottratto alla maledizione di Black Pegasus, ma che non aveva certo il potere di restituirgli le energie perdute. "Sono stato un pazzo a volerlo affrontare da solo… e ora mi finirà."
Il suo avversario stava evidentemente pensando la stessa cosa. Ikki si avvicinò, un ghigno soddisfatto stampato sul viso, l'aura del suo potere che si allargava attorno al suo corpo, luminosa e terribile.

— Sembra che la tua buona stella ti abbia abbandonato, Pegasus… —

Seiya percepì chiaramente che il colpo stava per essere sferrato. Poteva indovinarne la direzione, prevederne la potenza. Ma non aveva la forza di scansarsi. E allora, certo che fosse finita, sollevò la testa in un moto d'orgoglio. Non sarebbe certo morto come un coniglio, con gli occhi a terra. Ma Ikki si bloccò improvvisamente con una smorfia d'esasperazione. Il tintinnio di un campanello guidò i loro sguardi verso una figura che si stagliava in controluce, in piedi sulla roccia dove poco prima si trovava il Santo della Fenice.

— Hyoga… bastardo, dovresti essere morto… il mio colpo aveva sfondato il tuo cloth. — mormorò, stupito.

Illuso… Il ghiacciolo umano sorrise con sarcasmo. — La prossima volta prova a prendere meglio la mira, Ikki… non è così facile uccidermi. —

— E neanche mettere fuori gioco me… — Il Dragone si stava rialzando in quello stesso momento, sotto gli occhi increduli di Shun.

— Shiryu… — bisbigliò, sentendosi in colpa come mai in vita sua.

Il ragazzo lanciò uno sguardo indecifrabile al suo amico, scostando dal viso i lunghi capelli neri. — Smettila di cercare un martirio che non meriti, Cavaliere di Andromeda… — lo rimproverò seccamente; quindi si volse verso Ikki. — Sei rimasto solo, e noi siamo in quattro. Neanche il tuo smisurato orgoglio può farti credere di avere ancora speranze di vittoria. Non ci sconfiggerai mai tutti. E nessuno qui desidera combattere contro un avversario in condizioni di inferiorità così netta. Deponi le armi, Ikki. Ormai hai perso. —

"Calma olimpica e saggezza zen, vero, cinesino? Ma io non sono affatto finito…" Ikki rise di gusto a quell'assurdo sproloquio. Se la situazione l'avesse permesso, avrebbe continuato a sghignazzare fino all'indomani. Perché le facce di quei quattro inetti erano impagabili. Pensavano sul serio di poterlo battere? "Ti sbagli, damerino senza nerbo. Presto andrete a raggiungere la vostra compagna di merende. E io brinderò sui vostri cadaveri."

— Ci credi sul serio Shiryu? Sapete bene che sono in grado di distruggere senza problemi ognuno di voi. Attaccatemi anche tutti insieme, non vi temo affatto. — Con la coda dell'occhio vide il russo fremere d'indignazione. "Ne vuoi ancora, mammone?"

— Non crederti onnipotente, Ikki. Non lo sei affatto… — ribatté quello, freddamente. Da dove diavolo la prendeva quella sicurezza? Era stato lui a ricevere il suo colpo. Lui a frignare come una femminuccia. Lui a cadere ai suoi piedi, alla fine del duello.

— Allora che aspetti a farti avanti, biondina? Ti farò assaggiare ancora il Genmaken… Spero tu non l'abbia dimenticato… — ghignò perfidamente. "E stavolta ti strapperò il cuore"…

Ancora quell'irritante sorrisetto, sulla faccia da calendario del russo mezzosangue. — Attento, perché questa volta il tuo magnifico colpo potrebbe ritorcersi contro di te… Non vedo l'ora di godermi lo spettacolo. —

— Questa è bella davvero… — ridacchiò Ikki, assumendo la sua espressione più strafottente. — Accomodati, pivello. Ti manderò dalla mammina a piangere per la bua. —

"Ti pentirai di aver profanato il ricordo di mia madre, stronzo…" La temperatura attorno al Santo di Cygnus precipitò immediatamente. Shun, osservandolo, si sentì rabbrividire sin nelle ossa. C'era qualcosa di profondamente sbagliato in quella scena. Quel duello, tutta quella farsa, non avevano ragione d'essere. Non l'aveva mai percepito con maggiore chiarezza.

— Diamond Dust! —

L'aura gelida, che per un momento era sembrata crescere fino a prendere possesso di tutta la vallata, cominciò ad arretrare, sospinta indietro dall'irruenza di un cosmo incandescente come il fuoco. Ikki aveva tutte le intenzioni di fare sul serio, mentre si slanciava sul suo avversario con fredda precisione di movimenti. Hyoga arretrò d'istinto, preparandosi all'impatto. Con una risata perfida Phoenix lanciò il suo Genmaken. La consistenza della Polvere di Diamanti cambiò di colpo. Sembrò che all'improvviso un muro di ghiaccio si ergesse tra il Cigno e il suo avversario. Un muro in grado di respingere qualunque attacco. Ikki comprese troppo tardi di essere stato giocato. Il suo colpo s'infranse contro quella barriera invalicabile, per poi ritornare indietro, verso colui che lo aveva lanciato.

~.~

— Tutta… colpa… vostra… — stava sibilando Katie, con il poco fiato che le restava. Fin dal primo mattino si erano ritrovati a correre come per partecipare alla maratona di New York, sotto lo sguardo attento di quella maledetta ciminiera che li aveva allevati. "Non vi ho messo al mondo io, certo. Ma come vi ci ho mantenuti, così vi ci posso togliere" soleva blaterare, melodrammatico, e nessuno di loro aveva mai messo in dubbio la sincerità di quelle esternazioni, neanche quel prodigio di allegra insubordinazione che era sempre stato Mark.
Quel giorno, dopo averli pescato tutti e tre nel database più criptato ed esclusivo raggiungibile da pirata informatico, sembrava davvero che Martin Rothstein intendesse attuare il suo piano B, sbarazzarsi finalmente della sua squadra, e magari partire per Acapulco a sorseggiare cocktail con l'ombrellino e godersi una meritata vacanza.

— Risparmia il fiato, McArthur, se crolli non ti raccolgo — l'aveva rimbeccata Alex, con poca simpatia. Tutta quella che aveva in corpo, l'aveva sputata qualche chilometro indietro. Insieme a quanto restava del suo polmone destro. "O si trattava del sinistro?"

Katie rinunciò a rispondere, l'asfissia non era esattamente un obiettivo che si poneva per il prossimo futuro, e probabilmente anche Max doveva condividere la sua opinione, dal momento che non aveva ancora aperto bocca. Escludendo l'ipotesi che volesse davvero far rendere loro l'anima, Martin doveva avere un ottimo motivo per averli rinchusi in quella sala. Un motivo che magari poteva avere a che fare con l'improvvisata poco piacevole che aveva fatto loro nel bugigattolo del nerd.

— Rothstein, dovunque tu sia, molla i tuoi ragazzini e vola a rapporto nel mio ufficio! —

"Abbiamo aspettato meno di quanto pensassimo." I tre ragazzi ne approfittarono per fermarsi, trafelati. Martin si girò a fissarli, un'occhiata feroce all'interfono. E si accese il sigaro delle occasioni importanti.

— Voi restate qui dentro, non mettete il naso fuori per alcun motivo. E continuate a esercitarvi come se fosse il vostro unico pensiero. Non ho intenzione di dover partire per cercare anche voi. —

Katie rimase a fissare il filo di denso fumo grigio, che si interrompeva giusto dietro la porta di metallo che si era chiusa alle spalle del loro capo. E inspiegabilmente, si sentì stringere il cuore. "Ho un pessimo, pessimo presentimento."

~.~

Hyoga di Cygnus era piuttosto soddisfatto di se stesso. Era riuscito a rendere pan per focaccia al bastardo che lo aveva umiliato e aveva calpestato i suoi sentimenti più preziosi. Che ora era di fronte a lui, inerme. Ma lui sarebbe stato clemente, avrebbe posto termine alle sue sofferenze. Agliincubi terrificanti che altrimenti l'avrebbero distrutto lentamente. "Anche se non lo meriteresti, lurido verme…"

— No! — Il grido di Shun lo aveva fatto trasalire, e quell'istante di sorpresa aveva permesso alla Catena di Andromeda di stringersi saldamente attorno al suo polso, impedendogli di sferrare il colpo. Fissò incredulo il suo amico.

— Mi dispiace, ma non posso permetterti di uccidere mio fratello. — aveva mormorato l'altro con voce tremante.

— Sei pazzo, Shun? Questo non è più tuo fratello! Ci ha attaccati, non ha esitato a colpirti. Ci avrebbe ucciso tutti! — ringhiò l'amico.

Andromeda lo fissò con gli occhi lucidi di lacrime. — Tu lasceresti fare del male a tua sorella? — sussurrò, spiazzandolo. Ma solo per un attimo. Hyoga sentì crescere in sé un rancore mai provato prima. "Questo non dovevi dirlo…"

— Grazie al tuo affettuoso fratellino, forse mia sorella è già morta! — sbraitò. Strattonò il braccio ripetutamente, cercando di liberarsi. — Lasciami andare, idiota! —

Quell'attimo di distrazione si rivelò fatale. Ikki si scosse improvvisamente, affondando nuovamente il braccio nel pettorale dell'armatura, mirando al torace indifeso. Hyoga s'irrigidì e urlò di dolore, sotto lo sguardo attonito degli altri.
Ma l'espressione di trionfo del suo avversario si era rapidamente trasformata in una di perplessità.

— Cos'è questo? — estrasse il braccio dalla Veste ormai in pezzi, fissando stupito l'oggetto che s'era attorcigliato attorno al polso. Un sottile laccio d'oro e perle, alla cui estremità pendeva… — Un crocifisso? Non sapevo di queste tue velleità monastiche… Ma almeno ti hanno salvato la vita… Fino ad ora. —

Il Cigno lo fissò con durezza. — Uno come te non potrebbe mai apprezzarlo, ma quell'oggetto è tutto ciò mia madre mi ha lasciato in eredità. —

— Sono commosso, il regalino della mamma… — lo schernì Phoenix, stringendo a pugno la mano. La sottile catenella si spezzò, e il monile finì a terra in un tintinnio di perline.

Hyoga non mostrò emozione a quell'ennesimo segno di disprezzo. — C'è una sola cosa che non mi aspettavo… perché il Genmaken non ha avuto effetto su di te? —

Ikki sogghignò. — Nel mio passato non ci sono bei ricordi da distruggere, mammoletta… — sibilò con quella che a suo fratello parve in tutto e per tutto una smorfia di dolore. — E ora sono stufo di voi. Preparatevi, perché sto per spazzarvi via dalla faccia della terra. —

I quattro Santi non ebbero neppure il tempo si prepararsi all'impatto. Il tornado di fuoco scatenato da Phoenix li investì tutti in pieno, sollevandoli come fuscelli, scaraventandoli contro le pareti rocciose, una, dieci, cento volte. O così almeno parve loro, mentre realizzavano loro malgrado quanto fossero ancora lontano dalla fine di quella battaglia.
Non si accorsero della forte emanazione cosmica che lo aveva distratto, estinguendo le Ali della Fenice. Erano troppo storditi per udire la fantasiosa bestemmia del loro avversario. Ricaddero come bambole rotte ai lati del campo di battaglia, del tutto privi di conoscenza.

Ikki era rimasto immobile, gli occhi fissi sulla figura che avanzava a gran passi verso di lui. Non poteva dire di non esserselo aspettato, in fondo. "Sei tornata, piccola strega?"
Kelly si avvicinò con tutta calma, fermandosi a pochi metri dai lui. Si studiarono al lungo. E il rinnegato sorrise con sarcasmo: sapeva che la resa dei conti era arrivata.

~.~

Il sole era ancora alto, su quell'isoletta insignificante al largo della costa etiope, ignorata da chiunque non appartenesse alla casta dei santi d'Athena. Quell'isola abitata soltanto dagli allievi di Albion di Cepheus. Tra loro, una ragazza che custodiva il segreto di un'esistenza passata e segreta. In quel fazzoletto di terra tutti la conoscevano come June, novella custode della Veste del Camaleonte, ma, lontano da lì, e almeno per alcune, poche persone, non era altri che Christine. Christine, sorella, amica, amante di un crucco dagli occhi verdi che le mancava disperatamente. Intrappolata tra le memorie del passato e un presente più grande di lei, spaventata da quel futuro che non riusciva intravedere. Divisa tra il desiderio di aiutare una sorella in pericolo, una sorella tanto più forte e più fragile di lei, e l'intenzione di restare al fianco del maestro al quale, durante quegli anni, si era trovata più volte a dovere la vita.
Quella giornata sembrava non finire più.
Christine sapeva che a migliaia di chilometri di distanza i suoi fratelli e i suoi amici stavano combattendo un'assurda battaglia fratricida. E sapeva perfettamente di non poter essere loro d'aiuto. Ciò nonostante, o forse soprattutto per questo, sentiva che l'attesa avrebbe finito con l'ucciderla.
Era sola. Fin dal giorno precedente aveva fuggito qualunque contatto umano. Si era rifugiata nel luogo dei suoi incontri segreti con Kelly, speranzosa. Sapeva, credeva che presto l'avrebbe vista arrivare. Sarebbe apparsa dal nulla e l'avrebbe abbracciata forte. E lei avrebbe saputo che era andato tutto bene, che anche David era salvo, che quell'orribile senso di disagio non aveva avuto ragione di esistere. "Andrà così. Deve andare così…"
Stringeva ancora tra le mani la macchina fotografica, quella polaroid con cui aveva immortalato tutti i momenti più importanti di quella vacanza finita con un incubo. Sospirò, per l'ennesima volta in quella giornata. "I ricordi, le trappole che scegliamo per continuare a farci male…"



— Toglila di lì, impiastro! La romperà, e allora sarai contenta. —

— Torna a fare da palo, piuttosto. E chiudi il becco. —

— Rovinerai tutto, dopo la fatica che ci è costato! —

Christine aveva sospirato, aprendo gli occhi. Portare a termine un addestramento che aveva ucciso decine di ragazzini prima di loro, sopportare la boria del loro caro Colonnello, aspirare ogni giorno il fumo di quegli orrendi sigari cubani che piacevano tanto al loro responsabile… niente di tutto questo poteva paragonarsi al fastidio di svegliarsi al suono delle strida dei suoi due fratelli in vena di giocare al cane e al gatto.
Li poteva sentire anche a dieci metri di distanza, incapaci come sempre di dividere lo spazio comune, come di ignorarsi per più di un'ora.
"E dire che hanno avuto nove mesi per imparare a convivere. Ma forse sono ricordi troppo lontani."
Il suo primo ricordo, da che avesse memoria, era stato il monumentale pancione di sua madre, Natassia, la più bella spia che l'Unione Sovietica avesse prestato alla Società delle Nazioni. E la risata, tanto più preziosa perché rara, con cui scherzava sui due delinquenti che l'abitavano e non stavano fermi un momento.
E dal momento in cui suo padre, quel padre irlandese dai capelli neri e dall'allegria contagiosa, glieli aveva presentati in latte e pannolini, lei aveva capito, e quel legame indissolubile si era annodato. Li avrebbe aiutati e protetti. E guidati.
Per tutta la vita.
Così, nella mattina del suo diciottesimo compleanno, Christine era emersa dalla sua camera, pronta ad infrangere i vetri a forza di urla e pestare i suoi fratelli come zampogne, se necessario. Perché lei era la Sorella Maggiore.
Non aveva fatto niente di tutto questo.
Davanti ai suoi occhi stupefatti, aveva trovato un pacchetto, deposto con attenzione davanti alla sua porta, in modo che lei potesse vederlo, ma non investirlo.
Il biglietto che l'accompagnava le aveva chiarito definitivamente che non avrebbe mai, mai potuto fare a meno di quei due.
Max l'aveva trovata dopo un'ora, ancora su quella soglia, con la sua nuova e preziosissima macchina fotografica da professionista in mano. E quando si era avvicinato per baciarla, lei l'aveva accecato con il primo di una lunga serie di scatti di vita vissuta.




Quella polaroid era diventata una parte di lei, silenziosa e fedele testimone di tutto ciò che valesse la pena di ricordare, fino al giorno in cui erano stati rapiti. E ora la stringeva convulsamente, preda di quel senso di straniamento che la coglieva ogni volta che pensava a quella che una volta era la sua vita. Quando non sapeva nulla di Dei, né di Sacri Guerrieri, la sua vita era tutta concentrata all'interno di una base sotterranea e una decina persone speciali rappresentavano tutto il suo mondo. E a pensarci bene, anche dopo anni di addestramento, non era importante che Albion avesse ragione, che la Dea che aveva venerato per anni esistesse davvero e stesse soltanto aspettando il momento giusto per tornare fra loro. Non quel giorno. Quel giorno tutto ciò che desiderava, era che loro tornassero sani e salvi. Tutti. E che i suoi fratelli litigassero ancora per i motivi più insignificanti, che Dave potesse ancora dileguarsi come un fulmine ogni volta che tentava di inquadrarlo. "Ti prego, Kelly. Torna presto. E porta buone notizie con te…"

~.~

— Così, sei ancora viva… — esordì il Santo di Phoenix lanciando una rapida occhiata attorno, fino a fermarsi sui suoi avversari con una smorfia disgustata. — Quel buono a nulla di tuo fratello ha ragione. La mia mira ha fatto davvero pena ultimamente. Ma posso sempre rimediare sistemandoti adesso. —

"Piantala con le frasi fatte, Dave…" Kelly scosse la testa, sprezzante. — Non credo proprio. Se avessi voluto uccidermi lo avresti fatto qualche ora fa. O almeno ti saresti assicurato di esserci riuscito. —

"Tira fuori le unghie, la ragazzina…" — Le tue risposte, Altair della Gru, dovrai venire a prendertele. — rispose Ikki in un ringhio. Con un rapido scarto si portò di fronte alla sua avversaria. Ma nel preciso istante in cui tentò di scagliarsi contro di lei si rese conto che non sarebbe più stato tanto facile. La ragazza respinse l'attacco con la semplice forza del suo cosmo, creando un'invisibile calotta gelata attorno al suo corpo. — Hai deciso di fare sul serio, allora? —

— Qualcosa in contrario? — ritorse lei, bloccando il suo braccio senza che lui riuscisse a capire come. Con una mossa fulminea glielo torse dietro la schiena. Ikki gridò di dolore quando la mano libera della ragazza lo raggiunse. Perché il dolore dei colpi di Hyoga non era stato nulla, quando l'aveva affrontato, sicuro del suo vantaggio. Altair combatteva con attacchi veloci e difficili da prevedere, questa volta, e le loro forze si equivalevano. Quando lei lo spinse in avanti, facendolo rotolare per diversi metri, si stupì che la spina dorsale non gli si frantumasse. Alzò la testa. E la vide fredda come non era mai stata. "Ma non mi impressioni, Altair. Sarà solo più divertente…"

Si rialzò dolorante, ma senza mostrare alcuno sforzo. E improvvisamente di buon umore. — Complimenti, puttanella. Ma ancora non affondi i colpi. — Un ghigno apparve sul suo volto. — Forse temi di rovinarti di più quelle manine delicate? —

La ragazza scrollò le spalle. Ikki mandò a tutti i diavoli quella lastra di metallo cesellato che gli impediva di studiare la sua espressione. La voce giungeva ovattata e inespressiva attraverso la superficie lucida. — Hai così tanta fretta di farla finita, dunque… —

Non era una domanda, solo una semplice constatazione. Ma gli sembrò che gli piombasse addosso con un peso insostenibile. "Maledetta…" Ikki strinse con forza i pugni, preparandosi a lanciare ancora il Genmaken. — Hai indovinato, bellezza. E l'unico che non morirà oggi sono proprio io. — "Credi di aver capito tutto, vero? Tu non sai niente, non puoi sapere niente."

Ma non ebbe il tempo di mettere in atto le sue minacce. Le mani della ragazza si erano chiuse a pugno attorno alle sue. — Non provarci, Ikki. Mi hai stancato, e non è più il momento di giocare. — sussurrò. "Devo proteggerti. Anche da te stesso."

Lui le rispose con un mezzo sorriso ironico, espandendo ancora il suo cosmo. Il calore raggiunse i palmi ustionati della sua avversaria, facendola fremere dal dolore. — Allora fammi vedere di cosa sei capace, se ne hai il coraggio. —

Kelly decise di accettare quel ridicolo confronto. Le sue mani si coprirono dapprima di brina, quindi di ghiaccio. Riuscì a prevalere, anche se di poco, e Ikki dovette allontanarsi con uno scatto per sottrarsi alla morsa che altrimenti gli avrebbe congelato entrambe le braccia.

— Sei così sicuro di essere l'unico ad aver sofferto, grande Phoenix? — riprese lei, impietosa. Gettò una rapida occhiata ai suoi amici e a suo fratello, che giacevano ancora a terra, storditi e doloranti. Sentiva che stava per perdere il controllo. E dimenticare chi ci fosse in realtà dietro quel ghigno malevolo. — Credi davvero di essere l'unico ad aver perso ciò che conta, ad aver visto il suo mondo andare in pezzi? Non ti darò il sollievo che cerchi. Non così. —

Ikki non le rispose subito. La vista gli si era annebbiata, e le gambe vacillavano. Lottò con la nausea che gli era salita improvvisa alla gola. Respirò forte, cercando di recuperare il controllo. Gli stava accadendo troppo spesso, ultimamente, quella sensazione di malessere, il dolore forte alla testa, come se qualcuno cercasse, o avesse già cercato, di aprigliela in due. Sorrise, un lieve sorriso maligno, mentre gli occhi rimettevano lentamente a fuoco le immagini. Se la sua avversaria non fosse stata un'emerita sciocca avrebbe davvero rischiato la vita, invece lei era lì, che lo fissava indecisa. Forse stava persino ponderando di aiutarlo. Una fitta terribile tra le tempie mutò il sorriso in un ringhio. E la vide, in un lampo carico di luce, senza la maschera. "Io ti conosco… ti conosco da tanto… perché non riesco ad afferrarti?"

Barcollò, e dovette far forza su entrambe le gambe per restare in piedi. Il dolore alla schiena lo aveva colto di sorpresa. Non era stata Altair. Volgendosi di scatto per scoprire chi avesse osato colpirlo rimase basito. — Pegasus… — sussurrò, con tutto il disprezzo di cui era capace. — Allora vuoi proprio che ti faccia a pezzi… —

Kelly guardò David, rabbrividendo al suono di quella voce gelida, e ancora di più di fronte a quell'espressione assai poco rassicurante. "Signore e signori, ecco a voi Jack Torrance senza l'ascia…"
E intanto, il suo presunto fidanzato le si era parato davanti, con un'aria protettiva degna di una farsa sciovinista. "Gli vengono ora, le manie di protezione…"

— Non t'immischiare, Seiya… — gl'intimò, innervosita.

— Cosa? Sei impazzita, Altair? — Quella ragazza doveva essere del tutto fuori di testa. Pretendeva che le lasciasse affrontare Ikki senza aiuto?

— Non è il momento della cavalleria a buon mercato, forse non l'hai notato… — sibilò lei, come se gli avesse letto nel pensiero. "Se proprio vuoi farmi cosa gradita, tieni le zampe a posto quando ti vedi con quella Miho…"

— Non ti lascio sola, punto e basta. —

Il buffone era animato dalle migliori intenzioni, a quanto pareva. E Ikki cominciava a trovarlo quanto mai divertente. Fissò sfacciatamente la sua avversaria finché non fu certo che fosse arrossita sotto la maschera. "Per tutti i diavoli, Altair, sul serio ti faresti ammazzare per questo tizio?" Si sforzò di rimanere concentrato. Il novello Romeo lo stava attaccando ancora, come se poco prima non ne avesse avuto abbastanza. Parò senza problemi tutti i suoi colpi, sotto il naso della guerriera della Gru. Si sentiva assurdamente al sicuro. "Non mi attaccheresti mai mentre ti do le spalle, vero?"



— Certo che starò attenta! — aveva riso la sua amica, tentando di nascondere l'agitazione dietro una lotta senza esclusione di colpi con l'elastico per i capelli. Ma sapeva che era un tentativo inutile: lui la conosceva troppo bene. Sempre insieme, come fratelli. In prima fila per ogni marachella, sempre i primi a buttarsi nelle gare di destrezza fisica… finalmente erano degli agenti a tutti gli effetti. La loro prima missione senza la balia non avrebbe avuto lo stesso gusto con qualcun altro. — E tu, mi guarderai le spalle? —

— Proprio le spalle? C'è di meglio da guardare… — aveva sogghignato lui, occhieggiando sfacciatamente la tuta nera che lasciava molto poco all'immaginazione. Sapeva che lei lo stava seguendo attentamente, attraverso lo specchio dello spogliatoio. E che gli stava mostrando apposta il suo lato migliore, china in avanti a tentare ancora quella coda di cavallo che le sfuggiva. — Sul serio, davvero andrai in giro vestita da Catwoman? —

La ragazza si era concessa il lusso di un sorriso sardonico, a testa in giù. E la trappola era scattata. — Ora mi devi una colazione completa dei tuoi meravigliosi pancakes, caro il mio pervertito… O preferisci che racconti a Katie come ci provi spudoratamente con me? —

Un dito sollevato con studiata lentezza, mentre lei trionfava sui suoi lunghi capelli biondi e si rialzava con uno scatto flessuoso. Sul suo viso, un sorriso complice. — Sempre la solita arpia… —



"…Kelly. È questo il tuo nome. Ora lo ricordo… Cos'altro dovrei ricordare?"
Un colpo feroce nello stomaco gli ricordò improvvisamente che non era il momento adatto per abbandonarsi alle divagazioni. Seiya continuava ad attaccarlo. — Idiota! — ringhiò. — Non vuoi proprio capire che il tuo ridicolo colpo non ha alcun effetto su di me? —

"Questo lo credi tu…" Lentamente il Santo di Pegasus riuscì a concentrare i suoi colpi entro un'unica, potente sfera luminosa. Ikki venne sbalzato indietro, ammutolito dallo stupore. Perché la forza dei suoi colpi era diversa, ora? Provò a contrattaccare, ma la sua mente era altrove. E davanti a suoi occhi increduli lo Scudo del Dragone si era posto in difesa del suo avversario, quindi la Catena di Andromeda. Quando il pugno di Pegasus lo raggiunse, gelido come solo la Polvere di Diamanti sapeva essere, non si stupì affatto. Seppe che quel giorno avrebbe conosciuto la sua prima sconfitta, con la stessa certezza con cui aveva sentito la sua armatura appartenergli per la prima volta.

Gli altri si stavano riprendendo. Mentre cadeva sulle ginocchia sentì un paio di mani calde afferrarlo per le spalle. "Togliti quella maschera. Dimmi che non sono impazzito." Ma il dolore ebbe il sopravvento e non riuscì a pronunciare una parola.

~.~

L'aveva incontrato sulla porta della piccola baracca che occupava da sola, unica gloriosa concessione ai suoi bisogni femminili, in quel luogo di maschio sacrificio e virile sofferenza. La stava aspettando, e Christine non era riuscita neppure a fingersi sorpresa. "Mi mancherai, quando tornerò a casa" si era ritrovata a pensare, con un moto di affetto del tutto spontaneo.
Tornare a casa, che ottimismo. E quanto ne aveva bisogno.

— Maestro Albion… — l'aveva salutato, sorridendo.

L'uomo l'aveva ricambiata, le spalle contro il sole che si stava abbassando, quasi riuscisse a vedere lo scintillio allegro negli occhi della sua allieva, sotto il metallo inespressivo. E forse, in qualche modo, era davvero così, e dietro quell'espressione pacata si nascondevano gli occhi di Clark Kent. Christine lo sapeva, se un giorno avesse scoperto il mantello di Superman sotto l'armatura del suo maestro, non se ne sarebbe stata affatto sorpresa.

— Ti ho portato la cena, June. Che hai saltato, anche stasera. —

Christine aveva abbassato lo sguardo sulla ciotola che le aveva portato, piena di quel favoloso cuscus speziato che riuscivano a mettere insieme quando qualche mercante provvisto di nave aveva la buona grazia di ricordarsi di loro. L'aveva guardato con gratitudine, prima di coprirlo con un panno che l'avrebbe tenuto caldo e lontano dalle mosche. Anche il suo Maestro era un libro aperto per lei, a volte. Ed era evidente che la loro conversazione non avrebbe riguardato la bontà dei suoi piatti o l'inventario delle derrate che Albion era riuscito a comprare senza farsi spennare. Quelle faccende di poco conto non l'avrebbero spinto a cercarla in una giornata in cui era stato tanto chiaro il suo bisogno di solitudine.

— Non ho molta fame in questi giorni, Maestro. Ma grazie. —

L'uomo l'aveva valutata, un esame attento e comprensivo. — Le notizie che abbiamo ricevuto a proposito di Tokyo… e di Shun, non sono una buona scusa per non pensare a se stessi. —

"Se mi preoccupassi soltanto per lui, sarebbe già un bel passo avanti…" Christine aveva indicato una sedia sgangherata, di fronte al tavolo di legno su cui aveva posato la sua cena. — Maestro, se le voci si rivelassero fondate… —

Albion la fissò, attento, quasi sorpreso. E parlò soltanto quando fu certo che lei non avrebbe terminato quel pensiero, non ad alta voce. — Tu ritieni davvero che Shun sia cambiato a tal punto, June? Al punto da tradire la Dea e tutto ciò in cui crediamo? —

La ragazza scosse la testa, artigliando la spalliera della sedia, per una volta lieta che lui non potesse vederla in viso — Non era a quelle voci che stavo pensando, Maestro… —

— Suvvia, June, basta con questa reverenza. Sei una compagna d'armi, adesso. Non farmi sentire vecchio come il Venerabile di Goro-Ho — la interruppe, sedendo a tavola e facendole segno di imitarlo. Dalla bisaccia che portava a tracolla, estrasse delle posate e una borraccia d'acqua.

Christine lo guardò per qualche istante, indecisa, mentre lui cominciava a dividere le porzioni. Doveva aver capito che se l'avesse lasciata sola avrebbe finito per non mangiare. — D'accordo, Albion. È per te che temo, e per tutti quelli che abitano quest'isola. Shun non ha mai tradito i nostri ideali, io l'ho visto. E tu… mi hai creduto. — "E ora quasi vorrei che non l'avessi fatto." L'unico piatto venne posato davanti a lei, con noncuranza, mentre Albion teneva per sé la ciotola. La ragazza si arrese, e prese anche la forchetta che l'uomo le porgeva. — Ma il Santuario non è disposto alla tolleranza, non è così? —

Albion si limitò ad annuire. Non le avrebbe mentito, non l'aveva mai fatto. Era il suo modo di guadagnarsi il rispetto dei suoi allievi, e una fedeltà a tutta prova. Le voltò le spalle con un sorrisetto ironico, e prese a mangiare dalla sua ciotola. Lei si tolse la maschera, sorpresa. Era, quella, esattamente la stessa tattica che aveva sperimentato mille volte per cenare con Michael. Non si era sbagliata, il suo maestro aveva occhi anche dietro la testa.

— Ho inviato una lettera al Gran Sacerdote — lasciò cadere l'uomo, a sorpresa, tra un boccone e l'altro. — Sono in attesa di una risposta. —

Una lettera. Al Gran Sacerdote. — La ragazza scostò il piatto, la fame già dimenticata. — Non ne verrà nulla di buono, lo sai — sbottò, pentendosi all'istante di quella critica intempestiva. Albion non era certo uno stupido, e, compagna d'armi o no, l'avrebbe potuto trovare davvero inopportuno.

— Riprendi a mangiare, June. — Lo aveva detto con pacatezza, ma Christine poteva percepire il comando appena celato dal tono cortese. Forse era vero, aveva travalicato un po' troppo i giusti confini. — Devi mangiare, tenerti in forze, anche se non ti va. Alle volte va fatto quanto è necessario. —

La ragazza riprese in mano la sua cena, affondandovi la forchetta di malavoglia. Albion si permise un sorriso, un sorriso tanto più affettuoso e triste, perché lei non poteva vederlo. Aveva capito, lo sapeva. Lei capiva sempre. Tacque, finché non fu certo che lei avesse posato il piatto, e indossato ancora la maschera. Allora si voltò.

— Alle volte, June, ciò che è necessario è sopravvivere. Ricordalo, quando verrà il momento. —

~.~

"Sto per morire?" Le sensazioni gli giungevano distorte, come attraverso lo spessore di un muro. Dolore… Era stato battuto dall'unico che credeva non ci sarebbe mai riuscito. Sotto gli occhi di colei che sin dall'inizio non aveva cercato che di proteggerlo, in nome dell'affetto, di quel patto che aveva stretto con lei tanto tempo prima. Ora la ricordava, quella promessa quasi infantile. "Mi guarderai le spalle?" La testa gli faceva così male che si torceva a terra, dietro quelle rocce dove suo fratello l'aveva posto dopo averlo salvato. Immagini di un'altra vita… rientravano nella sua testa come uno sciame impazzito. Ma non aveva tempo per pensarci. Anche se all'improvviso tutto gli appariva lampante, anche le domande alle quali avrebbe voluto pretendere una risposta. Era tardi per tornare indietro. E ora gli sgherri che il Sacerdote gli aveva messo alle costole per spiarlo avevano preso il controllo della situazione. Alle dipendenze di quel Docrates, un imbecille incontrato al Santuario, che aveva come unica dote una terrificante forza fisica.

Stava sempre peggio. La fatica, la perdita di sangue, la nausea e quel secco pulsare delle tempie… Si stupì quando riuscì a distinguere quella sensazione lieve di fresco sul viso… Nevicava. "Come vorrei che mi restituisse l'innocenza…" gli ricordava lei, fresca e pulita come quella neve. "Esmeralda…"
La ragazzina conosciuta a Death Queen, la ragazzina che aveva amato, a Death Queen. Aveva dato la vita per salvare la sua. Un sacrificio che lui aveva ricambiato con il tradimento. Perché ora sapeva, solo ora riusciva a capire. Gli aveva chiesto di non arrendersi, di preservare la propria umanità anche a fronte di quella prova, l'ultima, la più aberrante.

"Conquista le ali, Ikki, e vola via di qui…"

E lui… cos'aveva fatto dopo aver conquistato le sue ali? "Dovunque sia Guilty sarà fiero di me…" Aveva scelto la strada del reietto, dell'incompreso. Quante vite aveva distrutto per dare sfogo alla sua rabbia? Quante innocenti come lei? Tutta per sfogare quella collera, che provava verso se stesso, e nessun altro. Perché non aveva salvato chi si fidava di lui. "Ho perso." Come il giorno dell'investitura a Death Queen, di fronte alla maschera piena di crepe del suo maestro. "Ma non sarai fiero ancora a lungo, maledetto…"
Non avrebbe mai saputo chi o cosa gli avesse dato la forza per quella decisione folle. Ma per la prima volta dopo tutti quegli anni sapeva di essere nel giusto. Di essere tornato in sé. Sarebbe stato Ikki il rinnegato, il distruttore. E allo stesso tempo sarebbe stato David, e come David avrebbe protetto quelli che amava. "Stavolta lo faccio per voi…" Si sollevò su un ginocchio col fiato mozzo.

Docrates lo fissò, come colpito da una nuova idea. "Come ho fatto a non pensarci prima?" — Phoenix, dov'è l'elmo? — ruggì il gigante, la voce che echeggiava tra le pareti della gola.

— Sei rincitrullito, Docrates? Sarei ancora qui, se lo sapessi? — Rapido, si guardò attorno finché non la trovò. Con un mezzo sorriso la osservò stendere un aggressore con la stessa facilità con cui si allacciava le scarpe. Raccolse le forze. Doveva essere il più rapido possibile, per l'ultima volta, e affidarsi a lei per il resto.
"Non vorrei farti questo, amica mia… ma spero che non ce l'avrai con me."

— Kelly! — urlò. La ragazza si girò di scatto. "Avrei voluto guardarti negli occhi mentre ti salutavo…"

— Dave… Tu… — Perfino a distanza poteva vederla tremare. "Non avvicinarti…"

— Prendi l'elmo e falli scappare! — continuò, lanciando l'oggetto tra le sue mani. "Questo affare non vale la vostra vita…"

Kelly l'afferrò al volo, muovendo alcuni passi verso di lui. Ma il suo sguardo la raggelò. Con un brivido di terrore lo vide alzarsi in piedi, e senza apparente fatica. "Che diavolo vuoi fare?"

David le sorrise tristemente. — Non ti muovere! — Non badò all'esclamazione furibonda di Docrates. Non lo guardò nemmeno. Doveva essere il più veloce. "Ci rivedremo all'inferno, bestione…" Scatenò le Ali della Fenice con tutta la forza che gli rimaneva in corpo. Il gigante urlò e cadde nella voragine apertasi improvvisamente sotto i suoi piedi. Il fragore della frana presto coprì ogni altro rumore. E poi urlò, ancora, con la speranza che lei comprendesse, e gli desse ascolto.

— Maledizione, Kelly, portali via! —

Ricadde sulle ginocchia, ansimando. A malapena poteva udire suo fratello gridare, trascinato al sicuro da Mark. E Kelly… lo sentiva, stava tentando di aiutarlo, di infondergli un po' di forza… ma anche lei era troppo stanca. E lui non era più in grado di muovere un muscolo. "Non è colpa vostra, ragazzi. Ma se devo scegliere, questa è l'uscita di scena che preferisco."
Il rombo alle sue spalle era sempre più vicino. "Ecco, è finita. Non c'è niente di eroico, sapete. Me la sto facendo sotto dalla paura…" Chiuse gli occhi.
Non vide più nulla.

~.~










Angolo della vergogna™


E rieccomi qui. È passato un bel po' di tempo, e chiedo scusa a tutti i miei 4 lettori. Spero che il risultato vi piaccia, ecco.
Grazie a Philos, ancora cacciatrice di svarioni nonostante in questo periodo abbia parecchio da fare, e una strizzata d'occhio a Sagitta, che forse aveva un po' perso le speranze. Grazie, ragazze. È divertente lollare con voi.^^
   
 
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