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Autore: Lucy_lionheart    29/05/2012    3 recensioni
1.Di tutte le cose che si era aspettato per San Valentino, un regalo da parte di Gilbert era veramente, veramente, l’ultima.
Raccolta di one-shot su generi, temi e nelle versioni più svariate, AU! e non, yaoi, etero e yuri.
Tutto ciò che accomuna queste piccole storie, pezzetti disordinati di vita, sono i loro protagonisti: Toris Laurinaitis e Gilbert Beilschmidt.
Spero vi piaccia la PruLiet, perché queste storie sono tutte per loro. ♥
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Lituania/Toris Lorinaitis, Prussia/Gilbert Beilschmidt
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Avvertimenti: Ambientazione storica, AU!
Raiting: Verde.
Personaggi: Toris Laurinaitis, Gilbert Beilschmidt.

4. Sotto la pelle.



Gilbert Beilschmidt, nell’anno 1953, era l’unico bambino che il reparto pediatrico dell’ospedale di Kalisz ospitava.
Fu quindi una sorpresa, in un giorno di marzo, veder entrare nella sua piccola e ingiallita stanza un’infermiera e, dietro di lei, una figura che le arrivava alla vita, maschile, e con un viso pallido dove spiccava un occhio blu.
Uno solo.

« Lui è Toris. Da oggi sarà il tuo compagno di stanza, trattalo bene, mh? »

Lo sapeva chi era, riconosceva quel visetto angelico anche se coperto da bende su quasi tutto il lato sinistro. Toris veniva dal suo stesso orfanatrofio, un postaccio nascosto tra dei bei giardini in cui i tipi come lui erano i primi a venir  presi di mira dagli altri orfani, quelli più rudi e che venivano picchiati dalle maestre.
Anche Gilbert faceva parte di quel gruppo e anche Gilbert, una volta, se non tre o quattro, aveva messo le mani addosso a quell’esserino dai capelli castani e quell’unico occhio dallo sguardo timido solo per il piacere di farlo. Per sfogarsi di ciò che veniva fatto a lui.


“Toris ha avuto un trauma cranico. Al momento non si ricorda nulla, quindi non fare l’idiota come al solito”.


Gli aveva detto l’infermiera, spingendo poi  il ragazzino- dieci anni, più o meno, come lui- verso quell’unico grande letto che dovevano condividere.
L’occhio destro di Toris l’aveva guardato come si guardava uno sconosciuto e Gilbert, dentro di sé, aveva provato vergogna.

« Come ti chiami? »

Gli chiese, dopo tre giorni di silenzio imbarazzante e “Buongiorno” balbettati. Gilbert lo guardò qualche secondo, il tempo necessario a ricordare il pugno che gli aveva dato sullo sterno e sentire la gola seccarsi.

« Hans. Io mi chiamo Hans. »

Mentì.
Quella fu, però, l’ultima bugia che  gli disse.
Protetto dalla totale assenza di memoria temporanea del  castano, i due non tardarono a diventare amici.
Toris era una persona gentile, accettava di fare qualunque cosa e reagiva lamentandosi e, qualche volta, “picchiandolo” solo quando gli scherzi del nuovo amico si facevano esagerati.
Ma, cosa più importante, accettava di giocare solo e unicamente dentro quella stanza dalle tende sempre e costantemente chiuse.
Gilbert era nato con i capelli bianchi e gli occhi rossi, stranezze che però nessuno gli faceva notare, se metteva tutto bene in chiaro con un paio di cazzotti; il vero problema era quella pelle  così sottile da venir corrosa dal sole.
Per questo che era stato spedito dall’orfanatrofio, dove avevano visto come una benedizione il liberarsi da un problema simile, in quell’ospedale scarno che non poteva dargli altra cura oltre al buio.
Toris, in quei tre mesi in cui rimase lì, fu una luce. L’unica e benefica.

« Per quanto devi rimanere qui, Hans? »


Gli aveva chiesto, una notte in cui non riuscivano a dormire, nel  buio della camera.

« Per sempre, credo. Quelle acide delle infermiere non lo dicono chiaramente. Sono tutti degli incapaci. »
« Non dire così. »
« Tu non hai problemi, tu potrai uscire, tra poco. »
« Io non voglio uscire. Non voglio tornare lì. »

Gilbert scattò, volgendo gli occhi rossi, nel buio, su Toris, nascosto completamente sotto le coperte.

« Tu…? »
« Non mi hanno picchiato gli altri bambini. Ma non dirlo, per favore. »

L’albino rimase immobile più tempo, per poi stendersi nuovamente, la schiena contro quella dell’altro.
Per un’ora nessuno dei bambini parlò.

« Toris. »
« Sì? »
« Io non mi chiamo Hans. »
« Lo so, Gilbert. »

Toris fu dimesso dopo tre settimane da quel fatto, quando l’ematoma che prima le bende coprivano divenne solo una macchietta e entrambi i suoi occhi blu tornarono visibili.  Che la sua amnesia era cessata dopo una sola settimana dentro l’ospedale, però, solo Gilbert lo sapeva.

Adesso che aveva ventisei anni, ricordava ancora il modo in cui Toris, il giorno in cui l’avevano dimesso, mentre una delle maestre parlava con la loro infermiera, gli aveva stretto le mani e aveva sorriso, nonostante stesse tremando dalla paura e ogni parte di lui gridasse di non voler andar via.
Ricordava, soprattutto, la promessa che gli aveva fatto:

“ Tornerò, Gilbert.  Ti porterò via di qui, te lo prometto! “

Lui gli aveva detto di non preoccuparsi, anzi, di pensare prima a uscire dall'orfanatrofio che a lui, ma dentro di sé aveva anche accettato quella promessa.
La speranza era  salita ancora di più quando, a quindici anni, aveva visto sulla prima pagina di un giornale un articolo sulla chiusura immediata del suo vecchio orfanatrofio e l’arresto dei docenti, indagati sotto l’accusa di violenze ai minori.
Al centro della pagina, in grande, stava la foto del ragazzo che aveva denunciato il fatto: certo, il viso era più squadrato, ma gli occhi toglievano ogni dubbio.
Teneva ancor quel giornale, invecchiato insieme a lui, che adesso misurava un metro e settantacinque di statura e stava stretto nel letto che prima li ospitava entrambi. Era magro, tanto che se si stiracchiava, ogni costola premeva immediatamente su quella pelle.
Il carattere, però, era rimasto lo stesso, se non peggiorato, così come le cicatrici.

Quel giorno gli veniva annunciato da quasi due mesi: nemmeno si trattasse del salvatore, un nuovo medico sarebbe arrivato a trattare il suo caso. L’ennesimo ciarlatano, pensava lui.

“Ed è pure in ritardo. “

Non fece in tempo a sbuffare, che la sua infermiera, la stessa di quando era bambino, ma con più rughe, apparve alla porta; dietro di lei, stava un camice bianco di un metro e ottantadue circa.

« Il medico è qui. »

Gilbert, annoiato, non notò il suo sorriso e nemmeno ascoltò la voce dell’uomo che ringraziava.
Si accorse che la luce era tornata nel suo studio solo quando un sorriso e un paio di occhi azzurri si mostrarono ai suoi.

« Ciao, Gilbert. »

Toris era alto e con i capelli un po’ lunghi, legati in un codino. Aveva lo stesso sorriso gentile di sempre, ma sottomano teneva una cartella medica.
Sentendo gli occhi rossi di Gilbert fissarlo, il giovane arrossì e, senza chiedere nulla, forse nel panico o troppo emozionato, prese a parlare velocemente.

« Ti ricordi…? Beh, sono passati un mucchio di anni, ma… Sono Toris, il ragazzino dell’orfanatrofio. Ci sono uscito di lì, mi hanno adottato.
I miei nuovi genitori  sono di buona famiglia, quindi ho potuto studiare e mi sono laureato. Medicina, apparato tegumentario, malattie della pelle e genetiche.
Ho studiato tanto l’albinismo e… Beh, credo che riuscirò a curarti, almeno per ciò che riguarda la tua derma. Agiremo piano piano, tramite cortisone, e ti riabituerò al sole… Dovremmo spostarci, partiremo per Oslo, dove il sole picchia poco. Vedrai che non dovrai più stare chiuso in una stanza! »
« … Ti sei ricordato la promessa. »

Toris arrossì ancora di più e a Gilbert sembrò tornato il bambino impaurito che conosceva. Il giovane medico si sedé su quel letto, sorridendo.

« Non me ne sono mai dimenticato. »

 

Gilbert rise piano, nemmeno il lituano avesse detto un battuta, e posò sulla palma delle mani la guancia. Sentiva il cuore battere un poco più forte, dal polso.
Ancora non lo sapeva bene, ma Toris non avrebbe guarito solo la sua pelle, ma anche ciò che si trovava sotto essa.

« Sei rimasto il solito, Toris. Anche se sei cresciuto, hai sempre la solita faccia da scemo! »









_______________________________________________________________________________________________________________***

... Beh, questo è diverso dagli altri.
L'ho scritto di fretta e furia con mio padre che russa  -presente, perché sta continuando-  , chiedo perdono!

Come sempre ringrazio lettori e commentatori, nella speranza che ce ne siano!
Baci!

Valkyrie.

   
 
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