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Autore: Melanto    30/05/2012    6 recensioni
[Sequel di "Branches" - ambientato quattro anni dopo]
L’idea di un dono per ingraziarsi il favore delle figure più in vista della zona non era inusuale, ma da un uomo che tendeva a fare le cose in grande, come aveva compreso essere Batiatus, il fatto che mandasse una ‘donna’ per compiacere il dominus era… sottotono.
Anche lui era stato donato, quindi sapeva cosa spesso celasse quel tipo di filosofia: il dono di sola una notte, invece, lasciava un po’ il tempo che trovava.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Naevia, Nasir
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Solo un nome'
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Nota Iniziale: questa storia si colloca temporalmente quattro anni dopo "Branches" - Nasir ha 20 anni tondi - e, quindi, circa sei mesi prima degli eventi di "Spartacus: Vengeance" (visto che Padre De Knight ha detto che Nasir è 'early 20', ho pensato di prenderlo proprio in parola e quindi, in "Vengeance", per me ne ha 20 e mezzo XD).



Solo un nome
- The gift -

 

Tiberius aveva sempre saputo che era solo una questione di tempo e di età, e i fatti non l’avevano smentito.
A sedici anni aveva creduto che gli obblighi che la vita da schiavo personale imponeva fossero impossibili da sopportare, ma ora che era entrato nei venti il mondo gli appariva molto diverso rispetto ad allora.
La sua vita era trascorsa uguale nei giorni, salvo che i doveri verso il dominus erano aumentati, ma per il resto, nulla era cambiato.
Tranne egli stesso.
La morte di Kaeso e ogni singola, fottuta scopata con il padrone avevano reso la sua pelle sempre più dura, più spessa. Liscia e forte come l’acciaio.
Dopotutto aveva promesso che sarebbe sopravvissuto, aveva promesso che nessuna tempesta avrebbe potuto spezzarlo. Aveva promesso che sarebbe divenuto ramo, che segue e si flette al vento, ma solo il necessario. Ed era così che percepiva sé stesso, come un ramo sottile, ma resistente, che aveva smesso di credere ci fosse una libertà fuori dalle mura della villa. L’unica libertà esistente, per lui, era solo quella che viveva al suo interno.
L’orgoglio si era lentamente convertito in cinismo, il rivestimento ideale per farsi scivolare addosso ogni singolo tocco del dominus, ogni goccia del suo sudore, ogni traccia della sua saliva. A volte sbavava come le lumache e nonostante lo trovasse ripugnante, era divenuto in grado addirittura di scherzarci su assieme a Chadara, nuova vittima sacrificale ai voleri del padrone quando desiderava infilare il proprio cazzo in una fica piuttosto che in un culo. Ma Chadara, da quel punto di vista, aveva una refrattarietà al dominus ben maggiore della sua e quando lui restava ad assistere ai loro incontri, spesso aveva l’impressione di vedere un qualcosa di inanimato che si muoveva solo perché era il dominus a muoverlo. A lui, Kaeso aveva dato un’educazione differente e spesso odiava la propria umanità che continuava a battere sotto la corteccia.
La odiava per tanti motivi e uno di questi era che non lo rendeva immune a tutto ciò che lo circondava né alla sofferenza che i suoi occhi vedevano e che, lo sentiva quasi dentro le ossa, avrebbe visto anche quella sera.
Alla villa era atteso un dono.
Un carro, proveniente dalla Casa di Batiatus in rampante ascesa, stava viaggiando verso la Casa di Victor.
Tiberius, di solito, non formulava giudizi sui ricchi romani. Ne aveva viste troppe per rimanerne ancora sorpreso, eppure pensava che il gesto di Batiatus non fosse degno di ciò che aveva sentito dire in giro per Capua quando accompagnava il dominus o quando lo ascoltava discorrere con altri mercanti e col magistrato.
Si era fatto una sua idea del lanista, e non era di certo positiva. L’arrivismo era una qualità che apparteneva al popolo di Roma, ma il suo essere così eccessivamente zelante trovava che fosse troppo invadente e anche pericoloso per il lanista stesso.
L’idea di un dono per ingraziarsi il favore delle figure più in vista della zona non era inusuale, ma da un uomo che tendeva a fare le cose in grande, come aveva compreso essere Batiatus, il fatto che mandasse una ‘donna’ per compiacere il dominus era… sottotono.
Anche lui era stato donato, quindi sapeva cosa spesso celasse quel tipo di filosofia: il dono di sola una notte, invece, lasciava un po’ il tempo che trovava.
Se Kaeso fosse stato ancora vivo, gli avrebbe sicuramente detto di essere un buon osservatore, ma nelle questioni sbagliate.
«Il famoso dono tarda ad arrivare?»
La voce di Chadara giunse piano al suo orecchio. Tiberius si volse e la vide appoggiata di spalle a una delle colonne del portico anteriore, dove c’era l’ingresso principale alla villa. Anche lui era lì ad aspettare, per ordine del dominus. Il lino avorio oscillava alla brezza, urtando leggermente contro le gambe.
«E’ sulla strada» rispose semplicemente.
Il soldato Camillus, dall’alto delle mura, ne aveva dato un primo annuncio appena aveva scorto la luce di una fiaccola in avvicinamento: era quella del carro.
«Dovrei ringraziarla.» Chadara fece scorrere una sottile ciocca bionda tra le dita. «Almeno eviterò di essere al suo posto, questa notte.»
Tiberius accennò un mezzo sorriso. «Non credo che lei sarebbe felice della tua gratitudine.»
«Il dono è prossimo!» Camillus diede l’avviso finale, significava che il carro aveva imboccato l’ultimo tratto di strada.
Lo schiavo personale fece cenno a Chadara di tornare a occuparsi della cena, che di sicuro Victor avrebbe consumato dopo essere stato soddisfatto, mentre lui rimaneva ad aspettare: gli era stato ordinato di portare il dono nelle stanze personali del padrone dove l’uomo era già ad attenderla.
Camillus scese dalla torretta non appena il carro varcò il portone e si fermò nel centro del cortile. Didius parlò con colui che guidava il barroccio per accertarsi che non ci fossero problemi e anche Tiberius, sempre immobile e in disparte, rimase a osservare i movimenti di tutti.
L’uomo di Batiatus era magro e sudato, i pochi capelli erano incollati sulla fronte e dalla bocca i denti apparivano marci.
Inarcò un sopracciglio con disgusto e poi spostò lo sguardo su Camillus che invece apriva le porte del carro.
Sentì distintamente, tra i comandi aspri del soldato, quel lamento provenire dall’interno.
Le sopracciglia gli si aggrottarono contro la propria volontà e la linea delle labbra perse la piega severa per far posto a una più rassegnata, quasi afflitta. Chiunque fosse sceso da quel carro, non era felice della sorte che gli era toccata e non poteva affatto biasimarlo.
Quello che non si era aspettato, era di vedere una giovane ridotta… in quel modo.
I capelli tagliati in maniera irregolare, quasi per farle sfregio; il volto segnato da schiaffi ripetuti, anche duramente, il labbro gonfio ne era una prova, così come il livido sulla guancia, sopra lo zigomo. Sembrava un pesce fuor d’acqua che cercava di divincolarsi dalla rete in cui era stato catturato; un pesciolino che non aveva idea di dove si trovasse, che non era abituato a quella violenza e durezza. Lo smarrimento era palese negli occhi scuri e grandi, che guizzavano sui volti dei soldati mentre veniva trascinata; mani e piedi in catene.
Quando se la ritrovò davanti, tremante, lo sguardo fisso nel suo per pochi attimi e poi di nuovo vagante al suolo e a ciò che la circondava, Tiberius non poté fare a meno di domandarselo: quello era davvero un dono?
Quando lui era stato donato a Victor, Flaccus era stato attentissimo a ogni particolare: si era accertato che fosse pettinato e vestito con cura; doveva essere perfetto.
Mentre lei…
Le guance erano rigate da pianti passati e gli occhi avrebbero finito con esaurire tutte le lacrime molto presto se avesse continuato così. I polsi erano rossi per le catene che stringevano e per le volte che erano state strattonate per costringerla a camminare.
Lui non aveva avuto catene: un dono era consapevole di quello che sarebbe dovuto essere e non aveva bisogno di essere incatenato.
Il dubbio si insinuò dentro di lui, facendosi spazio nell’esperienza che aveva, volente o nolente, accumulato negli anni.
Ingoiò i pensieri e l’amarezza e si sforzò di mostrarle quella gentilezza che di sicuro le era stata negata fino a quel momento.
«Vieni con me» disse con un accenno di sorriso, ma capì che la giovane non lo sentì né lo vide. I soldati la trascinarono di nuovo, mentre lei continuava a piangere, un pianto sottile che a volte diveniva più forte e disperato e poi si acquietava in un lamento, una supplica.
Tiberius camminò alla testa di quel piccolo corteo cercando di divenire quanto più possibile sordo a ogni verso uscisse dalla bocca della schiava, ma era difficile. Troppo difficile.
Inspirò a fondo e mantenne la testa alta fino a che non giunsero davanti le stanze del dominus. Lì, si premurò di scansare le tende per permettere a Camillus di entrare assieme alla giovane.
Con malagrazia il soldato la spinse verso il centro della camera e poi le rimase accanto, in attesa degli ordini.
Victor era poggiato al bordo del letto. Una mano al fianco e l’altra che faceva ruotare la coppa col vino. Sul volto si disegnò un’espressione attenta. Stava valutando il ‘dono’ con i suoi occhi cupidi e decidere, quindi, quanto appoggio offrire in cambio a Batiatus.
«E così… questo è ciò che mi viene donato?» Con un sopracciglio inarcato e il tono leggermente aspro, Victor vuotò la coppa e poi la lasciò penzolante a mezz’aria.
In un attimo, Tiberius la prese dalle sue mani per riempirla ancora. Non gli era piaciuto il tono del dominus, significava che non era soddisfatto. Non del tutto, almeno.
«Per lo meno si è degnato di mandarmene una con la pelle scura» borbottò, facendo poi cenno a Camillus di potersi ritirare.
La giovane continuava a restare al centro della stanza, tremante come una foglia in balia di una tempesta. Non aveva nemmeno il coraggio di levare lo sguardo sul dominus, ma lo teneva ancorato ai propri piedi. Le braccia erano strette al petto, quasi in un tentativo – inutile – di proteggersi, ma nulla avrebbe mai potuto proteggerla. Non quella notte e forse nemmeno le notti a venire.
Tiberius lo comprese per istinto: Victor non era stato il primo e non sarebbe stato l’ultimo.
Nel frattempo, il dominus si era avvicinato alla schiava con passo deciso.
«È così, dunque, che la domina tratta le sue schiave personali?» sbottò, dopo averle afferrato con forza gli irregolari capelli neri. La costrinse a levare il viso affinché potesse vederla meglio, mentre lo sguardo di Tiberius si faceva più attento e incredulo: lei era stata la schiava personale della moglie di Batiatus?
«Fortuna che non devo fottermi la tua faccia, visto com’è ridotta.» Piano, Victor fece scorrere due dita lungo la guancia gonfia. Gli occhi che si assottigliavano. «Un vero peccato, però. Sotto i segni si intravede ancora una bellezza pregiata.» Le dita scivolarono lungo il collo e più giù, nel solco tra i seni. «E la pelle è ancora liscia. Ringrazia gli Dei di averla avuta di questo particolare colore, o ti avrei già lasciata nelle mani dei miei soldati: che almeno si divertissero loro; i regali non vanno mai rifiutati.» Rudemente l’afferrò per il collare, spingendola poi contro il letto.
La giovane inciampò nei suoi stessi passi, resi difficoltosi dalle catene, e cadde riversa contro il bordo. Tremante, levò lo sguardo alla figura del dominus, ora torreggiante su di lei.
L’uomo ghignò e la sua mano calò implacabile.
Mentre la sentiva piangere e urlare disperata a ogni affondo, mentre il dominus abusava del suo corpo senza pietà, Tiberius comprese.
I dubbi iniziali si mutarono in certezze senza che nemmeno lui sapesse come fosse possibile; sapeva solo che ‘era così’ e che l’idea secondo la quale quel gesto non fosse in linea con l’atteggiamento di Batiatus era giusta.
Le labbra si strinsero in un’espressione di oltraggio e disgusto, ferocia e rabbia. Avrebbe digrignato i denti se avesse potuto, ma non fece nulla di tutto ciò. Adagio si limitò a chiudere gli occhi e a prendere un lungo e profondo respiro. Quando riaprì le palpebre, le labbra avevano perso la piega aggressiva e lo sguardo era tornato fermo, privo di qualsivoglia espressione.

Mentre camminavano lungo i corridoi per tornare al cortile principale e rimettere la giovane sul carro, Tiberius non sentì nemmeno più i lamenti provenire da lei, che a stento si reggeva sulle gambe e camminava, sguardo perso, senza sapere come. Era un involucro vuoto che Didius stava provvedendo a trascinare senza alcuna fatica.
Aveva smesso di piangere mentre era sotto le mani del dominus, quasi che il suo spirito avesse abbandonato le spoglie mortali per non continuare a soffrire. Aveva seguitato a restare muta una volta fuori dalla stanza e lui, di tanto in tanto, si era girato a osservarla: aveva gli occhi che vedevano ma non guardavano, l’abito non era niente più che un fazzoletto di stoffa raffazzonatole sui fianchi e strappato; a volte non riusciva nemmeno a coprirle del tutto i seni. E lui, per il cazzo di Giove!, non avrebbe permesso che il suo corpo venisse profanato e sottomesso anche in quel momento, esponendolo agli occhi di chiunque come fosse qualcosa privo di importanza.
«Fermiamoci un momento, Didius» disse d’un tratto.
Il legionario inarcò un sopracciglio; negli ultimi quattro anni era cresciuto molto e si era più irrobustito, ma restava ugualmente il ragazzino cui bastava fare un po’ la voce grossa per metterlo a tacere. E Tiberius, anche quello, l’aveva imparato molto bene; Kaeso era stato il miglior maestro di vita che avesse mai potuto incontrare.
«Per quale motivo? Dobbiamo raggiungere il-»
«E’ per ordine del dominus, hai qualcosa in contrario?» replicò secco, rivolgendogli solo la coda dell’occhio.
Didius ruotò lo sguardo e poi ingoiò ogni perplessità.
Tiberius tornò a concentrarsi sulla giovane: restava in piedi, ma le gambe tremavano ed era costretta a fare dei piccoli passi sul posto per riuscire a mantenere l’equilibrio e non cadere. Passi meccanici, che compiva senza pensare. Lo sguardo arenato in un punto impreciso del pavimento e gli occhi che continuavano a piangere, ma non un lamento usciva dalle sue labbra.
In quel momento, nel trovarsi davanti tutta la sua sofferenza, si rese conto di come chiunque avesse potuto trovarsi al suo posto, anche lui, perché l’essere schiavo equivaleva a essere oggetto nelle mani del proprio padrone. Qualcosa che poteva essere scambiato, venduto, oltraggiato o solo buttato via, senza stare a pensarci, e visto che non c’era nessuno che se ne curava, non potevano fare altro che aiutarsi tra loro, almeno un po’.
Svelto prese della stoffa abbandonata su una cesta che le schiave non avevano ancora provveduto a sistemare. Sembrava un lenzuolo, uno vecchio che le donne avevano messo da parte per poterlo riutilizzare in caso di necessità. Per lui, quella era la necessità perfetta.
Senza dire nulla glielo passò attorno alle spalle e sulla testa per darle un riparo sotto cui potersi nascondere fino a che non fosse arrivata alla destinazione successiva. Cercò di sistemarglielo affinché non le scivolasse via e poi le mise i lembi tra le mani.
Lei non incrociò il suo sguardo, ma le dita reagirono al gesto e strinsero la stoffa in maniera spasmodica.
«E allora? Vogliamo andare?»
Tiberius ruotò gli occhi con fastidio e si volse, riprendendo a camminare. «Sì» disse solo.
Pochi passi ormai li separavano dal cortile e quando emersero all’esterno, Didius gli fece cenno di aspettare sotto al portico, perché al resto avrebbero pensato loro.
Il legionario e la schiava gli passarono accanto. Lui la trascinava senza alcun riguardo e allo stesso modo la costrinse a salire sul carro, aiutato da Pullo.
«Datti una mossa, dannata puttata!» abbaiò quest’ultimo incurante del fatto che la giovane avesse ancora sia le mani che i piedi in catene. La spinse all’interno e poi chiuse le porte.
Il legno emise un rumore secco e cigolante che a Tiberius ricordò lo stesso di quando era stato portato via dal villaggio. Un brivido gelido gli graffiò la schiena, affondando nella pelle fino a scomparire, ma l’eco di quel rumore sarebbe rimasta ancora, a ricordargli quello che anche lui aveva udito assieme a tutti i ricordi che avrebbe portato con sé.
Un colpo di frusta, un breve comando e i cavalli si mossero per lasciare la Casa di Victor.
Chadara comparve di nuovo da dietro una delle colonne. Lo sguardo basso e privo della sicurezza mostrata prima. Tra le dita rigirava i lembi di un cordoncino di filo.
Si morse leggermente il labbro inferiore e levò le iridi azzurre sulla sagoma del carro che scompariva dietro lo spesso portone della villa che veniva richiuso.
«Non era… non era poi chissà che dono» borbottò, ma era solo una frase buttata lì per riempire il silenzio.
Tiberius volse le spalle al cortile e a tutto ciò che si estendeva oltre le mura di quella casa. Senza rispondere, sulle prime.
Sì, quel gesto era davvero poco degno di un uomo come Batiatus, che pensava in grande e puntava in alto.
«Non era un dono» disse, rientrando in casa con passo fermo. «Era una vendetta.»
Contro la schiava.

 

Fine

 



Ciarle Randomiche: da che ho saputo che Naevia era stata presso Villa Victoria per compiacerne il dominus, mi ero detta: "E' impossibile che lei e Nasir non si siano visti! °-°". Diamine, Nasir è pur sempre il body-slave di Victor, figurati se non ha incrociato Naevia quando lei è giunta alla villa! E così ho cercato di dare corpo a questo Missing Moment e di raccontare come avrebbero potuto svolgersi i fatti (ricordiamo anche che Naevia e Nasir sono molto amicipuccini in "Vengeance" *-* mi piaceva che la loro forma di empatia reciproca potesse affondare le radici proprio in quel momento, quando Naevia era nel pieno del suo inferno :3).
La prossima storia della serie "Solo un nome" sarà una raccolta di Missing Moment legati a "Vengeance" e quindi ambientati in quell'arco temporale, mentre l'ultima sarà una one-shot - massimo bi-shot - e sarà un "What if?" ambientato dopo "Vengeance". :3 Purtroppo ci vorrà un po' più di tempo, perché anche se ho alcune idee in mente, ho bisogno di riguardare la serie e essere sicura di non lasciare nulla per strada. XD
Ho deciso di dedicarmi alle ultime due storie contemporaneamente, in modo tale da non dover aspettare troppo tra l'una e l'altra. :3
Ringrazio infinitamente chi continuerà a seguirmi in questo articolato progetto. :3
Grazie a tutti! :)

   
 
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