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Autore: koorime    30/05/2012    5 recensioni
Merlin lavora in una tavola calda per pagarsi l’università. Una mattina Arthur, suo migliore amico e ragazzo per cui ha una cotta secolare, gli propone una caccia ai fantasmi per quella sera.
Genere: Avventura, Azione, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù, Un po' tutti | Coppie: Merlino/Artù
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Titolo Titolo: The House
Fandom:
Merlin/Supernatural AU
Personaggi/Pairing:
Merlin, Arthur Pendragon (Merthur ♥), Gwen, Morgana, Percival, Lancelot, Gwaine. Guest star: Sam e Dean Winchester, Castiel (Destiel ♥)
Rating:
Pg (?)
Beta:
Stateira e Samek mi hanno tirato le orecchie per gli erroretti sparsi.
Word:
3570 (fiumidiparole)
Genere:
commedia (?), avventura.
Warning:
slash accennato (accennatissimo), AU, leggerissimo crossover.
Summary:
Merlin lavora in una tavola calda per pagarsi l’università. Una mattina Arthur, suo migliore amico e ragazzo per cui ha una cotta secolare, gli propone una caccia ai fantasmi per quella sera.
Note:
scritta per l’ottava e ultima settimana della Cow-T (che abbiamo vinto noi Cavalieri �/ ♥) per la Missione 2 – prompt: Fandom!AU, ma, ahimè, non sono riuscita a completarla in tempo. Ma la storia mi piaceva comunque, quindi ve la ciucciate lo stesso, che io non spreco il mio genio >___> *le arriva La Colt dietro la testa* Uhm, buona lettura!
NOTICINA EXTRA:
questa di seguito è prevalentemente una Merthur (Merlin/Arthur) con lieve accenno Destiel. E solo perché dovevo evitare di sfociare nel vero crossover. Ma prima o poi mi rifarò, vedrete u_u

DISCLAIMER: vorrei tanto possedere Merlin, ma no, né lui né nessun altro mi appartiene .__. Neanche Dean *sigh*

 

Lavorare in una tavola calda era divertente, nonostante la stanchezza delle tante ore passate in piedi dietro il bancone, o nel retro a ordinare e catalogare le consegne arrivate la mattina, ma gli permetteva anche di conoscere sempre persone nuove e di stringere amicizia con gli avventori: c’era il libero professionista, che passava a prendere un caffè nero al volo la mattina presto, e il liceale che si fermava dopo le lezioni con gli amici per un hamburger e una porzione di patatine.

A Merlin piaceva davvero il suo lavoro e questo faceva sì che non fosse un onere da portare con fatica, ma piuttosto un modo come un altro per mantenere le relazioni interpersonali nonostante l’università. Era, in effetti, a causa di quest’ultima se, finito il liceo, aveva cercato un lavoro. Era riuscito ad entrare alla Facoltà di Medicina dell’Università locale grazie a una borsa di studio, ma era costosa – c’erano i libri e i trasporti – perché potesse permettersi di frequentarla.

Essendo in famiglia solo lui e sua madre – che faceva l’infermiera al liceo – Merlin aveva saputo fin dall’inizio che avrebbe dovuto essere autosufficiente anche a livello economico, se voleva inseguire il suo sogno.

Così, quando Gwen gli aveva proposto di lavorare nella tavola calda di suo padre lui aveva acconsentito all’istante.

-Cosa vi porto?- domandò con un sorriso cordiale ai due giovani al bancone. Uno dei due, quello più basso, lesse la lavagnetta delle specialità appesa alle sue spalle e poi ordinò:

-Vediamo, frittelle e un caffè nero.- Aveva una voce roca ma molto gradevole e un paio di occhi verdi davvero stupefacenti sopra una distesa di lentiggini.

-Lo stesso anche per me,- aggiunse l’altro, con un sorriso gentile. Condividevano lo stesso paio d’occhi chiari, ma su quest’ultimo si caricavano di una dolcezza maggiore, probabilmente anche grazie ai tratti del viso più gentili.

Parenti, ipotizzò Merlin, allungandosi a passare l’ordine a Tom. Cugini, continuò, notando la somiglianza labile ma presente, Forse addirittura fratelli.

-Le frittelle arrivano subito,- li avvisò, passandogli poi due tazze, -E qui ci sono i caffè.

Il campanello del locale lo richiamò con il suo trillo, facendolo voltare verso i nuovi clienti. Il sorriso cordiale si ridimensionò e si lasciò andare a uno sbuffò quando incrociò un paio di occhi azzurri.

 -Ma guarda, assumono anche gli Idioti, adesso!- si meravigliò il nuovo arrivato. Merlin osservò il giovane accomodarsi al bancone, proprio di fronte a lui, e sorridergli malandrino.

-E gli Asini sanno parlare!- ribatté inarcando un sopracciglio, facendo imbronciare il suddetto Asino.

-Sanno anche picchiare, se è per questo,- lo minacciò e Merlin rise, alzando le mani in resa. Si poggiò poi sul bancone e lo guardò divertito.

-Di’ un po’, tu non dovresti essere a studiare per gli esami di metà semestre?- lo interrogò, facendogli fare una smorfia scocciata.

Arthur era il suo migliore amico dal liceo. Più precisamente da quando si erano incontrati al terzo anno. Merlin si era appena trasferito in città ed era diretto alla classe di chimica quando aveva voltato l’angolo si era scontrato con un muro. Era scivolato, rovinando sul pavimento e portandosi dietro il suddetto muro, che poi aveva scoperto essere Arthur Pendragon, quarterback della squadra di football e ragazzo immagine del liceo.

Avevano iniziato così, urlandosi addosso di essere un Idiota che non sa neanche camminare e un Asino che non guarda dove mette i suoi stupidi piedi enormi. Le cose erano peggiorate quando avevano scoperto di essere stati accoppiati nel progetto di chimica – la cui aula, aveva poi scoperto, era nella direzione opposta a quella presa da lui. Arthur glielo aveva rinfacciato per tutta la durata del progetto. E talvolta lo faceva tutt’ora.

Ma nell’arco delle settimane seguenti era scattato qualcosa e Merlin aveva rivalutato la sua sfortuna. Arthur poteva comportarsi come un pallone gonfiato, di tanto in tanto – spesso, ad essere sinceri – ma era molto intelligente e, nonostante tutto, una persona piacevole. C’erano volte in cui Merlin aveva sentito – e continuava a sentire, a distanza di anni –il desiderio di ucciderlo, ma il più delle volte riusciva a conviverci pacificamente. Probabilmente era dovuto anche alla sua cotta, ma Merlin cercava di pensarci il meno possibile.

Ritrovarsi innamorato di un ragazzo come Arthur Pendragon non era esattamente una cosa da sperare o da riuscire ad evitare. Dopotutto era stato la punta di diamante del liceo, bravo negli studi come nello sport, Re del Ballo di Fine Anno e futuro promettente avvocato.

Come già detto, era difficile – quasi impossibile – non rimanere abbagliati dal suo carisma, per non parlare della bellezza.

-Al diavolo quella roba, sono qui per farti una proposta!- sogghignò il succitato bel giovane. Merlin inarcò un sopracciglio e l’altro si tese sul bancone, continuando: -Stanotte, Madison Road. Io, te e... gli altri.

-Madison Road?- ripeté, processando l’informazione e arrivando all’unica conclusione possibile. -La Casa?- domandò con uno sbuffo divertito, -Non sei troppo grande per credere ai fantasmi?

-E dai, non fare il guastafeste!- lo rimbrottò l’amico, allungandosi a mollargli uno schiaffo dietro la nuca. -Lo vogliamo fare tutti!

-Tutti chi?-

-Lancelot, Gwaine, Percy... Tutti!

 Merlin sostenne il suo sguardo, scettico, ma quando vide lo scintillio eccitato negli occhi blu dell’amico, chiuse i suoi e scosse la testa con un sospiro sconsolato.

-E va bene,- acconsentì.

Arthur sorrise, mollandogli una poderosa pacca sulla spalla, e lui cercò di non perdere l’equilibrio e – soprattutto – di non pensare a quanto il locale fosse diventato improvvisamente luminoso.

Per sua fortuna il campanello di Tom squillò, richiamandolo e impedendogli di fare qualcosa di molto stupido come arrossire – e dichiararsi. Afferrò i piatti di frittelle e li depositò di fronte gli unici due clienti al bancone oltre Arthur – ma Arthur non era un vero cliente – e sorrise cordiale.

-Buon appetito,- augurò, guadagnandosi un cenno gentile dal più giovane. L’altro invece semplicemente lo fissò, e per lungo tempo. Al punto che lui cominciò a sentirsi a disagio e chiedersi se ci fosse qualcosa che non andava nel suo viso – le orecchie? Ma i capelli gliele coprivano, no? E poi, quel tizio sembrava più interessato ai suoi occhi.

-Uhm,- si schiarì la voce, scambiandosi un’occhiata con l’amico lì vicino, che osservava la scena corrucciato. -Posso fare qualcosa per te?- domandò sforzandosi, questa volta, di sorridere. Ma il ragazzo non sembrò sentirlo, perso in chissà quali pensieri. Fu il fratello ad accorgersi della cosa e a richiamarlo con un sibilo e una gomitata nelle costole, facendolo trasalire.

-No, grazie mille,- rispose al posto del più grande. -Hai... degli occhi molto belli, te l’hanno mai detto?- aggiunse dopo un attimo, scoccando al fratello uno sguardo divertito.

-Ehm... no. Uhm, grazie,- balbettò Merlin, guardandosi per un attimo attorno spaesato. -Adesso però devo tornare... sai, a lavoro, quindi...- non terminò la frase e sparì nelle cucine, sentendo gli occhi di Arthur bucargli la nuca e la voce roca dell’altro ragazzo brontolare:

-I suoi sono più espressivi.

***

Medison Road era, probabilmente, la strada più conosciuta della città, e tutto a causa – o per merito – di quella casa.

Era una tenuta padronale risalente a prima della Guerra di secessione, trasformata poi, durante gli anni ’30, in un albergo di lusso, fiore all’occhiello della comunità. Un tempo circondata di campi rigogliosi, era ormai solo un’eco fatiscente di una società lontana, serrata tra magazzini e palazzi imponenti, ma continuando, tuttavia, a conservare il suo fascino senza tempo.

Nel corso degli anni era stata soprannominata La Casa dai giovani del luogo, dopo il numero impressionante di strane morti di cui era stata teatro – culminate nello sterminio dell’albergo – e che avevano fatto desistere nuovi acquirenti dal comprarla, destinandola allo stato di degrado in cui ormai versava.

Troneggiava, imponente e placida, sulla strada deserta, silenziosa nella notte senza luna. Merlin sospettava che non fosse un caso. Se conosceva bene Arthur – e lo conosceva come le sue tasche – aveva scelto consapevolmente quella notte. Perché? Fondamentalmente perché era un idiota.

-Dicono che ci siano morte cinquanta persone lì dentro e che, se ascolti bene, senti ancora le loro urla disperate,- sussurrò Gwen, gli occhi fissi sulla struttura di fronte a loro.

Calò un pesante silenzio sul gruppo, rotto solo dal canto nostalgico di un gufo.

-A me non sembra nulla di speciale,- dichiarò Percy, rovinando l’atmosfera. Probabilmente per la prima volta da quando lo conosceva, Merlin fu d’accordo con lui.

Arthur però, la pensava diversamente e sottolineò il concetto con uno schiaffo sulla nuca del giovane miscredente, facendo fiorire le sue proteste.

Merlin sospirò, deviando lo sguardo da loro al resto della comitiva, ancora intento ad osservare la casa. Il tutti di Arthur si era poi limitato ai soliti, con l’aggiunta di Morgana, figlioccia della famiglia Pendragon.

-Sembra viva, vero?- sospirò proprio lei stringendosi le braccia al petto per combattere l’improvvisa inquietudine.

-Vuoi che ti protegga un vero uomo?- ammiccò Gwaine, facendosi più vicino a lei. La ragazza inarcò un sopracciglio, divertita.

-Adesso sì che mi sento sicura!- ironizzò, facendo ridacchiare tutti e brontolare offeso il giovane intraprendente. Lei si voltò, incontrando gli occhi di Merlin, e lo raggiunse in pochi passi.

-Che ne dici, andiamo prima noi?-

Lui sorrise, accettando il braccio offerto. -Ci sto,- asserì, attraversando poi la strada con lei e dirigendosi a passo spedito verso la tanto temuta dimora degli orrori.

Una volta sui suoi primi scricchiolanti scalini, l’aria attorno a loro sembrò cambiare, appesantirsi.

Dovette forzare appena la porta d’ingresso perché questa si spalancasse davanti a loro con un cigolio sinistro. I due ragazzi si scambiarono uno sguardo. Decisamente scenico, non c’era che dire, pensarono con apprensione.

-Uhm,- si schiarì la gola Merlin, inoltrandosi nell’ingresso buio e vinto dalla polvere. Un attimo dopo sussultò quando una mano calò sulla sua spalla, trattenendolo.

-Fermo dove sei,- gli intimò Arthur, superandolo, seguito da Gwaine e Percy. -Imbranato come sei, finiresti per beccare qualche asse marcia e fare un bel volo giù,- continuò, facendosi luce con una torcia elettrica.

Lancelot comparve accanto a lui e gli rivolse un sorrisetto  di complicità. -Almeno se succede ad Arthur nessuno se ne lamenterà,- sussurrò, passandogli una pila elettrica e facendolo ridere, mentre il silenzio surreale vigente nella casa permetteva al giovane Pendragon di sentirli e inondare i loro visi con la luce artificiale.

-Divertente. Davvero molto divertente,- ironizzò, scoccando un’occhiataccia a tutti loro. -Forza, andiamo avanti,- li spronò, dirigendosi verso lo scalone principale, ricoperto ancora da un lungo tappeto di velluto rosso che, nella luce gialla, dava l’impressione di essere un fiume di sangue. Inquietante, se ci si soffermava a pensare allo stermino.

Camminarono per i lunghi, silenziosi corridoi, trattenendo il respiro a ogni innaturale scricchiolio attorno a loro.

Per un attimo Merlin ebbe l’impressione che qualcosa passasse davanti la luce che investiva una delle porte socchiuse e sussultò.

-Tutto bene?- si interessò Arthur a cui non era sfuggito il suo trasalimento.

-Sì,- rispose subito lui, sorridendogli quando fece due passi e gli si sistemò accanto, -Mi sono solo autosuggestionato.

L’altro ragazzo arricciò appena le labbra e un attimo dopo riprese a ispezionare il luogo.

-Peccato non ci sia il tipo di stamattina, avresti potuto farti abbracciare da lui,- lo prese in giro. Merlin ringraziò il buio che nascose il rossore salitogli alle guancie e brontolò un -Non so di che diavolo stai parlando, cretino,- ringraziando che nessun altro li avesse sentiti.

-Allora, dove solo questi fantasmi?- domandò Gwaine quando entrarono in quello che, una volta, doveva essere il salottino per gli ospiti. Era abbastanza ampio, con un lungo bancone da bar sulla parete di destra;  a occhio poteva accogliere almeno una cinquantina di persone – e, in effetti, secondo la leggenda era proprio lì che erano stati ritrovati i corpi, una distesa di cadaveri riversi su divanetti e tavolini da tè.

Arthur avanzò con passo sicuro, previo poi fare uno scatto indietro quando un’asse scricchiolò più del dovuto. Tutta la struttura era in legno ed era priva di manutenzione da decenni – in effetti, Merlin si chiese com’era possibile che fosse ancora in piedi – e ogni passo poteva essere ultimo.

-Dicono che tutto cominci a mezzanotte,- intervenne Lancelot dopo qualche istante. Gwen, accanto a lui, si illuminò l’orologio al polso. -Sono le undici e mezza,- chiarì con un sospiro.

-Allora non ci resta che accomodarci,- dichiarò Arthur raggiungendo il bar e saltando a sedersi sul bancone.

Gli altri si scambiarono uno sguardo, per quanto la scarsa illuminazione lo consentisse, e si accomodarono a loro volta come poterono – chi a terra, chi seguendo l’esempio del capo.

Non rimaneva che aspettare.

***

Nel buio completo della stanza, Merlin sentì un sospiro, poi un tonfo.

Un attimo dopo tutte le torce elettriche si accesero, puntandosi verso l’origine del rumore.

-Scusate,- biascicò Percival, a pochi metri da lui, proteggendosi gli occhi dalla luce improvvisa, -Mi era caduto il telefonino.

Ci fu uno sbuffo generale e le luci tornarono a spegnersi una dopo l’altra. L’ultima fu quella di Gwen, dopo aver controllato per la quinta – o quindicesima – volta l’orario.

-E’ quasi l’una, ormai.

-Forse è il giorno libero?- schernì Merlin. Non finì neanche la frase che il suono attutito di passi riempì l’aria, caricandola di aspettativa.

-Eccoli,- disse Arthur.

-Da quando i fantasmi camminano?- domandò – giustamente, secondo Merlin – Morgana, ma l’altro ragazzo la zittì quasi subito, rimettendosi in piedi il più silenziosamente possibile, seguito dagli altri.

-Quindi, cosa? Un cameriere impazzito ha fatto strage di tutti?- riecheggiò una voce roca, seguita dalla comparsa di un cono obliquo di luce, e Merlin aggrottò le sopracciglia per quanto quella gli suonasse familiare.

-Uhm, no,- disse un’altra luce -Da quello che ho potuto capire, credo che si tratti di Benjamin Worton, il primo proprietario. Non è ben chiaro, ma sembra che fu massacrato dai nordisti con la moglie e le due figlie. Anche se, più che alla teoria dello spirito vendicativo, credo che sia stato proprio lui ad ucciderle e poi si sia tolto la vita per non cadere nelle mani nemiche.

-Nordisti? Aspetta, stiamo parlando della Guerra di secessione?-Al mugolio di conferma ci fu un fischio, -Non dev’essere rimasto molto di questo bastardo.

-Già.

-Fantastico! Okay, quindi, cosa, stiamo cercando un feticcio?

-In realtà no, non credo. Non c’erano notizie su una sua cremazione, quindi, ipoteticamente...

La voce si interruppe all’improvviso mentre una specie di fischio prolungato gli si sovrapponeva e Merlin tese l’orecchio, trattenendo il fiato. Sentì un soffio freddo solleticargli la nuca e sgomitò all’indietro, reprimendo un brivido.

-Sta fermo!- sibilò in avvertimento.

-Con chi ce l’hai? Ci siamo solo noi qui,- gli arrivò la voce di  Arthur direttamente nell’orecchio. Merlin s’irrigidì quando sentì, di nuovo, quello spifferò gelargli la pelle e si voltò lentamente, incontrando un riverbero di occhi. Solo che non c’era nessuna luce che potesse farli rispecchiare.

-Merlin!- urlò Arthur, tirandolo giù un attimo prima che un colpo di fucile rimbombasse nella stanza e la illuminasse quasi a giorno. Ci furono delle urla – Gwen... Percy? – poi una voce decisa tuonò:

-Chi diavolo c’è?

Seguì un silenzio terrorizzato e Merlin fu certo che il battito furioso del suo cuore fosse udibile da chiunque. E se non chiunque, da Arthur sicuramente sì, soprattutto per la forza con cui se lo stringeva al petto.

-Sto bene,- mormorò contro la sua scapola – o almeno credeva fosse quella – prima di riuscire a vincere la sua presa salda e allontanarsi.

-Chi c’è?- chiese di nuovo la voce, questa volta accompagnata dall’agitarsi del cono di luce, che un attimo dopo li investì, accecandoli.

-Abbassa quella cosa!- sbottò Arthur, armeggiando per accendere la sua e puntarla, mentre Merlin accanto faceva lo stesso. Tutto gli fu più chiaro quando illuminarono i visi dei due fratelli che aveva servito quella stessa mattina.

-Cos’era? Cosa diavolo era quello?- intervenne la voce spaventata – eppure ferma – di Gwaine.

-Uhm,- temporeggiò il più giovane dei due, quello con gli occhi da cucciolo -Quello...

-Era un fantasma, okay? Adesso fuori di qui!- sbottò l’altro, ricominciando a seguire il bip di quel coso tra le sue mani. Il fratello minore lo trattenne per una spalla.

-Dean, aspetta... Non credi che forse dovremmo portarli fuori noi? E se lo incontrassero di nuovo?

Quello che si chiamava Dean  sospirò. -Sì, sì, ho capito,- smozzicò, prima di alzare la voce, -Okay, sentito la crocerossina con me? Torniamo giù!

-Fermi tutti!- ordinò invece Arthur, avanzando verso i due, -Chi diavolo siete voi e perché mai dovremmo seguirvi?

-Arthur...- lo chiamò Merlin cercando di trattenerlo per la maglia, ma quello strattonò la presa, ignorandolo.

-Dean. Sam,- fece le presentazioni il giovane indicando prima se stesso e poi l’altro ragazzo, -E siamo quelli che salveranno il tuo culo imberbe stanotte!- scoccò un’occhiataccia al fratello e poi si voltò, dirigendosi verso l’entrata -E adesso andiamo.

Sam sospirò e sorrise loro in scuse, facendogli poi cenno di precederli, cosicché lui chiudesse la fila, come retroguardia. Ma nessuno sembrava muoversi, o anche solo volerlo fare – probabilmente ancora troppo scossi dagli ultimi avvenimenti – così fu Merlin a chiudere gli occhi e avanzare di un primo passo, spezzando quell’irreale immobilità.

Quando lo superò, afferrò la mano di Arthur e se lo tirò dietro, sentendolo brontolare. Ma non lo lasciò andare e questo fece nascere un sorriso appena accennato – e totalmente fuori luogo – sul suo viso.

Stavano ripercorrendo la strada fatta ore prima, fermandosi ogni volta che il bip cambiava e Dean imbracciava il fucile.

-Che cos’è?- aveva chiesto dopo un po’ Merlin, vinto dalla curiosità. Dean si era voltato appena a guardarlo prima di ricominciare a ispezionare.

-Un aggeggio,- rispose e dal fondo della fila si sentì l’altro ragazzo ridere.

-Proprio una bella spiegazione, Dean.

-Preferisci che lo chiami come i tuoi amichetti? C.E.M.?

L’altro rise ancora e poi intervenne, anticipando la loro domanda. -Campo elettromagnetico,- spiegò -I fantasmi ne hanno uno e con quello li rintracciamo.

-E poi gli sparate,- arguì Morgana -Da quando i fantasmi su uccidono a colpi d’arma da fuoco?

-Da quando li carichi di cartucce di sale, dolcezza,- rispose prontamente Dean. Un istante dopo si voltò e puntò il dito contro Merlin, già pronto a porre la nuova domanda.

-Non una parola di più!

Lui richiuse la bocca e stirò le labbra in pentimento. -Scusa,- bofonchiò. Sam sospirò e Merlin seppe che stava scuotendo la testa con rassegnazione.

-Sai, Dean? Solo perché sei... nervoso, non puoi prendertela con il resto del mondo.

Merlin non ne fu certo, ma ebbe l’impressione che Dean rimbrottasse qualcosa su stupidi mocciosi che non si preoccupano di far sapere se le loro stupide chiappe angeliche sono ancora intere.

 

Quando arrivarono nell’ingresso, sembrò passata un’eternità. Avevano quasi raggiunto la porta quando Dean aveva sibilato un -Merda!- stizzito e aveva caricato il colpo in canna. -Sam! Portali fuori di qui, subito!

-Coraggio, andiamo,- li aveva sospinti l’altro, sfoderando una pistola e continuando a tenere sotto tiro il nulla. L’attimo dopo c’era stato un urlo disumano provenire dalle viscere della casa – o almeno quella fu l’impressione che ebbe Merlin – e Dean aveva fatto fuoco una, due, tre volte, per poi seguirli verso l’esterno, verso la salvezza.

-Dio! Quanto odio questi bastardi figli di puttana!- gemette, ricaricando il fucile a canne mozze. Una cartuccia gli scappò di mano quando Gwen urlò, indicando la casa.

-È lui! È il fantasma!

-Perché non stiamo scappando?- aveva chiesto Merlin dopo un attimo di esitazione, occhieggiando Sam. Sospettava che se l’avesse posta a Dean lo avrebbe guardato nuovamente male. Non credeva di stargli molto simpatico, nonostante quello che credesse Arthur.

-Non ce n’è bisogno, i fantasmi sono legati a un luogo, di solito quello della loro morte, e non possono abbandonarlo. Finché nessuno entra nella casa lui non può fare niente.

-Sì, beh, peccato che di idioti che adorano farsi fare a fettine se ne trovano sempre,- ironizzò Dean, caricando un nuovo colpo. -Adesso andatevene e lasciateci fare il nostro lavoro, eh!

-Aspetta,- lo frenò Arthur, guadagnandosi un’occhiataccia da parte di Dean – Merlin cominciava a credere che non sapesse fare nient’altro – ma la sostenne.

-Vi ho sentiti prima,- disse, alzando lo sguardo verso la vetrata della Sala. -Se state cercando i resti di Worton dovete andare al cimitero cittadino. C’è una lapide commemorativa molto grande in suo onore, è impossibile che non la riconosciate.

Per la prima volta da quando era cominciata quella storia Dean ammiccò sorpreso, voltandosi poi verso il fratello che sorrise e scrollò le spalle.

-Non ho controllato,- si scusò -Di solito non è mai così facile.

***

Se n’erano andati ancora allibiti e increduli. Avevano visto i due Acchiappa fantasmi salire sulla loro auto e li avevano salutati, indicandogli la direzione per il cimitero.

Dopodiché si erano diretti verso il centro della cittadina, biascicando ancora, di tanto in tanto, sugli ultimi avvenimenti.

Alla fine si erano ritrovati alla tavola calda della famiglia di Gwen, la quale li aveva invitati a entrare a bere un caffè e riscaldarsi le ossa, nonostante fosse una notte particolarmente tiepida.

Era stato mentre sorbiva il suo, seduto accanto alla vetrata principale, che Merlin aveva dato uno sguardo fuori e si era raggelato.

-Cosa c’è?- lo aveva interrogato all’istante Arthur, ancora con i sensi in allerta.

-Mi era sembrato di vedere...- si era interrotto, ammiccando confuso. Ali, aveva concluso nella sua mente, guardando un giovane uomo in trench beige raggiungere l’auto di Sam e Dean, ferma dall’altro lato della strada. -Niente. Devo essere davvero stanco,- aveva concluso con un sorriso.

Arthur l’aveva osservato per un lungo momento.

-Domani ne riparliamo,- aveva decretato. -Magari davanti a un caffè,- aveva aggiunto un attimo dopo, incastrandogli i piedi tra i propri. Merlin lo aveva guardato sorpreso, specchiandosi nel suo sguardo deciso e limpido, e aveva sentito gli zigomi scaldarsi per l’imbarazzo.

-Magari, sì,- aveva concordato, nascondendo un sorriso dietro la propria tazza.

Dopotutto, forse, da quella folle notte sarebbe nato qualcosa di altrettanto folle.

Fine.

   
 
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