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Autore: Trick    31/05/2012    3 recensioni
"«Sei il Prefetto di Hogwarts, Remus» le spiegò Lily con un sorriso, camminando verso di lui e stringendogli con salda gentilezza la mano. «Di nuovo».
«No, Lily» ribadì con decisione lui. «Io non posso morire».
«Lo so. Lo abbiamo creduto tutti».
"
(Remus Lupin/Lily Evans).
Un'antologia di fan fiction che copre ogni ship fanon o canon della Vecchia Generazione.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Lily Evans, Remus Lupin
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Non si sa se Hestia Jones fosse o meno un membro del primo Ordine della Fenice. Nella fotografia che Moody mostra a Harry nel quinto libro lei non compare, ma questo non significa necessariamente che non ci fosse. Voglio dire, ehi, in quella foto compare pure Aberforth e ci viene espressamente detto che lui non faceva parte dell'Ordine. Magari Hestia era a fare la spesa, quando l'hanno scattata; magari non c'era e basta, ma io ho dovuto arrangiarmi.
In questa fan fiction, quindi, Hestia è nata attorno agli anni Cinquanta ed è un membro del primo Ordine della Fenice. E ora questa coppia assurda mi piace da impazzire. Sono uscita di senno.


Racconti di sabbia
Fan fiction perdute nel tempo
*

Uno dei due
Evan Rosier/Hestia Jones



Ai tempi di Hogwarts era tutto differente; lo erano loro, lo era il mondo fuori e lo era qualunque cosa li agitasse dentro. Hestia non avrebbe mai creduto possibile che la propria vita si potesse rivoltare su stessa, eppure l'aveva fatto, aveva schiacciato ogni serenità che ancora si avvinghiava all'eco sereno dei giorni passati ed ora era lì, immobile e spenta, seduta su un sofà tarmato a contare i grani di polvere che ricoprivano il tavolo.
Non si era nemmeno lavata le mani.

*

Della battaglia che aveva appena distrutto mezza Montford non restavano che un gran cumulo di macerie e un paio di Obliviatori del Ministero che ancora inseguivano qualche Babbano che gridava di aver visto “gente folle che faceva magia, magia vera”. Il polverone sollevato dall'esplosione della piccola locanda si era ormai diramato, gli Auror si erano già Smaterializzati e i membri dell'Ordine erano svaniti ben prima del loro arrivo. Solo Hestia aveva deciso di rimanere e si era mischiata all'orda di Babbani che si era accalcata nella via. Piangevano e urlano, si stringevano l'uno con l'altro, e poi urlavano di nuovo. Diverse pattuglie di polizia erano già piombate sul luogo del disastro; le luci dei lampeggianti delle automobili si allungavano e si ritraevano sulla facciata distrutta, creando delle ombre a forma di artiglio che celavano appena gli interni scoperti. Hestia riuscì a riconoscere ciò che restava di una stanza da letto.
«Una bomba! Una bomba!» strillava un'anziana signora con i bigodini scomposti e la camicia da notte a fiori. «È stata una bomba! Una bomba!».
No, non lo è stata” pensò d'istinto Hestia, affondando le mani nelle tasche dei jeans Babbani.
Poi lo vide.
Sembrava dannatamente fuori posto fra la folla esagitata, dritto e impettito accanto a un lampione al quale era esplosa la testa, come se l'atmosfera tragica non lo potesse attaccare nemmeno un poco – come se lui non c'entrasse niente. Hestia non sapeva se lui l'avesse a sua volta vista, né si soffermò a pensare che potesse annidarsi un'imboscata dietro al fatto che lui, un Mangiarmorte, fosse ancora lì, in mezzo al disastro che aveva generato, piuttosto che essere fuggito al sopraggiungere degli Auror.
Voleva agire e basta, doveva agire e basta.
Senza attendere oltre, si fece largo a forza attraverso la gente, e aveva appena estratto di soppiatto la bacchetta quando lui si era voltato di colpo verso la sua direzione. Hestia si irrigidì e l'imprudente audacia che l'aveva trascinata fino alle sue spalle scemò di colpo, lasciando spazio ad un'orribile sensazione di pericolo. D'istinto, le sue piccole dita si strinsero attorno all'impugnatura di salice.
Non vedeva Evan dacché lui si era unito ai Mangiamorte e si era fatto marchiare l'avambraccio; si ritrovo scioccamente a pensare che il suo viso non era cambiato poi così tanto. Gli ondulati capelli chiari gli ricadevano un poco più lunghi sulle spalle e il suo colorito era più pallido e cereo, ma i suoi occhi azzurri la scrutavano ancora con lo stesso annoiato distacco di sempre, come se non riuscisse a visualizzarla davvero.
«Giù la bacchetta, Hestia» la ammonì con voce roca e lei trasalì nel rendersi conto di quanto quella, al contrario, fosse profondamente mutata. «Siamo circondati da Babbani».
«È nascosta dal cappotto» gli rispose, cercando di apparire ben più sicura di quanto non fosse. «Potrei ammazzarti ora e tu cadresti a terra senza che nessuno di loro se ne accorga».
Evan soffiò divertito e distolse lo sguardo da lei per scrutare un punto indistinto oltre le teste delle persone davanti a lui.
«Non è nel tuo stile».
«Cosa ne sai, tu?».
Lui sorrise sotto i baffi.
«Lo so».
Hestia si mosse il più velocemente possibile e puntò la bacchetta alla sua schiena prima che lui potesse muovere un solo dito. Per un attimo ebbe l'impressione che l'idea di scansarsi non lo avesse nemmeno sfiorato, ma si costrinse a pensare che era lei, quella che lo teneva sotto scacco, ora. Era lei, era la sua bacchetta, quella ben piantata contro di lui – lei che avrebbe potuto ucciderlo in qualunque momento.
«Non pensi mai che avremmo potuto essere felici, noi due?» le domandò d'un tratto, girando appena la testa per rivolgerle un'occhiata in tralice. «Ci pensi mai, Hestia?».
Lei chiuse gli occhi e affondò ancora di più la bacchetta nella sua schiena.
«No».
«Bugiarda» la accusò con tono cordiale. «So che ci pensi».
«Vuoi sapere a cosa penso? Penso che hai fatto la tua scelta, e che se non dovessi ammazzarti oggi, farò qualunque cosa per ammazzarti la prossima volta».
«Lo spero» ribatté. «Perché io cercherò di fare lo stesso e francamente mi dispiacerebbe non vederti fare nemmeno un tentativo».
«Sarò io ad ammazzarti, Evan. Tienilo a mente. Io ammazzerò te».
Contro ogni logica, Evan scoppiò in una leggera risata.
«Siamo proprio nati nelle vite sbagliate, io e te... del tutto sbagliate».
«Avresti potuto cambiare».
«Io sono nel giusto esattamente quanto tu credi di esserlo. E l'unica cosa giusta è che nessuno di noi conosce un motivo valido per il quale cambiare, a conti fatti».
«Non c'è niente di giusto in quello che fai» gli ringhiò. «Non c'è mai stato qualcosa di giusto in nessuna cosa tu abbia mai fatto».
«Io ero davvero innamorato di te, Hestia» soffiò debole. «Ma non c'era nulla che né io né te potessimo fare. Te l'ho detto. Siamo nati nelle vite sbagliate».
Si voltò finalmente verso di lei, incurante della bacchetta premuta sull'addome e sollevò la mano destra per toccarle il viso. Hestia scansò rapida il suo gesto premuroso e gli scoccò un'occhiata glaciale.
«Vattene» sibilò con rabbia.
Evan sbuffò divertito una seconda volta e annuì con aria ironica.
«Solo un ultimo consiglio: la prossima volta in cui proverai a uccidermi, mettici un po' più di volontà o sarò io ad ammazzare te».

*

Hestia ne era più che mai certa: aveva esitato. Aveva visto con immane chiarezza l'incertezza con cui aveva abbassato di qualche centimetro la bacchetta, e dire che lei era , disarmata davanti a lui e senza alcuna via di fuga; ma Evan si era bloccato per un istante e quell'istante, Merlino, gli era stato fatale.
Il volto di Alastor Moody avrebbe portato i segni del duello con Evan Rosier per il resto della sua vita, ma non era lui, quello caduto. Non era lui, quello che aveva esitato a un passo dalla sopravvivenza.
Mettici un po' più di volontà o sarò io ad ammazzare te”.
Hestia aveva ancora il suo sangue sulle mani.



   
 
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