Ciao a tutti!
Ho visto che l'hatml mi mangiava
delle parole, così ho reinviato i primi capitoli, che
adesso sono completi e anche corretti.
Questa volta, Sesshomaru e
Alessandra non ci saranno, Chiamaiamolo capitolo di
cornice. ma è lo stesso importante, perchè iniziamo a
sapere qualcosa in più sui cattivi e poi compare anche...Sorpresa-sorpresa...
Coraggio comunque! Inoltre, invio anche il capitolo
Come sempre, ringrazio tanto tutti quelli che leggono e
commentano e anche chi si limita a leggere soltanto.
Buona lettura!
CAPITOLO 11
ACCORDI
Inuyasha si fermò, tendendo i sensi acuti. Aveva sentito qualcosa.
“Cosa succede, Inuyasha?”. Dietro di lui, Miroku
aveva afferrato più saldamente lo shakujo. Quando Inuyasha fiutava l’aria in quel modo, significava solo una
cosa: guai in avvicinamento. Il gruppo si era riformato da alcuni giorni e
procedeva tranquillo in direzione del luogo di provenienza di quella strana
aura maligna che avevano avvertito tre settimane prima.
Tre settimane…Kagome
mancava da casa da quasi un mese. Una cosa abituale. Ma in tutto quel tempo non
aveva potuto evitare di ripensare, talvolta, alla storia che aveva sentito a scuola.
Si chiedeva se avessero ritrovato quella ragazza e se stesse bene. Pensava a
lei e si diceva di essere fortunata ad avere accanto
persone come Inuyasha, Sango
e Miroku. Persone di cui si fidava ciecamente. Amici.
Le avevano detto che quella ragazza non aveva amici. Era più grande di lei, e
forse questo era un elemento detrattore. E in più era straniera. Ma a Kagome non era sembrata una scusa sufficiente a spiegare il
fatto che fosse sempre sola.
“Non si sa molto di lei. Solo che
è reduce da una brutta esperienza…” le avevano detto le sue compagne. Di che
tipo di esperienza si trattasse, probabilmente, gli unici a saperlo erano gli
insegnanti e il preside. Ai ragazzi non era stato detto nulla, e quella ragazza
non si era mai sbilanciata. Kagome si era sentita in
pena per lei. Non l’aveva mai vista, è vero, ma istintivamente le faceva
tenerezza. Aveva pensato ai suoi amici nel passato, a come sarebbe stata
diversa la vita senza di loro. Più normale forse, ma meno ricca.
Tutti dovrebbero avere degli amici su cui contare…
Aveva deciso. Quando sarebbe
tornata, l’avrebbe conosciuta. Perché Kagome era
certa che l’avrebbero ritrovata presto. Magari, mentre lei era lì nel passato,
quella ragazza stava tranquillamente seguendo le lezioni nel presente.
“Hai fiutato qualcosa?”
Sango osservava intorno, guardinga, e anche Kagome
aveva impugnato l’arco che solitamente portava a tracolla. L’hanyou annusò ancora qualche istante, con gli occhi chiusi.
Odore famigliare. Odore che gli dava fastidio. Sbuffò.
“Odore di lupo…”
Finì appena la frase che un
piccolo tornado attraversò la pianura, fermandosi proprio di fronte a Kagome. Un ragazzo. Alto e atletico. Capelli neri e occhi
azzurri. Koga. Inuyasha si
girò stizzito. Non voleva vedere. Non lo sopportava. Non riusciva proprio a
sostenere la vista di quel dannato lupastro mentre
faceva la corte alla sua Kagome.
La mia Kagome…Già…Perché lei è
mia… È me che ha…ha…
Una mano sulla spalla lo fece
trasalire. Miroku lo fissava scuotendo il capo, con
aria di commiserazione. Doveva avere proprio un’espressione strana se il monaco
aveva preso la sua finta indifferenza per abbattimento.
“Fatti forza, Inuyasha!
Dev’essere un duro colpo per te…Ma il mondo è pieno
di belle ragazze…”proseguì il monaco occhieggiando verso la sterminatrice, che
afferrata l’allusione provvide ad assestare un sonoro schiaffo a Miroku.
Belle ragazze? Miroku era forse impazzito? Ma quali belle ragazze! Lui
voleva solo Kagome. La sua Kagome.
Si voltò. Rabbia. Gelosia. Koga continuava a tenere le mani della ragazza, a
stringerle, a parlare. La investiva con tutte le sue chiacchere.
La stordiva. Lo detestò. Non sopportava che qualcuno la toccasse.
No. Nessuno doveva prenderla in giro. Perché Koga
stava facendo questo. Giocando. Senza cattiveria. Candidamente. Con se stesso.
Si stava illudendo.
“Ehi! Lupo randagio!”
Lo raggiunse veloce. Calmo. Si
sorprese lui stesso della calma che riusciva a mostrare. Di solito, gli sarebbe
saltato addosso e avrebbe ingaggiato battaglia. Ma non quella volta. Era deciso
a chiarire definitivamente le cose senza possibilità di futuri equivoci.
Chiarirle definitivamente. E gli era venuto in mente un solo modo per farlo.
“Che c’è cuccioletto? Non
seccarmi!”
Finalmente, l’youkai
aveva degnato anche lui di attenzione. Ma se ne pentì. Perché invece del solito
mezzo-demone furioso e impulsivo aveva davanti un ragazzo con uno sguardo fermo
e deciso. Un ragazzo troppo calmo per essere il solito Inuyasha.
La provocazione gli morì in gola.
Inuyasha liberò Kagome dalle mani di Koga e l’attirò a sé. Un abbraccio urgente, possessivo. Le
strinse forte la vita. E la baciò. Con veemenza. Con passione. Ne aveva
bisogno. Bisogno di sentire le sue labbra di pesca. Di sentire il suo sapore.
Per non temere di perderla.
Kagome inizialmente rimase spiazzata. La stava baciando. Davanti
a tutti. Un baciò che sembrava contenere una domanda.
Una preghiera. La paura di essere lasciato. La stava baciando. Per dimostrare a
tutti che lei era sua. Che lui l’amava. Per dichiarasi.
La più bella dichiarazione che la ragazza avesse
potuto immaginare…
Si abbandonò fra le sue braccia,
cingendogli il collo e affondando le mani nei suoi capelli. Brividi. Lungo la
schiena. Piccole scosse elettriche. Di chi sta osando. Di chi sta trasgredendo
a un segreto. Perché il loro bacio era stato finora un segreto. Nessuno ne era
a conoscenza. E con tutti si erano comportati normalmente.
Koga era rimasto a fissarli sbalordito. Inuyasha,
dopo aver stretto Kagome e averla baciata, ora lo
stava fissando dritto negli occhi, mentre la ragazza era appoggiata al suo
petto. Lei aveva scelto. Koga lo sapeva. Lo capiva
dall’espressione sul suo volto. Estasi pura. Lei aveva scelto. E lui aveva
perso. Definitivamente.
Sorrise. Forse compiaciuto, forse
triste. E li salutò con la mano. Prima di andarsene. Avvolto dal vento. Non
ricordava più neanche perché fosse andato alla loro ricerca. Semplicemente,
sapeva che adesso, qualora si fosse nuovamente imbattuto
in loro, avrebbe dovuto comportarsi diversamente. Era finito il tempo degli
scherzi. Delle provocazioni. Lo aveva capito.
Era tempo di crescere.
Kagura fissò terrorizzata l’youkai
davanti a lei.
Era andata al suo palazzo, come
da ordini, e lui si era avvicinato, per poi fendere repentino l’aria.
Decapitato. Aveva decapitato il kugutsu di Naraku. Si era accorto subito del trucco. E non gli era
piaciuto.
E adesso gli stava davanti. Occhi
viola guizzanti. Splendenti. Contornati da capelli d’ebano. Lunghi. Lucenti.
“Riferisci a Naraku
che se vuole parlarmi dovrà venire di persona”
Voce calda. Sensuale. Voce
giovane. La yasha non aveva mai sentito un tono
simile. Né mai visto una simile potenza. Certo, il simulacro non era potente,
ma l’aura demoniaca che avvertiva emanarsi da quel ragazzo era impressionante.
Molto più di quella di Naraku. Pari solo ad un’altra
aura. Quella di Sesshomaru.
Ed è solo il figlio del nuovo alleato di Naraku…
Kagura si rialzò da terra sorridendo dietro il ventaglio.
Notevole. Se giocava bene le sue carte, forse avrebbe
potuto usare quel ragazzo per liberarsi del suo padrone; per essere libera.
“Farò come vuoi” gli rispose in
modo mellifluo, inclinando un po’ la testa. Sapeva di essere
bella e di poter avere molto ascendente sugli uomini. Le bastava
volerlo. Accennò un inchino e iniziò a ritirarsi. Poi, con una mossa studiata e
magistralmente eseguita, si voltò verso il giovane, mostrando il suo corpo
flessuoso. Gli si avvicinò rapida e lo baciò. Con urgenza. Con finta passione.
Mordendogli le labbra. Infine si staccò, facendogli scivolare fra le pieghe del
kimono una piccola pergamena.
Shin guardò la carta contorcersi nel braciere di bronzo. Non
sarebbe mai sceso a patti con una yasha. Non con una demone di quel genere. Capace di vendersi per libertà.
Senza dignità. Senza onore.
Era indispettito. Sia per il
comportamento di Kagura sia, soprattutto, per
l’atteggiamento di Naraku. Come aveva osato inviargli
un semplice simulacro? Non lo aveva forse ritenuto degno della sua attenzione?
Se fosse stato così, sbagliava. In questo lui e suo
padre si assomigliavano. Dai loro alleati esigevano entrambi il massimo
rispetto.
La porta scorrevole si aprì. Un
uomo. Alto. Inquietante. Vestito solo di una pelle di babbuino. Naraku. Si fissarono. Rubino contro ametista. Si
studiarono. Attenti; sospettosi; da consumati esperti di vita
e inganni. Shin si sorprese: il mezzo-demone
che aveva di fronte era più giovane di lui; molto più giovane. Almeno
quattrocento anni. Ma aveva il corpo di un uomo adulto. Un corpo molto diverso
dal suo. Quello di un ragazzo. Appena ventenne.
Naraku osservava il ragazzo in piedi davanti a lui. Sorrise
soddisfatto. Aveva dovuto farlo attendere più di una settimana prima di
incontrarlo. Per permettere alla ferita al fianco di rimarginarsi e alle forze
di tornare in quantità sufficiente a lasciarlo muovere come voleva. Ma era
soddisfatto.
Se questo è solo il figlio del mio caro “amico”, il suo
potere demoniaco deve essere inimmaginabile
“È un onore poter-”. Voce di
miele. Falsa. Ripugnante. Troppo ossequiosa.
“Ho visto il corpo di Takakuni”
Shin non lo aveva neanche ascoltato. Non voleva i suoi
convenevoli, non voleva doversi abbassare a parlare con lui. Ma ci era
costretto. Solo per il minimo indispensabile però. Solo per quello. Disprezzo.
Verso di lui riusciva a provare solo quello. E non perché fosse un hanyou. Quel fatto per lui era irrilevante. No. Era proprio
lui che detestava. Epidermicamente. Il suo modo di
agire. Subdolo. Nell’ombra. Senza mai esporsi apertamente. Solo all’occorrenza.
Un modo di agire che suo padre lusingava, certo, ma che lui non approvava. Non
era quello che gli era stato insegnato. Quello per cui rifiutava anche l’altro
motivo che aveva spinto suo padre a inviarlo lì così presto.
“È stato lui?”.
Naraku non diede segno di essersi offeso. Sapeva bene di non
poter rischiare. Quel ragazzo non era uno sprovveduto. Si era subito accorto
del suo feticcio, e lo aveva distrutto con la stessa facilità con cui si
scaccia una mosca. No. Non era uno sprovveduto. E lui doveva stare attento.
“Un drammatico incidente. Lo
avevo avvertito di non esporsi, ma lui non ha voluto ascoltarmi. Non siamo
potuti intervenire…”.
Mentire. Per aggravare le cose.
Per far aumentare la rabbia, il risentimento. Se voleva vincere, Naraku sapeva che doveva portare all’esasperazione il
sentimento di vendetta che i suoi alleati provavano.
Shin non commentò. Accennò solo col capo. Ombre gli velarono lo
sguardo. Lo avrebbe vendicato. Lo giurò sul fuoco che ardeva nel braciere e
sulla sua vita. Lo giurò col silenzio. A se stesso. Sarebbe morto. L’erede era
condannato.
Si riscosse all’improvviso,
facendo segno al demone di seguirlo. Corridoi. Lunghi. Bui. Abbandonati da
anni. Da secoli. Odore di muffa, di chiuso. Quel castello apparteneva alla sua
famiglia da generazioni. Il loro epicentro. La sede del loro passato potere.
Sarebbe risorto. Shin ne era sicuro. Sarebbe tornato
a vivere. In un modo o nell’altro, quello che suo padre aveva preparato in
tutti quegli anni, si sarebbe avverato.
Un oni
gigantesco, al suo apparire, spalancò una porta. Una rimessa. Immensa.
Sinistra. Shin appoggiò la mano su una cassa. Odiava
quel compito…
“Come da accordi”
Naraku si avvicinò sollevando la copertura di legno. Un guizzo
lucente al chiarore del fuoco. Un guizzo mortale. Fucili. L’hanyou sorrise, imbracciandone
uno. Perfetto. Maneggevole, leggero, ma potente. Gli
ultimi arrivati sul continente.
“E per i proiettili?”
Non era uno stupido. Sapeva bene
che un’arma da fuoco, per quanto potente, non poteva nulla contro un demone.
Non era per quello che aveva cercato un alleato capace di procurargli fucili.
No. Gli serviva anche qualcos’altro. Qualcosa che solo il clan di Shin possedeva.
Il ragazzo sospirò mentalmente e
lo introdusse in una stanza colma di alambicchi e provette. Un laboratorio.
Doveva obbedire agli ordini anche lui…
“Yaone!”.
La voce rimbombò nella stanza silenziosa, e nel buio si delineò una figura di
donna. L’alchimista.
Yaone si avvicinò leggera. Sembrava non avere consistenza
terrena. Naraku la osservò. Era giovane e molto
bella. Capelli del colore dell’acciaio, pelle di latte, labbra di fuoco. E due
occhi: uno nero come la morte, l’altro verde come la vita. Era viva, ma il suo
odore era quello di un morto. Il demone non capì cosa fosse. Forse un
non-morto. Ma aveva un potere nascosto che si avvertiva palpabile attorno alla
sua figura. Un potere sconvolgente.
“Signori…Ecco il composto che ci
darà la vittoria”. La yasha sollevò la mano, dove
reggeva un’ampolla colma di un liquido rosato. Fluorescente.
“Ne sei certa?”. Quello era Naraku, dunque. Un demone. Anzi, un mezzo-demone. Molto
potente. Yaone sorrise e scosse una corda. Un
tintinnio. Poi afferrò una pistola e ne bagnò un proiettile con il suo
intruglio. Appena uno sfiorarsi di liquido e metallo.
Una detonazione. Secca.
Assordante. Il corpo del demone cadde a terra senza respiro. Freddato. Senza
neanche aver capito cosa stesse accadendo. Aveva
aperto la porta ed era stato investito dal colpo. Prosciugato della sua aura.
“Splendido”
Un sorriso sinistro. Compiaciuto.
Naraku era soddisfatto. Una dimostrazione perfetta.
Soddisfacente. Chimica e youki fusi assieme. Un’arma
potente. Letale.
Sorrise. Sì. La vittoria sarebbe
stata sua.
Arcobaleno di luna. Leggero.
Delicato. Fra acqua e colonne di ghiaccio. Un ricordo lontano. Un ricordo
smarrito. Un sorriso sulle labbra. Triste. Il ricordo di una promessa che non
si può mantenere. La consapevolezza che si farà soffrire. E che no lo si può evitare.
Un fruscio alle spalle.
“Ce ne hai messo di tempo per
arrivare!”. Koga si girò, abbandonando le riflessioni
e la malinconia. Davanti a lui, un ragazzo dai capelli neri. Inuyasha.
Il demone lupo si sorprese un
po’. Non ci aveva fatto caso, ma quella era lo shingetsu.
La prima notte di luna nuova. Quella in cui Inuyasha
perdeva l’aura demoniaca.
Koga lo sapeva, ma non aveva calcolato che il mese era finito. Lo aveva chiamato. Aumentando di poco la sua
aura. Il suo odore. Per parlargli. Per chiedergli quello che nel pomeriggio non
aveva più voluto dire.
Non si aspettava che gli si
sarebbe presentato in forma umana. Da solo. Si rendeva almeno conto del pericolo
che stava correndo ad andarsene in giro così?
“Ma sei impazzito?! Che diavolo ti è saltato in mente?!”.
Già. Inuyasha
doveva proprio essere ammattito per girare in quelle condizioni per la foresta.
Avrebbe dovuto ignorare la sua chiamata. Non fare l’eroe senza paura. Correva
un bel rischio. Che Naraku lo attaccasse e scoprisse
il suo segreto.
“Non mi seccare anche tu!”.
Inuyasha sospirò pesantemente, incrociando le braccia. Si era
allontanato perché non ce la faceva più. Lo stavano facendo impazzire con tutte
le loro domande. Non la smettevano più. E se Kagome
rispondeva un po’ imbarazzata alle continue richieste di chiarimenti da parte
di Sango e Miroku, lui si
era davvero spazientito. E imbarazzato. Molto.
Accidenti! Se avessi saputo che mi sarebbe toccato questo
interrogatorio, sarei saltato addosso al lupastro come al
solito. Ma come diavolo mi è passato per la testa di baciarla davanti a tutti?!
Aveva fissato Kagome.
Non si era arrabbiata per quel bacio. Le era piaciuto. E adesso stava cercando
di rispondere alle domande dei loro amici, glissando su alcuni particolari che
avrebbero fatto sapere anche a loro le paure di Inuyasha.
L’hanyou l’aveva ringraziata per questo. Gli stava
evitando un pressione eccessiva. Che non sapeva se
sarebbe riuscito a reggere. Ma anche quella situazione lo aveva infastidito.
Così aveva afferrato la sua katana e si era
allontanato.
Si era trovato Koga di fronte senza preavviso. Non ne aveva sentito
l’odore. Che stupido! In forma umana e per di più perso nei suoi pensieri,
avrebbe potuto trovarsi faccia a faccia con Naraku in
persona e accorgersene solo andando a sbatterci contro. Un rischio cui non
aveva pensato. Stupido! Stupido!
Koga continuava a fissarlo. Sorpreso. Della risposta e del suo
menefreghismo. Ma possibile che avesse così poca voglia di vivere?!
“Nervosetto? Forse Kagome non ha gradito le tue attenzioni di questo
pomeriggio e ti ha sgridato? Povero cuccioletto”
Provocare. Per venire alle mani.
Per battersi. Senza volontà di farsi male davvero. Solo per scaricare la
tensione. Per distrarsi. Perché sapeva di avere perso. Lo accettava, ma non
voleva far credere al mezzo-demone di avere paura di lui. Voleva continuare la
farsa ancora per un po’. Solo un altro po’. Per potersi illudere.
Lo fissò. Continuava a fissarlo.
Zaffiro nell’ambra. Ambra nello zaffiro. Espressioni dure. Concentrate. Muscoli
tesi, pronti a scattare. Pugni chiusi per colpire. Aveva voglia di picchiarlo.
Per cancellare l’immagine di quel bacio. Lo avrebbe fatto. Non con la sua forza
demoniaca però. Solo picchiarlo. Un’ultima rivincita…
Allargò il ghigno. Un sorriso.
Sorrise. Rise. Inuyasha rimase spiazzato. Koga stava ridendo. Semplicemente. Divertito. Non lo capiva
più. Forse aveva preso una botta in testa. O forse il vederlo baciare Kagome lo aveva scioccato troppo. Rideva. Non una risata di
scherno però. Non un riso provocatoria. Ma il suono di
chi ride perché è contento. Si lasciò contagiare. E rise anche lui. Senza un
vero motivo. Per cancellare la tensione.
“E bravo cuccioletto! Alla fine,
sei riuscito a portarmela via”. Niente livore. Solo realtà.
“No…”
“Come no?!
Vuoi dire che l’hai baciata solo per ingelosirmi?! Che
lei non è la tua donna?!”.
“Sì…”
Sorpreso. Esterrefatto. Ma che diavolo
stava succedendo, allora? Kagome che si lascia
baciare senza reagire? Delirio puro. Stava per ribattere, ma Inuyasha lo prevenne, completando la frase in sospeso.
“Sono io ad essere suo…Mi ha
conquistato il cuore…”.
Koga respirò rumorosamente, lasciandosi cadere seduto a terra.
“Ah ecco, mi sembrava! Mi hai
fatto venire un colpo! Bada a non riprovarci, cagnaccio!”
Inuyasha sorrise. Tono finto sfrontato. Già…Koga
lo stava canzonando di proposito. Perché le persone non cambiano dall’oggi al
domani. E a lui sembrava già incredibili star solo parlando con quel
demone-lupo senza averlo ancora preso a pugni. Koga
gli fece un ceno, invitandolo a sedersi. Voleva
parlare, ma l’hanyou lo prevenne.
“Perché mi cercavi?”
“Dovevo farti alcune domande. Ma
dopo quello che hai combinato questo pomeriggio, mi
erano passate di mente. Ma guarda un po’ in che razza di situazione mi dovevo
cacciare! Costretto a parlare con te! E per di più in forma umana!”
“Se ti do tanto fastidio, me ne
vado!”
Inuyasha accennò ad alzarsi, ma, rapido, Koga
lo afferrò per il braccio rimettendolo a sedere. Lo fissò negli occhi. Serio.
Non era più il momento di scherzare.
“Cosa sai dell’aura di tre
settimane fa?”
“Nulla”
“Non cercare di prendermi in giro!
Credi forse che non l’abbia percepita la forza di Naraku
in quel concentrato di potere demoniaco?! Ti sei forse
scontrato con lui?”
“No”
Koga sospirò. Stizzito.
“Stai diventando peggio di tuo
fratello, oggi! Cosa devo fare per avere risposte? Prenderti a pugni forse?”
Inuyasha assottigliò lo sguardo. Il riferimento al fratello non gli
era piaciuto. Per niente. Ma di fare a pugni in quel momento non se la sentiva
proprio. Aveva ancora sulle labbra il sapore del bacio dato a Kagome. Ed era stanco. Molto più del solito. Fissò l’youkai. In fondo, poteva fidarsi di lui. L’odio che provava
per Naraku era una garanzia sufficiente. Almeno per
lui.
“So solo che quell’aura
è esplosa in direzione del monte Fuji, che al suo
interno si avvertiva il fetore di quel maledetto e… la forza della sfera dei
quattro spiriti.”
“Scherzi, vero?
Perché
“Che vuoi che ne sappia io? Se ci
tieni vai a chiederlo a lui! Sempre che tu lo trovi ancora vivo, perché ho intenzione
di finirlo appena mi capita a tiro!”
Silenzio. Nessuno dei due
aggiunse altro. Sapevano entrambi di non avere altro da dirsi. Nessun aiuto da
scambiarsi.
“…Ayame?”
Koga addolcì lo sguardo a quel nome e sorrise trasognato.
“È sulla montagna, col patriarca”
“Perché non la raggiungi?”
“Prima devo vendicare i miei
compagni. Lo sai”.
Inuyasha annuì. Sì. Lo sapeva. Conosceva l’origine dell’accanimento
del giovane principe. Principe…Perché Koga lo era.
Era l’erede della tribù dei lupi. L’erede di un antico clan. Antico come quello
di suo padre. E lui era l’erede. Come lo era Sesshomaru fra loro.
“Sentirà la tua mancanza…”
Silenzio. Koga
non gli rispose. Quella conversazione stava prendendo una piega inaspettata.
Sorprendente. Era una situazione che nessuno dei due si sarebbe mai aspettato
di vivere.
“Come l’ha presa Sesshomaru?”
“Non lo sa. Non siamo in buoni
rapporti”. Il mezzo-demone sospirò. “ Non lo siamo mai stati…”
“Peccato. Non credo che farebbe i
salti di gioia a saperti innamorato di una donna umana, ma…Almeno come fratello
dovrebbe interessarsi!”
“Fratellastro…” precisò Inuyasha. Rimpianto nella voce.
“È lo stesso”. Koga scosse le spalle. “Quando si ha un fratello,
bisognerebbe stare dalla sua parte. Comunque.”
L’hanyou
non capì. C’era tutta una storia nascosta dietro quelle parole. Una storia che
lui non conosceva. Che lo incuriosiva. Ma gli sembrava improbabile che Koga gliela avrebbe narrata. Invece…
“Avevo un fratello. Più piccolo.
L’ho perso. Avevamo litigato, e lo avevo lasciato andare ad allenarsi. Da solo.
Non è più tornato…Non so che fine abbia fatto. Ogni tanto, quando ti vedo, me
ne ricordo. Perché tu gli assomigli un po’. Per carattere, intendo. Non voglio
la tua compassione. Solo dirti di non rinunciare. Sesshomaru
potrà anche detestarti, e forse dal suo punto di vista ha anche ragione. Ma tu
non dimenticare mai che lui è tuo fratello. Che lui lo
voglia o no”.
Koga si alzò. Lo sguardo smarrito dietro a ricordi lontani.
S’incamminò.
“Ci vediamo, botolo”. Corse via,
senza aspettare risposta.
Un sussurro.
“A presto, lupastro…”.