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Autore: Giuacchina    31/05/2012    1 recensioni
"But Angie, Angie, you can't say we never tried."
Il nostro strano legame nacque talmente in malo modo che sentirsi dire quelle parole mi faceva pensare che dopotutto ero io quella strana e non quel tizio che mi faceva stare sempre bene.
Si, ero decisamente io quella che non credeva che potesse succedere tutto quel gran casino.
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Styles
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Seven days

“Sette giorni.”
Due parole. Undici lettere. Una frase insensata se si vuol ricorrere alla grammatica. Non c’è un verbo, ergo sette giorni vogliono dire qualsiasi cosa. Sette giorni ad una festa? Sette giorni al mio compleanno? Sette giorni alla mia… morte?
Il cervello cominciò a formulare le cose peggiori che sarebbero potute accadermi.
In quel momento mi trovavo seduta sul divano, guardando la tv. Anche se dire che guardavo la tv è anche troppo: Harry sotto la doccia cantava a squarciagola e non mi faceva sentire niente. Poi quella chiamata anonima mi sconvolse del tutto.
Di solito non facevo caso a chi mi chiamasse, rispondevo a chiunque. Che poi, stranamente, risposi anche in tono allegro.
Solo che alle parole “Sette giorni” uno non può che pensare ai film horror.
Sette giorni dopo sarebbe stato il mio compleanno. E se un killer avesse deciso di uccidermi proprio il giorno del mio ventiquattresimo compleanno?
Decisi di andare a dirlo al tizio canterino.
Quando spalancai la porta del bagno ricevetti uno sguardo malizioso da parte sua.
“Non resisti nemmeno un attimo dal guardarmi nudo, vero?”
Lo fissai con il terrore.
“Che è successo?” chiese allarmato. “La signora Lee si è trasferita da queste parti?” sdrammatizzò poi insaponandosi i capelli.
Mi sedetti sul wc fissando un punto indefinito.
“Angie?”
“Un tipo mi ha chiamata e mi ha minacciata!”
In un attimo mille emozioni si materializzarono sul suo viso: terrore, preoccupazione, divertimento, timore, angoscia e… aspettate: divertimento?
Comunque non ci feci tanto caso perché ora stava uscendo dalla doccia e si stava asciugando. Non appena finì si piegò verso di me e mi sorrise.
“Chi era?”
“Non lo so, ha chiamato con l’anonimo.”
Mi accarezzò il viso, poggiando la fronte bagnata alla mia.
“Così mi farai raffreddare” sorrisi.
“Bene, così rimarrai chiusa in casa con me” ammiccò.
Si allontanò diretto allo specchio.
Quant’era bello. Anche con i capelli bagnati questi ultimi lo rendevano sexy. Erano estremamente lunghi. E il suo profilo, i suoi occhi, il suo tutto…
“Credi che dovrei chiamare la polizia?” sbottai.
Si voltò con le mani ancora nei capelli e mi guardò sconcertato.
“Cosa?! Oh, avanti, sarà stata una ragazzata” disse velocemente, quasi come se nascondesse qualcosa, a mio parere.
“O meglio, non vorrai mica credere a certe stupidaggini?” si giustificò.
Lo guardai torva e mi diressi verso la cucina. Tutto quel trambusto mi fece venir fame. Harry mi urlò qualcosa riguardo un panino con i salumi, ma ovviamente non avevo intenzione di fargliene uno.
Presi il pacco di patatine e mi spaparanzai sulla sedia davanti al bancone, poggiando i piedi sulla seggiola accanto. Il cellulare era rimasto poggiato sul divano. Lo fissai a lungo, molto a lungo, provando ad immaginare cosa sarebbe potuto succedere sette giorni dopo. Il fatto è che oltre a pensare alla mia morte non riuscivo a concepire idee diverse.
Mi persi nei miei pensieri per chissà quanto tempo, quando Harry mi svegliò da quello stato di trance.
“Non dirmi che ci stai pensando ancora!”
Mi girai verso di lui accigliata.
Il suo odore di pulito inondò la stanza, tanto che alla fine dovetti cedere e sorridergli, facendogli credere che, ovviamente, io non credevo a quel genere di cose.
Ma credo che mentire a me stessa sia più difficile di mentire a lui.
Mentre finivo il mio pacco di patatine, Harry si affacciò alla finestra, voltandosi ad un certo punto con un sorriso diabolico.
“Stasera si va al cinema!”
“A che pro questo tuo entusiasmo?” chiesi.
Si sedette spostando i miei piedi dalla sedia.
“Ogni tanto penso che ci farebbe bene essere una coppia normale” annunciò beffardo.
“Noi siamo normali. Abbiamo una media di tre volte al giorno in fatto di sesso, ci baciamo spesso, ammicchiamo, facciamo un sacco di battutine pervertite e facciamo quel che ci piace ogni volta.”
“E dov’è il romanticismo?” chiese dolcemente sfiorandomi le gambe.
“Ti amo” gli sorrisi.
“Questo è un buono, anzi ottimo inizio!”

***

“Oh, Ozzy” sospirai impaurita non appena arrivammo davanti al parcheggio del cinema. Quel che era successo qualche minuto prima mi aveva sconvolta ancor di più.
Mentre il mio carissimo Harry usciva dal vialetto con l’auto, ahimè, un gatto nero ci passò davanti. Ovviamente il mio essere superstiziosa mi portò ad urlare che se fossimo usciti di casa sarebbe successo qualcosa di brutto, così uscii dall’auto fissando schifata quel gatto.
Kate, la nostra nuova stupida vicina, corse verso il gatto, prendendolo al volo. E ti pareva che il gatto non appartenesse ad una come lei?
“Mr. Potato quante volte ti ho detto di non scappare?”
Addirittura parlava con gli animali.
Harry corse verso la ragazza salutandola e coccolando il gattino. Lei puntò gli occhi su di me, facendomi innervosire ancor di più.
Vuoi farmi vedere che il mio ragazzo ti calcola? Bene, che guerra sia.
Mi avvicinai a loro cercando di essere più disinvolta possibile, passando un braccio intorno ai fianchi di Harry.
“Mick, non dovevamo andare al cinema?”
Tre paia di occhi mi fissavano. Due paia erano verdi, brillanti, intense. L’altro paio era marrone, color cacca. Ovviamente apparteneva alla tizia che ora mi sorrideva chiedendomi perché lo avessi chiamato in quel modo se il suo nome era un altro.
Prima che la prendessi a botte perché quelli non erano affari suoi, Harry parve incuriosito dalla mia domanda.
“Come mai ora hai tutta questa voglia di andare al cinema?”
Credo che sapesse già il perché del mio comportamento improvviso, così lasciò perdere, lasciando il gatto alla propria padrona.
“Che film c’è stasera?” chiese Kim/Karla/come si chiama.
“Credo sia un film strappalacrime” le sorrise soddisfatto Harry.
“Oh, io li adoro!” emise un gridolino di gioia.
Per la seconda volta, però il suo viso tornò deluso dopo aver sentito l’affermazione del mio grandissimo ragazzo.
“Io li odio. Sono così… troppo poco realistici.”
“Harry, ti amo” esclamai saltandogli addosso.
Lui ricambiò con lo stesso entusiasmo.
Forse capì che era di troppo, fatto sta che dopo poco la ragazzina se ne andò, calciando il cancello e facendolo sbattere alla mia gamba, procurandomi un dolore atroce.
“Me la pagherai!” urlai per farmi sentire.
“Dai, sarà stato il vento” cercò di giustificare Harry.
“Tu sei troppo buono” sussurrai dolorante.
Dopo avermi trascinata in casa mi controllò la gamba. Niente sangue, niente rotture, solo un po’ di rossore.
Bevvi un sorso d’acqua, ma conoscendo la mia sfiga, ovviamente avrei potuto mettere la mano sul fuoco: allungando il braccio verso la bottiglia il sale lì accanto cadde, rovesciandosi a terra.
E lì mi chiesi: Come si può non essere superstiziosi in certi casi?
Cercai di rimediare al danno raccogliendo il disastro che avevo combinato. Mentre mi avvicinavo al cestino mi accorsi di una figura nella penombra: camminava lenta, piegata.
Non potei fare a meno di urlare, spaventata. Presi il primo oggetto che mi capitò tra le mani – una spugnetta: ma chi voglio minacciare con una spugnetta?! – e la scagliai contro quella cosa o persona che fosse.
Una risata rimbombò nella casa, facendomi rinvenire e imprecare allo stesso tempo. La chioma riccioluta di Harry si fece spazio nel buio.
“Che avevi intenzione di fare?” urlai più che chiedere mentre mi portavo una mano sul cuore che ora batteva fortissimo per la paura.
“Allacciarmi le scarpe?” rise ancora lui venendomi incontro a braccia aperte.
“Andiamo a quello stupido cinema. Poi però dritti a casa, è stata una giornata stressante.”
Ma davanti al cinema non poté che accadere l’inimitabile: non appena calò il silenzio nell’auto una canzone spaventosa, o meglio metal che più metal non si può, echeggiò facendomi sobbalzare ancora tra le risate del conducente.
“Non è divertente” dissi facendo un broncio che mi faceva sembrare tanto una bambina.
“Scommetto che ora mi dirai che-”
“-che è un segno.” Esclamai esasperata.
  
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