Disclaimer: i personaggi non
appartengono a me, ma sono copyright di Fujimaki Tadatoshi.
Info utili: 50 frasi scritte con il
set epsilon per la community 1frase.
Il progetto inizialmente prevedeva di scrivere gruppi da tre in sequenza per
una stessa scena; poi l’ispirazione ha fatto i suoi beneamati cavoli come
sempre. Ho cercato di dare un ordine cronologico (da quando Kagami e Kuroko si
sono appena conosciuti in poi), e diversi temi sono collegati fra di loro. Non
dovrebbe essere difficile individuarli, essendo uno di seguito all’altro, e
spero che non vi creino confusione <3
Note per lo più inutili: stavolta mi
sono mossa in anticipo, olè. Tantissimi auguri Lita
<3 (a ben vedere forse sarebbe stato più azzeccato scriverti una AomineKise, ma quando ho iniziato a farti questo non sapevo
ancora di non essere l’unica anima della terra a shipparmeli
XD).
Aggiungiamo un angolino pubblicità, giacché queste 50 frasi hanno visto la luce
anche per merito di Ohbirds che, dato il suo immenso
amore nei miei confronti (?), mi ha intrippato il
cervello con un fanmix Kagami/Kuroko che ha fatto da
colonna sonora durante la stesura e che con somma gioia potete trovare qui.
Il titolo, su sua gentile concessione, riprende quello del fanmix
in questione.
Libro
Quello
che ha tra le mani è un libro come un altro – beh, effettivamente è il noiosissimo libro di storia del
Giappone, ma tant’è – niente che un qualsiasi studente non potrebbe avere, alle
otto e un quarto del mattino, di fronte al cancello della scuola; Kagami non ha
mai capito perché sa che saprebbe riconoscere Kuroko anche solo da quel libro:
sarà come lo tiene, sarà come gli copre il viso alla vista altrui, saranno le
sue mani, sarà che lo riconoscerebbe a prescindere da tutto, e basta.
Penna
Nel suo silenzio, che insieme a tutto il resto contribuisce a far sì che
nessuno lo noti, Kuroko osserva dalla sua privilegiata postazione in fondo
all’aula Kagami, specialmente durante le lezioni: ha notato che ogni qualvolta
l’altro si annoia o si irrita, a farne le spese è sempre una povera penna
innocente, sempre la stessa – la posa sulle labbra o raramente la mordicchia, e
Kuroko quando si riscopre a trattenere appena il respiro si dice che,
dopotutto, la penna forse non soffre tanto quanto sembra.
Cane
Quella
dannata bestia lui lì dentro non ce la vuole, e se ne frega di tutte le buone
motivazioni per tenerla che la sua squadra potrebbe rifilargli da qui ai prossimi
cento anni: gli bastano già un paio di occhi azzurri che lo guardano a quel
modo senza che siano abbinati ad un
batuffolo di pelo e senza bisogno di
chiamarlo con lo stesso nome di Kuroko – lo vede da solo quanto si somigliano,
va bene?!
Melodia
Non è mai stato appassionato di musica, e meno che mai ne ha suonata, eppure ha
la sensazione che potrebbe essere così, che una melodia dovrebbe essere proprio così, che le sensazioni dovrebbero essere
quelle – armonia, perfezione, ritmo incalzante e stimolo, una specie di
completo e totale incastro di un sacco di cose – e che se così fosse
significherebbe che giocare a basket con Kuroko è un po’ come suonare uno
strumento, dopotutto.
Pallone
La
palla da basket era sempre stata il mezzo tramite cui comunicare in qualsiasi
momento; laddove parlare non era cosa per lui c’era sempre stata un pallone,
passato di mano in mano, che rappresentava tutto di lui: sentimenti, speranze,
dichiarazioni, obiettivi – era tra loro, quella palla, passata senza nemmeno
guardarsi, perché sapevano entrambi che l’altro sarebbe stato lì dove doveva
essere, sempre.
Sabbia
Correre
chilometri e non averne abbastanza, correre sulla sabbia che è come dire di
correre nell’argilla e cercare di uscirne senza inciampare mille volte e
altrettante avere la sensazione di essere sempre fermi nello stesso punto:
Kagami è cosciente di avere dietro di sé Kuroko – che chissà perché ha voglia
di una corsetta notturna anche lui – di averlo dietro proprio come un’ombra, ma
stavolta non rallenterà il passo per affiancarlo, stavolta ha bisogno che la
sabbia intrappoli anche tutto ciò che di negativo lo agita, insieme ai suoi
piedi, e ha bisogno che succeda senza che Kuroko lo guardi con la coda
dell’occhio come fa sempre, convinto che Kagami non se ne accorga.
Sete
Kagami odia agitarsi per le stronzate, perché si conosce e sa che l’irritazione
non se la scrolla più di dosso fino a che in qualche modo non si distrugge lui
stesso rendendosi incapace di rimuginare – il che solitamente avviene
spompandosi fino alla morte in allenamenti solitari – quindi capisce da subito
che il resto di quel match programmato dal coach andrà a puttane: inutile che
stia lì a ripetersi che aveva solo sete e che ha sbagliato borraccia e che è
colpa di Izuki-senpai quel gran demente, quel “ormai sono una coppia, eh?” non se lo toglie più dalla testa,
fanculo.
Ossessione
Che
il basket fosse stato il perno della sua esistenza da quando aveva imparato a
giocarci non era una novità per Kagami, né lo era il fatto che odiasse perdere,
ma l’ossessione di sconfiggere qualcuno come in quel momento non l’aveva avuta
mai, nemmeno nel suo costante obiettivo di superare Tatsuya: era bastata una
sconfitta, un momento in cui sperduti come bambini lui e i suoi compagni si
erano cercati, con gli occhi e con le voci, a dirsi che avevano fatto tutto
quel che potevano – se lo sognava la notte, il boato degli spalti che si
riduceva ad un silenzio ovattato, Kuroko che non lo guardava, fissava le sue mani come a dire “l’abbiamo
lasciata andare via”.
Computer
Kuroko
non poteva vantare una predisposizione all’informatica, ma scoprire che Kagami
era persino meno portato di lui era stata una rivelazione di quelle che
supponeva ne capitassero poche nella vita: capiva che forse alcuni programmi
non erano esattamente intuitivi, ma a dirla tutta skype
non gli sembrava uno di questi se persino lui ci si raccapezzava, eppure non
c’era altra spiegazione oltre l’essere l’anti-tecnologia se qualcuno non capiva
nemmeno come chiudere un programma, pagandone il prezzo con imbarazzanti
ammissioni come quella di sentire la mancanza di qualcuno – «Acceso? E che diamine aspettavi a dirmelo,
Alex?!»
Polvere
Se
Kagami se ne era tornato in America perché credeva che fosse l’unico luogo dove
potesse diventare più forte o se lo avesse fatto perché una sorta di ritorno
alle origini gli avrebbe dato l’impressione di poter uscire dal tunnel di
quella sconfitta e rimettersi in piedi, Kuroko non lo sapeva; non parlavano,
loro, non così tanto – eppure era sicuro che a prescindere dal motivo o dal posto
in cui cercavano il modo di rialzarsi, il pensiero fosse lo stesso, che una
volta tornati insieme sul campo non sarebbe più stato importante chi gli si
fosse parato davanti: gli avrebbero fatto mangiare la polvere, e ne sarebbero
usciti così, a testa alta.
Bosco
Giocano
a guardie e ladri per allenarsi, ore a correre in mezzo al nulla totale che un
bosco può offrirti – tanti nascondigli quanti potrebbero essere i luoghi di
appostamento delle “guardie” – dopodiché ancora si allenano, individualmente o
tutti insieme, con la sensazione di stare diventando più forti; in quel momento
Kuroko non lo capisce neanche bene, perché le chiacchiere e le lamentele di
solito tanto familiari lo facciano sentire quasi in ansia, un’ansia stupida per
dire le cose come stanno, come la sensazione che manchi qualcosa, che manchi qualcuno che in quel bosco sicuramente
si farebbe scoprire subito, come un bambino.
Alba
Non
è più un mistero per nessuno che, prima di un match importante, Kagami sia
incapace di prendere sonno fino all’alba, e sì che stavolta Riko
ci è andata vicina ad ucciderli con l’allenamento pre-partita,
tanto che sono crollati per la maggior parte in palestra; nonostante tutti si
aspettassero di svegliarsi e trovare Kagami con gli occhi arrossati e
l’espressione terrificante, però, quel che hanno visto è stata una scena
insospettabile – i due novellini addormentati contro la parete, uno vicino
all’altro, e Riko che faceva cenno loro di fare
silenzio con l’indice portato vicino alle labbra: «Svegliamoli tra un po’, sono
andati a dormire che era appena l’alba.»
Lacrime
Di
fronte ad un avversario così forte potrebbe facilmente farsi perdonare se si
arrendesse, potrebbe dire semplicemente che non può farcela e che ha raggiunto
il suo limite e nessuno glielo riproverebbe, perché Aomine
è mostruoso e su questo nemmeno chi non capisce il basket ha dubbi; il suo
problema però è che è un testardo, che perdere non gli è mai piaciuto, che col
cavolo che gliela dà vinta a quello lì – lui non potrebbe perdonarsi dopo aver
visto versare lacrime persino a uno come Kuroko, che non sembra mostrare mai
nulla di quello che prova, ed essersi arreso senza nemmeno combattere finché
non gli si saranno rotte entrambe le gambe e dovrà strisciare a terra.
Biancheria
Il
dramma di avere Alex in casa non era tanto il fatto che non le entrasse in
testa che dovesse piantarla di girare nuda per le varie stanze, che lui era
comunque un uomo e non più il moccioso a cui aveva insegnato il basket – non
che avesse alcuna intenzione nei suoi confronti in quel senso – ma il suo disordine cronico che trovava la sua
massima espressione proprio nei capi d’abbigliamento: non ci trovava nulla da
ridere nel calcio volante che il coach gli aveva rifilato quando aveva trovato
delle mutandine da donna nella borsa di Kagami, né negli sguardi d’odio tipico
dell’invidia maschile in certi contesti, e meno che mai l’aura maligna che
sembrava aver inglobato Kuroko mentre lo guardava come se fosse meno dei
bisognini di Tetsuya #2.
Gelo
A
quel punto sfidava chiunque a non sentirsi inquietato, perché Kuroko poteva
pure essere un nano quanto volevi e l’inverno in Giappone poteva essere più
rigido che ai poli, ma lo sguardo che lo aveva trapassato da parte a parte era
stato già un duro colpo; questo senza contare il tono che aveva usato, e che se
accompagnato a tutto il resto avrebbe fatto passare un brivido di autentico
gelo per la spina dorsale di chiunque – «Kagami-kun, dovresti controllare la
borsa prima di uscire e—» e che non avesse specificato “da casa” gli suggeriva
la presenza di un orribile malinteso.
Rossetto
Sinceramente
dalla prima volta che aveva conosciuto Midorima e aveva avuto a che fare con
quella sua fissazione assurda per gli oroscopi, la fortuna e quel che Kagami
minimizzava nella categoria di “quelle cazzate lì”, l’unica cosa che aveva
pensato era quanto fosse tutto assurdo – eppure iniziava a credere che gli
ultimi giorni fossero un periodo misticamente negativo o che, in alternativa,
fossero la prova evidente che il suo karma non comprendeva l’esistenza di Alex
nella sua vita: ci mancava solo che gli sbavasse l’asciugamano di rossetto
mentre si lavava la faccia, tanto per accumulare i malintesi insomma!
Gelosia
E
giustamente non lo aveva capito finché i ruoli non erano stati invertiti, non
aveva nemmeno vagamente pensato che le occhiate di Kuroko non fossero dovute a
nessuna stupida morale della cultura giapponese ma alla semplice gelosia: non
l’aveva capito finché non si era ritrovato a digrignare i denti e incazzarsi
lui stesso per il medesimo sentimento – se quel biondo non la piantava di
stargli intorno come un cane scodinzolante (o un lupo che gira intorno
all’agnello in attesa del momento propizio) giurava che l’avrebbe chiuso in uno
sgabuzzino, e non certo per fare due chiacchiere e prendere una coca-cola.
Interrogatorio
Kagami
si faceva poche domande esistenziali nella sua vita, specialmente sulle cose
che non lo interessavano, come poteva sembrare ovvio; in quel momento, mentre
Alex sta dimostrando quello che chiama “intuito femminile” facendogli un
interrogatorio degno dell’FBI avendo a suo dire notato “l’occhiata di fuoco lanciata al biondino del Kaijou per il suo semplice
parlare con Kuroko”, si chiede perché il Signore o chi per lui abbia dovuto
dare di tante qualità possibili una cosa così scomoda proprio alle donne, visto
quanto sanno essere invadenti e curiose – magari qualcuno dovrebbe prendersi la
briga di spiegargli che reagire sbraitando «E quello lo chiami semplice parlare?!» non aiuta a sviare i
sospetti.
Lingua
Non
ci voleva nemmeno pensare di essersi fatto fregare in quel modo tanto meschino;
certo, avrebbe dovuto sentire puzza di imbroglio quando alla luce della sua
media scolastica avevano chiesto a lui
di spiegare qualcosa a Kuroko: a fregarlo era stato che il “qualcosa” in
questione fosse l’inglese, e che almeno a parlarlo riusciva più che bene, ma
nessuno si era preso la briga di dirgli che ci sarebbero stati momenti
allucinanti come avere Kuroko Tetsuya che lo provocava inconsciamente –
seriamente, perché il “th”
inglese pretendeva quella benedetta lingua tra i denti, perché?!
Salato
Il
primo bacio era stato “da ragazzo”, a volergli affibbiare una categoria: dato un
po’ per stupido orgoglio, dato senza pensare al dopo e alle conseguenze, dato
con il rischio di beccarsi un pugno in faccia, dato per rabbia e per gelosia,
dato perché a parole i maschi raramente sono granché, dato con foga perché tra
ragazzi non c’è sempre e solo bisogno di romanticismo – era stato salato, forse
perché nella foga è passato dal baciargli le labbra a baciargli il mento,
perché era dopo un allenamento, perché quello spogliatoio era vuoto, perché la
sua pelle era ancora sudata e quando era tornato a baciarlo sulle labbra il
sapore di sale era rimasto sulle proprie.
Occhiali
Il
secondo bacio era stato più calmo, ma in qualche modo ugualmente strano e
diversamente dalla prima volta Kuroko aveva avuto qualcosa da dire – quando tra
le sue labbra e quelle di Kagami c’era stata una distanza quasi imbarazzante
che permetteva sì e no di parlare senza sfiorarsi, l’aveva guardato dritto
negli occhi come solo lui avrebbe potuto fare in un momento imbarazzante come
quello e aveva allungato la mano fino a togliergli gli occhiali da riposo con
cui non lo aveva mai visto prima; il tutto solo per lamentarsi un po’: «Baciarti
con gli occhiali è scomodo, Kagami-kun.»
Manette
C’era
una cosa che non aveva mai capito, ossia perché mai Kuroko dovesse
necessariamente mettersi dalla parte dell’incaricato a sfotterlo di turno,
specie considerando che in quel momento non era certo l’unico diretto
interessato: eppure, mentre il coach senza un minimo di pudore gli piazza in
mano delle manette pelose, dandogli
una pacca sulla spalla e raccomandandogli con un ghigno di farne buon uso, non
ha seriamente la forza di ribattere al «Sii gentile, Kagami-kun» di quel pezzo
di cretino, e si limita a borbottare qualcosa sparendo negli spogliatoi.
Orologio
Al
silenzio di casa sua Kagami è abituato, ed è per questo che da quando vive in
Giappone da solo ha preso qualche vizio istintivo – accendere la tv appena
rientra in casa dagli allenamenti a prescindere da cosa stia facendo – tipico
delle persone che vivono da sole; il ticchettare dell’orologio a muro non è mai
stato un problema, a parte quando si fa distrarre pur di studiare, eppure
adesso rimbomba come se fosse il conto alla rovescia per lo scoppio di una
bomba, esplosione che si tradurrà in niente più di un campanello che suona e in
lui che apre la porta lasciando entrare Kuroko in casa sua, Kuroko e nessun
altro.
Taglio
Cosa
gli sarà mai venuto in mente di farsi aiutare a cucinare da Kuroko,
considerando che è anche un ospite, Kagami davvero non lo sa; l’unica cosa di
cui è davvero certo è che in un modo o nell’altro si sia rivelata una scelta
fatale: non solo perché nel momento stesso in cui ha provato a rendersi utile
l’altro è riuscito subito a rischiare di mutilarsi praticamente, ma soprattutto
perché ha la sensazione che non gli faccia bene al cuore né vedere che comunque
un taglio se l’è procurato, né che l’altro sembri convinto che basti leccare via il sangue per disinfettarlo
– lo manderà al manicomio, se lo sente mentre gli strattona il braccio per
fargli mettere la mano sotto il getto d’acqua fredda.
Sfumature
Kuroko
doveva ammettere di aver messo in conto, quando si erano conosciuti e anche man
mano che si comprendevano l’un l’altro, che Kagami Taiga potesse avere lati del
carattere insospettabili, mille sfumature che lo rendessero nell’insieme la
persona che era – riusciva quasi ad immaginare un colore per ogni cosa, come in
un gioco da bambini: giallo come il sole per l’entusiasmo, azzurro come il
cielo per la sincerità (o sfacciataggine), rosso come il fuoco per la passione
per il basket e la facilità con cui si arrabbiava – ma doveva anche ammettere,
a guardarlo ora, che la sfumatura di un Kagami-kun che cucinava con il
grembiule con i girasoli non l’aveva proprio considerata.
Sguardo
Forse
era intuibile e se lo sarebbero dovuti aspettare ma, davvero, avrebbe potuto
giurare sul suo onore che l’invito non era stato rivolto con quell’intenzione –
eppure era apparso inevitabile ed era successo di punto in bianco: era solo che
mentre guardavano la tv, con un disagio di fondo da parte di entrambi
probabilmente, era successo di guardarsi nello stesso momento, era successo
come capitava anche sul campo di basket, che si erano guardati e basta, davvero
niente di più di uno sguardo come ce n’erano sempre stati tanti, tutti diversi
e allo stesso tempo tutti uguali.
Istante
E
dopo quello sguardo non lo sa, ad un certo punto è semplicemente andato in
totale black out come quando in partita perde la
testa perché, tanto per cambiare, si incazza con un nonnulla: in quell’istante
in cui si sono guardati e si sono notati a vicenda, non lo sa – non è che si
siano detti nulla, non è che si siano toccati in chissà quale maniera, si sono
solo sfiorati spalla contro spalla e niente di più davvero – si è solo trovato
a pensare al suo nome, e l’istante dopo lo stava baciando di nuovo, senza foga
e senza occhiali di mezzo stavolta, solo come se fosse la cosa più naturale da
fare.
Pelle
Gli
era capitato di pensare a come fossero certe cose, da adolescente sano quale
era, ma più del pensiero in sé non ti potevi fare un’idea, e lui era uomo di
fatti più che di ragionamenti; ma ad ogni modo, mentre tutto quello che sente
sotto di sé – sotto le mani, contro il bacino, contro il torace, ogni tanto con
le gambe – non è che la pelle calda del corpo di Tetsuya che sfrega, si muove
con la stessa incertezza, curiosità e desiderio che ha lui e contro di lui, in un barlume di lucidità
pensa che se anche se lo fosse immaginato non sarebbe mai stato così.
Sesso
Sarà
che essere un giapponese cresciuto in America ti apre la mente un po’ a tutto,
argomenti come il sesso compreso, oppure sarà che è cresciuto con Alex e questo
da solo basterebbe; potrebbe essere che sia il fatto di non aver mai avuto
pregiudizi, di aver creduto che ci potesse essere sesso senza sentimento e che
per questo non fosse una gran cosa di cui preoccuparsi alla fin fine, e che
nessuno si sia mai preso la briga di correggerlo su tutto questo – ma allora
vorrebbe sapere perché, se in fondo il sesso è fine a se stesso tutto sommato,
ha questo istinto di rivolgere all’altro ragazzo ogni premura possibile, e gli
trema il cuore se si ferma a guardarlo.
Ripetere
Tra
i sospiri che riempiono la stanza, il fruscio del letto, i gemiti che sfuggono
tra le labbra di entrambi quando queste non sono le une sulle altre o contro la
pelle del compagno, a Taiga scappa detta una sola parola, un nome più che
altro; lo chiama, quando ci ripenserà lo troverà anche imbarazzante, ma gli
viene naturale usare il suo nome – Tetsuya,
non “Kuroko”, e lo sente trattenere il respiro e chiedergli di ripeterlo,
capriccioso come un bambino: lo accontenta una, due, tre, cinque volte e ancora
finché l’altro con una voce che è appena udibile continua a dirgli «Ripetilo, Taiga…» Taiga,
non “Kagami” «ripetilo.»
Oscurità
Nella
stessa oscurità in cui Kuroko, in quanto “ombra”, aveva sempre creduto di essere
completamente a suo agio, le uniche cose che in quel momento avverte
chiaramente sono il disagio della consapevolezza di non essere solo e la
pesantezza di un silenzio che lascia che il solo respiro sia fin troppo udibile:
Kagami è lì sdraiato accanto a lui e tace, respiro ormai regolare e niente più,
non dice nulla – il brutto di una stanza buia è che ti nasconde, ma di contro
non sai mai cosa aspettarti, e in quel momento un abbraccio possessivo arriva
senza il minimo preavviso, ma non è poi così male dopotutto.
Note
Kagami
non era proprio tipo da appunti al lato del testo, e in generale non era
proprio tipo da appunti in effetti – considerava già una sorta di miracolo il
restare sveglio a lezioni, figurarsi – perciò era ovvio che una nota a piè
pagina attirasse la sua attenzione, specialmente se scritta a mano e se la
calligrafia non era la sua; leggerla, assumere un’espressione stranita classica
di quando stava per sbraitare e poi schiaffarsi una mano in faccia furono
azioni consequenziali l’una all’altra: seriamente, che problemi aveva quello lì
a scrivere certe cose su un testo scolastico?!
Denti
Da
persona estremamente matura quale era, alla vista di quel rimprovero che l’altro
aveva trovato più divertente scrivere che dirgli a voce e guardandolo in
faccia, aveva messo il muso per il resto della giornata senza rivolgergli la
parola né alla pausa pranzo, né agli allenamenti – insomma, non vedeva dove
fosse il problema se gli aveva lasciato il segno dei denti con un morso leggero
la notte precedente: aveva solo marcato il territorio, ed era assolutamente
legittimo e nei suoi diritti, visto che aveva gente come Kise che gli
gironzolava intorno!
Lavoro
Era bastato un solo mese della loro relazione per capire che nascondere le cose
a Kuroko era difficile e soprattutto sconsigliabile, il che si era rivelato un
bel problema quando a distanza di un anno aveva avuto bisogno di cercarsi un
lavoro part-time senza spiegare a Kuroko per
cosa gli servisse: trovarne uno per poi scoprire che era nello stesso
ristorante per famiglie in cui lavorava anche l’altro era sembrato una specie
di scherzo, e una prova continua per la sua pazienza – perché mai le single
andavano a flirtare nei locali per
famiglie con il suo ragazzo e lui non
poteva nemmeno sbraitare quanto gli pareva?!
Anniversario
Non
era tipo da smancerie simili, Kagami, ma era stato inevitabile persino per uno
come lui pensare che almeno l’anniversario, almeno il compimento di un anno dovesse essere festeggiato; ci
si era impegnato, ed era soddisfatto nell’osservare il suo operato finalmente
ultimato: aveva cucinato, aveva apparecchiato e il fatto di vivere da solo una
volta tanto tornava piuttosto utile – era strano come, pur avendo cucinato la
cena migliore di quelle che ricordava e mai con un impegno quasi esagerato come
quella volta, sentisse che sarebbe stato soddisfatto solo nel momento in cui
Tetsuya avesse varcato la soglia e che il resto avrebbe anche potuto non
esserci in realtà.
Regalo
Una volta che si era convinto che fargli un regalo fosse una cosa assolutamente
normale, automaticamente era sembrato scontato che darglielo di persona sarebbe
stato uno scherzo da ragazzi: con suo disappunto stava notando quanto dargli
quel benedetto pacchetto fosse più difficile che sopravvivere all’ira funesta
del coach o alla sua fobia dei cani, nonché imbarazzante al punto da rivalutare
le ragazze che si dichiaravano e dispensavano doni in ogni benedetta occasione –
davvero, era solo uno stupido regalo eppure era quasi mezzanotte e nessuno dei
due aveva minimamente accennato neanche al motivo per cui erano lì.
Bracciale
Una
volta aperta la confezione, Kuroko gli sembra sorpreso di quel che ci trova
dentro – un bracciale semplice, nulla che potrebbe far vergognare un ragazzo e
un modello abbastanza standard che non porti a momenti di totale caos per la
curiosità altrui – e porta lo sguardo prima sull’identico oggetto al polso di
Kagami, poi al suo viso, come a chiedere tacitamente una specie di conferma;
sembra ripensarci, limitandosi ad incurvare le labbra in uno dei rari sorrisi
che con Kagami stanno diventando la normalità, ma lui lo stupisce per l’ennesima
volta: «L’anello è nel passato» si riferisce ad Himuro, lo sa «ma un bracciale
va bene, no?»
Caffè
Una
cosa che Kuroko ha imparato ad amare delle volte in cui rimane a dormire da
Kagami è la facilità e la naturalezza con cui scopre sempre più lati di lui,
cose che possono sembrare banali ma che – proprio per questo – si possono
notare solo vivendo a stretto contatto la quotidianità: gli piace il modo in
cui di mattina, ancora intontito dal sonno, Kagami non si sveglia minimamente
finché non sente almeno l’odore del caffè rigorosamente amaro che poi beve e
gli piace il modo in cui, fino a quell’istante, dipende totalmente da lui,
anche se per una cosa così piccola.
Latte
Kagami
si è accorto che lui e Kuroko sono diversi in tantissime cose, a parte il
basket forse, e fra queste c’è anche la colazione: non che fosse mai stato un
mistero che l’altro non disdegnava affatto le bevande dolci visto che ogni volta
lo trovava al fast food con un milkshake;
era stato però particolarmente divertente osservare la sua reazione quando, a
colazione, gli aveva fatto assaggiare il suo caffè amaro godendosi l’espressione
assolutamente schifata e ridendo, scompigliandogli i capelli come fosse il
gesto più naturale del mondo – «Ricevuto, signorina,
a lei aggiungerò del latte.»
Massaggio
Era
insospettabile se ci si basava solo su come si mostrava in palestra, ma Kuroko
era più facile da prendere in giro di quanto si credesse; Kagami ci provava
davvero a non stuzzicarlo, ma certe volte e specialmente quando erano a casa
sua lontani da occhi indiscreti, davvero non resisteva – come il fatto di
fregarlo sempre con scuse stupide e irreali come decidere di fargli un
massaggio che puntualmente nemmeno iniziava, e che rimaneva solo una scusa per
avvicinarlo alle spalle quando era seduto, piegarsi su di lui e baciarlo a
tradimento per il puro gusto di vedere la sua reazione.
Aereo
Kagami
aveva detto di dover tornare in America, un soggiorno breve solo per prendere
alcune cose che aveva lasciato da Alex – non era stato preciso, ma Kuroko aveva
intuito che si trattasse di cose che forse l’altro si era lasciato indietro
finché non avesse avuto la maturità di prenderle di nuovo con sé – e così lui
aveva deciso di accompagnarlo fino all’imbarco; certo non aveva immaginato che
Kagami fosse così portato a rischiare di perdere l’aereo per motivi sciocchi
come delle raccomandazioni: «Così perderai l’ae—» «Non
uscire da solo con quella Momoi, ci siamo intesi?!»
Lenzuola
È
tornato dall’America ad un orario indecente, sebbene sia colpa sua per aver
anticipato il rientro anche se si parla di ore, quindi non si è stupito di non
trovare nessuno ad aspettarlo all’aeroporto; è tornato a casa con un taxi, ma
la cosa che l’ha stupito davvero è aver trovato Kuroko lì, a dormire nella sua
stanza e nel suo letto, le lenzuola leggermente attorcigliate: ha sentito un
movimento strano nello stomaco, poi, quando si è ricordato di una battuta nata
per scherzo, ma che ora sembra suggerirgli il motivo della sua presenza lì - «Probabilmente #2 sente il tuo odore sulle
lenzuola e si avvicina pensando che sia tu.»
Maglia
Il
giorno dopo Kagami gli aveva mostrato cosa, fra i vari oggetti riportati
indietro, fosse tornato a prendere in America: gli aveva fatto vedere una
maglietta, palesemente consunta e che doveva aver usato finché era stato
possibile, di quelle da allenamento sebbene quella sembrasse indubbiamente più
curata, più tenuta con estrema attenzione – Kuroko non lo aveva chiesto, ma
quando Kagami aveva sviato il discorso in maniera vaga prendendogli la mano,
aveva capito che non sarebbe stato strano scoprire che era appartenuta ad
Himuro.
Significati
Tra
l’essere compagni di squadra e poi qualcosa di più Kuroko l’aveva capito, che c’erano
gesti di Kagami che potevano sembrare senza senso ma che avevano sempre un
significato – come quando ti prendeva la mano ma non per dire qualcosa di
romantico, o quando blaterava insulti ma non era davvero arrabbiato con
qualcuno, o come quando diceva che non gli importava di una stupida maglietta
ma la presa sulla sua mano si faceva appena più stretta, e lui capiva che
invece era importante eccome, e allora si limitava solo a stringergliela di
rimando.
Viaggio
Non
era più tanto una questione di gelosia, ma più di volerlo conoscere ancora di
più, di non doverli più solo immaginare i luoghi in cui era cresciuto, i campi
in cui aveva imparato a giocare; per questo quando Kagami aveva deciso di fare
il primo viaggio insieme gli aveva chiesto di andare proprio in America,
dicendosi che per una volta avrebbe potuto essere egoista e insistere, anche se
per l’altro non sarebbe stato particolarmente interessante forse – «Che c’entra la noia, se vuoi andarci ci
andiamo» aveva sbottato, com’era tipico di lui «ci sono stato, ma con te mai,
no?»
Tatuaggio
Era
passato il tempo in cui un paio di mutandine di Alex finite nella borsa
sbagliata scatenavano in lui un moto di gelosia e dopo quasi un anno e mezzo di
relazione sarebbe stato strano, dopotutto: iniziava anzi a credere che fosse un’ottima
cosa avere la donna come alleata, sensazione che non aveva fatto che acuirsi
quando erano poi andati in America – «Sai Tecchan»
gli si era avvicinata con fare cospiratorio per sussurrarglielo all’orecchio
guardando un Taiga che sbraitava agitandosi e fiutando il pericolo «Taiga ha un
tatuaggio proprio lì.»
Fotografia
Al
ritorno da quel viaggio, la prima cosa che Kuroko aveva notando andando a casa
di Kagami era stata la cornice sul mobile che aveva sempre visto rivolta verso
il legno, come a nascondere qualcosa di doloroso da guardare: Kagami aveva sostituito
la foto e l’aveva messa dritta, mostrando quasi con orgoglio quel ritratto che
aveva definito di famiglia – «La mia mentore,»
aveva indicato Alex «mio fratello» aveva puntato Tatsuya, per poi guardarlo con
una faccia da schiaffi «e il mio ragazzo.»
Dolce
D’accordo
che nel momento in cui aveva deciso di chiedere consiglio a Momoi Satsuki era disperato e che la scelta era stata dettata dal
semplice fatto che lei conosceva Kuroko dalle medie – e che la sua unica
alternativa fosse Riko, indubbiamente donna solo
biologicamente – ma capì di aver fatto l’errore più grande della sua vita quando
con occhi che le brillavano gli aveva suggerito di fare la proposta nascondendo non aveva capito cosa dentro un dolce fatto
da lui: «Che cazzo hai capito, e perché mai dovrei nascondere una cosa in un
dolce se tanto poi lo devo distruggere per dargliela?!»
Chiave
Alla
fine, come si diceva, “chi fa da sé fa per tre” e al diavolo i consigli
sdolcinati di quella maniaca dei film romantici o quelli fin troppo tendenti al
porno di quella pazza di Alex; come ogni persona normale avrebbe fatto l’aveva
aspettato fuori dalla palestra dopo gli allenamenti, si era assicurato che non
ci fosse rimasto nessun altro, e gli aveva piazzato in mano una chiave: «Toh,
non ti voglio sulla coscienza se vieni a casa mia e io non ci sono.»
Quadro
Più
volte in quella casa aveva notato, tutte le volte che ci era andato, che le
pareti erano spoglie di quadri o fotografie grandi incorniciate: per questo non
può che stupirsi quando, dirigendosi in soggiorno – «Ohi, Tetsuya!» –, vede
Taiga soddisfatto guardare di fronte a sé una foto incorniciata e appesa, la
foto di quell’ultimo anno con i senpai, tutti a guardare l’obiettivo con
sorrisi che non riescono ad esprimere appieno l’euforia di quel momento ma che
ci provano, ci provano con tutti loro stessi così come hanno sempre fatto ogni
cosa, anche l’allenamento più duro, anche la partita più difficile, anche
superare il limite, anche conoscersi e capirsi e persino imparare ad essere
indispensabili l’uno per l’altro.