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Autore: pleinelune    01/06/2012    9 recensioni
Abbassai lo sguardo sulla lettera, leggermente stropicciata, che tenevo in mano da troppi minuti. Il gelo, intanto, annunciava l’arrivo della stagione del vento freddo, della pioggia e della neve, ed io mi accingevo ad accompagnarlo, fredda e svuotata di ogni sentimento.
Tutto era ormai racchiuso in quella busta spiegazzata.
Il mio corpo, di fronte alla cassetta rosso cremisi delle lettere, -mezza arrugginita e rovinata dal tempo e dalla goliardia dei giovani-, era fermo, come un ordigno inesploso.
Pronto a scoppiare quando meno ci si aspetta.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Angeli sbagliati - ALL IN'
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16 - PERCHÈ SEI TU IL MIO PIU' DOLCE AGGLOMERATO DI RISORSE DELLA MENTE

   

 

"Ti auguro di essere follemente amata"
E' il solo auspicio che ogni uomo dovrebbe formulare per ogni donna, la sola promessa da fare loro quando sono bambine.
(L’amore nuovo – Philippe Forest)
 
Sentii la scia che aveva lasciato il suo profumo aleggiare nell’aria, invisibile, e ricordai il nostro appuntamento.
Era colpa di Guglielmo, del suo modo di frantumarmi il cervello fino a farlo gocciolare via senza consistenza alcuna.
Avevo dimenticato la luce, avevo dimenticato il sole.
Intendo uscire, vedere la luce del sole.
Presi il telefono velocemente, staccandomi un po’ da Guglielmo, e composi il messaggio ad una velocità innaturale.
Sperai che lo leggesse in tempo, sperai che lo capisse e che mi ascoltasse, anche senza il viso a dargli la prova che ciò che gli avevo scritto fosse sincero.
Rimisi in borsa il telefono e mi riavvinghiai a Guglielmo, un po’ meno convinta e contenta di prima di quella apparente riappacificazione.
Restammo in silenzio, come al solito. Questa volta però, il silenzio sembrava presente tra di noi, in mezzo alle nostre teste, aleggiante come un presentimento, come un destino incombente.
Evitai di guardarlo, preferendo torcermi le mani giunte. 
Entrando nel pullman lui incrociò un suo amico con cui si fermò a parlareper qualche istante. Nell'attesa io mi allontanai, cercando un posto lontano dal fondo dell'autobus. Ripensai ancora al messaggio e sperai lo avesse letto, ma non feci in tempo a controllare il display del telefono che Guglielmo mi si sedette accanto, silenzioso. 
Attesi qualche minuto, dopotutto non volevo essere io la prima a iniziare un discorso, avevo già fatto il grande gesto chiedendogli di portarmi a casa. Gli stavo dando la possibilità di parlare liberamente, di dirmi cosa realmente gli passasse per la testa senza interruzioni di sorta. 
Eppure lui non sembrava aver recepito, o forse semplicemente non desiderava chiarire un bel niente. Magari per lui andava tutto bene così com'era. 
Mi voltai girando il busto verso di lui, che non si mosse di un centimetro se non per l' ondeggiamento perenne del mezzo. 
"Non dici niente?", sbottai esasperata dopo un po'. Lui si voltò, il viso estremamente tranquillo, e mi guardò. 
"Cosa dovrei dire?", domandò con una strana ingenuità. 
"Non lo so", sospirai, abbassando lo sguardo sulle mie mani. 
"Credevo volessi stare un po' con me, parlare. Evidentemente mi sbagliavo.", sussurrai, tenendo gli occhi bassi. 
"Abbiamo già fatto questo discorso", sbuffò lui, guardando dritto di fronte a sè. 
"Non lo abbiamo affrontato, proprio per niente. Tu ti sei limitato a dire cose a caso, tutto qui. Spiegami, fammi capire dove sbaglio."
"Tu non sbagli", sembrava tranquillo, impassibile, eppure riuscivo a percepire lo sforzo immane che stava compiendo per rimanere calmo. 
"Pare di sì invece, ti faccio incazzare."
"Ci sono momenti in cui è semplice dimenticare, guardarti normalmente. Come fino a cinque secondi fa, stavo bene. Ma ora? Mi fa arrabbiare il fatto che cerchi un motivo quando non c'è. Sono fatto così, vado a momenti, e se non ti va bene non so che dirti. Mi piace parlare con te, stare con te.. non mi fraintendere, ma mi irrita."
Eravamo arrivati alla mia fermata e a quelle parole pensai bene di alzarmi e di sorpassarlo, portandomi davanti alle porte scorrevoli. 
"Io voglio capire cosa ti irrita in quei momenti, quelli in cui non riesci a guardarmi, quelli in cui non puoi fare a meno di rispondermi a grugniti o monosillabi. Io ti voglio bene Gu, ma non posso resistere a lungo."
Non era stata una discussione, un litigio, ma scendendo dal pullman senza di lui sentii come una parte di me rimanere lì, seduta su quel seggiolino arancione accanto al suo. 
Con lui non era possibile litigare, anche se in quel momento credevo fermamente che l'unico modo per risolvere tutto fosse gridare, insultarsi. Tutto poi sarebbe andato a posto da solo. 
Ero consapevole che per lui sarei stata disposta anche a cambiare atteggiamento, a cambiare carattere se fosse stato necessario, e questo lui lo sapeva in ogni istante, in ogni gesto che mi arrischiavo a fare verso di lui. Lo sapeva nel saluto la mattina, nello sguardo tra una lezione e l'altra, nella battuta buttata lì giusto per sentirlo o vederlo sorridere. Non avrei voluto perderlo per nulla al mondo, probabilmente sapeva anche questo.  
Guardai il pullman e il suo viso sfilare davanti a me, immobile sul bordo del marciapiede, ma quando sparì dietro l’angolo e vidi apparire l’altro, mi riscossi cercando di attraversare la strada.
Guglielmo era importante, mi scombussolava e sapeva come farmi capitolare, ma avevo fatto una promessa a una persona e l’avrei mantenuta.

***

Camminavo da cinque minuti buoni davanti al cancello dell’entrata di scuola, passi convulsi avanti e indietro, avanti e indietro. Speravo che avesse letto il messaggio, che avesse capito che la situazione era particolare, però una parte di me temeva che lo avesse ignorato, che avesse frapposto l’orgoglio alla voglia di stare con me.
Torno subito, aspettami qui.
Lo avevo scritto velocemente, mentre salivo sul pullman con Guglielmo, Edo sarebbe dovuto rimanere lì, ad aspettarmi. Sarei tornata e lui lo sapeva. Eppure in giro non si vedeva. Mi guardai attorno e l’unica cosa che scorgevo era il vuoto, il muoversi ritmico dei rami degli alberi al contatto con l’aria e le macchine posteggiate lungo il marciapiede, dei colori più disparati.
Poi lo vidi, camminare con lo sguardo basso al lato della strada, lo zaino ancora in spalla e le mani nelle tasche del jeans stretto.
Era imbronciato e sapevo che sarebbe stata dura farmi perdonare, ma a vederlo in quel modo, rigido e pensieroso, non potei fare a meno di sorridere, per quello che era e per quello che eravamo diventati senza nemmeno rendercene conto.
Mi avviai verso di lui, non volevo che qualcuno ci vedesse, che qualcuno ci sentisse, così lo raggiunsi e lo spinsi all’interno di una stradina laterale, poco trafficata.
“Ciao”, sospirai sorridendo, tenevo con le mani un lembo del suo giubbotto e lo tenevo fermo, vicino a me. Lui non aveva nemmeno sfilato le mani dalle tasche dei jeans. Partivamo male.
Mugugnò un saluto, con lo sguardo ancora basso.
“Oh, non fare così”, farfugliai, lasciandogli andare il giubbotto e permettendogli libero movimento. Lui si allontanò repentinamente, fermandosi a pochi passi da me.
Lo guardai in faccia, ferma con le mani lungo i fianchi, e rimasi in attesa. Voleva parlare, aveva le parole che spingevano contro le mascelle per uscire, eppure rimaneva lì fermo, immobile, impassibile.
“Parla”, sospirai, abbassando lo sguardo sulle mie mani.
“Non ne vale la pena”, quella frase fu peggio di uno schiaffo in pieno viso, non valeva la pena parlare, discutere, lottare per me?
Rimasi ferm, e questa volta fu lui a chiedermi di parlare.
“Di cosa? Hai detto che non ne vale la pena, no?”, cos’era, un gioco? Ancora? Voleva vedere la mia reazione di fronte a un suo rifiuto? Alzai lo sguardo, incrociando i suoi occhi e lui si mosse, prendendomi una mano e intrecciandola con la sua.
L’aveva fatto altre volte, e tutte le volte con un’intensità insolita; sembrava che per lui fosse una cosa importante, una cosa oltremodo intima e privata. L’aveva fatto a scuola, mentre eravamo seduti ad ascoltare una lezione, lui aveva girato il corpo e allungato la sua mano sotto al mio banco, cercando e afferrando la mia. Era rimasto così, tutte le volte, nascosto dal resto della classe, dagli sguardi.
Era un suo modo per dirmi che gli dispiaceva, quindi rimasi ferma, con la mano nella sua, senza stringere maggiormente la presa nè allentandola in alcun modo, semplicemente immobile ad ascoltare il suo respiro e i movimenti della sua mano.
Poi alzò gli occhi su di me, e gli sorrisi.
Aveva uno sguardo quasi smarrito, in netto contrasto con quello che gli avevo sempre visto portare addosso da quando lo conoscevo. Era diverso, più intenso, indagatore. Sciolse l’incastro delle nostre mani e mi portò il braccio attorno ad un fianco, avvicinandomi a lui, poi mi baciò, dolcemente, senza andare oltre, senza esagerare.
“Dove andiamo?”, sussurrai sulle sue labbra, aprendo gli occhi e cercando i suoi, così vicini e così intensi.
“Vieni”, fu un sospiro, poi si voltò e mi prese di nuovo per mano.
Era una piccola città, la gente girava e soprattutto parlava tanto, i volti erano sempre gli stessi e le persone si conoscevano tutte. Tutte conoscevano me, il mio viso e le mie buone maniere, vedermi sgattaiolare tra i vicoli isolati con un ragazzo non sarebbe rientrato nei loro canoni di buona creanza.
Eppure lo facemmo, mi lasciai portare ovunque, attaccata a lui solo dalle nostre mani unite. Conosceva la città molto meno di me, eppure riuscì a trovare un posto isolato dove metterci seduti, lontano da sguardi indiscreti e da persone invadenti.
In quel momento potevamo essere solo noi, il parco e il vento tra le foglie.
Era perfetto.
Ci sedemmo su una panchina, l’uno accanto all’altra, in silenzio.
“Cosa stiamo facendo?”, sbottai d’un tratto, voltandomi verso di lui.
“Siamo seduti su una panchina, in pace”, si appoggiò allo schienale, pieno di scritte di ogni genere. Probabilmente qualche altra coppia aveva fatto sosta lì, chissà che fine avevano fatto poi, chissà se quel posto portasse fortuna.
“No dico.. lo sgattaiolare, il nascondersi. Perché non lo diciamo?”, diciamo cosa? Avrei voluto aggiungere. Non sapevo cosa realmente eravamo, in realtà.
“Non diremo nulla”, assunse un'espressione dura, quasi si fosse offeso per l’argomento. Si era irrigidito e aveva incrociato le braccia davanti al petto, lo sguardo fisso di fronte a sè, non più nei miei occhi.
“Perché?”, sussurrai, meno sicura di prima. Era l’ennesimo rifiuto? Si vergognava dell’idea che gli altri si sarebbero potuti fare di noi? Si vergognava di me?
“Non voglio, punto. C’è poco da discutere”, mi rabbuiai, lui mi passò un braccio intorno ai fianchi per cambiare argomento, per andare avanti, ma io mi piantonai sul posto, con lo sguardo basso e l’espressione imbronciata.
“Oh, non fare così!”
“Non fare come? Non penso di essere così male, alla fine. Faccio così schifo da volermi tenere nascosta? Non sei obbligato a stare qui eh”, esclamai, alzando lo sguardo deluso, arrabbiato.
“Ma che cazzo stai dicendo?! Non è per questo motivo che non voglio che si sappia”, rispose, ritraendo il braccio.
“Non me ne frega niente della gente. Non voglio che lo sappiamo gli altri.”
Rimasi in silenzio, imbronciata.
"Ok, ora ti spiego." 
"Oh, vuole fare il discorsone", borbottai, le mani giunte sulle cosce. 
"Non interrompermi però", si lamentò lui prima di voltarsi e cominciare a parlare. 
"Non mi piacciono le persone che mentono, che fanno buon viso a cattivo gioco. Quindi non mi piace mentire, proprio perché va contro i miei principi..", si bloccò un attimo per guardarmi il viso.
Cercai di rimanere impassibile, trattenendo il riso, "sì perché li ho dei principi, Perla, per quanto possa sembrarti strano. Proprio per quei principi non voglio dire niente di noi", si interruppe per riprendere fiato, rimasi in silenzio. 
"Credi mi faccia piacere mentire a Guglielmo? E ad Azzurra? Cavolo no! Sono i miei migliori amici.
Soprattutto Guglielmo, so quanto teneva a te, quanto ha sofferto.. e quanto ancora soffre." sospirò. 
Guglielmo era una presenza costante, una nuvoletta nera sulle nostre teste. Era il senso di colpa, probabilmente. 
"Non hai idea di come sto, quando mi parla di te, quando mi dice e ripete che non può rivolgerti la parola senza che gli si presenti in mente quell'unico bacio. Io non so cosa fare, capisci? Vorrei tirargli un pugno e abbracciarlo al tempo stesso. Vorrei dirgli che non ne vale la pena, che tu non vali tutto quello che sta passando, ma non posso."
Trattenni il fiato. Era un'altra parte del suo carattere, una delle tante, che scoprivo di volta in volta, come quei giochi russi, le matrioske, in cui quando apri una bambolina ne trovi un'altra all'interno, e poi un'altra ancora.
Riusciva a scuotermi, mentre cambiava così tanto e faceva discorsi seri, di un romanticismo mal celato. 
Ricominciò a parlare, notando il mio silenzio. 
"Credi che non mi piacerebbe uscire con te, portarti a prendere un semplice gelato in un posto che non sia rigorosamente fuori dal mondo e senza quell'inquietudine perenne che ci fa stare sul chi va la, per la paura che qualcuno ci veda? Non posso portarti nemmeno al cinema, Cristo Santo!", si era agitato, e continuava a sfregarsi freneticamente le mani sul tessuto dei jeans. 
"Ma se lo facessimo, se dicessimo questa fottuta verità, cosa pensi che ne ricaveremmo? Chi sarebbe felice? Guglielmo? No. Ancora, gli altri, sarebbero contenti di noi? Del nostro comportamento?" "Saremmo felici io e te..", mi azzardai a rispondere in un sussurro. 
"Lo credi davvero, Perla? Noi non siamo fatti per fare la coppietta da glicemia alta. Noi siamo fatti per questo" indicò i nostri corpi, l'uno affianco all'altro, "Finiremmo per odiarci, dandoci la colpa a vicenda, e non durerebbe", concluse, guardando dritto di fronte a sè. 
Aveva ragione e ammetterlo a me stessa era difficile quasi quanto la situazione in cui ci trovavamo. 
Perché lui voleva che durasse, voleva portarmi in giro e farsi vedere con me, e la cosa, nonostante tutte le tacite prove che mi aveva dato, continuava a sconvolgermi. Era tutto sempre così diverso da come me lo sarei aspettato, non c'era mai niente di scontato o prevedibile. Le sue parole, le sue azioni finivano sempre per farmi credere che non fosse come lo avevo disegnato nella mia testa tempo prima, ma meglio. 
Mi lanciai istintivamente su di lui, baciandolo con foga, con bisogno. Non conoscevo nessuna risposta alle domande che mi affollavano la mente, sarebbe durata? Cosa avremmo fatto?, ma in quel momento non importava, voleva stare con me. Solo quello contava.
Continuando a baciarmi cercò la mia mano, per poi appoggiarla lentamente sulla cerniera dei suoi jeans.
Era una nuova, tacita e infame sfida, l'ennesimo gioco a cui non sarei riuscita a resistere. 
Mi staccai dalle sue labbra e distolsi lo sguardo, posandolo sulle mie mani intente ad armeggiare con la fibbia della cintura. Sapevano diventare delle casseforti nei momenti meno opportuni, quelle maledette! 
Quando giunsi all'elastico dei suoi slip mi misi a giocherellarci con le dita, poi cercai di non guardarlo negli occhi alzando lo sguardo, imbarazzata. 
Lui, con un sorrisetto, mi costrinse a guardarlo con la forza, prendendomi il mento tra le dita.  Quando la mano finalmente andò oltre all'elastico bianco lui si avvicinò al mio viso e ricominciò a baciarmi.  Mi sentivo inesperta, goffa e piuttosto stupida a rimanere in quella posizione un po' strana e piuttosto scomoda. Non avrei mai ammesso davanti a lui di non aver mai fatto 'cose simili', ma ebbi il costante terrore che lui capisse, che non fossi poi così brava e che non fosse così semplice come dicevano nei film.
Quando il polso cominciò a dare i primi segni di cedimento sentii un sospiro un po' più marcato della sua bocca sulla mia, poi lo sentii staccare le labbra.
"Fermati", sussurrò. 
Mi lasciai scappare un "Oh" prima di sfilare lentamente la mano dai suoi slip.
Abbassai nuovamente lo sguardo, imbarazzata forse più di prima, e lui rimase qualche istante fermo.  "Sei brava, ragazzina", esclamò pochi istanti dopo, e riuscii a sentire il sorriso sulle sue labbra anche senza vederlo.
Era tutto così strano. Non credevo fosse così.. banale. Era stata una cosa prettamente fisica, che non aveva comportato alcun coinvolgimento emotivo, nessuna emozione amplificata, nessun piacere esagerato. Lo guardai allacciarsi nuovamente la cintura dei pantaloni e mi sentii un po' delusa, dalla situazione, dalle aspettative che mi ero creata. 
Avevo sempre sentito che anche i preliminari aiutavano a provare piacere, per entrambi. Eppure non era stato così, almeno non per me.
Aurora mi aveva detto qualcosa qualche tempo prima, riguardo il piacere, di come fosse semplice e naturale, e anche del bisogno di avere con sè dei fazzoletti. Non che fosse tutto amore e passione, c’era anche parecchia schifezza in ciò che mi aveva raccontato, eppure non era stato per niente come credevo.
Avevo delle aspettative, dannazione! E lui era lì, con un braccio dietro la mia schiena, a fissarmi come se si aspettasse ancora qualcosa.
"Che c'è?", sbottai, infastidita.
"Non posso guardarti? Sei bella", rispose lui, con una scrollata di spalle. 
"No, ok? Non puoi guardarmi", incrociai le braccia contro il petto, imbronciata. 
Mi piaceva litigare con lui, mi lusingava il fatto che lui facesse l'esatto opposto di quello che gli dicevo di fare. Gridavo 'vattene!' e lui si avvicinava, lo pregavo di non toccarmi e lui cominciava ad accarezzarmi ovunque, gli ordinavo di non parlarmi e lui cominciava a proferire una sequela di frasi, a volte senza un senso logico. 
Gli avevo detto che non avrebbe potuto guardarmi e invece era lì, seduto a fissarmi con insistenza, il solito sorrisetto malizioso stampato sul viso. 
"La smetti?", sbottai nuovamente dopo qualche secondo di silenzio, cercando di spostarmi per poterlo evitare, per poter guardare altrove. 
Lui agì velocemente, come al solito. Non feci in tempo a spostarmi che mi prese per i fianchi e mi issò sopra di lui, come una bambina dopo che ha fatto i capricci. 
Cercai di rimanere composta, con lo sguardo alto e l'espressione arrabbiata. Poi lui cominciò a sfiorarmi i fianchi, facendomi il solletico, e non potei fare a meno di ridere, di sciogliere le braccia incrociate davanti al petto per fermarlo. 
Lui approfittò del momento per fermarmi le mani con le sue e mi costrinse a baciarlo, così persi presto le difese che mi ero creata per mantenere viva la mia arrabbiatura. 
Non avevo mai capito veramente cosa facessero nei film nei preliminari. Lui era bravo perché aveva avuto parecchie ragazze ed io pensai che fosse finita lì, che lo scopo fosse dare piacere a lui e continuare a vivere felici e contente, ma solo mentre i suoi baci si facevano più insistenti e la sua mano accennava a spostarsi verso i miei shorts che capii che non era finito tutto li.  Ero veramente un'ignorante in quel campo, perciò lo lasciai fare, provando brividi lungo la schiena ad ogni suo movimento verso la piccola cintura dei miei pantaloncini. 
"Ma tu proprio così ti dovevi vestire?", farfugliò dandomi un pizzicotto sulla pancia e indicando le collant che avevo indossato quella mattina. 
Alzai le spalle e rimasi in attesa. Lui giocherellò per qualche istante, imitandomi, con l'elastico delle mie mutandine e poi ricominciò a baciarmi. 
Tutto quello a cui avevo potuto pensare, a cui pensavo in quel momento e che avrei pensato poi fu stravolto da ciò che provai. 
In confronto io dovevo essergli sembrata proprio una novellina, poiché lui si muoveva con una destrezza inaspettata. 
O meglio, proprio inaspettata non era, con tutte le ragazze con cui doveva aver fatto pratica. 
"Ti piace?", lo sentii sospirare tra un bacio e l'altro. 
Notai, con un certo fastidio, che provava piacere anche mentre lo dava a me, il piacere. Gli posai una mano sugli occhi, imbarazzata dal suo sguardo sul mio viso, a scrutarne ogni emozione.  Non gli avrei dato l'opportunità di pavoneggiarsi per la sua maestria, così cercai di trattenere ogni minima espressione scambiabile per piacere. 
Quando raggiunsi l'apice sentii la mia bocca emettere inevitabilmente un sospirò profondo, e riconobbi il sorriso sulle sue labbra attraverso le mie dita sul suo volto, che erano cadute sulla bocca, anziché rimanere sugli occhi.
Sfilò la mano procurandomi involontariamente un'ultima ondata di piacere. 
"Hai un fazzoletto?", chiese, quasi imbarazzato. 
Ecco a cosa servivano quei benedetti fazzoletti! 
Silenziosa infilai una mano nella borsa e sfilai il pacchetto di fazzoletti che avevo preso a casa.  Era tutto così poco poetico, così goffo e impacciato. Eppure per me significava molto più di una scena epica da film, per me era la cosa più romantica e passionale del mondo.  Lo guardai, improvvisamente coraggiosa nonostante il cocente imbarazzo e lui mi ricambiò sorridendo. 
"Ehi", sussurrò, gettando il fazzoletto poco lontano da dove ci trovavamo. 
"Ehi", risposi di rimando, giocherellando con la cerniera del suo bomber. 
"Ti è piaciuto?"
"Ancora con questa domanda? Non ti rispondo, tanto.", sbottai, distogliendo lo sguardo, imbarazzata.
Lo sentii ridere di gusto, così mi voltai di scattò e lo baciai, per poi staccarmi e sussurrargli tra le labbra.
"E a te?", era stata una presa di coraggio non indifferente. La povera, piccola e inesperta Perla che chiedeva se gli fosse piaciuto.
"Ti devo rispondere?", non staccò le labbra dalle mie, rimase lì, a parlarmi sulla bocca. 
Ripensai, arrossendo, a qualche istante prima, eppure ricordavo chiaramente che Aurora mi aveva raccontato che i fazzoletti servisse a lui, non a me. Cosa potevo aver sbagliato? 
"Sì", replicai in un sussurro, abbassando lo sguardo. 
"Che c'è?", aveva subito notato che qualcosa non andava. 
"Niente.. niente. E' solo una cosa stupida che mi ha detto Aurora."
"Cosa?", rideva per quel mio imbarazzo, evidentemente abituato con un altro genere di ragazze. 
"I fazzoletti non servivano a me, in teoria.", risposi dopo qualche istante, in un sospiro. 
Lo sentii cercare di trattenere a stento una risata, poi mi prese il viso, come poco prima, tra le mani e mi costrinse nuovamente a guardarlo. 
"Ti ho evitato un fastidio.", biascicò tra le risa. 
"Come?" "Sì. Mi sono.. trattenuto. Non è poi così piacevole, per noi."
Sospirai, rilassando il corpo.
“Perla, sembri una bambina alle prime armi..”, sorrise lui, riportandomi a sedere di fianco al suo corpo, sulla panchina. Restai in silenzio, le mani giunte e il corpo fermo, incurvato per l’imbarazzo.
“Perla, non sei una novellina, vero?”, cosa c’era di male, ad esserlo? Lo guardai, spaurita, e sorrisi.
“Ma che dici, io faccio sempre la bambina”, biascicai, toccandogli il petto con la mano.
“Dimmi la verità.”
“Ha importanza? Se anche fossi una novellina, cosa cambierebbe?”, serrò le mascelle, rimanendo con lo sguardo fisso su di me.
Spostai gli occhi sulla sua mano, stretta attorno ad un tubo dello schienale della panchina, bianca per la pressione esercitata.
Era arrabbiato? Lo guardai perplessa, poi sentii l’altra mano passarmi dietro la nuca, tra i capelli, e la sua bocca aderire alla mia, con insistenza.
“Mi piacerebbe.. ancora di più..”, sussurrò staccandosi a fatica dalle mie labbra, “se possibile”. Mi strinse forte contro il suo viso, come a non voler lasciarmi andare, a voler imprimere quel momento nelle nostre menti, nei nostri ricordi.
Erano piccoli momenti importanti, essenziali. Non avremmo avuto un momento del genere per chissà quanto tempo, costretti a scambiarci baci leggeri e rubati, in qualche anfratto lontano da occhi indagatori.


-notepocoserie-
*scappa e si nasconde sotto a un cuscino* Vi avverto, mi si è già cancellato tutto una volta e se mi si cancella ancora non vedrete mai ne il capitolo ne queste benedette note. 
Partiamo dall'inizio LOL allora, questa volta vi esorto, vi prego e vi scongiuro di lasciarmi un vostro pensiero. 
no sapevo bene se pubblicare o no questo capitolo, non lo sapevo perchè non so cosa vi aspettavate voi dalla storia, quindi magari non volevate leggere queste sconcerie. Però poi ho pensato che tutto sommato non sono così sconce, ed è una cosa naturale, quindi boh, spero vi sia piaciuto e non vi abbia infastidito. 
Il tutto è piuttosto goffo e stupidotto, prendetelo così perchè non ci sarà mai il pathos o chissà quale prestazione in questa storia lOl 
E' veramente tutto molto molto naturale. 
Allora, continuiamo parlando della citazione iniziale che è bellissima e molto importante in seguito. 
In questo capitolo è successo davvero poco, però credo che quello che è successo sia molto importante per il continuo della storia. 
Parlo soprattutto per quello che è successo tra Edo e Perla. Uno, due, trecento baci si possono dimenticare, ma quando si arriva a cose più intime, quando si da fiducia a una persona, non si torna indietro facilmente. Perla ormai è cotta a puntino, ed Edo è.. beh, è Edo. LOL
Il titolo è tratto da una canzone del cd scorso di Umberto Tozzi, bellissima *O* 
per la gioia della mia sistah le note sono abbastanza lunghe nonostante le abbia dovute riscrivere. 
Vi esorto a lasciarmi un pensierino, una recensioncina, e non perchè amo avere tante recensioni, ma perchè apprezzo ciò che mi scrivete, che sia una cosa bella o brutta, e se non ricevo niente mi demoralizzo e non pubblico (si, è una non così tanto velata minaccia ahah ♥).
I link vari sono il mio gruppetto in cui vi prego di venire perchè voglio conoscervi tutti ♥ strangeness and charm
la mia altra storia, che per ora ha solo il prologo ma che presto avrà un seguito CLICK
e infine il gruppetto unito dove ci siamo un po' tutte e dove si può parlare di tutto ♥ in some dreaming state 

Alla prossima settimana, with love ♥

 
   
 
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