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Autore: Miss_Nothing    01/06/2012    1 recensioni
Non vi sono veri e propri capitoli in questa storia. Sono pensieri, pensieri di una ragazza che ha visto troppo della vita.
Ciao a tutti il mio nome è Sarah Walsh, sono nata il 5 Maggio del 1995 e sono morta il 3 Marzo 2007.
Posso parlare, scrivere e fare tutto quello che vi viene in mente. Il mio corpo è ancora qui, cerca di sopravvivere ma la mia anima ha già attraversato il ponte.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Entrai in casa, lentamente, cercando di essere il più silenziosa possibile.
“Sarah, come mai sei così in ritardo?” Mi chiese mio padre seduto sulla poltrona. Era la prima volta dopo quella volta che ero scappata di casa che vedevo mio padre seduto su quella poltrona a fare il genitore.
“Sono solo le sei di sera” commentai entrando in salotto.
“Solo?” Urlò lui alzandosi in piedi. Lo guardai, conoscevo quello sguardo, lo sguardo di un punitore. Lo stesso sguardo che aveva due anni fa, lo stesso sguardo che aveva dopo aver bevuto. Presi un grosso respiro e l’odore dell’alcool mi entrò nelle narici arrivando al mio cuore che cominciò a battere veloce. Veloce come facevano di solito i cuori innamorati solo che questo era un cuore pieno di paura.
“Sarah vieni qui” mi disse con una voce terrificante come se un'altra persona si fosse impossessata di lui.
Abbandonai lo zaino per terra per poi cominciare a correre, a scappare nella mia stessa casa finchè il mostro mi prese. Il polso stretto tra un sua mano. L’altra che mi colpiva, mi sbatteva contro a un mobile, mi feriva gridando “Dio lo vuole”
 
Sotto alle mie coperte mi sentivo meno al sicuro, completamente nuda, allo scoperto. Non c’era nessuno che poteva proteggermi da quella vita. Non avevo zii o fratelli. No, una zia l’avevo, ma l’ultima volta che l’avevo vista si era divertita a maltrattarmi. A volte mi sembrava di essere un giocattolo, un giocattolo nelle mani degli adulti, un giocattolo che si divertivano a uccidere.
Mi alzai per poi guardare il mio braccio, era livido. Dipinto d’azzurro, viola e nero. Di certo non avrei potuto indossare una t-shirt quest’oggi.
 
Decisi di non andare a scuola. Mi sentivo… sola?non proprio. Inerme? Esatto. Mi sentivo debole, e io odiavo essere debole. 
Mi strinsi nelle spalle mentre tenevo un mozzicone tra le rabbia e accarezzavo il livido fremendo a ogni tocco.
Questa era la seconda volta che mi faceva male, la seconda volta che cadeva nell’alcool. Quel pomeriggio l’avrei già trovato davanti a quella sua stupida croce a pregare. Ma perché se esiste non fa qualcosa per me? Non avevo subito abbastanza? Accesi l’mp3, non potevo rimanere ancora seduta senza la mia musica, senza la mia adorata Taylor. 
Schiacciai il tasto ripetizione casuale e subito le note di Goin’ down mi inondarono.
 
All I need is someone to save me 
Cause I am goin' down 
And what I need is someone to save me 
Cause I am goin' down, all the way down 
 
Sputai il mozzicone che trattenevo tra le labbra. Questo era il mio destino, soffrire, desiderare di morire. Perché stavo cadendo in basso e ormai nessuna fune era così lunga da potermi raggiungere.
 
 
Note dell'autrice: scusate i miei capitoli cortissimi, ma visto che sono pensieri spesso non uniti tra di loro non posso rendere una scena lunghissima
  
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