Anime & Manga > Inuyasha
Segui la storia  |       
Autore: avalon9    20/12/2006    2 recensioni
Gli youkai sono essere terribili: affascinano e uccidono. Sono esseri diversi. I ningen sono insignificanti, per uno youkai; creature semplici, irrazionali, che trascinano la vita senza comprenderla. Dei ningen gli youkai non si curano; li ignorano con superiore indifferenza.
Sesshomaru è youkai ed è orgoglioso della sua essenza. Ma un inverno, incontrerà una ningen e, da quel momento, la linea netta che separa uomini e demoni inizierà ad assotigliarsi.
Genere: Romantico, Malinconico, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Sesshoumaru
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Ciao a tutti

Ciao a tutti!
Come promesso, eccomi di nuovo qua. e con un nuovo capitolo su Alessandra e Sesshomaru. Le cose iniziano a cambiare, anche se poco alla volta; bisognerà aspettare un po' ancora prima dell'evoluzione completa di Alessandra.

Grazie infinite a chi è sempre così genrile da leggere e commentare sempre e anche a chi legge soltanto.

Buona lettura!!!

P.S. Lo so di insistere su alcune cose un po' troppo, ma è voluto. si spiegherà tutto con il proseguio della storia.



CAPITOLO 13
INSEGNAMI


Spade.
Cozzare del metallo. Acciaio. Stridio. Scintille. Suono…Suono secco, di lame che si scontrano. Suono di duello. Di scontro. Riempie l’aria. Assordante. Attraente. Un’attrazione pericolosa. Mortale.

Sesshomaru si fermò, osservando con attenzione il suo avversario. Era affaticato e respirava rumorosamente. Ma non demordeva. Stava solo rifiatando. Studiandolo. Cercando di cogliere il momento giusto per attaccarlo. Non da sprovveduto, però. Sembrava cosciente della sua superiorità. Che non lo avrebbe mai sconfitto. Disarmato. Ma non sembrava che gli importasse. Vedeva nei suoi occhi scintille di rabbia, di frustrazione.
L’youkai rilassò un po’ il braccio, abbassando la lama. Un gesto di apparente fine del duello. Un trucco. Perché il sole colpì la spada mandando un lampo accecante. Una mossa per ottenere la vittoria. Un trucco, che gli veniva dal passato. Un ricordo della sua infanzia.
Sesshomaru sentì l’avversario imprecare, contrariato. Abbagliato. Aveva perso. Ora gli sarebbe bastato scattare per finirlo. Un colpo secco. La sua fine.
Il demone sospirò mentalmente, riprendendo una rilassata posizione eretta. Con un fruscio lieve, rinfoderò la spada. E restò impassibile ad osservare chi gli stava di fronte. Non aveva alcuna volontà di ucciderlo.

Alessandra riprese a sua volta la totale posizione eretta. Era sudata e respirava a fatica, cercando di recuperare tutta l’aria che aveva perso nello scontro. L’ultimo assalto, poi, lo aveva praticamente portato in apnea, con i polmoni che le bruciavano per lo sforzo. Le girava un po’ la testa. Piantò la katana nel terreno e le si inginocchiò accanto. Esausta. Non riusciva a restare in piedi. Il terreno ondeggiava troppo. E la testa le rimbombava.
Guardò Sesshoamru. Il bel demone era fermo a qualche metro da lei. Apparentemente tranquillo e rilassato. Sembrava non aver neanche impugnato la sua arma. Il viso fresco, senza neanche un’ombra di sudore o affaticamento. Il respiro regolare. Forse, solo appena più accelerato del solito. Come era possibile? Perché non mostrava alcun segno di sfinimento? Perché non era ridotto come lei?

Alessandra si lasciò cadere seduta a terra, reclinando la testa e portandosi una mano agli occhi. Voleva che gli alberi smettessero di girare.
L’aveva battuta. Lo aveva capito. Vinta di nuovo. Per l’ennesima volta. Non aveva portato l’assalto finale; non l’aveva atterrata né disarmata. Ma lei sapeva di avere perso. Per via di quella luce. Di quel riflesso accecante. Un trucco. Semplice. Stupido. E disonesto. Maledettamente disonesto. Anche se efficace. Perché si era accorta che in quel momento non ci vedeva più, e che ucciderla sarebbe stato uno scherzo.

“Non dovresti eccedere troppo”.

Le si era avvicinato. Con quel suo passo impercettibile, nonostante l’armatura che indossava. La voce così vicina, così inebriante. Perché non riusciva ad ascoltarlo senza lasciarsi avvolgere da quel tono freddo e seducente? Non le era mai successo. Quelle modulazioni vocali avevano la capacità di farle perdere il senno, di confonderla.
Scosse la testa. La stava rimproverando. Bonariamente. Perché lì era lui l’esperto. E lei aveva sbagliato. Aveva esagerato. E il risultato era stato quella sconfitta. Che però non le bruciava neanche. Non era per vincere che gli aveva chiesto di insegnarle a combattere. Non era per duellare. Ma per tenere vivo il ricordo di una passione.

Sesshomaru la osservò, distesa a terra. Aveva scosso la testa al suo rimprovero. Come a volerlo minimizzare. Ma lui sapeva che lo aveva ascoltato, e che in futuro avrebbe cercato di non ripetere l’errore. Perché come allieva si stava rivelando brava. Molto brava. Più del previsto. Più di quanto si sarebbe aspettato da un nigen. Da una donna umana.

Le sedette accanto. Poggiando la schiena ad un albero. Anche se non lo avrebbe mai ammesso e non lo dimostrava, quello scontro lo aveva impegnato non poco. Mai uno sforzo come quello che gli costava un duello contro suo fratello, in cui si impegnava sia fisicamente sia spiritualmente. Ma sempre uno sforzo.

“Hai barato…”.

Un respiro stentato. Di chi ancora cerca l’aria. Di chi ancora è in debito d’ossigeno. La sua voce. Gli piaceva sentirla. Cercare di coglierne le sfumature. Perché da un po’ di tempo quella voce stava cambiando. Era più calda. Più suadente. Ma all’occorrenza tornava fredda e tagliente. Come la sua. Come la voce che gli apparteneva. Da sempre.
Sesshomaru piegò un po’ la testa, per vedere in viso la ragazza. Alessandra era sdraiata accanto a lui,nella neve fresca; le mani dietro la nuca e gli occhi chiusi.

Aprili…Voglio poterti guardare negli occhi quando ti parlo…

Attese. Inutilmente. E lo sapeva. Alessandra era troppo stanca per riuscire a sostenere anche uno scontro di sguardi. E piuttosto che cedere anche in quel campo, preferiva dribblare abilmente. Precludendogli i suoi frammenti di cielo. Sospirò, rilassandosi maggiormente contro il tronco nodoso.

“No”. Una sillaba. Si esprimeva spesso così. Ma Alessandra aspettò. Ormai sembrava aver capito che al bel demone serviva tempo per esprimersi. Per soppesare le parole. Ma che alla fine le avrebbe fornito una spiegazione.
“Ho usato un trucco, vero. Ma ricordati che in uno scontro tutto è lecito. Lo scopo finale è solo…”

“Non dirlo!”.

Adesso era seduta davanti a lui. Si era sollevata con un gesto nervoso, accompagnato da parole dure e secche. Lo aveva fissato negli occhi. In quelle pozze d’ambra splendente che la confondevano. Che la seducevano. Perché se il suo viso era sempre freddo, l’oro di quelle iridi era un sole lucente. Capace di sciogliere il cuore. Soprattutto se vi restava intrappolata un’ombra diversa da quella di consueta indifferenza. Un’ombra come quella che le attraversava adesso. Di sorpresa. Per lo scatto improvviso. Per il costante rifiuto di quella parola.

…uccidere… È questo che non vuoi che dica…Eppure sai che lo faccio…mi hai visto farlo, davanti ai tuoi occhi…ma non vuoi sentirlo…Stai ancora fuggendo…

Annuì. No. Non lo avrebbe detto. Non le avrebbe fatto del male. Non lo voleva. Alessandra accennò appena un sorriso di ringraziamento e gli sedette accanto, togliendo la spada distesa fra loro. Le maniche dei kimoni si sfioravano mosse dal vento; i loro profumi si confondevano; il muschio di lui si mescolava con quello fresco di lei. Sesshomaru non riusciva a definirlo. Perché non era un’essenza da lui conosciuta. Non era giapponese. Ma gli piaceva. Molto. Gli piaceva potersene cibare. Assaporarla fino in fondo. Soprattutto in momenti come quello. Quando stavano così vicini. Perché quello era il massimo contatto che c’era fra loro. Quello della stoffa e del profumo.

…e delle spade… aggiunse nella sua testa.

Silenzio. Non parlavano quasi mai durante il giorno. Era solo alla sera che cadevano i muri di ghiaccio e le allusioni nascoste negli sguardi. Perché di notte parlavano. Sussurravano. O meglio era lei a parlare, se lo voleva. Lui ascoltava. E basta. Ma spesso trascorrevano anche le ore notturne in silenzio. Un silenzio carico di significati. Perché riportava alla mente di entrambi quella sera in riva la lago.

Sesshomaru non riusciva a dimenticarsela. L’aveva ascoltata sfogarsi. L’aveva ascoltata piangere. Senza toccarla. Senza cercare di fermarla. L’aveva ascoltata e basta. E alla fine, Alessandra aveva rialzato il capo. Gli aveva mostrato i suoi occhi. Bui e tristi. Bagnati. Occhi pieni di dolore. Di un dolore che lui stranamente non sentiva estraneo. Sentiva suo. Come se lo avesse già provato.
Lo aveva fissato e poi si era alzata. Morbida. Sinuosa. E lui aveva seguito attento ogni suo movimento. Si era alzato a sua volta, restando però immobile mentre lei si allontanava. Non voleva sforzarla.

“Da quel giorno…sei il primo, che mi abbia vista piangere…”. Un sussurro. Una chiosa. La sua forza. Tutta la sua forza. Glielo aveva detto senza voltarsi. Con gli occhi fissi sulla falce lunare. Perché in quella falce Alessandra rivedeva perfettamente il ragazzo che aveva alle spalle. Il ragazzo davanti al quale aveva pianto. Lui. Sesshomaru.

Il primo che ti ha vista piangere… Sorrise dentro di sé a quel ricordo. Una vittoria che gli dava più soddisfazione di uno scontro sul campo. Di un trionfo nel sangue. Perché si trovava a dover ricorrere ad armi nuove per lui. Armi che non aveva mai saputo di possedere.

Ora però vorrei vederti sorridere… Lo pensava veramente. Lo voleva. Era l’unica cosa che la sua mente riuscisse a elaborare, mentre restava seduto accanto a lei. Mentre la guardava. Perché era quello che stava facendo. Non le staccava gli occhi di dosso. Senza neanche accorgersene. Continuava ad accarezzarla con lo sguardo. Percorreva l’ovale perfetto del viso. Dalla fronte scendeva lungo le guance, ancora arrossate per lo sforzo.

Quando ti vedrò arrossire per l’imbarazzo?... Un pensiero che lo divertiva. che lo prendeva.

Scendeva ancora, fino al mento, per poi risalire dall’altro lato, fermandosi all’altezza degli zigomi. Ora era concentrato sulle sue labbra. Rosse. Carnose. Provò l’impulso di sfiorarle. Di scoprire se anche al tatto erano morbide come alla vista. Mosse la mano, ma nella mente di nuovo gli risuonò quel sussurro…
“non devi toccarmi…”

D’accordo. Avrebbe aspettato. Le avrebbe chiesto il permesso. Tornò a concentrarsi sul viso. Avrebbe voluto perdersi nei suoi occhi. Come sempre più spesso gli capitava. Gli fissava. Senza motivo. E si dimenticava di distogliere lo sguardo. Che lei gli fosse vicina o lontana, il riuscire a cogliere le sfumature cangianti di quegli occhi era il suo desiderio più grande. Non si chiedeva perché. Non si faceva domande. Perché sapeva che altrimenti avrebbe dovuto trovare le risposte. E poi una soluzione. Finché poteva, preferiva che tutto restasse così. Indefinito. Sospeso nel tempo. Anche per sempre. Lo avrebbe voluto davvero.




Alessandra non si muoveva. Aveva visto il suo cenno affermativo ed era tornata a rilassarsi lungo il tronco, al suo fianco. Nessun contatto però. Per quello non si sentiva ancora pronta. Almeno ad avere un contatto fisico con lui. Fosse solo anche uno sfiorarsi involontario. No. Non ancora.
Perché continuava a ricordare la sua mano macchiata di sangue. Il godimento intrappolato nei suoi lineamenti quando aveva ucciso. Continuava a venirle alla mente. Eppure, non era sufficiente a farle provare paura. Perché lei, del bel demone, non aveva mai avuto timore. Neanche in quell’occasione.

Eppure continuava a tenerlo a distanza. Anche se meno di prima. Paradossalmente, infatti, era con lui che aveva stretto il legame più saldo. Anche se era il più difficile da mantenere. Perché era silenzioso, poggiava su movimenti appena accennati, su parole pensate e mai pronunciate, su sguardi rubati a vicenda. Una complicità, una collaborazione che avevano stretto senza precisa volontà di farlo. Senza neanche rendersene veramente conto.

Alessandra non capiva esattamente cosa la legasse all’youkai. Forse il suo fascino…il fascino che emanava…Così simile a quello della luna…perché lui era un figlio della luna…come lei…Anche ei in modo diverso…Non capiva la natura di quel legame, ma neanche voleva realmente afferrarla. Le andava bene così. Restare nell’indefinito. Affondare in quelle sfumature emotive. Senza impegno. Senza essere chiamata in causa alla luce del sole.
Sesshomaru non aveva più cercato di imporsi su di lei. La spronava, ma in modo diverso da prima. Con una sensibilità che lei non si sarebbe mai aspettata che il demone avesse. E di cui forse neanche lui era realmente cosciente.
E tutto da quando lei aveva pianto…aveva deciso di rischiare il tutto per tutto e si era messa a nudo davanti a lui. Semplicemente. Senza vergogna. Aveva ripreso a parlare. E non aveva più smesso. Perché la sera era diventata un’abitudine, andarlo a cercare. Anche solo per godere della sua silenziosa compagnia. E lui non la scacciava mai.
Lo trovava in luoghi impensati, ma magici e ricchi di fascino. Come lui. Sdraiato in cima ad un albero, sospeso su un precipizio, seduto su un masso dalle venature ataviche…Lo cercava senza assillarlo, e se poteva gli sedeva al fianco. Silenziosa. Non sempre voleva parlare. E lui non la costringeva. A volte le bastava solo godere della sua presenza. Rassicurante. Avvolgente. Come l’aveva avvertita quella sera. Perché lui era rimasto a confortarla senza avere bisogno di nulla. E per la prima volta dopo tanto aveva avuto la sensazione di essere capita. Che Sesshomaru non sentisse estraneo quel dolore.

Gli occhi…La sfumatura racchiusa in fonda a quelle iridi ambrate. Imprigionata. Il grido soffocato che aveva creduto di leggervi la prima volta che lo aveva incontrato. Ogni tanto gli tornava alla mente quella sensazione. Ma la scacciava. Perché se davvero anche lui aveva bisogno di aiuto, Alessandra sapeva che in quello stato ancora non era in grado di darglielo. Ma che grazie a lui, un giorno, forse ce l’avrebbe fatta. E allora sarebbe stata lei ad ascoltare.

Alessandra aveva chiuso gli occhi e sembrava dormire. In realtà, sentiva su di sé lo sguardo indagatore dell’youkai. Un modo di guardarla che la metteva a disagio. Perché non era per studiarla che l’osservava così intensamente. Almeno non per studiarla al solito modo. Percepiva i suoi occhi soffermarsi su ogni sfumatura le suo viso, su ogni piega, contorno. Come farebbe un pittore. Un artista. Ma Sesshomaru pittore non lo era di certo. Perché allora quell’insistenza? Perché? C’era almeno un motivo?

Non lo sapeva. Ma non glielo avrebbe neanche chiesto. Perché voleva fidarsi. Di lui. Voleva provarci. Perché era diverso. Non sembrava nascondere doppi fini. Altrimenti avrebbe potuto approfittare di lei già da tempo. No. Lui era diverso. Doveva esserlo. I suoi occhi avranno anche potuto essere freddi e insensibili, ma lui era buono, aveva un animo buono.

Un animo buono…Ma cosa significa, poi, avere un animo buono? Chi lo ha? Chi non fa del male?

Sotto quel punto di vista, il bel demone non era buono. Perché lui uccideva. Tranquillamente. Eppure non era malvagio.

No…Forse vuol dire agire senza volontà di inganno…Qualunque sia la scelta da fare…

Ripensò al trucco che aveva usato prima. Quello era un inganno, o no? Lo poteva definire tale?
Lui gli aveva detto di no, che era qualcosa che ci si deve aspettare. E lei lo sapeva. Gli dava ragione. Perché quella era una lezione che già suo fratello gli aveva dato.




Sesshomaru non capiva se stesse dormendo davvero o se solo facesse finta. Non riusciva a capirlo. Se stava fingendo, lo faceva proprio bene. Il respiro calmo, regolare. Il viso rilassato. Acconsentì. Che lo stesse ingannando o meno, non gli importava. Sviò a malincuore lo sguardo e si concentrò sul cielo. Azzurro. Lucente.

Come i suoi occhi in questi giorni…
Scosse piano la testa, facendo ondeggiare i lunghi capelli. Possibile che ogni suo pensiero lo dovesse riportare a lei? Non era più in grado di separare le sue riflessioni. Tutto ruotava attorno a quella ragazza. Tutto.

Sorrise. Lei non lo poteva vedere. Ma quel sorriso, quella linea sottile che aveva fatto piegare le labbra a Sesshomaru era stata lei a produrlo. Una delle poche persone che lo avesse fatto sorridere a quel modo. Dolcemente. Quasi con malinconica sorpresa.

E tutto grazie ad una spada…

Era iniziato tutto per caso. Una sera in cui aveva fatto più tardi del solito. E in cui forse Alessandra aveva bisogno di vederlo più degli altri giorni. Di parlargli.
Quel giorno, infatti, Rin le aveva narrato la sua storia. Come ci fosse arrivata Alessandra non lo sapeva. La bambina spesso iniziava a parlare senza motivo, perché detestava il silenzio troppo prolungato. E perché sapeva che il suo ciarlare allegro non dava fastidio più di tanto.
Aveva iniziato a parlale, e poi le aveva posto quella domanda.
Ale-chan! Tu hai fratelli? Io ne avevo uno, ma è morto con i miei genitori. È stato ucciso dai briganti e…”. Alessandra non era più riuscita ad ascoltare indifferente. Aveva sentito ogni parola. Pugnalate al cuore. La stessa esperienza. O almeno un’esperienza molto simile. Eppure Rin ne parlava col sorriso sulle labbra. Senza farsi prendere dallo sconforto. Senza deprimersi.
La ragazza si era chiesta quale fosse il suo segreto. E l’aveva invidiata. Tanto.

Sesshomaru si stava allenando. E aveva totalmente perso la cognizione del tempo. La luna ormai era già sorta da molto quando aveva deciso di fermarsi a rifiatare.
Solo allora l’aveva vista. Lo stava fissando dal limitare della radura. Immobile. Sesshomaru non sapeva da quanto fosse lì. Non l’aveva sentita arrivare. Troppo concentrato.
Notò i suoi occhi inquieti fissare la sua mano, e in modo particolare la katana. Un brivido gli percorse la schiena. Non avrebbe voluto che lo vedesse con Tokijin in mano, mentre provava la sua forza. Mentre ne saggiava il filo. Con un gesto aggraziato, rinfoderò la spada. Ma dentro di sé Sesshomaru sorrise amaramente. Perché anche senza la katana in mano, lui non poteva evitare di ricordarle l’omicidio che aveva compiuto davanti ai suoi occhi. Perché in lui tutto richiamava la morte. L’armatura, la mano artigliata, il nome…Perfino quel nome di cui era sempre andato fiero, adesso temeva che potesse spaventare quella ragazza.

Alessandra lo vide rinfoderare la spada e avvicinarsi a lei. Negli occhi d’oro parole che non avrebbe mai pronunciato. Con quel gesto le voleva forse chiedere scusa per averle nuovamente ricordato quello di cui era capace? Perché aveva smesso di danzare con quella lama in mano? Perché? Alessandra avrebbe voluto poterlo guardare ancora.

“Insegnami…”.

Sesshomaru udì la richiesta uscirle dalle labbra con l’inflessione di una supplica. Ne rimase sorpreso. Assottigliò lo sguardo, riducendo le pupille a due sottili linee nere che naufragavano nell’ambra. Non capiva perché quella ragazza volesse imparare ad usare una spada. Era certo che, anche in caso di bisogno, non avrebbe avuto la forza di usarla. Eppure nei suoi occhi leggeva una determinazione che aveva scorto una sola altra volta: quando l’aveva vista pattinare.

Non le aveva chiesto niente, né le aveva risposto. Ma il giorno dopo l’aveva chiamata, lanciandole la guaina di una katana. Se insegnarle a usarla sarebbe servito a farla sorridere, allora gli andava bene. Glielo avrebbe insegnato.
Aveva estratto la sua spada, deponendo a terra Tenseiga, e l’aveva invitata a sfoderare anche lei l’arma. Alessandra aveva seguito i suoi movimenti leggermente sorpresa. Non credeva che avrebbe accettato.
Aveva snudato la katana, soppesandola in mano. Lucente, affilata. Dal taglio sottile e un po’ ricurva verso la punta. Bellissima e letale. Come il demone che aveva di fronte. Ammaliatore. Sorprendente.

Sesshomaru era rimasto sorpreso. Piacevolmente. Aveva una buona impugnatura, e sembrava anche possedere qualche rudimento di scherma. Si era aspettato di trovarsi davanti una ragazza totalmente incapace anche solo di impugnare correttamente l’arma. Aveva previsto solo quel pomeriggio per fargliela bilanciare bene, con una mano sola. Invece…Invece Alessandra gli stava di fronte con gli occhi concentrati e con la spada leggermente protesa in avanti. Un invito. Una sfida.
Aveva sorriso. Compiaciuto. E aveva iniziato a duellare. A danzare. Perché quella era una danza molto simile alla ciarda della ragazza. Una danza d’acciaio. In cui per la prima volta dopo tanto non era solo a eseguirla.

Non era stato uno scontro vero e proprio. Solo un allenamento, per saggiarne l’esperienza. La bravura. E brava lo era. Lo aveva dovuto ammettere. Non era ricorso al suo youki. Non lo avrebbe mai fatto neanche in seguito. Era solo un confronto fisico. Ma era stata in grado comunque di sorprenderlo. Anche se lui la superava di molto per agilità e potenza. Solo in resistenza avrebbero potuto eguagliarsi.

Alla fine, l’aveva disarmata. Prevedibile. Scontato. Ma Alessandra non se l’era presa. Aveva raccolto la katana, visibilmente soddisfatta.

Come si può gioire di una sconfitta? C’erano volte, come quella, in cui il bel demone non la comprendeva proprio. Per lui, una sconfitta era una sconfitta. Nulla di cui essere soddisfatti. Anche se ci si fosse impegnati con tutte le proprie forze. Una sconfitta restava sempre una sconfitta. E lei aveva perso. Ma era soddisfatta.

Le si era avvicinato, sostituendo la sua mano alla mano di lei, mentre cercava di agganciare il fodero alla cintura che portava in vita. Sempre attento a non toccarla, a non sfiorarla neanche inavvertitamente. Chiedendole con lo sguardo il permesso. Alessandra lo aveva lasciato fare, inebriandosi del profumo di muschio che emanava il suo corpo. Un corpo saldo. Muscoloso. Guizzante. Lo aveva visto danzare. Con quella lama argentea in mano. Muoversi seguendo una musica invisibile. Fatta di sibili acuti come trilli di pianoforti, di fendenti rapidi come scale di violino. Lo aveva visto eseguire una danza mortale.

“Perché?”

Sesshomaru si era trovato a pochi centimetri da lei. Dal suo volto. E aveva sussurrato. Una domanda. Per cercare di sciogliere un po’ l’arcano dei suoi occhi cangianti. Una domanda. Con mille implicazioni. Con mille riferimenti.

“Mio fratello era appassionato di scherma. Mi ha insegnato lui le mosse base”. Alessandra si era allontanata. Sesshomaru le era venuto troppo vicino per i suoi gusti. Per la sua protezione. Si era allontanata, ma non perché ne avesse timore. Solo perché ancora non si sentiva pronta a lasciarlo avvicinare.

“Riuscire a maneggiare una spada è un modo per non far morire il suo ricordo. E per non esserne soffocata”.
Glielo aveva spigato dandogli le spalle. Rincorrendo parole lontane. Con voce calma. Tranquilla. Solo un po’ malinconica. Solo poco. Sesshomaru ne era stato soddisfatto. Una risposta essenziale, ma che conteneva tutto l’indispensabile. E con una voce nuova. Quella che lui le voleva sentire.




“Guarda…”

La voce di Alessandra lo riscosse. Si era smarrito nei suoi pensieri. Con gli occhi chiusi. Si era abbandonato ad un sonno strano, fatto di rievocazioni e sensazioni. Non aveva dormito. E questo la ragazza lo aveva capito. Aveva capito che i demoni non dormono quasi mai. Che non ne hanno bisogno. E allora lo aveva chiamato. Con un sussurro. Mentre si rimetteva a sedere.

Sesshomaru seguì l’indice della ragazza, trovandosi ad osservare un piccolo uccellino. Un pettirosso. Un batuffolo di piume saltellante nella neve fresca.
Non capì. Cos’aveva quell’uccello di particolare? Nulla. Era uguale a molti altri che abitano una foresta. Si volse ad Alessandra. Ma le parole gli morirono in gola. Occhi che sorridono. Gli occhi di Alessandra stavano sorridendo. In quei cieli azzurri in cui le uniche stelle che aveva visto erano state quelle delle lacrime, ora risplendeva una luce. Una luce dolce e delicata. Di commozione estatica.

Stai sorridendo…e tutto solo per un uccello?

“È bello, vero?”. Cercava la sua approvazione. Cercava di coinvolgerlo. Ma lui non vedeva nulla di strano. Nulla. Uccelli ne aveva visti molti. Ne vedeva ogni giorno. Di molte specie. E anche lei. E allora perché in quel momento veniva rapita da uno di loro? Cos’aveva di così bello?
Sesshomaru non capiva.

“Non lo so…”. Non le volle neanche mentire. Si scoprì anche lui. Lui ammetteva di non capire. Come non aveva mai capito la felicità di Rin ad un suo semplice accenno, ad un suo movimento. Cosa possedeva il mondo che lo circondava da essere capace di smuovere persino l’animo tormentato di Alessandra.

La ragazza si voltò verso di lui. Non era sorpresa. Solo dispiaciuta. Che lui non capisse. Che lui non desse importanza a quell’uccellino solo perché era piccolo e fragile. Solo perché era diverso da lui. Non gli disse nulla. Avrebbe voluto che lui capisse la magia di un passerotto su un tappeto di neve. La magia della semplicità. Perché sentiva che quel ragazzo ne era dispiaciuto. Dispiaciuto di non riuscire a provare nulla. Di essere freddo.

Si sentì osservato e voltò il viso. Ambra nello zaffiro. I loro occhi si parlarono. Si capirono. Più di quanto le loro menti volessero.
Sesshomaru si perse nello sguardo di Alessandra. Si smarrì come gli era successo quando pattinava. La vide dispiaciuta. Per lui. Triste perché non riusciva a comprendere. A gustare quella cosa semplicissima che era capace di scaldarle il cuore. Percepì il suo dispiacere. E ne fu colpito. Tanto che lui stesso si sorprese del sussurro che gli usci dalle labbra.

“Insegnami…”

 

  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Inuyasha / Vai alla pagina dell'autore: avalon9