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Autore: Sylence Hill    02/06/2012    3 recensioni
Londra, 1835
Rachel Williams è un topo di biblioteca, sempre china con il naso infilato tra i libri. Ragazza di buona famiglia, con un padre fatto da sé e una madre che insiste sul matrimonio, ha un cuore buono e gentile, che ama incondizionatamente.
Ma è anche caparbia e testarda, che vuole affermare a quel mondo che tiene conto solo le apparenze che una donna può essere più che una semplice decorazione per la casa del futuro marito.
Non ha fatto i conti, però, con quello che il destino - al quale non crede - ha deciso per lei. 
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Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Sy Hill: Stra-ultra-mega-felice ti potervi riabbracciare e per festeggiare il mio ritorno dall'abisso di compiti, interrogazioni e verifiche di questo ultimo e frenetico mese eccomi a voi con un luono lungo capitolo.
Ringrazio tantissimo Dasey Pearl, Midori_ e _Calien_ per aver recensito gli ultimi due capitoli. Grazie infinite. <3
Baci,

Sy Hill <3<3<3




Stringendoci convulsamente le mani a vicenda, attraversammo il salone, ghermito d’invitati.
Intravidi tra la folla, l’espressione indolente e sprezzante di Lord Whittle.
« Siamo ancora in tempo per tornare indietro. » sussurrò Wilhelmina all’orecchio. « Non ci hanno ancora viste, possiamo dileguarci velocemente dietro uno dei pilastri e scomparire per qualche tempo su una qualche terrazza… »
« Non essere codarda, Wilhelmina. Fino a pochi secondi fa, avevi il mento alzato con fierezza e un passo deciso. »
« Perdonami, ma ho i nervi a fior di pelle. Avrei preferito evitare questa spiacevole situazione. Incontrare quel maleducato, per di più alla presenza di mio padre non è il più roseo scenario. »
« Credimi, » le dissi, spostando lo sguardo sulla figura imponente di Gabriel McHeart.
Si poteva dire qualunque cosa su di lui: che fosse scorbutico, freddo e cinico. Ma niente poteva togliere alla straordinaria bellezza, seppur non classica.
Anche se non ero propensa a seguire i dettami della moda corrente.
Le spalle larghe, la schiena dritta a dispetto dell’enorme mole di peso, una petto largo fasciato dalla camicia candida e il panciotto ricamato – che per un’assurda coincidenza coincideva proprio con il colore del mio vestito di velluto.
Mamanmi aveva dato il permesso di indossarlo, mettendo da parte, almeno per una volta, i soliti colori pastello e virginali che ero costretta a portare.
Si poteva dire che stavo uscendo dalla fascia di età consentita per indossare i colori delle debuttanti, entrando in quella delle zitelle.
Non potevo esserne più che felice. In questo modo, avrei avuto libertà e serenità per ancora un po’ di tempo, oltre alla facoltà di scegliere personalmente un marito – con il permesso di mio padre, era ovvio.
In questo, anche Wilhelmina era una perfetta candidata al ruolo di zitella e, secondo lei, era un’opportunità da sfruttare.
Avrebbe avuto il tempo per poter viaggiare, aveva detto, e la possibilità di fare tutte quelle cose che, negli anni antecedenti al sui debutto, le era stato vietato, perché troppo giovane.
Il padre, mi aveva spiegato, che le aveva posto una condizione: se non si fosse sposata per la fine di quella stagione, avrebbe esaudito il suo desiderio di esplorare il mondo.
Certo, se Wilhelmina si fosse innamorata – possibilità remota a suo avviso – non sarebbe potuta partire.
Ma era un’ipotesi remota, quasi incalcolabile, parole sue.
Tuttavia, in quel momento, mentre ci stavamo avvicinando ai nostri genitori, il suo sguardo di fuoco indaco era concentrato sul personaggio alto e completamente fuori posto in quella sala da ballo accanto a McHeart.
Quegli occhi grigio piombo trasmettevano un animo selvaggio difficile da nascondere, promettevano cose oscure e proibite.
Sentii Wilhelmina rabbrividire, e non credo che fosse per il freddo.
A pochi metri dal gruppo, mio padre si accorse della nostra presenza, sorridendo ad entrambe.
« Rachel, Wilhelmina! Ci stavamo chiedendo che fine aveste fatto. Piccole sciagurate a farci preoccupare. »
« Siamo qui, padre. Chiediamo scusa per il ritardo, ma siamo state fermate da tante di quelle persone nel tragitto. Sapete, » aggiunsi, voltando lo sguardo ironico verso Wilhelmina. « Ho la padrona di casa al braccio. »
Nel momento in cui parlai, lo sguardo di McHeart scivolò da mio padre a me e vi rimasero, leggermente socchiusi.
Vidi la sorpresa brillare in quegli occhi incolori e scintillati come diamanti, mentre il mio cuore accelerava i battiti sotto quello sguardo incredibilmente caldo. Lo vidi spostarsi con discrezione unita ad una certa dose di spudoratezza dalla punta dei capelli a quella dei piedi, soffermandosi in parti del corpo disdicevoli, facendomi tendere dal nervosismo.
Non era cosa normale per me essere sottoposta a un esame così accurato da parte del sesso forte. Di solito, un uomo si limitava ad un saluto cortese e un baciamano come da protocollo, prima di spostare l’attenzione su una damigella più interessata alle loro chiacchiere inutili e più inclini a rendesi disponibile per un qualsivoglia conoscenza più ravvicinata.
Quello sguardo che non accennava a lasciarmi, racchiudendomi dentro le sue spire ammalianti e proibite, suscitava una parte istintiva – quasi licenziosa – che mi spronava a ricambiarlo e giocare con lui.
Con la pura forza di volontà, mi costrinsi a lasciare quello sguardo, evitando di incontrarlo di nuovo, spostando l’attenzione su qualcun altro. E notai che non ero stata l’unica ad essere stata studiatacon irriverenza.
Lo straniero accanto a Lord Oscombt aveva squadrato Wilhelmina come se fosse stata un succulento dolce e lui fosse stato a digiuno da mesi.
Sentii la mano si Wilhelmina stringere la presa sul mio braccio in modo convulso, mentre le guance le si coloravano di un rosa tutt’altro che artificioso.
« Mie gentili figliole, » disse Lord Oscombt. « Ho il piacere di presentarvi questi due baldi gentiluomini. Mr Gabriel McHeart e il suo amico, Mr Alarik Sunders. »
I due uomini in questione si esibirono in un inchino e un baciamano.
Al primo tocco di quella grande e calda mano una forte sensazione, come un filmine, mi attraversò il braccio, facendomi sollevare gli occhi per incontrare i suoi.
Buon Dio, non avrei mai creduto possibile che due occhi così freddi a prima vista potessero essere caldi come una brace!
Perché quell’uomo era interessato a me?  Con un improvviso brivido pensai che forse aveva preso informazioni sulla mia famiglia e ora aveva solo intenzione di mettere le mani sulla mia dote.
Eppure, guardando quegli occhi di diamante, non aveva mai provato quella sensazione che mi suscitava nello stare davanti a Lord Whittle, per esempio. Non percepivo niente di negativo, solo una forza selvaggia male trattenuta nelle sue movente e nel suo modo di fare.
Tutto in lui suggeriva la non-appartenenza alla nobiltà inglese e, dovevo ammettere, che ne ero contenta.
Non avrei mai potuto sopportare che Gabriel McHeart fosse anche lontanamente simile ai damerini che giravano per le feste.
Inoltre, non dava segno di voler far sapere di esserci già incontrati e questo fece accrescere la stima che avevo di lui: solo un vero gentiluomo – anche se gentiluomo non era – si sarebbe comportato in quel modo.
«È un vero piacere fare la vostra conoscenza. » dissi, con un inchino.
Di solito non ero così audace, non mi permetteva mai di parlare per prima quando qualcuno si presentava.
Ma qualcosa mi diceva che McHeart non l’avrebbe nemmeno considerato.
« Il piacere è tutto mio, milady. » rispose, trattenendo la mano un po’ più del dovuto, prima di lasciarla.
Trattenendo la voglia di scoccargli un’occhiataccia, mi volta i verso i miei genitori intenti a parlare con Lord Oscombt.
Wilhelmina, notai, era intenta a scambiarsi sguardi disdegnati con Mr. Sunders.
« Non credo comunque, che possa nuocere ancora, dato quello che mi è stato riferito. » stava dicendo lord Oscombt all’indirizzo di mio padre.
« A cosa vi riferite, milord? » chiese mia madre.
« Vedete, pare che sia stato avvistato nei pressi di Suthen-on-sea*, circa una settimana fa, parecchio lontano da Londra e soprattutto in procinto di lasciare la costa. » riferì il Lord.
« Chiedo scusa, milord, » disse McHeart. « Potreste essere così gentile da ragguagliarci su quello di cui state discutendo? Chi è stato avvistato? »
« Avete ragione, McHeart. È logico che vuoi stranieri non sappiate dei recenti rapimenti di giovani donne in età da marito, da parte di un furfante di cui nome è a noi ancora sconosciuto. Chiedeva riscatti per le giovani, con la minaccia di comprometterle. Si è premurato di nascondere il suo nome alle orecchie delle povere giovani la cui reputazione veniva messa a rischio e celava il viso dietro una maschera di cuoio. Le autorità locali, lo hanno cercato in tutta la capitale, il re stesso ha designato una guarnigione alla sua cattura. Inoltre, è stata elargita una taglia sulla sua testa. E qualche giorno fa, un marinaio appena sbarcato lo ha notato in una bisca al porto, con al braccio… » Lord Oscombt lanciò un’occhiata a noi due giovani e si schiarì la voce. « Beh, avete capito. Ha subito informato un poliziotto che ha allertato Bow Street, in cui risiedevano gli agenti della corona. Sfortunatamente, non sono riusciti a prenderlo e adesso, per come ipotizzano gli agenti, si deve essere imbarcato per lasciare il Paese. »
« Dalla vostra espressione deduco che, come me, pensate che non sia mai salito su quella nave, non è vero? »
Il Lord sospirò. « Purtroppo sì. Ho provato a spiegarlo alle autorità, ma non hanno voluto ascoltarmi. Mi hanno riferito che, non sapendo dove cercare, avrebbero lasciato che fosse lui a fare la mossa successiva. Altrimenti, se veramente sia salito sulla nave, non avremmo più avuto problemi. »
Vidi McHeart scambiare un’occhiata strana con Mr Sunders.
Wilhelmina mi afferrò e la tirò leggermente indietro per avere un minimo di privacy.
« Ho sentito cose peggiore di quelle che loro hanno detto. » mi confidò. « Doris, la cameriera di una delle ragazze che è stata rapita, è cugina ad una delle mie sguattere e le ha riferito quello che ha sentito dire da un’altra cameriera della ragazza. » I suoi occhi viola di adombrarono. « Quel mostro non solo le rapisce, ma le… maltrattamentalmente. Dice loro quelle che farebbe, le chiude in uno stanzino senza finestre e senza luce e parla. Le brutture e gli orrori che posso uscire dalla sua bocca, dalla voce distorta dalla maschera, fanno accapponare la pelle e le povere vittime non posso fare niente per farlo smettere. E ride. »
Non potevo neanche provare a immaginare come si fossero sentire quelle povere giovani intrappolate chissà dove con quel degenerato.
« Cara, ti senti bene? » sentii chiedere a mia madre.
Presi un respiro profondo. « A dire il vero, ho un leggero giramento di testa. »
« Vieni ti accompagno al buffet a prendere un bicchiere di champagne. » si propose Wilhelmina. « Vogliate scusarci. Torniamo subito. »
Presa sotto braccio, ci dileguammo nella folla, dirette verso il tavolo dei rinfreschi.
« Mi dispiace, » si scusò lei. « Non avrei dovuto dirti quelle cose. Non sapevo fossi così impressionabile. »
« Non sono impressionabile, infatti. Ma non ho potuto fare a meno di sentirmi come se fossi in trappola anche io. »
« Ti capisco. Non vorrei mai trovami in quel genere di situazione. »
Arrivate al tavolo, prendemmo due bicchieri di champagne.
« Dimmi… che cosa ne pensi dei due forestieri? Come si stanno comportando? » chiese.
Mi schiarii discretamente la gola, quando rischiai di strozzarmi.
« Non eri tu quella che non riusciva a sopportare di essere anche solo nella stessa stanza con Mr Sunders? » protestai.
« Non ho cambiato idea.   solo… È non si stanno comportando male. »
Rimasi a guardarla, prima di sospirare poco elegantemente. « Giuro che certe volte non riesco proprio a capirti, Wilhelmina. »
Mi batté affettuosamente una mano. « Certe volte neanche io. »
 
*   *   * 

La festa si stava svolgendo nei migliore dei modi. Era quasi mezzanotte e Wilhelmina aveva ballato con non meno di sei pretendenti, tutti debitamente rimessi al loro posto.
La musica riempiva la sala ricolma di invitati.
Gentildonne racchiuse in abiti costosi e vaporosi, gentiluomini in giacche perlopiù nere e panciotti di ogni colore e sfumatura.
Anche nei corridoio c’era un via vai di gente, che cercava di riprendere fiato tra una danza e l’altra.
Stufa di rimanere al solito posto, vicino alle matrone, mi alzai dalla sedia e mi aggirai per il salone alla ricerca della strada verso la biblioteca.
Essenzialmente conoscevo Bridger House, quindi sapevo dove dirigermi, solo che in mezzo a tutto quella cacofonia di persone, non riuscivo a rendermi conto di dove andare.
Dopo aver imboccato uno dei corridoi laterali alla sala da ballo, mi accorsi di trovarmi nell’ala ovest della casa, cioè dalla parte opposta alla mia destinazione.
Sospirando, mi diressi in quella direzione, evitando di attraversare la sala. Meglio un po’ di moto dopo essere stata almeno un’ora seduta.
Non posso dire che non mi importava che nessuno si fosse fatto avanti ad invitarmi a ballare, perché un po’ feriva.
Essere sempre la seconda scelta, o la terza a seconda dei casi, era qualcosa che mi era sempre capitata fin dal debutto, tre anni addietro. Mi ci ero abituata, ma anche avendone l’abitudine, non potevo evitare di avere una fitta al cuore, vedendo un cavaliere avvicinarsi – la speranza che camminava sotto pelle – e poi guardare impotente quel suddetto cavaliere scegliere la dama alla mia destra o alla mia sinistra.
Stando soprappensiero, mi accorsi tardi di aver preso la via sbagliata, finendo nella parte meridionale della casa, dove si trovavano i salotti.
Sbuffando esasperata, mi voltai in giro per capire da che parte andare. La luce era fioca, visto che la maggior parte degli invitati era radunata dalle parti del salone, per cui  non mi accorsi della figura nascosta nell’ombra fino a che questa non uscì allo scoperto, agguantandomi un braccio.
Lanciai un grido di spavento, subito smorzato da una mano coperta da un guanto di cuoio.
Cercai in tutti i modi di liberarmi, dibattendomi con violenza, come un pesce fuor d’acqua, cercai anche di vedere il mio aggressore, ma fu tutto inutile. Una voce roca, distorta, mi avvertì di stare zitta, mentre mi trascinava verso un corridoio laterale lì vicino.
Possibile che nessuno avesse visto niente? O che non avessero sentito quel grido?
Con il cuore che batteva ferocemente, venivo trascinata a forza, lontana dagli occhi di tutti.
Decisa a non arrendermi, contorsi la testa, facendo cadere gli occhiali, sperando, pregando, che qualcuno li vedesse.
L’aggressione diede un forte strattone per rinsaldare la presa, diedi un colpo di frusta con la testa, che mi lasciò momentaneamente con la vista annebbiata e leggermente stordita.
Raggiungemmo il retro della casa – riconobbi i quadri alle pareti e il rapitore mi mandò a sbattere contro il muro.
L’aria fuoriuscì dai polmoni in un sol fiotto, e la testa parve esplodere, mentre mi accasciavo al suolo.
Quando rinvenni, mi accorsi di avere le mani e piedi legati e la bocca tappata da un fazzoletto ruvido, e la terra sotto di me ondeggiava.
Lo schiocco di una frusta mi fece riprendere, suggerendomi che non mi trovavo a terra, ma abbordo di una carrozza.
Guardando intorno, alla debole luce che entrava dallo spiraglio della tenda appena scostata, potei constatare – con sollievo – che ero sola e che, quindi, il conducente fosse il mio rapitore.
Aiutandomi con le mani dietro la schiena, spinsi con i piedi per cercare di risalire lungo lo sportello della carrozza, e dopo vari tentativi, grazie a Dio, riuscii a farcela.
Mantenendo una parvenza d’equilibrio, mi sposi dalla finestrella. Non riconobbi nulla. Eravamo in mezzo alla campagna, con solo la luce della luna a rischiarare le tenebre ed essendo dicembre, i dintorni erano tutti coperti da un manto di neve candida.
Battendo i denti per il freddo, mi lasciai cadere sul sedile, rannicchiandomi su me stessa per cercare di raccogliere tutto il calore che potevo.
Pensai di escogitare un piano, ma non sapendo dove stessimo andando, né il luogo in cui ci trovavamo, non avrei avuto alcuna speranza di ritrovare la strada di casa. Per di più, con il freddo e la neve, avrei rischiato di morire assiderata nel giro di una notte.
Mi venne in mente che nella nostra carrozza, normalmente, tenevamo delle coperte nello scomparto sotto un sedile.
Con la speranza nel cuore, mi alzai a sedere e, restando in equilibrio, provai ad alzare il sedile sotto di me.
Niente.
Non essendo detta l’ultima parola, mi girai in modo da trovarmi di spalle all’altro sedile e riprovai.
Si aprì.
Mormorando una preghiera di ringraziamento, mi girai e controllai l’interno dello scomparto.
C’era una coperta, e – anche se avevo avuto una vaga speranza – non trovai la pistola di riserva, che di solito era collocata negli appositi ganci.
Presi la coperta e goffamente, aiutandomi con i denti e le spalle, cercai di avvolgermela intorno. Mi rannicchiai nuovamente e osservando le nuvolette di vapore che uscivano ad ogni mio respiro dalla bocca, sperai che qualcuno avesse notato la mia scomparsa, prima di cadere in un sonno esausto.
 
Gabriel McHeart POV
 
La festa era in fermento, la musica coinvolgente e la compagnia gradevole.
Ma niente riusciva a cancellare l’espressione di noia sul viso di Gabriel.
Non che i padroni di casa non fossero brava gente, ma lui non era il tipo di persona che perde tempo a ballare, chiacchierare e giocare a carte.
Tirando un sospiro, lanciò un’occhiata in giro per la sala, fino a fermarsi sulla sedia, ora vuota, sulla quale sedeva la figlia di Lord Williams.
Quella ragazza aveva qualcosa, sconosciuto a Gabriel, che lo attirava come una sirena ammaliatrice attira un marinaio.
Quando l’aveva scorta, dopo essere entrata nella sala a braccetto con la figlia di Lord Oscombt, un senso di soddisfazione lo aveva invaso, anche se lui non ne aveva capito il motivo.
Il suo sguardo diretto, mascherato da una studiata apparenza di timidezza e gli occhialetti tondi, lo aveva colpito. Forse perché abituato con le donne delle Highlands, o forse solo perché era lei, con i suoi occhi interessanti e schietti, ma ad un tratto aveva provato l’impulso di conoscere tutto di lei, Rachel Williams.
Purtroppo, non poteva farlo, visto che era sparita da qualche parte.
Gabriel aveva passato la maggior parte del tempo a voltare lo sguardo nella sua direzione e, con un inusuale disappunto, aveva notato che nessuno uomo le si era avvicinato per invitarla a ballare.
Che gli uomini di Londra fossero tutti degli sciocchi stupidi e allocchi? Non vedevano quanto fossero fortunati ad avere una donna come Miss Williams lì con loro?
Si dichiarava colpevole per non aver lui stesso invitato la suddetta miss a ballare. Il guaio non era lei, ma lui, visto che non aveva idea di come si ballasse.
Nelle Highlands i balli erano diversi da quelli che erano diventati la moda nelle feste del ton.Però doveva ammettere che il ballo che aveva sentito chiamarsi walzer, lo avrebbe ballato volentieri con la giovinetta.
Un movimento alla sua sinistra attirò il suo sguardo.
Miss Oscombt stava girando per la sala, e l’espressione sul suo viso era tutt’altro che rilassata. Anzi, sembrava contorta dalla preoccupazione.
Le andò incontro, raggiungendola dietro il tavolo dei rinfreschi.
« Miss Oscombt, qualcosa non va? » chiese.
La ragazza sobbalzò, accorgendosi solo in quel momento dell’arrivo dello scozzese.
« Mi avete spaventata, Mr McHeart. » disse, portandosi una mano al cuore. « In effetti c’è qualcosa che non va. Non riesco a trovare la mia amica, Miss Rachel. Di solito, dopo qualche tempo, va nella biblioteca per leggere qualche libro, visto che non ama molto stare sedut… voglio dire, non le piace molto ballare. Ma quando sono arrivata nella biblioteca l’ho trovata vuota. Ho controllato anche nelle toilette e sul balcone, ma niente. Non riesco a trovarla. » concluse, fregandosi la fronte corrucciata.
Un senso d’inquietudine invase l’uomo che, promettendo alla giovane padrona di casa di tenere gli occhi aperti se avesse visto la sua amica, si avviò fuori dal salone.
Come guerriero delle Highlands, il minimo accenno di stranezza poteva risultare un particolare per una situazione più intricata.
Mentre camminava per il salone, incontrò un domestico e si fece dire dove fosse la biblioteca.
« Per raggiungere velocemente la stanza, dovete attraversare il salone e accedere al corridoio nella seconda porta sulla destra e poi svoltare a sinistra. Troverete la biblioteca aprendo la prima porta sulla destra. » gli rispose questi.
Però non gli era parso che Miss Williams avesse attraversato il salone e poteva saperlo bene, visto che aveva passato il suo tempo ad osservarla. Perciò doveva aver scelto un’altra strada.
« C’è un modo per arrivare alla biblioteca senza passare dal salone? » chiese allora.
Il domestico annuì. « Sì, certo. Dovete percorrere questo corridoio e poi svoltare verso destra e andare sempre avanti, così raggiungerete l’atrio e poi basterà seguire le istruzioni che vi ho precedentemente dato. »
Gabriel fece come era stato indicatogli, solo che arrivato al punto di svolta si fermò.
Aveva la sensazione, un sesto senso – affinato con anni di pratica – che gli diceva che la ragazza non si era diretta in biblioteca.
Guardandosi intorno, scorse un corridoio secondario, nascosto da una piccola tenda di velluto.
Tendendo occhi e orecchie aperti, vi si addentrò. Era semi-buio, qualche lanterna era accesa ad intervalli irregolari, illuminando fiocamente il percorso.
Arrivato quasi alla fine, scorse un debole luccichio proveniente da dietro un vaso lì posto.
Si avvicinò e, respirando affondo, raccolse la terra gli occhialetti rotondi che aveva osservato per tutta la sera.
Erano di Miss Williams e avevano un vetro rotto, segno che le erano caduti violentemente a terra.
Reprimendo il forte istinto che gli urlava di trovarla, tornò di fretta nel salone per cercare Alarik.
Lo trovò intento a calmare Miss Oscombt che, agitata, continuava a guardarsi intorno e a fulminare con gli occhi il suo amico.
« Alarik. » lo chiamò.
L’altro si voltò a guardarlo con sollievo, che subito si tramuto in sospetto appena lo vide serio in volto.
« Che cosa succede, fratello? »
« Avete trovato Rachel, signore? » gli chiese concitata Miss Oscombt.
« Signorina, posso chiederle di andare a chiamare Lord e Lady Williams? C’è una cosa che devono vedere. »
Senza fare domande, Wilhelmina fece come richiesto.
I genitori di Miss Williams gli andarono incontro e notando il suo sguardo, Lady Williams strinse il braccio del marito, che guardava Gabriel fisso negli occhi.
« Che cosa sta succedendo? Perché ci avete chiamato? » chiese subito il Lord appena Gabriel fu a portata d’orecchio discreto.
« Venite con me, » rispose lui, « non è luogo in cui parlare. Miss Oscombt fate strada alla biblioteca. »
Cinque minuti dopo, erano tutti in biblioteca, compreso Lord Oscombt, che li aveva raggiunti nel tragitto, avvisato dalla figlia.
« Perché ci avete chiamati? E dov’è mia figlia? » chiese Lady Williams.
« Miss Oscombt mi ha riferito che vostra figlia era andata in biblioteca, poco tempo fa, ma sono assolutamente sicuro che non l’abbia neanche raggiunta. » riferì Gabriel, tirando fuori gli occhiali rotti dalla tasca della giacca. « Ho trovato questi, in un corridoio dall’altra parte della sala. »
Gabriel porse gli occhiali ai genitori, mentre impallidivano e Lady Williams incominciava a tremare.
« Dov’è mia figlia? » chiese.
Non c’era un modo delicato per dirlo perciò andò dritto al punto dicendo: « Vostra figlia è scomparsa. »
Era sicuro di quell’affermazione, poiché, anche se non aveva chiesto in giro o cercato in altre parti della casa, avvertiva un vuoto che gli gracchiava all’orecchio, come un corvo, che la ragazza non era più nella casa.
Lord Williams, che stava consolando la moglie, scoppiata a piangere, chiese: « Che cosa credete che le sia successo? »
« Mi credete sulla parola? » chiese allora Gabriel, mentre Alarik al suo fianco si irrigidiva.
Era capitato molto spesso che le persone non si fidassero di quello che diceva, anche se, alla fine, aveva quasi sempre ragione.
In molte situazioni, le istruzioni, le motivazioni, le affermazioni, ogni parola che usciva dalla sua bocca era sta considerata una menzogna.
Quindi era comprensibile che ora cercasse una conferma.
« Mr McHeart, non abbiamo passato molto tempo insieme e non vi conosco bene, ma so intuire quando qualcuno cerca di imbrogliarmi. E posso scommettere entrambe le mie imprese che vuoi siete un uomo d’onore. Un guerriero che preferirebbe morire piuttosto che diventare in millantatore. »
In parte sollevato, in parte commosso da quelle parole, rispose: « Allora fidatevi di me quando vi dico che riuscirò a trovare la ragazza entro e non oltre tre giorni. »
« Questa è una scommessa. » cercò di sdrammatizzare Lord Oscombt.
Restituendo gli occhiali ai genitori della proprietaria, Gabriel si voltò verso Alarik e chiese: « Vieni con me? »
« C’è bisogno di chiederlo? Sai che sono il migliore a seguire le tracce. »
Ed era assolutamente vero.
 
  
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