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Autore: Horrorealumna    02/06/2012    1 recensioni
L’incubo sarebbe finalmente finito.
Insieme alla mia vita e alla sua.
L’incubo sarebbe finalmente finito.
Con la nostra morte.
Dopotutto non c’è niente da temere.
Perché temere la morte quando si ha già paura del buio?
Genere: Horror, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alessa Gillespie, Dahlia Gillespie
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Fear of ...'
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20 GIUGNO 1976
 
Le lacrime e l’indifferenza per la vita avevano lasciato il posto al dolore dell’anima e alla sofferenza interna di quel periodo.
Odiavo me stessa con tutto il cuore: l’avevo perdonata... e ora? Cos’altro mi restava da fare? Stare lì, seduta sul letto tutto il giorno, cercando di non immaginarmi mia madre come un’assassina di bambini? Anche io ero una bambina. Come poteva guardare i volti di quelle ragazze che bruciavano, solenni, per un bene superiore?
Io non avevo ancora dimenticato quell’orribile scena. Quel corpo... lo rivedevo bruciare nei miei incubi e cercare di afferrarmi per portarmi nel posto in cui era diretta.
L’inferno?
Mi sentivo inutile in quella casa.
Ma non piangevo più.
C’erano cose migliori per cui piangere.
Il giorno del mio compleanno Claudia non si fece vedere.
Allora sì che piansi.
Piansi perché ebbi l’oscuro presentimento che non l’avrei rivista presto.
 
E le giornate diventavano monotone e lunghe. Mi esercitavo, sempre più, a controllare i miei poteri.
Scoprii per caso di possedere l’abilità di controllare l’acqua, e riuscivo qualche volta ad ascoltare i pensieri della mamma. Mi capitò, un giorno, inavvertitamente, di levitare di qualche centimetro da terra e di riuscire a parlare con le farfalle che, come per magia, tornavano a vivere ogni volta che lo desideravo e che morivano tutte le volte che finivo di parlarle.
Dovevo essere concentrata per dare libertà ai miei poteri, oppure dovevo trovarmi in una condizione di stress o di tensione e paura.
Non era difficile. Bastava formulare il pensiero nella mente e il gioco era fatto!
Avrei tanto voluto insegnare tutto questo a Claudia.
Ma qualcosa mi diceva che era meglio tenere tutto questo con me, fino alla fine.
E forse era giusto.
Ma mi faceva stare male tenere tutto quello che di speciale possedevo dentro di me.
 
 
 
20 Giugno
 
Il giorno dopo il mio compleanno.
Avevo la preziosa spazzola d’argento nelle mani. Mi stavo pettinando. Cielo, quanto mi era mancato questo piccolo gesto quotidiano! Era davvero rilassante, stare seduta davanti allo specchio a curare il mio corpo. Mi specchiavo, canticchiando, e mi ammiravo per quella che ero. Inutile chiamare il mio riflesso, oramai scomparso: adesso sembravo molto più bella dell’altra me. Qualcosa... mi aveva fatto diventare così. Ma cosa?
Continuai a spazzolare i lunghi capelli neri, con dei gesti quasi automatici e involontari.
Sentii un brivido lungo la schiena. Un lungo brivido gelato.
Poi mi sentii afferrare, come da una mano invisibile, dalla spalla destra.
Mi fermai.
In silenzio fissai lo specchio: non c’era nessuno dietro di me.
Ma non me lo ero immaginato!
Posai delicatamente la spazzola e mi guardai intorno.
Sentii una risata.
- Chi c’è? – dissi con voce tremante a nessuno in particolare.
Mamma era al piano di sotto e la voce non era sua!
Uscii subito dalla stanza, tornando nella mia cameretta di corsa.
Ma la porta era chiusa.
- Cosa... ? – sussurrai – Apriti!
Niente. Restava immobile.
Buio.
Tutte le luci si spensero contemporaneamente, lasciandomi nell’oscurità totale.
Provai a raggiungere mamma al piano inferiore... ma le scale erano sparite, inghiottite dalle tenebre.
Restai a bocca aperta.
- Mamma!- urlai invano.
Vedevo una luce.
Sì, uno spiraglio di luce.
La raggiunsi in fretta, ansimando per l’affanno e la paura.
Sentivo le orecchie fischiare... un suono metallico... come il dondolare di una vecchia altalena... mi faceva venire la pelle d’oca.
Raggiunsi la luce per trovarmi... ancora nel bagno. Era illuminato.
Ma vuoto... ad eccezione del grande specchio.
Ma non poteva essere il mio specchio. Non riproduceva la realtà!
Le pareti del riflesso erano incrostate di sangue e il pavimento sembrava fatto da ferro arrugginito.
Mi stava venendo da vomitare!
C’ero anche io nello specchio.
Mi stavo spazzolando i capelli.
La mia pelle era bianca come la neve... un pallore quasi mortale.
I miei vestiti erano macchiati di sangue, come le mie mani.
Le labbra erano di un rosso innaturale e gli occhi erano spalancati.
Guardava verso di me, ma sembrava vedere qualcosa che io non potevo osservare.
Le sue mani si muovevano con una velocità sovrannaturale, non umana.
Gridai.
 
 
- Ahh!
Avevo aperto gli occhi.
- E’... stato il peggior incubo della mia vita... – mormorai, mettendomi a sedere ancora sconvolta.
Nessuno specchio. Le luci erano tutte accese.
Solo uno stupido ma spaventoso incubo.
Mi stropicciai gli occhi assonnati  e mi guardai intorno. Un nuovo giorno...
Mamma...
La sentii arrivare e subito aprii la porta col pensiero.
Si affacciò sull’uscio e mi guardò:
- Cos’hai deciso? – disse semplicemente con tono piatto.
Si riferiva alla Chiesa e al rito.
Sapeva già la mia risposta... ma non rifiutava mai di chiedermelo.
Scossi la testa, rimettendomi stesa e guardando le crepe sul soffitto. Non volevo guardarla negli occhi.
Silenzio. La porta si chiuse delicatamente dietro di me e mamma scese le scale.
Se ne era andata.
Ero sola ancora.
Ma ci ero abituata, purtroppo.
Avevo la casa tutta per me.
Vestita, corsi giù e uscii all’esterno e, seduta sull’erba, osservavo il via vai delle automobili.
Raccolsi qualche fiorellino e qualche filo d’erba e ne feci una bellissima coroncina floreale che posi sul mio capo. Afferrai un rametto abbastanza lungo e dissi alla strada:
- Ecco, la regina di Silent Hill. E voi, forestieri, come osate invadere il mio regno? Manderò il mio esercito a sterminarvi, insieme a tutti i rivoltosi e i ribelli.
Mi piaceva molto giocare alla “Regina”. Mi sentivo potente come non mai in quel ruolo.
- Vostra Maestà, mi conceda l’onore di questo ballo! – esclamai mettendomi in piedi lasciando lo “scettro” per terra.
Sentii come un carillon risuonare nella mia testa; una musica rilassante e dolcissima.
Feci finta d’avere davanti un bellissimo cavaliere.
Feci una piccola riverenza e cominciai a danzare regalmente con “lui”.
Eppure sembrava così vero. Era fantastico.
Volteggiavo e roteavo elegantemente senza sosta, sorridendo.
Come mi divertivo nel mio universo.
Il vento nei capelli e il sole su viso... mi erano mancati troppo, chiusa in quel lugubre sotterraneo.
Sentire di nuovo gli uccellini cinguettare felici era un’emozione inspiegabile.
Perché rinchiudersi in quella Cappella, se il mondo era così bello e invitante?
I grandi proprio non li capivo!
Perché stare là, ad uccidere e portare morte nei cuori della gente, e a pregare la venuta di un Paradiso che non volevo più?
Se per Paradiso intendevano un luogo raggiungibile solo con il sacrificio di povere bambine, preferivo l’Inferno!
Perché pregare quel Samael, quel “Dio”, che tanto non ascoltava neanche le preghiere di me, una bambina sola e spaventata?
Non credevo più a tutte quelle cose!
Io volevo vivere senza questo peso sulle spalle!
Avrei dato di tutto per lasciare questa città con la mamma, dimenticarci dell’Ordine e vivere da qualche altra parte.
Via da Silent Hill... avrei dovuto dirlo a mia madre... un giorno...
Ma non ne avrei mai avuto il coraggio, probabilmente: non riuscivo nemmeno a guardarla negli occhi.
 
Non chiusi occhio quella notte. Il solo pensiero di tornare nel mondo degli incubi mi dava il mal di testa.
Non volevo più sognare cose del genere.
Chissà come doveva essere... sognare cose belle.
 
   
 
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