Ciao a tutti!
Eccomi con un nuovo capitolo. Con
nuovi personaggi. Che ruolo avranno? E a cosa servirà quella fiala? Chi è in
realtà Yaone? Domande, domande...Fatemi sapere le
vostre idee. Forse qualcuno è un buon detective.
Grazie a tutti quelli che mi
leggono e commentano.
Buona lettura!!!
CAPITOLO 15
INCERTEZZE
Acqua.
Nera. Fredda. Acqua. Per
cancellare. Per cercare di togliere ogni traccia di quel colore, di quell’odore. Inutile. Dannatamente inutile. Acqua rossa. Scura.
Dolorosa.
Inuyasha continuava a sfregarsi freneticamente le mani. Ormai non
le sentiva neanche più. Troppo fredde per la corrente gelida. Troppo rosse per
lo sfregamento continuo. Ma non gli importava. Continuava. Anche perché gli
facevano male. E nella testa aveva solo il pensiero che quel dolore fosse giusto. Se lo meritasse. Voleva sentirlo, quel male.
La sensazione del gelo che ti brucia la pelle; che di azzanna la carne fino a
farti urlare. Del resto non gli importava nulla. Nulla. Neanche delle lacrime
che a stento riusciva a trattenere. Un riflesso incondizionato.
Di nuovo. Era successo di nuovo.
Aveva perso Tessaiga, e si era trasformato. Il sangue
demoniaco aveva preso il sopravvento. E lui si era trasformato. Era diventato
una macchina di morte. Un assassino. Che pregusta solo la sofferenza del suo
avversario. Un assassino sadico, senza più sangue nelle vene né lacrime in
corpo. Non era più lui.
Era successo già altre volte, ma
mai in modo così devastante. Mai con un rischio simile. Avrebbe voluto potersi
svegliare. Che tutto fosse solo un sogno. Un incubo. Terribile. Agghiacciante.
Ma solo quello. E invece la realtà era impressa nelle sue mani; sui suoi
artigli tinti di rosso. Sulla devastazione che aveva provocato. Su quelle
ferite. Inferte da lui.
Tuffò con rabbia ancora maggiore
le mani nell’acqua. Sapeva che era inutile. Che il riverbero rosso che vedeva
sulle mani non esisteva. Era solo frutto della sua testa. Solo la proiezione
del suo rimorso. Ma non riusciva a cacciarlo. A farlo sparire. Forse, non lo
voleva neanche Quella era la sua punizione…
“Inuyasha!
Adesso smettila! Non c’è più sangue sulle mani!”.
Le parole di Miroku
caddero nel vuoto. Per l’ennesima volta. L’hanyou era
come in trance. Non sentiva nulla. Non percepiva nulla. Solo il suo dolore. Il
monaco respirò profondamente. Non aveva potere su di lui. Non sarebbe mai
riuscito a destarlo da quello stato catatonico. Non lui.
Si passò una mano fra i corti
capelli, in un gesto di rassegnata impotenza. La tunica del braccio scivolò
piano, scoprendo una vistosa fasciatura che percorreva tutto l’avambraccio
sinistro. Era chiazzata di un tenue alone rossastro.
“Dovresti cambiare la benda. La
ferita potrebbe infettarsi”. Sango lo aveva raggiunto
alle spalle. Indossava ancora la sua tenuta da combattimento e il volto
appariva pallido e tirato. Doveva essere molto stanca.
Miroku annuì sommossamente, ma in quel
momento la sua ferita non gli dava preoccupazione. Era abituato a entrare in
contatto con lo youki e ad assorbirlo. L’avvelenamento
non lo preoccupava, e neanche una possibile infezione. Certo, il veleno
contenuto negli artigli di Inuyasha non era da
sottovalutare, ma lui non se ne diede pensiero. Non in quel momento.
“Guarda che parlo sul serio!”
Sango gli posò una mano sulla spalla, costringendolo a votarsi.
Gli occhi del monaco era lucidi. Forse aveva un po’ di febbre…Quasi senza
accorgersene, la sterminatrice distese la sua mano
sulla fronte di Miroku. Un contatto leggero, appena
una sfiorarsi della pelle. Ma il monaco provò un brivido lungo tutto il corpo.
Contrariamente alle sue abitudini, però, non si mosse. Era la prima vota che Sango gli si avvicinava così tanto di sua iniziativa. Che
lo sfiorava. Ed era una sensazione bellissima. No. Non avrebbe fatto nulla. Non
voleva rovinare quell’istante. Solo, chiuse gli
occhi.
“Forse hai un po’ di febbre…”. La
ragazza ritrasse la mano e arrossì al sorriso che le rivolse il monaco. “È
meglio se rientri con me”
“E come facciamo con Inuyasha? Non possiamo lasciarlo qui fuori. In queste
condizioni…”
Sango si morse il labbro inferiore. Anche a lei faceva male
vederlo in quello stato, ma non sapeva cosa fare per aiutarlo. Solo Kagome avrebbe potuto fare qualcosa, raggiungere la sua
mente con le parole, ma la ragazza, in quel momento non era nelle condizioni di
farlo.
“Lo so…Ma
non possiamo certo chiedere a Kagome di alzarsi. È
ancora debole, e poi…”
“Parlerò io con Inuyasha”
Il sussurro li fece voltare. In
piedi, accanto ad un albero che usava come sostegno, Kagome
guardava verso di loro con il respiro corto. Dalla tenda a quell’albero
erano solo pochi passi, ma le erano costati molta fatica. Sango
si precipitò da lei, aiutandola a reggersi in piedi e tempestandola di domante
e rimproveri, anche se bonari. Kagome non rispondeva.
I suoi occhi erano fissi su una macchia nera in mezzo al fiume. Miroku le si avvicinò e ne seguì
lo sguardo fino allo stesso punto. Aveva capito. Come Sango.
Era per questo che la giovane sterminatrice cercava in tutti i modi di
convincere Kagome a tornare indietro.
“Sei sicura?”
“Sì…”
Kagome non ricambiò neanche lo sguardo di Miroku.
Era troppo stanca. Ma voleva aiutarlo. Lui capì, perché accennò appena col capo
e prese Sango sottobraccio, riconducendola alla
tenda, ignorandone le lamentele. Peraltro sensate.
Si fermò solo un attimo.
“Se avrai bisogno, noi ci
saremo…”
Acqua.
Sentiva solo lo sciabordio
dell’acqua. E urla confuse nella sua mente. Urla che gli laceravano il cuore.
Continuava a lavarsi freneticamente le mani. Schiaffeggiandole contro la
superficie fredda e cristallina. Ferendosi sulle piccole pietre e sul ghiaccio.
Non si accorse neanche dai passi
incerti che infrangevano la corrente tranquilla. Sentì solo la sua voce vicina.
Molto vicina. E il cuore ebbe una stretta dolorosa.
“Inuyasha…”
Nascose di più la testa nelle
spalle e colpì l’acqua con forza ancora maggiore. Tonfi secchi. Schiocchi.
“Smettila! Basta Inuyasha!”
Le mani di Kagome
si era chiuse sulle sue. Le avevano strette, fermandone quell’altalena
folle e inutile. Le sue mani…Inuyasha le guardò.
Erano piccole e bianche. Fragili. Eppure avevano avuto la forza di prendere le
sue. Di toccare i suoi artigli.
Kagome si era inginocchiata nell’acqua. Avrebbe voluto poterlo
vedere in faccia, leggere nei suoi occhi. Ma lui teneva la testa china.
Cocciutamente.
Sospirò. Anche se non li vedeva,
poteva immaginare l’angoscia intrappolata nei suoi occhi. L’aveva già vista.
Iniziò ad accarezzarli piano una mano, poi il volto. Un tocco lento e delicato;
materno. Un tocco diverso dalle carezze che si erano scambiati di nascosto nei
giorni precedenti. Non era una carezza per amare, ma per consolare.
“Va tutto bene…Non è successo
niente di grave…Smettila di tormentarti…Va tutto bene…Davvero…”
Le parole gli giungevano ovattate
attraverso i sensi storditi. Ma neanche il tono riusciva a rilassarlo. A
confortarlo un po’.
Tutto bene?...Davvero stai dicendo
questo?...Non riesco a capire…No…Nulla va bene…
Finalmente, riuscì a guardarla in
volto. Sotto la luce della luna, il pallore della ragazza era ancora più
accentuato. Il volto era un po’ gonfio, con alcuni lividi vicino alla bocca e a
un occhio. E poi, c’erano le bende…Attorno ai polsi, alla testa, probabilmente
anche sul tronco doveva essere bendata, perché si muoveva piano e cercava di
evitare movimenti troppo bruschi.
Non hai pura di me?...Dopo quello
che ti ho fatto…
Era accaduto. La cosa che più
temeva si era avverata. L’aveva colpita. Brutalmente. Le si
era avventato contro con l’intento di ucciderla. Senza riuscirci, per
fortuna. Lei aveva solo tentato di farlo tornare normale, ma questa volta il
demone che dorme dentro di lui si era opposto. Troppo. Aveva reagito. E la sua
parte umana non aveva potuto far altro che assistere impotente alle azioni del
suo corpo. Aveva urlato. Ma nessuno lo aveva sentito. Aveva pianto. Ma le
lacrime non avevano bagnato gli occhi rossi di quel mostro. Perché lui in quel
momento era un mostro. Non un youkai. Solo un mostro.
Eppure, era sempre lui…Era il suo
corpo quello che gioiva delle urla che riusciva a strappare alla ragazza; che
la schiaffeggiava col desiderio di vedere la paura nei suoi occhi. Il terrore.
Voleva sentire l’odore del suo terrore. E poi, quando lei ormai non aveva più
voce per gridare, quando ormai era completamente svuotata da ogni forza e lo
guardava con occhi vuoti…Sangue. Aveva provato l’impulso di assaporare il suo
sangue. E l’aveva trafitta. Al fianco. Solo di striscio per fortuna. Perché Miroku era riuscito a proteggere Kagome
ricevendo lui per primo gli artigli. Gli avevano trapassato tutto l’avambraccio
e avevano colpito anche Kagome, ma il veleno lo aveva
assorbito tutto Miroku. Una fortuna. Altrimenti la
ragazza difficilmente sarebbe sopravvissuta.
“Dovresti odiarmi…”
Una consapevolezza. Che gli
faceva male al cuore. Perché lui amava quella ragazza. Lo sapeva. Lo aveva
capito finalmente. E l’idea che adesso lei fosse in
quello stato per colpa sua lo portava alla follia.
“Dopo quello
che è successo…Vattene! Torna nel tuo mondo, e non venire più
qui! Vai via e dimenticami!”
“No!”
Un urlo disperato. Più di quelli
che i suoi schiaffi le erano riusciti a strappare. Inuyasha
si sentì investire dal corpo della ragazza, dal suo profumo. Si sentì spingere
indietro e si ritrovò seduto sulla riva del torrente, con lei che piangeva
contro il suo petto.
“Ti prego…Ti prego, non mandarmi
via…”. Parole roche, spezzate dal pianto. Kagome non
lo voleva lasciare. Perché sapeva che non sarebbe mai riuscita a dimenticarlo.
E perché non voleva che lui si trasformasse di nuovo. Ne aveva avuto così
paura…Non riusciva a parlargli. In quei momenti, l’ego di Inuyasha,
quello del ragazzo che lei amava, era lontano, inghiottito dal suo stesso
corpo. Eppure, era sempre lui. E Kagome non riusciva
a pensare cosa potrebbe succedere se lei non gli fosse accanto. Cosa potrebbe
essere di lei stessa.
“Ma non capisci! Io sono
pericoloso! Questa volta ti ho solo picchiato, ma la prossima?...Potrebbe
non esserci Miroku a salvarti…Potresti morire…”
Per mano mia…
L’hanyou
l’aveva allontanata tenendola per le spalle. Non voleva che gli stesse così
vicina. Aveva paura di ferirla. Aveva paura di se stesso. In quel momento, maledisse suo padre per avergli dato il suo sangue
demoniaco. Per avergli lasciato quell’eredità troppo
pesante da sopportare. Perché l’unica soluzione che lui riusciva a vedere era
la solitudine. Se non voleva far del male a chi gli voleva bene, alle persone
cui lui voleva bene, doveva lasciarle. Soprattutto Kagome.
“Non m’importa! Perché tu non mi
ucciderai! Non sei tu quel mostro! Non lo sei! Lo capisci? Capisci che io non
riesco a starti lontano? Non posso!”.
Inuyasha l’abbracciò forte. Aveva vinto. Poteva restare. Lui la
forza di mandarla via non l’aveva. Perché di lei aveva bisogno. Del suo amore.
Per cercare di andare avanti. Per non sentirsi solo. Neanche in quei momenti.
“Vedrai…Troveremo una
soluzione…Un giorno, non dovrai più temere di trasformarti…” gli sussurrò Kagome affondando il volto nella sua spalla e accarezzandogli
il viso.
L’hanyou
annuì. Aveva ragione. Doveva trovare una soluzione. E a quel pensiero
un’immagine bianca sfuocata gli si materializzò nella testa.
Sesshomaru…Hai ragione a disprezzarmi…Non sono umano,
non sono demone…Sono solo un involucro che trasporta un mostro sanguinario…Hai
ragione a volermi uccidere…Fratello…Cosa posso fare?...
Shin si rilassò appoggiandosi alla parete. Era stanco. Molto
stanco. I generali erano appena usciti, e lui adesso poteva smettere quella
maschera di freddezza e autocontrollo che si doveva imporre durante quelle
riunioni.
Avrebbe voluto urlare, in certe
occasioni. Perché se anche era consapevole che una guerra va preparata anche a
tavolino, l’idea che i suoi uomini fossero considerati semplici pedine per ottenere
la vittoria non gli piaceva. Non gli era mai piaciuta.
E neanche a suo padre. Almeno,
una volta era così. Ma da qualche tempo, le loro opinioni avevano iniziato a
divergere. Tanto che il sospetto che lui, il principe ereditario, fosse in realtà incapace di occupare un giorno il posto del
padre, si era fatto strada nella mente di molti cortigiani. E suo padre
sembrava aver perso anche lui la stima che una volta gli mostrava.
Ma era strano. Suo padre era
sempre stato un signore attento ai suoi subordinati. Eppure, nell’ultimo
periodo, era cambiato. La volontà di vendetta lo stava portando alla follia.
Non riusciva a pensare ad altro. Solo al modo per vendicare l’antico affronto.
Per uccidere l’erede del suo nemico.
Shin si passò una mano sul volto. Anche lui voleva vendetta. La
giusta ricompensa dopo le sofferenze dell’esilio. Ma voleva anche lo scontro
leale. Come gli era stato insegnato. Altrimenti, non si sarebbe trattato più di
vendetta, ma di omicidio. E in quello non c’era nulla di glorioso. Ma non era
solo la gloria a muoverlo; aveva fatto un giuramento. Di uccidere l’uomo che
aveva assassinato Takakuni. Per questo accettava di
presenziare a quei interminabili consigli di guerra.
La porta si aprì. Non girò
nemmeno la testa. Sapeva chi fosse. Ed era contento
che lo avessero raggiunto. Ad occhi chiusi, fece un cenno, perché si
avvicinassero. Con loro non c’erano segreti. Con loro, anche le diverse
opinioni avevano voce.
“Allora fratellino! Com’è
andata?”
Shin fece una smorfia. Risposta ovvia. Il piano ideato dagli
illustri generali faceva acqua da molte parti, peggio di una barca ormai
destinata alla rottamazione.
“Non avvilirti! Ci siano noi a
darti una mano, no? Rimetteremo in sesto questo sgangherato progetto di
assedio. Assedio…Ma dico io! Non era meglio una bella
battaglia? O si vive o si muore. Altro che assedio!”
Shin sorrise. Inutile. Suo fratello non sarebbe cambiato mai.
Impulsivo come sempre. Ma anche molto sveglio. Aveva la capacità di rovesciare
le sorti di uno scontro con la sola intelligenza. Per poi lasciare a lui la
gloria. Shin questo non lo aveva mai sopportato.
Avevano anche litigato più volte per quel motivo. Se voleva degli onori, se li
sapeva benissimo conquistare da solo. Non aveva bisogno dell’elemosina di nessuno.
Anche se era lui l’erede, non gli piaceva che suo fratello facesse
di tutto per metterlo in mostra. Gli attriti con suo padre li avrebbe risolti
lui di persona. E poi, non erano molti.
“Smettila Yashi!
Non mi sembra il momento di scherzare!”
Shin sorrise dentro di sé. Adesso suo fratello avrebbe risposto
con una battuta e allora anche l’altro avrebbe replicato per le rime. Tutto
normale. Finalmente, respirava aria di casa. In fondo, gli erano mancati. Gli
erano mancate le litigate, i segreti, le confidenze, gli allenamenti… Erano
tutto il suo mondo. Era perché loro finalmente uscissero da quell’esilio
in cui erano nati e cresciuti che Shin aveva
accettato di combattere quella guerra che andava contro i suoi principi. Fin
dall’alleanza con Naraku e dall’uso dei fucili
corretti con un’arte proibita. Ma per loro, era pronto anche ha rinnegare se
stesso. I suoi fratelli…
Aprì finalmente gli occhi. Eccoli là, seduti davanti a lui. A scherzare allegramente.
Ma sapeva benissimo che all’occorrenza non c’erano demoni più potenti di loro.
E più fedeli. Non importava chi fosse l’erede. Loro
tre erano legati da un giuramento. E nessuno si sarebbe mai sognato di
infrangerlo.
Loro tre…Shin
era il maggiore, mentre Yashi e Koji
avevano la stessa età. Solo quella però, oltre al carattere. L’youkai li guardò. Ricordavano la verità? Forse no. Erano troppo piccoli ancora. Ma lui sì. La sapeva. E
forse un giorno l’avrebbe detta.
Yaone apparve al centro della piccola radura come se emergesse
dalle tenebre stesse. Eterea. E pericolosa. Estremamente. Molto più del suo
nuovo alleato.
Naraku non aveva mai provato nulla di simile. Attrazione e
repulsione al tempo stesso. Quell’alchimista era un
vero mistero. Fin dal suo odore distorto. Un mistero che lo intrigava. Terribilmente.
“L’hai portato?”
“Naturalmente!”. Sorriso
seducente. E inquietante. Yaone estrasse dal kimono
una piccola fiala con un liquido giallognolo. Il demone allungò la mano per
prenderla, ma la donna fece scivolare la fiala fra il collo dell’abito e iniziò
a camminare tranquillamente per la radura. Voleva conoscere bene quel
mezzo-demone che aveva l’aura di un youkai completo.
Forse gli sarebbe potuto tornare utile.
“Sai…Non credo che il mio signore
approverebbe il tuo piano…”
“Al contrario, invece…Quando lo
saprà, mi ringrazierà. Perché lo farò soffrire ancora di più. Ed è quello che
lui vuole. Vedere la sua preda contorcersi dal dolore.”
Un sorriso scaltro. No. Non era per quello che le aveva chiesto quel composto.
Era per evitare che tutti i suoi sforzi venissero
vanificati da un demone giunto all’improvviso dal continente. Non poteva
permetterlo.
“Lo vuoi per te, non è così?”
Yaone gli si era formata di fronte, fissandolo con le sue iridi bicrome. L’aveva capito. Come aveva fatto? Naraku si trovò impreparato a fornire una qualsiasi
risposta. E il suo silenzio era la migliore delle confessioni. Adesso, lei
avrebbe potuto smascherarlo e tutto il suo piano sarebbe andato in fumo. Un
lavoro lungo e paziente. Distrutto. Per una imprudenza
che non riusciva a capire di aver commesso.
La risata di Yaone
gli fece assottigliare lo sguardo. Non gli piaceva che qualcuno lo prendesse in giro. Per niente. Soprattutto, non gli piaceva
che fosse quella donna. Le disse di smetterla, ma lei
continuò, reclinando la testa fiera e mostrandogli la pelle liscia della gola.
Sarebbe bastato un attimo…Un colpo preciso e non avrebbe più parlato. Facile.
Come lo era stato liberarsi di quell’altro.
“Mi piaci”. Le parole bloccarono
la sua mano prima che vi concentrasse la sua aura
demoniaca. “Mi piace il tuo modo di fare. Agisci solo per te stesso. Bravo!”. E
abbozzò un applauso.
“Non scherzare con me. Rischi
molto.”
“Ah sì? E cosa, la vita forse?”. Di nuovo quella risata. Di nuovo quella
strana sensazione. E la domanda fissa in testa: chi era quella yasha?
Yaone gli mise in mano la provetta con un gesto fluido. La sua
pelle…era fredda. Ghiacciata. Come quella di un morto. Eppure il suo cuore
batteva. Lo aveva sentito benissimo.
“Ricorda! Il mio aiuto in cambio della
possibilità di usare la sfera”
Stava per allontanarsi, ma Naraku le cinse la vita, attirandola a sé.
“Perché?”. Yaone
lo fisso negli occhi intensamente. E così, anche il
grande Naraku era curioso. Voleva sapere cosa fosse. Perché gli avesse chiesto solo la possibilità di
usare la sfera una volta, invece che di averla per sempre.
Domande, domande…Me le hanno sempre fatte…E io non so mai
cosa rispondere…
“Lo saprai a suo tempo. Per ora
dovrai accontentarti di quella pozione”
“Mi devo fidare? In fondo, hai
ragione tu. C’è qualcuno che non approverebbe il mio piano…E tu potresti
decidere di fare il doppio gioco…” sibilo l’hanyou
serrando di più la presa. Gli occhi di Yaone si
incupirono.
“Stai pensando a Shin…Non preoccuparti. Io non gioco mai. Non con
l’alchimia.” Si liberò agilmente dalla stretta e si incamminò.
“E soprattutto, io non appartengo
a nessuno! Gioco solo per me stessa”