Anime & Manga > Inuyasha
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Autore: avalon9    21/12/2006    1 recensioni
Gli youkai sono essere terribili: affascinano e uccidono. Sono esseri diversi. I ningen sono insignificanti, per uno youkai; creature semplici, irrazionali, che trascinano la vita senza comprenderla. Dei ningen gli youkai non si curano; li ignorano con superiore indifferenza.
Sesshomaru è youkai ed è orgoglioso della sua essenza. Ma un inverno, incontrerà una ningen e, da quel momento, la linea netta che separa uomini e demoni inizierà ad assotigliarsi.
Genere: Romantico, Malinconico, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Sesshoumaru
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti

Ciao a tutti!

 

Eccomi con un nuovo capitolo. Con nuovi personaggi. Che ruolo avranno? E a cosa servirà quella fiala? Chi è in realtà Yaone? Domande, domande...Fatemi sapere le vostre idee. Forse qualcuno è un buon detective.

 

Grazie a tutti quelli che mi leggono e commentano.

 

Buona lettura!!!

 

 

 

 

CAPITOLO 15

INCERTEZZE

 

 

Acqua.

Nera. Fredda. Acqua. Per cancellare. Per cercare di togliere ogni traccia di quel colore, di quell’odore. Inutile. Dannatamente inutile. Acqua rossa. Scura. Dolorosa.

 

Inuyasha continuava a sfregarsi freneticamente le mani. Ormai non le sentiva neanche più. Troppo fredde per la corrente gelida. Troppo rosse per lo sfregamento continuo. Ma non gli importava. Continuava. Anche perché gli facevano male. E nella testa aveva solo il pensiero che quel dolore fosse giusto. Se lo meritasse. Voleva sentirlo, quel male. La sensazione del gelo che ti brucia la pelle; che di azzanna la carne fino a farti urlare. Del resto non gli importava nulla. Nulla. Neanche delle lacrime che a stento riusciva a trattenere. Un riflesso incondizionato.

 

Di nuovo. Era successo di nuovo. Aveva perso Tessaiga, e si era trasformato. Il sangue demoniaco aveva preso il sopravvento. E lui si era trasformato. Era diventato una macchina di morte. Un assassino. Che pregusta solo la sofferenza del suo avversario. Un assassino sadico, senza più sangue nelle vene né lacrime in corpo. Non era più lui.

 

Era successo già altre volte, ma mai in modo così devastante. Mai con un rischio simile. Avrebbe voluto potersi svegliare. Che tutto fosse solo un sogno. Un incubo. Terribile. Agghiacciante. Ma solo quello. E invece la realtà era impressa nelle sue mani; sui suoi artigli tinti di rosso. Sulla devastazione che aveva provocato. Su quelle ferite. Inferte da lui.

 

Tuffò con rabbia ancora maggiore le mani nell’acqua. Sapeva che era inutile. Che il riverbero rosso che vedeva sulle mani non esisteva. Era solo frutto della sua testa. Solo la proiezione del suo rimorso. Ma non riusciva a cacciarlo. A farlo sparire. Forse, non lo voleva neanche Quella era la sua punizione…

 

Inuyasha! Adesso smettila! Non c’è più sangue sulle mani!”.

 

Le parole di Miroku caddero nel vuoto. Per l’ennesima volta. L’hanyou era come in trance. Non sentiva nulla. Non percepiva nulla. Solo il suo dolore. Il monaco respirò profondamente. Non aveva potere su di lui. Non sarebbe mai riuscito a destarlo da quello stato catatonico. Non lui.

Si passò una mano fra i corti capelli, in un gesto di rassegnata impotenza. La tunica del braccio scivolò piano, scoprendo una vistosa fasciatura che percorreva tutto l’avambraccio sinistro. Era chiazzata di un tenue alone rossastro.

 

“Dovresti cambiare la benda. La ferita potrebbe infettarsi”. Sango lo aveva raggiunto alle spalle. Indossava ancora la sua tenuta da combattimento e il volto appariva pallido e tirato. Doveva essere molto stanca.

 

Miroku annuì sommossamente, ma in quel momento la sua ferita non gli dava preoccupazione. Era abituato a entrare in contatto con lo youki e ad assorbirlo. L’avvelenamento non lo preoccupava, e neanche una possibile infezione. Certo, il veleno contenuto negli artigli di Inuyasha non era da sottovalutare, ma lui non se ne diede pensiero. Non in quel momento.

 

“Guarda che parlo sul serio!”

 

Sango gli posò una mano sulla spalla, costringendolo a votarsi. Gli occhi del monaco era lucidi. Forse aveva un po’ di febbre…Quasi senza accorgersene, la sterminatrice distese la sua mano sulla fronte di Miroku. Un contatto leggero, appena una sfiorarsi della pelle. Ma il monaco provò un brivido lungo tutto il corpo. Contrariamente alle sue abitudini, però, non si mosse. Era la prima vota che Sango gli si avvicinava così tanto di sua iniziativa. Che lo sfiorava. Ed era una sensazione bellissima. No. Non avrebbe fatto nulla. Non voleva rovinare quell’istante. Solo, chiuse gli occhi.

 

“Forse hai un po’ di febbre…”. La ragazza ritrasse la mano e arrossì al sorriso che le rivolse il monaco. “È meglio se rientri con me”

 

“E come facciamo con Inuyasha? Non possiamo lasciarlo qui fuori. In queste condizioni…”

 

Sango si morse il labbro inferiore. Anche a lei faceva male vederlo in quello stato, ma non sapeva cosa fare per aiutarlo. Solo Kagome avrebbe potuto fare qualcosa, raggiungere la sua mente con le parole, ma la ragazza, in quel momento non era nelle condizioni di farlo.

 

“Lo so…Ma non possiamo certo chiedere a Kagome di alzarsi. È ancora debole, e poi…”

 

“Parlerò io con Inuyasha

 

Il sussurro li fece voltare. In piedi, accanto ad un albero che usava come sostegno, Kagome guardava verso di loro con il respiro corto. Dalla tenda a quell’albero erano solo pochi passi, ma le erano costati molta fatica. Sango si precipitò da lei, aiutandola a reggersi in piedi e tempestandola di domante e rimproveri, anche se bonari. Kagome non rispondeva. I suoi occhi erano fissi su una macchia nera in mezzo al fiume. Miroku le si avvicinò e ne seguì lo sguardo fino allo stesso punto. Aveva capito. Come Sango. Era per questo che la giovane sterminatrice cercava in tutti i modi di convincere Kagome a tornare indietro.

 

“Sei sicura?”

 

“Sì…”

 

Kagome non ricambiò neanche lo sguardo di Miroku. Era troppo stanca. Ma voleva aiutarlo. Lui capì, perché accennò appena col capo e prese Sango sottobraccio, riconducendola alla tenda, ignorandone le lamentele. Peraltro sensate.

 

Si fermò solo un attimo.

 

“Se avrai bisogno, noi ci saremo…”

 

 

 

 

Acqua.

Sentiva solo lo sciabordio dell’acqua. E urla confuse nella sua mente. Urla che gli laceravano il cuore. Continuava a lavarsi freneticamente le mani. Schiaffeggiandole contro la superficie fredda e cristallina. Ferendosi sulle piccole pietre e sul ghiaccio.

 

Non si accorse neanche dai passi incerti che infrangevano la corrente tranquilla. Sentì solo la sua voce vicina. Molto vicina. E il cuore ebbe una stretta dolorosa.

 

Inuyasha…”

 

Nascose di più la testa nelle spalle e colpì l’acqua con forza ancora maggiore. Tonfi secchi. Schiocchi.

 

“Smettila! Basta Inuyasha!”

 

Le mani di Kagome si era chiuse sulle sue. Le avevano strette, fermandone quell’altalena folle e inutile. Le sue mani…Inuyasha le guardò. Erano piccole e bianche. Fragili. Eppure avevano avuto la forza di prendere le sue. Di toccare i suoi artigli.

 

Kagome si era inginocchiata nell’acqua. Avrebbe voluto poterlo vedere in faccia, leggere nei suoi occhi. Ma lui teneva la testa china. Cocciutamente.

 

Sospirò. Anche se non li vedeva, poteva immaginare l’angoscia intrappolata nei suoi occhi. L’aveva già vista. Iniziò ad accarezzarli piano una mano, poi il volto. Un tocco lento e delicato; materno. Un tocco diverso dalle carezze che si erano scambiati di nascosto nei giorni precedenti. Non era una carezza per amare, ma per consolare.

 

“Va tutto bene…Non è successo niente di grave…Smettila di tormentarti…Va tutto bene…Davvero…”

 

Le parole gli giungevano ovattate attraverso i sensi storditi. Ma neanche il tono riusciva a rilassarlo. A confortarlo un po’.

 

Tutto bene?...Davvero stai dicendo questo?...Non riesco a capire…No…Nulla va bene…

 

Finalmente, riuscì a guardarla in volto. Sotto la luce della luna, il pallore della ragazza era ancora più accentuato. Il volto era un po’ gonfio, con alcuni lividi vicino alla bocca e a un occhio. E poi, c’erano le bende…Attorno ai polsi, alla testa, probabilmente anche sul tronco doveva essere bendata, perché si muoveva piano e cercava di evitare movimenti troppo bruschi.

 

Non hai pura di me?...Dopo quello che ti ho fatto…

 

Era accaduto. La cosa che più temeva si era avverata. L’aveva colpita. Brutalmente. Le si era avventato contro con l’intento di ucciderla. Senza riuscirci, per fortuna. Lei aveva solo tentato di farlo tornare normale, ma questa volta il demone che dorme dentro di lui si era opposto. Troppo. Aveva reagito. E la sua parte umana non aveva potuto far altro che assistere impotente alle azioni del suo corpo. Aveva urlato. Ma nessuno lo aveva sentito. Aveva pianto. Ma le lacrime non avevano bagnato gli occhi rossi di quel mostro. Perché lui in quel momento era un mostro. Non un youkai. Solo un mostro.

 

Eppure, era sempre lui…Era il suo corpo quello che gioiva delle urla che riusciva a strappare alla ragazza; che la schiaffeggiava col desiderio di vedere la paura nei suoi occhi. Il terrore. Voleva sentire l’odore del suo terrore. E poi, quando lei ormai non aveva più voce per gridare, quando ormai era completamente svuotata da ogni forza e lo guardava con occhi vuoti…Sangue. Aveva provato l’impulso di assaporare il suo sangue. E l’aveva trafitta. Al fianco. Solo di striscio per fortuna. Perché Miroku era riuscito a proteggere Kagome ricevendo lui per primo gli artigli. Gli avevano trapassato tutto l’avambraccio e avevano colpito anche Kagome, ma il veleno lo aveva assorbito tutto Miroku. Una fortuna. Altrimenti la ragazza difficilmente sarebbe sopravvissuta.

 

“Dovresti odiarmi…”

 

Una consapevolezza. Che gli faceva male al cuore. Perché lui amava quella ragazza. Lo sapeva. Lo aveva capito finalmente. E l’idea che adesso lei fosse in quello stato per colpa sua lo portava alla follia.

 

“Dopo quello che è successo…Vattene! Torna nel tuo mondo, e non venire più qui! Vai via e dimenticami!”

 

“No!”

 

Un urlo disperato. Più di quelli che i suoi schiaffi le erano riusciti a strappare. Inuyasha si sentì investire dal corpo della ragazza, dal suo profumo. Si sentì spingere indietro e si ritrovò seduto sulla riva del torrente, con lei che piangeva contro il suo petto.

 

“Ti prego…Ti prego, non mandarmi via…”. Parole roche, spezzate dal pianto. Kagome non lo voleva lasciare. Perché sapeva che non sarebbe mai riuscita a dimenticarlo. E perché non voleva che lui si trasformasse di nuovo. Ne aveva avuto così paura…Non riusciva a parlargli. In quei momenti, l’ego di Inuyasha, quello del ragazzo che lei amava, era lontano, inghiottito dal suo stesso corpo. Eppure, era sempre lui. E Kagome non riusciva a pensare cosa potrebbe succedere se lei non gli fosse accanto. Cosa potrebbe essere di lei stessa.

 

“Ma non capisci! Io sono pericoloso! Questa volta ti ho solo picchiato, ma la prossima?...Potrebbe non esserci Miroku a salvarti…Potresti morire…”

 

Per mano mia…

 

L’hanyou l’aveva allontanata tenendola per le spalle. Non voleva che gli stesse così vicina. Aveva paura di ferirla. Aveva paura di se stesso. In quel momento, maledisse suo padre per avergli dato il suo sangue demoniaco. Per avergli lasciato quell’eredità troppo pesante da sopportare. Perché l’unica soluzione che lui riusciva a vedere era la solitudine. Se non voleva far del male a chi gli voleva bene, alle persone cui lui voleva bene, doveva lasciarle. Soprattutto Kagome.

 

“Non m’importa! Perché tu non mi ucciderai! Non sei tu quel mostro! Non lo sei! Lo capisci? Capisci che io non riesco a starti lontano? Non posso!”.

 

Inuyasha l’abbracciò forte. Aveva vinto. Poteva restare. Lui la forza di mandarla via non l’aveva. Perché di lei aveva bisogno. Del suo amore. Per cercare di andare avanti. Per non sentirsi solo. Neanche in quei momenti.

 

“Vedrai…Troveremo una soluzione…Un giorno, non dovrai più temere di trasformarti…” gli sussurrò Kagome affondando il volto nella sua spalla e accarezzandogli il viso.

 

L’hanyou annuì. Aveva ragione. Doveva trovare una soluzione. E a quel pensiero un’immagine bianca sfuocata gli si materializzò nella testa.

 

Sesshomaru…Hai ragione a disprezzarmi…Non sono umano, non sono demone…Sono solo un involucro che trasporta un mostro sanguinario…Hai ragione a volermi uccidere…Fratello…Cosa posso fare?...

 

 

 

 

Shin si rilassò appoggiandosi alla parete. Era stanco. Molto stanco. I generali erano appena usciti, e lui adesso poteva smettere quella maschera di freddezza e autocontrollo che si doveva imporre durante quelle riunioni.

 

Avrebbe voluto urlare, in certe occasioni. Perché se anche era consapevole che una guerra va preparata anche a tavolino, l’idea che i suoi uomini fossero considerati semplici pedine per ottenere la vittoria non gli piaceva. Non gli era mai piaciuta.

 

E neanche a suo padre. Almeno, una volta era così. Ma da qualche tempo, le loro opinioni avevano iniziato a divergere. Tanto che il sospetto che lui, il principe ereditario, fosse in realtà incapace di occupare un giorno il posto del padre, si era fatto strada nella mente di molti cortigiani. E suo padre sembrava aver perso anche lui la stima che una volta gli mostrava.

 

Ma era strano. Suo padre era sempre stato un signore attento ai suoi subordinati. Eppure, nell’ultimo periodo, era cambiato. La volontà di vendetta lo stava portando alla follia. Non riusciva a pensare ad altro. Solo al modo per vendicare l’antico affronto. Per uccidere l’erede del suo nemico.

 

Shin si passò una mano sul volto. Anche lui voleva vendetta. La giusta ricompensa dopo le sofferenze dell’esilio. Ma voleva anche lo scontro leale. Come gli era stato insegnato. Altrimenti, non si sarebbe trattato più di vendetta, ma di omicidio. E in quello non c’era nulla di glorioso. Ma non era solo la gloria a muoverlo; aveva fatto un giuramento. Di uccidere l’uomo che aveva assassinato Takakuni. Per questo accettava di presenziare a quei interminabili consigli di guerra.

 

La porta si aprì. Non girò nemmeno la testa. Sapeva chi fosse. Ed era contento che lo avessero raggiunto. Ad occhi chiusi, fece un cenno, perché si avvicinassero. Con loro non c’erano segreti. Con loro, anche le diverse opinioni avevano voce.

 

“Allora fratellino! Com’è andata?”

 

Shin fece una smorfia. Risposta ovvia. Il piano ideato dagli illustri generali faceva acqua da molte parti, peggio di una barca ormai destinata alla rottamazione.

 

“Non avvilirti! Ci siano noi a darti una mano, no? Rimetteremo in sesto questo sgangherato progetto di assedio. Assedio…Ma dico io! Non era meglio una bella battaglia? O si vive o si muore. Altro che assedio!”

 

Shin sorrise. Inutile. Suo fratello non sarebbe cambiato mai. Impulsivo come sempre. Ma anche molto sveglio. Aveva la capacità di rovesciare le sorti di uno scontro con la sola intelligenza. Per poi lasciare a lui la gloria. Shin questo non lo aveva mai sopportato. Avevano anche litigato più volte per quel motivo. Se voleva degli onori, se li sapeva benissimo conquistare da solo. Non aveva bisogno dell’elemosina di nessuno. Anche se era lui l’erede, non gli piaceva che suo fratello facesse di tutto per metterlo in mostra. Gli attriti con suo padre li avrebbe risolti lui di persona. E poi, non erano molti.

 

“Smettila Yashi! Non mi sembra il momento di scherzare!”

 

Shin sorrise dentro di sé. Adesso suo fratello avrebbe risposto con una battuta e allora anche l’altro avrebbe replicato per le rime. Tutto normale. Finalmente, respirava aria di casa. In fondo, gli erano mancati. Gli erano mancate le litigate, i segreti, le confidenze, gli allenamenti… Erano tutto il suo mondo. Era perché loro finalmente uscissero da quell’esilio in cui erano nati e cresciuti che Shin aveva accettato di combattere quella guerra che andava contro i suoi principi. Fin dall’alleanza con Naraku e dall’uso dei fucili corretti con un’arte proibita. Ma per loro, era pronto anche ha rinnegare se stesso. I suoi fratelli…

 

Aprì finalmente gli occhi. Eccoli là, seduti davanti a lui. A scherzare allegramente. Ma sapeva benissimo che all’occorrenza non c’erano demoni più potenti di loro. E più fedeli. Non importava chi fosse l’erede. Loro tre erano legati da un giuramento. E nessuno si sarebbe mai sognato di infrangerlo.

 

Loro tre…Shin era il maggiore, mentre Yashi e Koji avevano la stessa età. Solo quella però, oltre al carattere. L’youkai li guardò. Ricordavano la verità? Forse no. Erano troppo piccoli ancora. Ma lui sì. La sapeva. E forse un giorno l’avrebbe detta.

 

 

 

 

Yaone apparve al centro della piccola radura come se emergesse dalle tenebre stesse. Eterea. E pericolosa. Estremamente. Molto più del suo nuovo alleato.

Naraku non aveva mai provato nulla di simile. Attrazione e repulsione al tempo stesso. Quell’alchimista era un vero mistero. Fin dal suo odore distorto. Un mistero che lo intrigava. Terribilmente.

 

“L’hai portato?”

 

“Naturalmente!”. Sorriso seducente. E inquietante. Yaone estrasse dal kimono una piccola fiala con un liquido giallognolo. Il demone allungò la mano per prenderla, ma la donna fece scivolare la fiala fra il collo dell’abito e iniziò a camminare tranquillamente per la radura. Voleva conoscere bene quel mezzo-demone che aveva l’aura di un youkai completo. Forse gli sarebbe potuto tornare utile.

 

“Sai…Non credo che il mio signore approverebbe il tuo piano…”

 

“Al contrario, invece…Quando lo saprà, mi ringrazierà. Perché lo farò soffrire ancora di più. Ed è quello che lui vuole. Vedere la sua preda contorcersi dal dolore. Un sorriso scaltro. No. Non era per quello che le aveva chiesto quel composto. Era per evitare che tutti i suoi sforzi venissero vanificati da un demone giunto all’improvviso dal continente. Non poteva permetterlo.

 

“Lo vuoi per te, non è così?”

 

Yaone gli si era formata di fronte, fissandolo con le sue iridi bicrome. L’aveva capito. Come aveva fatto? Naraku si trovò impreparato a fornire una qualsiasi risposta. E il suo silenzio era la migliore delle confessioni. Adesso, lei avrebbe potuto smascherarlo e tutto il suo piano sarebbe andato in fumo. Un lavoro lungo e paziente. Distrutto. Per una imprudenza che non riusciva a capire di aver commesso.

 

La risata di Yaone gli fece assottigliare lo sguardo. Non gli piaceva che qualcuno lo prendesse in giro. Per niente. Soprattutto, non gli piaceva che fosse quella donna. Le disse di smetterla, ma lei continuò, reclinando la testa fiera e mostrandogli la pelle liscia della gola. Sarebbe bastato un attimo…Un colpo preciso e non avrebbe più parlato. Facile. Come lo era stato liberarsi di quell’altro.

 

“Mi piaci”. Le parole bloccarono la sua mano prima che vi concentrasse la sua aura demoniaca. “Mi piace il tuo modo di fare. Agisci solo per te stesso. Bravo!”. E abbozzò un applauso.

 

“Non scherzare con me. Rischi molto.”

 

“Ah sì? E cosa, la vita forse?”. Di nuovo quella risata. Di nuovo quella strana sensazione. E la domanda fissa in testa: chi era quella yasha?

 

Yaone gli mise in mano la provetta con un gesto fluido. La sua pelle…era fredda. Ghiacciata. Come quella di un morto. Eppure il suo cuore batteva. Lo aveva sentito benissimo.

 

“Ricorda! Il mio aiuto in cambio della possibilità di usare la sfera”

 

Stava per allontanarsi, ma Naraku le cinse la vita, attirandola a sé.

 

“Perché?”. Yaone lo fisso negli occhi intensamente. E così, anche il grande Naraku era curioso. Voleva sapere cosa fosse. Perché gli avesse chiesto solo la possibilità di usare la sfera una volta, invece che di averla per sempre.

 

Domande, domande…Me le hanno sempre fatte…E io non so mai cosa rispondere…

 

“Lo saprai a suo tempo. Per ora dovrai accontentarti di quella pozione”

 

“Mi devo fidare? In fondo, hai ragione tu. C’è qualcuno che non approverebbe il mio piano…E tu potresti decidere di fare il doppio gioco…” sibilo l’hanyou serrando di più la presa. Gli occhi di Yaone si incupirono.

 

“Stai pensando a Shin…Non preoccuparti. Io non gioco mai. Non con l’alchimia.” Si liberò agilmente dalla stretta e si incamminò.

 

“E soprattutto, io non appartengo a nessuno! Gioco solo per me stessa”

 

  
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