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Autore: kejti    03/06/2012    0 recensioni
I ’60 furono gli anni delle novità e delle proteste. In America le persone di colore chiedevano allo stato gli stessi diritti dei bianchi, le donne iniziavano il loro percorso per l’emancipazione, Neil Armstrong era il primo uomo a camminare sulla Luna e i Beatles diventavano un gruppo leggenda nella storia della musica. Io invece nei ’60 diventavo donna. Uscivo dalla stanza perfetta in cui ero vissuta per 17 anni e facevo la conoscenza del mondo vero, quello di cui ricordi tutte le risate e i pianti.[...]
Magari miei cari lettori, in queste poche righe vi ho annoiata e me ne dispiaccio, ma credetemi anche queste poche parole che per voi hanno poco valore servono a farvi capire la mia storia, che inizia appunto il 17 settembre 1967. Perché quel giorno, vi state forse chiedendo? Perché dopo diciassette anni in cui la vita mi rincorreva, quel giorno, per la prima volta fui io a rincorrerla…
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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VI CAPITOLO

 

-Mi avresti mai chiesto di uscire con te?- gli chiesi.

La domanda era uscita dalle mie labbra spontaneamente, il mio cervello non aveva avuto neanche il tempo di pensare qualcosa a cui rispondere che mi ero ritrovare io a chiedere qualcosa a lui.

-Non capisco...?-

-Perché tu mi avresti dovuto chiedere di uscire, come mai tutto questo interesse nei miei confronti, quando prima mi degnavi a mala pena di uno sguardo?-

Mentre parlavo e chiedevo delle risposte ero consapevole che stavo portando il fragile rapporto che io e Brandon stavamo costruendo alla deriva.

-Non ti ho appena chiesto di sposarmi, solo di uscire, non confondere le cose...-

-Non l'ho mai fatto... Vedi se mi avesse chiesto un appuntamento un qualsiasi altro ragazzo avrei risposto in fretta, ma tu... tu sei diverso, non fai mai nulla per caso, se vuoi uscire con me- mi fermai e presi forza per continuare il discorso - c'è un motivo preciso e io voglio sapere qual è -

Si girò verso di me e mi guardò negli occhi per un attimo,poi ritornò alla posizione precedente.

-Me l'aveva chiesto mia madre- disse con voce ferma e decisa. -Mi dispiace- aggiunse infine girandosi verso di me.

Per qualche secondo si sentì solo il rumore dello schiaffo che aveva ricevuto e che in realtà più che a lui avrei voluto dare a me. Se non avessi fatto la difficile, sarei rimasta con l'idea che lui aveva avuto piacere di uscire con me, sarebbe passato un po' di tempo e lui probabilmente non mi avrebbe più degnata di uno sguardo come sempre, ma mi sarei sempre comunque detta che in un certo senso ero uscita con lui, avevamo avuto un appuntamento. Mi sentivo una stupida: Cassandra sempre a cercare la verità,non potevo per una volta lasciar stare e far finta di niente, era così difficile per me avere una domanda senza risposta?

-Non fa niente, tranquillo- dissi con lo sguardo fisso nel vuoto. Uscii dalla macchina e mi incamminai verso casa. Dopo qualche metro, sentii il rombo del motore e l'auto partire.

Quando arrivai davanti alla porta d'ingresso, presi un grosso respirone e suonai il campanello per farmi aprire da qualche domestico.

-Ben ritornata signorina-

-Ciao Mary-

Me ne andai direttamente in camera mia. Mi sentivo un soldato che aveva appena perso la guerra. Una sola frase e tutti i bei momenti che avevo trascorso con Lui alla festa di Amelia erano diventati orribili. Una parte di me avrebbe avrebbe voluto buttarsi sul letto e soffocare le lacrime con il cuscino, ma un' altra, quella che alla fine seguivo sempre mi fece rimanere seduta su una sedia e non mi permise di piangere. Perché dovevo piangere, poi? Non provavo nulla per lui, le sue parole mi dovevano scivolare addosso....

l'orgoglio quel pomeriggio fu il mio unico alleato. “Mai Cassandra Hudson si sarebbe buttata giù per un uomo, mai” mi ripetevo.

La domenica la passai sola. I domestici avevano il giorno libero e i miei genitori avevano deciso di passare la giornata fuori e sarebbe tornati la sera tardi. Dopo aver finito i compiti di scuola, passai la mattinata senza trovare un attimo di pace, non riuscivo a rimanere in una stanza per più di mezz'ora, neanche i libri riuscirono a calmarmi, così di pomeriggio decisi di andare al cinema, lì di certo non potevo muovermi.

Scelsi la prima sala che aveva ancora qualche posto libero, senza neanche prestare attenzione al film che avrei visto e mi sedetti al mio posto.

Pessima scelta la mia, il film, che scoprii essere horror dopo i titoli d'inizio era realizzato male, gli attori non sapevano recitare e la trama era debole. Quando ritornai a casa, verso le nove e mezza di sera, prenotai una pizza e poi mi auto imposi di rimanere in camera mia a leggere un libro. La notte riuscii ad addormentarmi solo verso le due e la mattina mi svegliai tardi per scuola.

Arrivai in classe un minuto prima dell'insegnante con il respiro corto per la corsa che avevo dovuto fare dal parcheggio fino all'aula. Passai le prime ore a fare finta di essere interessata alle spiegazioni, poi come ogni giorno alle tredici mi diressi in sala pranzo e, dopo aver preso qualcosa da magiare, mi sedetti al solito tavolo. Cercai con lo sguardo dove fosse Brandon e lo trovai come sempre al solito posto con un espressione in volto piuttosto pensierosa.

Mangiai in silenzio il mio pranzo costretta a far finta di ascoltare quello che stava dicendo Amelia, poiché per la fretta quel giorno mi ero dimentica il libro che avevo iniziato a leggere a casa. Iniziai a considerare il mondo esterno solo quando mi accorsi che Amelia non stava più parlando e l'attenzione di tutte le persone nel mio tavolo era rivolta a qualcun altro. La curiosità mi spinse ad alzare la testa. Vidi Brandon in piedi con il vassoio.

-Se non vi dispiace ragazzi posso sedermi con voi oggi?- chiese, sfoggiando il suo sorriso migliore.

Amelia fu la prima a riprendesi dalla sorpresa di vedere il principe della solitudine davanti a lei.

-Ma certo Brandon, ci mancherebbe! Vieni dai!- con la mano gli fece segno di sedersi accanto a lei, ma lui al contrario fece metà giro del tavolo e prese posto accanto a me. Sul volto di Amelia ci fu prima meraviglia e poi rabbia. Mi uccise con lo sguardo. Ignorai sia Brandon che Amelia e continuai semplicemente a mangiare. Dopo aver finito il mio pasto mi alzai e salutai. Con la coda degli occhi notai che Brandon aveva seguito ogni mio movimento.

Per due settimane continuò a sedersi accanto a me, parlava con tutti, scherzava e poi quando credeva di non essere visto osservava ogni mia piccola reazione. I primi giorni lessi nel suo viso la convinzione che la rabbia nei suoi confronti mi avrebbe portato a rompere il silenzio, ma poi, dopo quasi dieci giorni di assoluta indifferenza ad ogni suo gesto, era esasperato, non sapeva cosa fare.

Il mercoledì era l' unico giorno della settimana durante il quale all'ultima ora non avevo mai cinema, ma ginnastica. Era una regola della S. Catherine: i ragazzi dovevano fare almeno 60 minuti di sport. Il coach Cooper,uomo vicino alla pensione con un pessimo carattere, sapeva che nessuna delle alunne di quell'ora aveva grandi attitudini per la materia, quindi ci faceva giocare a pallavolo, uno sport che a suo avviso era poco pericoloso e che tranne alla battuta non dava poi così grandi difficoltà alle persone.

Stavo saltando per fare, o almeno tentare di fare muro, alle avversarie dell'altra squadra, ma poi quando ero arrivata nuovamente a terra un forte dolore alla caviglia della gamba destra, mi portò a perdere l'equilibrio e cadere sul pavimento.

-Hudson che diavolo hai combinato!?- urlò il coach Cooper tra il preoccupato e l'arrabbiato.

-Non lo so ! Ahia! La caviglia...ho un forte dolore alla caviglia!- tentai di spiegargli

-Ragazza mia, possibile che tu sia così impedita anche nella pallavolo!?- chiese più a se stesso che a me.

-Grazie- biascicai

-Cosa hai detto Hudson!?-

-Ahia! La caviglia-

Su via Hudson mica le hanno sparato, forza andiamo in infermeria... si alzi lentamente, niente mosse troppo veloci-

In infermeria Cooper mi fasciò la caviglia , disse che era slogata e che per almeno 20 giorni mi sarei dovuta muovere con delle stampelle. Alla fine dell'ora uscii dalla palestra dolorante e arrabbiata, dovevo trovare una maniera per ritornare a casa. Mentre mi dirigevo verso il parcheggio, sentii la voce di Brandon chiamarmi, a quel punto cercai di accelerare un po' la mia andatura, rischiando due o tre volte di cadere.

-Andiamo Cassie neanche tu sei così infantile, insomma capisco che ora io non faccia parte della cerchia dei tuoi preferiti, ma tentare di andare più veloce con delle stampelle è da bambini di sette anni- mi disse , bloccandomi la strada.

-Senti Brandon ho un forte dolore alla caviglia, sono arrabbiata nera e puzzo perchè non sono riuscita neanche a cambiarmi dall'ora di ginnastica ,quindi togliti di mezzo e lasciami passare!- gli urlai contro.

-E' la prima volta che ti vedo così arrabbiata- mi prese in giro, al che cercai di andare avanti.

-Andiamo scheggia fermati, l'ho capito che non vuoi vedermi e neanche parlarmi, ma mi immagino ti serva passaggio, no? Almeno che tu non sappia guidare con una caviglia slogata-disse raggiungendomi.

-Cos'è, ti ha chiesto di darmi un passaggio Barbara?- gli chiesi strafottente

-Sei ancora arrabbiata come sabato,vedo. Ma toglimi una curiosità: sei più infastidita dal fatto che mi avesse chiesto Barbara di uscire con te o dal fatto che non avresti mai avuto questa informazione se non avessi insistito tanto?- mi domandò guardandomi serio in viso.

-Senti Brandon non ci sono rimasta male per sabato, credimi... ci costringono a passare del tempo insieme da quando ci conosciamo e se... se lo vuoi proprio sapere in questi giorni non ti ho parlato per non farti fare più qualcosa che non volevi, va bene? Ora che hai avuto la tua spiegazione volatizzati e lasciamo stare, chiara?!-

-Sappiamo entrambi che non è così- affermò accorciando la distanza tra di noi.

-Già in effetti mi sono scordata di dirti che non ti sopporto e che è stato un piacere avere avuto più volte la conferma che anche per te è lo stesso nei miei confronti-

-Sicura?- Si avvicinò ancora di più, stavolta potevo sentire il suo respiro sulla mia bocca, si abbassò: le sue labbra erano a poche millimetri della mia. Nei suoi occhi c'erano riflessi i miei. Sentii un piccolo tremore alla schiena che mi immobilizzò, non riuscivo a fare un solo movimento. Poi proprio mentre credevo che avrebbe tolto anche la poca distanza che ci separava, lo vidi sorridere e prendermi le chiavi dell'auto dalle mani.

-Queste ora sono mie!- canticchiò facendole oscillare davanti ai miei occhi.

-Ridammi subito le mie chiavi! Sono stata chiara?! Brandon la mia macchina la posso guidare solo io a costo di dover usare una stampella al posto di un piede!-

Mentre gli gridavo contro mi chiedevo se la rabbia che mi aveva travolto in quell'istante fosse data più dal fatto di dover vedere al posto del guidatore una persona che non fossi io o di aver avuto così vicino a me Brandon solo per delle chiavi. La mia reazione comunque lo fece ridere e mi impose di salire in auto e sedermi sul posto del passeggero. Passammo circa un quarto d'ora in silenzio lui sempre con un sorrisino di scherno in viso e io infastidita come non mai. Alla fine il rampollo di casa Montgomery si stufò e incominciò a canticchiare una canzoncina che sentì accendendo la radio.

-Siamo arrivati, aspetta che ti aiuto a scendere- disse, spegnendo il motore. Uscì dall'auto e aprì la mia portiera.

-Come facevi a sapere che mi ero slogata a caviglia?- chiesi, mentre lui mi porgeva la mano.

-Ti stavo aspettando fuori dalla palestra, ma poi ho sentito delle ragazze che dicevano ti eri fatta male giocando a pallavolo, ti ho cercata anche in infermeria , ma lì non c'eri e poi ti ho vista al parcheggio...-

-Capito- biascicai.

-Non mi chiedi perchè ti stavo cercando?-

-Sinceramente ? Non mi interessa-

-Bugia. Ti interessa invece è solo che che sei troppo orgogliosa per chiedere- disse, mostrando il suo sorriso migliore.- Comunque volevo parlarti di sabato, non sono stato del tutto sincero...- continuò, facendomi scendere dalla macchina e dandomi le stampelle.

-Cos'è ti aveva costretto tuo padre ad uscire con me e non tua madre?- chiesi sarcastica

-A esser sincero nessuno dei due...- ammise abbassando gli occhi a terra.

-Certo... e come fare a non crederti, ma pensi che io sia veramente così stupida!?Senti Brandon te l'ho detto anche prima non mi interessa se te l'hanno chiesto i tuoi genitori, veramente voglio solo che le cose ritornino tra noi normali ovvero tu ignori me e io ignoro te. Basta... non voglio altro!- gli dissi esasperata e un po' scocciata. Tentò di dire qualcosa, ma poi preferì rimanere in silenzio, suonò il campanello e venne ad aprire come sempre Mary, che quando vide Brandon e me con le stampelle quasi non le prese un colpo.

-Mio Dio,signorina cosa ha fatto!- esclamò con la voce più alta di qualche ottava.

-Niente giocando a pallavolo sono caduta e mi sono slogata la caviglia, in venti giorni guarirà-

-Tranquilla Mary, la signorina è solo un po' imbranata- aggiunse Brandon sorridendo e beccandosi uno sguardo torvo da parte mia. Dopo qualche minuto arrivò anche mia madre che aveva sentito la voce di Brandon e si era sorpresa.

-Cassie ma che hai fatto?!- dissi preoccupata

-Oh... questa?- dissi indicando la caviglia con lo sguardo – ho tentato di fare lo sgambetto a Superman e beh... questo è il risultato... ricordami di non provarci mai più...-

-Poco sarcasmo signorina! Oggi avevi ginnastica, vero? Ma è mai possibile che durante quell'ora tu non riesca mai a evitare di farti male!- mi rimproverò. Poi si rivolse a Brandon – L'hai riaccompagnata a casa ,giusto? Ti ringrazio, non ci fossi stato tu...-

-Avrei dormito sotto un ponte- finii la frase di mia madre a bassa voce. Lei che aveva sentito mi uccise con lo sguardo e poi continuò a parlare con Brandon, il quale sentito il mio commento aveva sorriso.

-Brandon vieni siediti, ti offro qualcosa da bere.- gli propose poi

-No la ringrazio, ma devo assolutamente ritornare a casa, prima ho chiamato per far venire qualcuno a prendere la mia macchina a scuola e non ho dato grandi spiegazioni sul perchè, saranno sicuramente preoccupati-

-Oh capisco... ma se vuoi chiama e avvisa, voglio evitare a Barbara un infarto...-

-No grazie, sarà meglio che vada... Ah una cosa Cassie, poiché non puoi guidare in questi giorni posso venire a prenderti e riportarti a casa, non ho problemi-

Non ebbi neanche il tempo di rispondere un “no” secco che mia madre rispose al posto mio con un “ oh Brandon come sei gentile a Cassie farebbe molto piacere”.

 

Quella sera finii la lezione tardi e a causa della caviglia passai una notte in bianco. Quando mi guardai allo specchio mi resi conto che sembravo un mostro: le mie occhiaie a loro volta avevano delle occhiaie.

Cercai di fare di vestirmi il più velocemente possibile, ma la gamba me lo impediva e quando scesi trovai già Brandon seduto a fare colazione con i miei genitori. Indossava la solita divisa scolastica e i capelli erano pettinati ordinatamente, come ogni giorno. Sembrava una divinità greca, bello come non mai, mi sorrise vedendomi arrivare. Lo guardai torva, decisa a continuare a non parlargli.

-Cassie,tesoro, finalmente... stavo per mandare qualcuno a chiamarti... - disse mio padre.

-Scusate-

-dai vieni a mangiare...-

Mi sedetti vicino a Brandon, in silenzio e impegnandomi con tutte le mie forze ad ignorarlo.

La breve colazione la passai in silenzio a contare i granelli di polvere e isolandomi da tutti i presenti nella stanza.

-Ora sarà meglio andare o faremo tardi a scuola, grazie per l'ottima colazione- disse Brandon

-oh non c' è di che, lo sai che sei benvenuto qui e poi sei tu quello che ci sta facendo un grosso piacere accompagnando Cassie a scuola.-

Una volta fuori, aprì la portiera dell'auto e mi aiutò ad entrare, poi prese posto anche lui e mise in moto. Guardava sempre diritto e canticchiava a bassa voce una canzone, che in quel momento stava dando alla radio. Stand by me di Ben King.

-Ti piace questa canzone?- chiese quando finì

-Si-

-Io la trovo splendida- disse sorridendo

-Già-

-Lo so che in questa ultima settimana mi sono comportato male, ma potresti cercare di perdonarmi?-

-No- mi piaceva rispondergli in quella maniera secca e decisa, mi divertiva e la mia rabbia nei suoi confronti sembrava essere soddisfatta

-Mi ha fatto piacere averti avuta con me sabato... ti ho invitata solo perchè volevo averti con me e sono stato un idiota a tirare fuori Barbara, lei non c'entra niente... te lo giuro-

-Va bene-

Rimanemmo in silenzio per altri cinque minuti, poi lui ricominciò nuovamente a parlare.

-sai stavo pensando che oggi propria una giornata noiosa...-

-già-

-Hai mai bucato?-

-eh? no.. perché?-

Vidi il parcheggio della S. Catherine e poi dopo qualche minuto lo vidi scomparire.

-Brandon, io devo essere a scuola!!-

-Oh andiamo... bucare è una delle esperienza che a uno studente non dovrebbero mancare-

-Non me ne frega niente... cosa dico poi io a mia madre quando mi chiederà come è andata scuola? Io non so mentire!!-

-Tu lascia parlare me, allora-

-No! E-e poi dove stiamo andando?!-

-E' una sorpresa...-

-Lo dicono sempre anche nei film horror e poi i due protagonisti incontrano uno psicopatico...-

-Non è colpa mia se tu guardi film scadenti, comunque sappia una cosa signorina Hudson con me accanto a lei non le potrà mai succedere niente-

-sai cosa?? prima non mi facevi né caldo né freddo, ma ora... ora non ti sopporto veramente più!!-

-oh andiamo da quando ami la scuola così tanto?- chiese con unna tranquillità snervante.

-sei un emerito idiota Brandon Montgomery!-

-tu invece sei uno spettacolo quando ti arrabbi... e ammettilo sei anche leggermente nevroticca-

-ma va a quel paese!-

-prima di andarci, voglio portarti però in un posto...-

dopo un'oretta e mezzo ci ritrovammo in una vecchia villa fuori Manhattan.

La casa era disabitata e trascurata, l'erba del giardino era troppo alta e i vetri della stanze erano visibilmente sporchi.

-Non è un hotel a cinque stelle, ma saremo solo noi due-

-Cos'è una proposta indecente?-

-Era da tanto che non si sentiva uscire dalla tue bellissima bocca un po' di senso dell'umorismo. Ti ringrazio-

-Non ci prendere l'abitudine-

-Dai vieni ti aiuto ad entrare...-

la casa era completamente vuota, non c'erano mobili e oggetti, se non due vecchie sedie e una piccola radio mal funzionante.

-Non è il massimo, ma mi piace venirci quando voglio stare un po' solo e oggi mi va di stare un po' solo... con te-

-solo con me?bastava chiedere a una delle nostre madri, avrebbero organizzato tutto...-

-probabile, ma poi ti avrebbero chiesto i particolari della giornata e mi sarei dovuto comportare in maniera impeccabile-

-ah. Maniera impeccabile, eh?-

- Stavo scherzando...dai vieni, ti aiuto a sederti-

   
 
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