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Autore: suxsaku    21/12/2006    4 recensioni
Un mago ciarlatano, scorbutico e intrattabile.
Una ladra idealista, sognatrice e suscettibile.
Una profezia centenaria, astrusa e frammentata.
<< Fabrum esse suae quemque fortunae. >>
<< Che significa? >>
<< Che ciascuno è artefice della propria sorte. >>
Storia a cui tengo davvero molto. Sebbene abbia tutta la vicenda stampata in mente, non l'ho messa completamente per scritto, perciò gli aggiornamenti non saranno frequentissimi.
>> EDIT Capitolo 19. Ho fatto una correzione: alla fine del capitolo mancava una frase di Wantz; a causa dell'html si vedevano solo le virgolette. Ringrazio Yuna per la segnalazione.  <<
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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cap 10

 

Salve. Prima di lasciarvi al decimo capitolo (tattarattata! Prima cifra tonda raggiunta! Felicitazioni a me!) devo lasciare un avviso: per le vacanze di Natale sarà reclusa in un paesino di montagna (che detesto cordialmente), e non avrò la possibilità di aggiornare, perchè il computer che ho lì (computer... oddio... così sminuisco la categoria. Quella carcassa informe, diciamo) non ha una connessione ad Internet. Tuttavia non disperate: approfitterò delle vacanze per scrivere, e al mio rientro (sette gennaio) conto di avere un po' di materiale da pubblicare. Nel frattempo vi lascio a rigirarvi nei dubbi che questo capitolo vi lascerà. Infine, ringrazio coloro che continuano a lasciarmi commenti, vi sono davvero grata: grazie a tutti! A costo di sembrare ripetitiva, penso che continuerò a ringrarvi ad ogni capitolo. E ora, passo la parola al nostro carissimo mago (tra  parentesi, io lo pronuncio con la "u", ma sia qui che altrove regna sovrana la "v". Del resto, io sono decisamente anormale,  per cui... Finchè non ci sarà una pronuncia definitiva, leggetelo come vi pare.).

Capitolo 10: Sonni agitati

Dolore. Fu questo il suo primo pensiero. Il che era un ottimo segno; significava che era ancora vivo. Nessuna traccia di danni al cervello; anche il principio di assideramento si era arrestato, ma le braccia gli dolevano in maniera insopportabile. Le fitte alla testa gli davano una spiacevole quanto assurda sensazione di instabilità, come se si trovasse sospeso per aria; ad un esame più attento, capì che era stato fatto sedere con la schiena addossata a qualcosa di rugoso e ruvido. Il difficile era scegliere se aprire gli occhi e controllare dov’era finito oppure continuare a fingere di dormire. La seconda possibilità era decisamente più allettante, ma da evitare.

Tentò di muovere una gamba, giusto per vedere come se la passava il suo corpo indolenzito; gli arti inferiori rispondevano ai comandi, ma c’era un altro problema. La sensazione di penzolamento nell’aria si era fatta ancora più nitida. La gamba sinistra scivolò nel vuoto, trascinando con sé tutto il resto.

Wantz aprì di scatto gli occhi.

 

 

Non lo prenderai mai. Tu viaggi sulla via del male. Tu percorri il male.

 

< Non mi è dato saperlo. Io sono solo un emissario. >

 

Il castigo per l’eccesso di brama, è lo stesso che viene inflitto all’indegno.

 

< Tu sei la mia apoteosi. Tu sei il mio culmine. >

 

Lascia  che la parola e la leggenda ti precedano.

 

< Enunciate le vostre profezie. >

 

Quelle non aprono le porte; servono solo a chiuderle per sempre.

 

< Wantz! >

 

 

Sospeso a metà nel vuoto, Wantz si ritrovò tra le braccia di Jillian, che lo reggeva a stento, tentando di tirarlo di nuovo su. Guardandosi intorno, il ragazzo si rese conto che si trovavano in cima ad un albero; per la precisione, stavano a cavalcioni di un enorme ramo, presumibilmente di una quercia: spostando la gamba, era uscito fuori dal ramo e stava cadendo di sotto. Ma la ragazza lo aveva afferrato in tempo.

< Sonno agitato? > chiese questa.

< Sai com’è, l’abitudine alla terraferma… > rispose lui, fissando tuttavia con scarso desiderio il terreno, che si trovava ad una distanza considerevole e sconsigliabile da percorrere in caduta libera.

Jillian lo strattonò per evitare che la presa cedesse. < Ti spiacerebbe collaborare? Non sei esattamente quel che si definisce un peso piuma. >

Il ragazzo staccò a fatica gli occhi dal terreno e si issò sul ramo con l’aiuto della giovane. Si sistemò a fatica contro il tronco dell’albero, ansimante: la sofferenza fisica e quella mentale insieme formavano un miscuglio letale.

< Allora, > disse il mago, recuperando un ritmo del respiro normale < che ne diresti di dirmi come mai siamo finiti sulla cima di una pianta, tanto per cominciare? >

< E’ il massimo che sono riuscita a fare, in mezzo a tutta quella bolgia. Sei svenuto subito dopo l’interruzione dell’incantesimo e mi hai mollato in una situazione alquanto complicata. Con la tua perdita dei sensi, oltre alla nevicata si è dissolta anche la barriera, e mi sono ritrovata a fuggire dalla folla inferocita da sola, per di più con te come zavorra. Hai idea della fatica che ho fatto a non farmi prendere e a cercare un nascondiglio accettabile? >

Il ragazzo storse la bocca in un sorrisetto canzonatorio. < Mi dispiace che tu ti sia stancata. Hai ragione, non avrei dovuto lasciare fare tutto a te. Che pigro che sono… >

Frecciata che colpì in pieno la ladruncola; non era molto bello che si lamentasse, quando lui era allo stremo delle forze e, inutile negarlo, la colpa era sua. Stava per dire qualcosa, ma Wantz la bloccò.

< Non cominciare con le solite scuse. > disse < Diciamo che ti sei sdebitata per il lavoraccio che mi hai costretto a fare. >

Jillian non poté fare a mano di sorridere nel notare il disappunto del mago. < Costretto è una parola grossa. >

< Non venirmi a dire che non mi hai incastrato. > ribatté lui.

< Lo confesso, è stata una mossa piuttosto abile. >

Wantz si portò una mano sul volto per evitare di urlarle in faccia e farsi così scoprire dai paesani, che con ogni probabilità li stavano ancora cercando; tuttavia quel gesto servì solo a far ridere Jillian, cosa che incrementò l’irritazione di Wantz. All’improvviso, quando il ragazzo stava ormai per esplodere, un pensiero gli attraversò la mente.

< Nagesh! Dov’ è Nagesh? >

< Al sicuro: l’ ho lasciato in una grotta qui vicino, mimetizzando l’entrata in modo che non si veda. >

Wantz si calmò a sentire ciò, e rinunciò a dare una strigliata a quella sfrontata. Guardò la ragazza, dubbioso.

< Come hai capito che parlavo del cavallo? >

< Difficile pensare che ti riferissi ad un essere umano. > rispose.

Il ragazzo voltò la testa e cercò di sistemarsi meglio. < Si può sapere cosa aspetti che ti dica? >

< Prego? > domandò lei, non capendo a cosa si riferiva.

< Non far finta di niente, > continuò lui senza guardarla < ho compreso benissimo dove vuoi andare a parare. >

< Io invece temo di no. Puoi spiegarti? >

Wantz ridacchiò, scotendo il capo. < Ragazza mia, tu pretendi forse che io cambi il mio modo di essere? Non mi sembra di averti mai promesso nulla di simile. >

Le guance di Jillian si tinsero di un tenue rosso, segno della sua irritazione. < E a me non risulta di averti mai chiesto una cosa del genere. >

< I fatti parlano più delle parole. > replicò lui < Non ho accettato, prendendoti con me, di modificare il mio stile di vita per adeguarmi ai tuoi insulsi idealismi. >

< Scusami tanto se i miei idealismi sono così inutili. Non ti ho salvato per sentir offendere le mie convinzioni. >

Wantz la fissò con un sorriso di scherno. < Come puoi essere così candida? > domandò, parlando a se stesso < Sei talmente ingenua che mi irriti. >

 

< Falso. Forse ti invidio solo. >

 

La ragazza strinse i pugni. < Smettila di oltraggiarmi, razza di ingrato. >

< Ti da fastidio? Essere contestata non è piacevole, vero? Beh, non lo è neppure essere esaminati come cavie da esperimenti di medicina. >

Jillian sobbalzò. Se ne era accorto.

< Posso capire che tu stia ancora cercando di verificare se sono degno di fiducia o meno. Ma io non pretendo che tu faccia affidamento su di me. Non l’ ho mai chiesto. > La fissò con maggior attenzione per evitare che lei non lo ascoltasse. < Voglio che tu non interferisca con il mio stile di vita. >

La ragazza si sentì leggermente sollevata nel vedere che il mago non si era accorto di “quello”; come avrebbe potuto, del resto?

< Tu non sopporti che io mi comporti in un modo che non rispecchia i tuoi canoni di civile convivenza. > riprese lui < Tuttavia, se ci pensi bene, un motivo deve pur esserci, se io non partecipo ad eventi modani, o in generale alla vita comune. > Wantz voltò il capo in direzione della piccola cittadina. < Quel mondo non mi appartiene. >

< Perché sei tu a non volerlo? Oppure è solo perché non ti accettano? >

 

***

< Perché? Perché insisti? >

< Voglio provare a vedere se ho ragione. >

< No: abbiamo già appurato che è solo un essere privo della capacità di provare sentimenti. >

 

***

 

Con suo enorme disappunto, Wantz rimase interdetto dalla domanda che la ragazza gli aveva appena rivolto, a tal punto da restar senza parole.

< Continuamente si dice che le persone comuni non vogliono avere a che fare con i maghi; > continuò < ma mai ho sentito che cosa pensano i maghi a riguardo. Il disprezzo viene sempre e solo ripagato con altro disprezzo? Il non essere accettati spesso accresce solamente il desiderio di poter guadagnarsi l’approvazione degli altri. >

 

***

< Eppure ci proverò ugualmente. >

< Perdonami, ma non capisco perché vuoi farlo. >

< Perché, forse, capisco quello che prova. >

 

***

 

< Dici che “quel modo” non ti appartiene, ma tu lo hai chiesto? Hai mai fatto nulla affinché la situazione cambiasse? A me sembra che tu ti stia soltanto piangendo addosso. Ti lamenti di non poter avere una vita normale e di non avere rapporti con il resto del modo? Ma tu ti sei mai sforzato di dare alle persone un motivo per concederti una possibilità? >

< Mai fatta una simile richiesta. >

< Già; hai solo supplicato in silenzio. Il che è ancora dannatamente più triste. >

< Stai continuando a costruirti un’immagine fittizia di me. >

< Io credo che tu soffra semplicemente di un atroce isolamento. >

< Lavori troppo di fantasia. >

< Un isolamento che ti sei imposto da solo. Anche se non capisco il perché tu l’abbia fatto. >

 

< Perché tu sei diversa da me. >

 

< Se esistesse davvero un uomo con problemi analoghi a quelli da te descritti, dubiterei della sua salute mentale. >

< Mi domando… Per quale motivo tu ti stia ostinando a evitare di avere rapporti umani. Io non sono qui per giudicarti. >

< Vero, ma neppure per cambiarmi. >

Jillian fece un debole sorriso, atto a cercare di sciogliere la difesa del mago. < Perché non provi a fidarti di me? >

< E se non volessi? >

< E se fossi io a volerlo? >

 

***

< Perché anch’io ho sperimentato la solitudine. Ma ne sono uscita. >

 

***

 

Wantz si portò una mano al capo e fece una smorfia di dolore. < Basta. > disse < Tutto questo parlare mi fa aumentare il mal di testa. >

Probabilmente lo aveva detto per troncare la conversazione, ma Jillian era decisa a continuare ad attaccarlo, ora che sembrava più vulnerabile.

< Wantz, io ti sono riconoscente per ciò che hai compiuto, sia che tu lo abbia fatto perché costretto o meno. >

Il ragazzo sbuffò. < Il fatto che la cosa potesse essermi indifferente non conta, vero? O non ti è passato neppure per la mente? >

Lei socchiuse gli occhi, sorridendo. < I fatti parlano più delle parole, no? >

Wantz si riservò il privilegio di non rispondere.

 

< Perché, forse, sei come avrei voluto essere io. >

 

< Non sei arrabbiato? Ti ho disubbido di nuovo. >

Lui si massaggiò ancora la testa, guardandola storto. < E’ straordinaria la tua capacità di cambiare argomento. Ti stavo quasi prendendo sul serio. >

< Mi sembrava che la conversazione avesse preso una piega per te sfavorevole, e pensavo di farti piacere interrompendola. >

Wantz notò l’uso del verbo “interrompere” e non “finire”; evitò di chiedersi quanto fosse buona la memoria delle donne.

< Non ti aspetterai che ti ringrazi, vero? >

< Troppo pretendere riconoscenza da te; mi accontento di essere pari. > rispose.

< Evitare di procurarsi debiti: ottima regola. > annuì il ragazzo; fu colto da eccesso di tosse che lo fece piegare in due, scosso da fremiti.

Jillian lo guardò con apprensione. < Non è che sei rimasto contagiato? >

Wantz rise, col risultato di trovarsi a tossire in maniera incontrollata. < Non c’è pericolo: io non posso morire. Non ancora. >

< Anche se non ti sei ammalato, tutta quella fanfara di prima ti ha sicuramente debilitato; dovresti riposare. > gli suggerì, sinceramente preoccupata.

Il ragazzo cercò di vedere il cielo attraverso le fronde che pendevano sopra di lui. < E’ solo metà pomeriggio. Ecco il piano; > disse, tornando a rivolgere la sua attenzione a Jillian < resteremo qui tutto oggi e domani. Onde evitare rogne, ce ne andremo domani notte. >

< Per rogne intendi eventuali incontri spiacevoli? >

< Devi sempre ripetere quello che dico con parole tue? >

< Mi chiedevo solo se sono davvero necessarie tutte queste precauzioni. > tentò di giustificarsi lei.

< E non solo: quando starò meglio cancellerò dalla memoria di tutta quella gentaglia il ricordo di ciò che è accaduto. > dichiarò, sistemandosi meglio e chiudendo gli occhi, pronto al sonno del giusto.

Jillian assentì.  < Temi che ci seguano, o peggio cerchino aiuto, e scoprano così la profezia? >

< No. Voglio solo eliminare per sempre questa mia figura poco edificante. >

La ragazza lo guardò con tanto d’occhi: possibile che quel tizio fosse così prosaico? Ragionando su quanto i suoi comportamenti fossero insensati, notò che le braccia del mago si contraevano spesso.

< Sei certo che stando qui non correremo altri rischi? >

< Sono sicuro che hai preso tutte le precauzioni possibili per non farci trovare. > rispose lui, senza aprire gli occhi e con un tono così piatto che faceva sembrare la cosa assolutamente naturale. Jillian era in dubbio se sentirsi apprezzata per le sue capacità o ignorata completamente: era una cosa così scontata quello che aveva fatto? Non che si aspettasse dimostrazioni particolari di lode, ma nemmeno quel completo disinteressamento.

< Questo non ti stupisce? > chiese, incapace di trattenersi.

Il ragazzo riaprì gli occhi. < Misi in dubbio le tue capacità, lo confesso. Ma saresti qui se fossi un’inetta integrale? >

Difficile capire se si stesse giustificando per la diffidenza iniziale, se stesse facendo notare che cominciava a fidarsi di lei o se, per quanto improbabile, l’avesse detto per diminuire le sue incertezze. Che avesse capito che era attanagliata da mille dubbi?

< Ugh. > si lamentò Wantz, preda di dolori lancinanti agli arti.

< Ti fa male? > chiese la ragazza.

< Sono fuori allenamento: raramente mi capita di esibirmi in magie così potenti. > spiegò lui, tergendosi con il dorso della mano il sudore freddo che gli colava negli occhi, i denti serrati per via della sofferenza fisica.

< La discrezione prima di tutto. Evitare sempre di rivelare la propria identità di mago. Vero? >

Wantz ebbe appena la forza di annuire. Jillian lo osservò cercare di frenare gli spasmi che lo scuotevano continuamente.

< Perché non cerchi di dormire ancora un po’? > gli domandò.

< Lo stesso vale per te. > le rispose < Hai delle occhiaie terribili. >

Jillian era combattuta tra il piacere per l’interessamento del ragazzo e il pensiero dell’aria sbattuta che doveva avere in quel momento. < Sarebbe meglio, però, che vegliassi onde evitare che qualcuno ci trovi e, nel caso, trovare un nuovo nascondiglio. Ho fatto del mio meglio, è vero, ma la prudenza non è mai troppa. >

Il ragazzo ridacchiò. < Abbi fiducia nel tuo mago da asporto. >

Jillian sentì calare su di sé lo stesso velo incorporeo che aveva percepito prima: Wantz aveva alzato una barriera intorno al loro albero.

< Non dovresti sforzarti troppo. Penso che sarebbe meglio se… >

< Non mi interessa cosa pensi che sia meglio. Sta’ zitta e dormi. > la interruppe bruscamente.

Jillian incrociò le braccia, fumante di rabbia, evitando di guardare il suo compagno di viaggio, perché era a un passo dal buttarlo di sotto. Cercò di trovare una posizione se non proprio comoda almeno sopportabile; mentre trafficava con la gonna che le si era impigliata in un ramo, Wantz  biascicò qualcosa al suo indirizzo.

< Sei stata in gamba. >

La ragazza sbollì immediatamente l’ira, chiedendosi chi tra loro due fosse il più lunatico.

 

***

< Ho solo una cosa da dirti. Lui non sorride mai. >

< Ed io inizio a chiedermi il perché. >

 

***

 

Dormiva. Ma dormiva veramente? Mai come in quel momento si rimproverava di aver promesso a se stesso di non entrare nella testa delle persone se non in casi di assoluta necessità. Anche se cominciava a pensare che quello fosse uno di quei casi. Tuttavia, lo doveva ammettere: aveva paura al pensiero di che cosa avrebbe potuto scoprire.

< Accidenti. > si lamentò a mezza voce. < Proprio una piaga del genere doveva capitarmi? >

< Rimpiangi la vita da eremita, Wantz? >

Nell’oscurità della notte ormai inoltrata, Wantz sentì la presenza scivolare al suo fianco, come ogni notte. Da fin troppe notti.

< Non credevo che foste in vena di fare delle spirito: proprio voi che sembravate così preoccupato per questa anomalia. >

< Lo sono, infatti. > confermò l’altro < E mi compiaccio del termine da te usato: anomalia. Dobbiamo sbrigarci a fare qualcosa, prima che la situazione degeneri. >

< Se non vi conoscessi, direi che siete quasi spaventato. >

< Allora, ragazzo mio, o non mi conosci, o non hai assolutamente capito in che situazione ci troviamo. >

< Ovvio che sono conscio di cosa parlate; ma ammetterete che è una cosa troppa assurda per essere vera. >

< Oppure troppo realistica per essere falsa. >

Wantz sospirò, scotendo la testa.

< Insisto: dobbiamo parlarne. > ripeté la presenza.

Improvvisamente, sentirono alcuni rumori provenire dalla zona dove dormiva Jillian, e si voltarono si scatto verso di lei.

La ragazza emise alcuni grugniti poco amichevoli e scalciò con violenza, tanto che alcuni dei rami più piccoli intorno a lei si staccarono per i colpi ricevuti e caddero a terra. Poi decise che era il caso di usare anche le braccia, e fece razzia della vegetazione rimanente. Solo quando anche l’ultima foglia attorno a lei cadde , quando ebbe creato il nulla intorno a sé in modo tale da far sembrare Attila un misero principiante dell’arte della distruzione, allora si acquietò, tornando a dormire come se niente fosse. Anche se in verità non si era proprio svegliata.

La presenza rimase immobile, presa alla sprovvista, a osservare Jillian in un silenzio sconcertato.

Stanco di aspettare che il suo interlocutore si riprendesse, Wantz si schiarì la voce.

< Sì, avete ragione: parliamone. Prima che mi uccida nel sonno. >

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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