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Autore: Galatea    21/12/2006    7 recensioni
"Harry James Potter fissò con aria assente il riverbero dei primi raggi del sole sul vetro della finestra del suo studio. Il mal di testa gli squarciava le tempie come tanti piccoli aghi, impedendogli di pensare lucidamente. Si chiese come fosse possibile che lo sconforto lo avesse catturato già dalle prime ore dell’alba. " Introduzione inserita dall'amministrazione. Modificarla a piacimento ma nel rispetto del regolamento.
Genere: Triste, Malinconico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Potter
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La ragione di vita

La ragione di vita

Nella vita ci sono cose che ti cerchi e altre che ti vengono a cercare.

Non le hai scelte e nemmeno le vorresti, ma arrivano e dopo non sei

più uguale. A quel punto le situazioni sono due: o scappi cercando

di lasciartele alle spalle e ti fermi e le affronti.

Qualsiasi cosa tu scelga ti cambia, e tu hai solo la possibilità di

scegliere se in bene o in male…

Giorgio Faletti, Io uccido.

Harry James Potter fissò con aria assente il riverbero dei primi raggi del sole sul vetro della finestra del suo studio. Il mal di testa gli squarciava le tempie come tanti piccoli aghi, impedendogli di pensare lucidamente. Si chiese come fosse possibile che lo sconforto lo avesse catturato già dalle prime ore dell’alba. Piccole gocce di pioggia, languidi avanzi di un violento temporale, si addensavano sul telaio della finestra, rilucendo come polvere di fata. Harry si stropicciò gli occhi arrossati, accorgendosi che le immagini si stavano facendo sfocate.

Dannata guerra.

Se fosse sopravvissuto abbastanza per riuscire a sconfiggere Voldemort si sarebbe ritrovato a fare i conti con il suo corpo stravolto dallo stress e dal lavoro eccessivo. All’età di venticinque anni si trovava già a combattere contro violenti mal di testa, strazianti insonnie e una miopia che aumentava ogni giorno di più. Casualmente catturò la sua immagine riflessa nel freddo vetro della finestra e quello che vide non gli piacque affatto. Distolse frettolosamente lo sguardo, disgustato dall’uomo con il viso scavato e le profonde occhiaie che era diventato. La fronte gli bruciò improvvisamente, ricordandogli la deturpazione che gli aveva fatto guadagnare l’ironico soprannome di Sfregiato.

Dannata cicatrice.

Per un attimo desiderò poterla cancellare dal suo volto. Se non fosse stato per quello sfregio lui sarebbe stato un anonimo babbano in mezzo a milioni di altri anonimi babbani.

Non Harry Potter l’eroe, non l’ex Bambino Sopravvissuto, non l’illustre Capo degli Auror.

Harry l’impiegato, Harry il postino, Harry il fattorino.

Solo Harry.

Perché milioni di vite dovevano dipendere dalle sue decisioni, dalle sue azioni, da lui?

Perché?

Non aveva chiesto di poter tenere il peso del mondo sulle sue esili spalle. Non era altro che un carico che lo opprimeva, una zavorra che lo stava facendo affondare ineluttabilmente in un mare di disperazione. Perché tutti erano profondamente convinti che lui ambisse al ruolo di eroe? Perché tutti lo vedevano come un semidio? Perché tutti lo adoravano? La loro devozione lo avrebbe consumato dentro. Quegli inguaribili sognatori che ancora speravano in un mondo migliore lo avrebbero ucciso.

Dannati ottimisti.

Per quale assurdo motivo continuavano a credere che tutto si sarebbe risolto per il meglio? Da quando era rinato Voldemort era sempre più forte e continuava a raccogliere adepti per i suoi folli piani di conquista. Un quarto della popolazione magica cominciava a credere che la soluzione migliore per la salvezza fosse quella di accettare il suo controllo. Piegare la testa e accogliere massacri con un’espressione condiscendente sul viso. Cedere alla legge del più forte.

Poveri pazzi. Non sarebbe mai stato così facile.

I folli faranno impazzire i savi.

Ma non più pazzi di quelli che invece si immolavano per la causa. Per il bene, per la giustizia, per la salvezza. Le loro vite non sarebbero servite a nulla. Con un sorriso di scherno si rese conto che lui faceva parte di quella porzione di pazzi.

Come poteva essere altrimenti?

Lui era la causa.

Il capitano di quella nave di folli suicidi.

Tutti si aspettavano che fosse il più motivato contro Voldemort dopo quello che era accaduto. Dopo quello che gli aveva fatto. Privato dei genitori, degli amici più cari e persino di semplici conoscenti.

Il Bambino Sopravvissuto era solo.

Quel mostro li aveva presi uno alla volta con calma e aveva spezzato le loro vite come se si trattasse di tante piccole pedine. Aveva braccato qualunque persona a cui lui tenesse e se ne era liberato. Pedoni, cavalli, torri. E ora aspettava solo la mossa finale.

Lo scacco matto.

Harry Potter era soltanto una preda.

Ormai da mesi si dava da fare con la fredda consapevolezza che la morte poteva bussare alla sua porta in qualunque momento. Lavorava freneticamente solo per non pensare. Si stava uccidendo per combattere Voldemort perché aveva paura. Paura di fermarsi un attimo e rendersi conto che la sua vita non era altro che un sottilissimo filo che quel mostro poteva recidere in qualunque momento. E altrettanto coscientemente si rendeva conto che Voldemort rideva, consapevole del terrore che gli aveva instillato nel cuore.

Ma la profezia gli dava ancora qualche speranza di sopravvivenza.

Che grandissima stronzata! Credere che le farneticazioni di una donna mentalmente instabile potessero risollevargli il morale. Merda era solo merda.

Ma ormai non gli importava più.

Morire?

La prospettiva non era così terrificante come poteva sembrare. Perché mai gli sarebbe dovuto importare?

Aveva perso tutto quello per cui valesse la pena di alzarsi la mattina e prendere decisioni importanti.

Aveva perso tutto ciò per cui valesse la pena di sopportare ogni sconfitta, attentato, massacro.

Aveva perso tutto ciò per cui valesse la pene di vivere.

Non c’era più una ragione di vita per Harry James Potter, ex bambino sopravvissuto, illustre capo degli Auror.

No.

Dopo la morte poteva veramente esserci qualcosa di più terribile dell’inferno che stava vivendo?

No.

Ma c’era così tanta gente che confidava in lui.

Sorrise nuovamente a quel pensiero, schernendosi da solo e dandosi dell’idiota. Un tempo aveva veramente creduto che tutto si potesse risolvere per il meglio, un tempo era stato un povero ingenuo. Poi il tempo stesso si era preso la sua innocenza. E la morte aveva fatto il resto.

Ogni persona che aveva amato era morta.

Nel cimitero di Diagon Alley c’erano le loro lapidi, scintillanti epitaffi di marmo bianco, recanti un’epigrafe che lui stesso aveva dovuto scegliere.

Tutte le settimane portava loro un fiore. Uno per ogni tomba.

Oramai erano così tanti che faceva male al cuore contarli.

Un girasole per Ron e il resoconto degli ultimi risultati delle partite di Quiddich.

“Ciao, vecchio mio. Su col morale che quest’anno battiamo sicuramente la Bulgaria.

Una violetta per Ginny e qualche ragguaglio sulla sua soap preferita.

“Tranquilla, Gin. Odoardo ha capito chi è veramente la donna della sua vita”

Un ciclamino per Neville, una gardenia per Cho. Del mughetto per i fratelli Weasley.

Un bel narciso per il suo ex nemico Draco Malfoy.

“Ehi, Malfoy, attento a non cadere in un lago a forza di contemplare la tua immagine”

Forse solo durante la sua visita al cimitero tornava a sorridere. Ripensare al passato era come una panacea. Quelle solitarie conversazioni gli facevano bene al cuore.

Eppure una solitaria lacrima gli solcava sempre il viso quando arrivava all’ultima lapide.

Eppure Harry Potter non aveva più una ragione di vita.

Appoggiava il mazzo di rose a terra e poi si risollevava faticosamente, come se avesse un peso insostenibile sulle spalle. Leggeva l’incisione sulla tomba e avvertiva un forte dolore al cuore.

Non poteva ancora crederci.

Hermione Granger.

1988-2010

Moglie adorata di Harry James Potter.

Morta eroicamente per il mondo magico

il marito e gli amici la rimpiangono con dolore.

A quel pensiero doloroso sbatté un pugno sul tavolo, rischiando di schiacciare gli occhiali. Ripeté l’azione più volte, fino a quando la mano non si intorpidì.

Che senso aveva vivere ora che lei non c’era più?

Che senso aveva combattere una battaglia persa fin dall’inizio?

Che senso?

I suoi occhi si posarono titubanti sulla bacchetta appoggiata alla scrivania. La prese in mano e se la rigirò tra i pollici, pensieroso. Fulmineamente si appoggiò la punta sulle tempie.

Poteva smettere di soffrire. Sarebbe bastato un semplice Avada Kevadra per liberarsi di quell’orribile farsa che era la sua vita.

Il suo sguardo si indurì. Mosse le labbra, ancora indeciso sul da farsi.

Uno strillo languido lo fece sobbalzare. Lasciò cadere a terra la bacchetta e balzò in piedi.

Raggiunse a lunghe falcate l’angolo più illuminato del suo studio. Il pianto proveniva da lì.

Harry si chinò sulla culla, ansioso.

Quando la neonata che vi giaceva dentro lo vide alzò una manina verso di lui. Gli sorrise, agitando le sottili dita in aria. Lui sorrise, commosso, e una piccola lacrima gli solcò il viso segnato. Porse l’indice alla bambina che lo strinse con vigore, soddisfatta.

Lo guardò dolcemente. Gli occhi erano uguali a quelli di sua madre.

A quelli di Hermione.

Perché lui, Harry James Potter, viveva ancora?

Qual era il motivo per cui l’ex bambino sopravvissuto tirava ancora avanti?

Come mai non si puntava una bacchetta alla tempia?

Aveva perso ogni ragione di vita.

No.

La creatura nella culla era la sua ragione di vita.

Sua figlia.

  
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