Rieccomi con un nuovo capitolo. Cosa succedera?
Alessandra e Sesshomaru sono di
nuovo soli, ma arriva un guastafeste!
A stasera, spero, con la seconda
parte.
Buona lettura!
CAPITOLO 16
AGGUATO
Erano soli. Da alcuni giorni,
ormai.
Sesshomaru aveva dato ordine a Jacken di
proseguire verso il palazzo con Rin. Lui li avrebbe
raggiunti più tardi. Si era voltato e aveva iniziato a incamminarsi verso Sud,
ignorando le continue domande che il demonietto gli
rivolgeva. Nessuno doveva chiedergli spiegazioni. Nessuno doveva contestare le
sue decisioni. Bisognava solo obbedire.
Alessandra lo aveva osservato
allontanarsi di alcuni passi e poi fermarsi. Di schiena. In
attesa. Stava aspettando lei. Aveva sospirato. Le dispiaceva dover lasciare Rin, ma quello non era il suo posto. Lo sapeva. Lei non
apparteneva a quel mondo. Non gli sarebbe mai appartenuta.
Rin era aggrappata alla manica del suo kimono, e la guardava
con gli occhi lucidi. La supplicava. Di restare. Non voleva perdere quella
“sorella”.
“Ale-chan…Non
andare! Rin farà la brava! Resta!”. Alessandra le si era inginocchiata davanti e l’aveva abbracciata forte,
facendone soffocare i singhiozzi contro la stoffa dell’abito. Povera Rin. Di nuovo sola. Di nuovo in
compagnia di esseri diversi da lei. Ma che comunque le volevano bene. A modo
loro. Sì. Alessandra era confortata al pensiero che comunque la bimba non
sarebbe rimasta mai davvero sola. Con lei ci sarebbero stati Jacken, Ah-Un e…Sesshomaru. Perché, anche se cercava di nasconderlo, lei si
era accorta che il demone era affezionato a Rin.
Senza un vero motivo. Una spiegazione.
“Non posso…”
Lo aveva sussurrato più a se
stessa che alla bimba, stringendola ancora di più. Le faceva male qualcosa,
dentro. Vicino al cuore. Non un male fisico, ma
palpabile. La dilaniava. Aveva arruffato i capelli della bimba e si era alzata.
Aveva fatto una carezza al drago bicefalo e poi fissato Jacken,
accennando un piccolo inchino. Il demonietto non
aveva risposto. Era contento che se ne andasse. Da quando c’era lei, il padrone
era strano. Lo aveva visto cambiare e tornare normale molte volte. Come se
stesse lottando contro qualcosa dentro di lui. La sera
prima Sesshomaru gli si era materializzato davanti
con il kimono e i capelli bagnati. Sembrava appena uscito da un lago. Non lo
aveva degnato di una parola ed era sparito per tutta la notte. Jacken era rimasto molto colpito da quell’apparizione.
Il suo padrone aveva un’espressione insolita. Stralunata. Anche se fredda come
sempre.
Anche Alessandra era rimasta in silenzio tutta la sera e non aveva neanche cenato. Doveva
essere successo qualcosa, e Jacken si era augurato
che quella ragazza se ne andasse presto. Richiesta esaudita. Sesshomaru lo aveva svegliato con mala grazia all’alba, per
comunicargli gli ordini. E adesso era lì fermo, che attendeva la ragazza.
Gli camminava alle spalle,
cercando di ignorare la sua figura elegante. Ma bastava appena un attimo per
riportare alla mente quelle sera. Lo rivedeva bagnato
davanti a lei, rivedeva il suo corpo scolpito dalla stoffa umida, le sue labbra
sottili, i suoi occhi…C’erano state sfumature strane, quella sera, negli occhi
dell’youkai. Lampi che avevano acceso le iridi
d’ambra. Riavvertiva i brividi prodotti dalla sua mano sul suo corpo, quelle
carezze stranianti e poi…il suo respiro. Caldo. Vicino. Molto vicino.
Alessandra scosse la testa per
l’ennesima volta. Doveva smettere di pensarci. Togliersi quei ricordi dalla
testa. Convincersi di aver fatto la scelta migliore. Anche se qualcosa dentro
di lei gridava forte. Non doveva ascoltare.
Stava scappando. Lo sapeva. Scappava
da un sentimento che aveva paura ad accettare. Che si ostinava cocciutamente a
negare. Perché? Perché non si era lasciata baciare? Lo avrebbe voluto. Il suo
corpo glielo aveva detto, eppure la sua mente le aveva fatto allontanare il
demone. Lo aveva respinto.
Alessandra fissò l’youkai; le sue spalle larghe, il portamento solenne, i
movimenti sempre freddi e controllati. All’apparenza non mostrava più di
ventitrè-ventiquattro anni. Due- tre più di lei, quindi. Ma dalla mitologia
nipponica sapeva che i demoni possono vivere molto a
lungo. Anche millenni. Quanti anni aveva in realtà Sesshomaru?
Quanto aveva vissuto davvero? Ogni sua azione era improntata alla razionalità,
trasmetteva una secolare abitudine alla compostezza. Al decoro. Non rideva mai,
non scherzava; parlava quel poco necessario e quasi sempre con un tono di
comando. Non le piaceva quel tono. Lo rendeva affascinante,
certo; un uomo sicuro di sé; ma le sembrava stonare sulle labbra di qualcuno
all’apparenza così giovane. Sesshomaru possedeva
una maturità invidiabile, quella che deriva dal dolore
e dalla sofferenza. Aveva l’aspetto di un ragazzo, ma era un adulto. Molto
adulto. Forse più anche della sua reale età.
Eppure, quella sera le era sembrato
solo un ragazzo. Solo quello. Nei suoi occhi, nei suoi gesti, c’era qualcosa di
spontaneo, di istintivo…Forse, per un attimo, aveva lasciato che qualcosa
affiorasse in lui.
Alessandra si passò una mano sul
volto. Iniziava a essere stanca; era da prima
dell’alba che camminavano, senza concedersi pause. Avrebbe voluto riposare un
attimo, ma non gli avrebbe chiesto di fermarsi. Avrebbe stretto i denti e
continuato a seguirlo. Sesshomaru era stato un po’
vago circa la loro destinazione. Sapeva solo che l’avrebbe
condotta ad un villaggio, dove risiedeva una sacerdotessa che forse avrebbe
potuto aiutarla. Non lo aveva mostrato, ma Alessandra aveva percepito del disprezzo mentre parlava di quel luogo. Un sentimento che
neanche la sua voce fredda riusciva del tutto a dissimulare.
Un segreto del tuo passato?... Di lui non
sapeva nulla. Aveva scoperto solo da pochi giorni che era un principe, il
signore di un vastissimo territorio, un demone dal potere immenso. Aveva
scoperto un titolo. Ma per il resto non lo conosceva. Si fidava di lui, ma non
abbastanza da rischiare una delusione troppo cocente.
Le tornò in mente l’espressione
del suo viso, quando lo aveva allontanato. Sorpresa. Forse una punta di
incredulità. Sembrava incapace di spiegarsi quel rifiuto. Come se non ne fosse
abituato. Anzi, probabilmente, non era abituato a essere respinto. Bello,
fiero, con un titolo importante…Nessuna donna lo avrebbe mai rifiutato. Lo
avrebbe anzi considerato un onore, un privilegio…
Nessuna donna…
Sesshomaru spostò con noncuranza un ramo basso. Un gesto fluido. Il
suo braccio si mosse elegante. Le sue braccia…Quante donne avevano stretto?
Quante avevano goduto della vicinanza del suo corpo, del profumo della sua
pelle? Alessandra si scoprì invidiosa. Gelosa di chi gli era
stato accanto, di chi lo aveva accarezzato, baciato…Quante donne aveva già
baciato? Gelosia. Un sentimento nuovo per lei. Estraneo. Non era mai stata
gelosa di nessuno. Neanche di suo fratello. E adesso, scopriva qualcosa che la
spaventava, perché si può essere gelosi solo di qualcosa cui si tiene.
E provò una stretta ancora più forte quando la sfiorò il pensiero che probabilmente il bel
demone dovesse avere anche una fidanzata, da qualche parte. Una promessa sposa.
Forse non l’aveva mai vista, ma doveva esserci. Perché era un principe, e il
matrimonio di convenienza era una cosa normale per quell’epoca.
Sì…Probabilmente, c’era una donna, una yasha che lo
attendeva, che lo avrebbe legato a sé per sempre. Forse non l’avrebbe mai
amata, ma lei avrebbe potuto rivendicare con orgoglio che lui le apparteneva.
Che era suo. Suo marito.
Alessandra si fermò senza neanche
accorgersene, gli occhi dilatati. Quel pensiero le aveva gelato il sangue,
l’aveva fatta ribollire nelle vene. Rabbia e invidia; consapevolezza e
illusione. Si stropicciò la faccia con le mani. Perché doveva tormentarsi con
quei pensieri? Lei la sua scelta l’aveva fatta: andarsene. Per evitare proprio
quei timori, quei pensieri che probabilmente avrebbe scoperto reali. Per non
soffrire. Per salvare il sottile benessere che aveva appena recuperato. Grazie
a lui.
“Sei stanca?”
Sesshomaru si era accorto che non lo seguiva più, ed era tornato
indietro. L’aveva trovata come in trance, con gli occhi spalancati e le mani
chiuse a pugno, strette forte. Che le era successo? Aveva spaziato con gli
occhi ogni angolo del luogo che li circondava: nessun pericolo. Allora,
cos’aveva? Forse solo stanchezza…
Sono una stupida…
Alessandra scosse la testa. Non era
stanca. Era triste. Solo quello. Ma non glielo avrebbe mai detto. Non si
sarebbe mai confidata con lui. Non a quel proposito. Perché non poteva certo
rivelargli che lui non le era indifferente, ma che non poteva lasciarsi andare.
Un’amante…Ecco cosa sarebbe
diventata. Solo un ‘amante. Probabilmente una delle
tante. U nome, un numero, senza volto e anima. Solo un
corpo. E non era quello che lei voleva. Non lo avrebbe mai sopportato. Essere
un oggetto. Sempre in competizione. Sempre attenta che qualcun’altra non
prendesse il suo posto. Fino a quando? Se lui un giorno si fosse stancato di
lei, cosa sarebbe successo? Sarebbe stata sostituita con una donna più
interessante, e lei si sarebbe trovata ad aspettare che lui la chiamasse di
nuovo, solo perché aveva freddo nel letto. Oppure l’avrebbe uccisa, o forse
l’avrebbe ceduta a qualcun altro…Rabbrividì a quei pensieri…Alzò lo sguardo e
incontrò solo ambra. Due oceani d’oro in cui affogare. Cosa aveva visto nei
suoi occhi quella sera? Cosa…?
Amore? No. Non era amore. Non
poteva esserlo. Non doveva esserlo. Quello era solo desiderio. Forse neanche di
lei, del suo corpo, ma di una vittoria. Lo aveva sempre sfidato. Non si era mai
piegata alla sua autorità. Lo aveva sfidato. Fino a quella sera. Quando gli
aveva raccontato il suo passato. Da quella volta, qualcosa era cambiato. Lei
era cambiata. Stava tornando a vivere. E adesso era sul filo di un rasoio.
Amore…In fondo, cos’è l’amore?
Alessandra conosceva quello che aveva provato per i suoi genitori, per suo fratello,
ma un uomo…lei non aveva mai amato un uomo. Non si era mai innamorata. Ricambiò
lo sguardo di Sesshomaru. Doveva apparire normale.
Mostrarsi indifferente ai ricordi. Anche se quel viso di porcellana non
l’aiutava affatto. Non l’aiutava la sua vicinanza. Il suo freddo autocontrollo.
Perché non riusciva a sciogliersi un po’? Un sorriso, dentro di sé. Proprio
lei, che per due anni era stata rigida come una statua, fredda come il
ghiaccio, si chiedeva perché lui fosse altrettanto contenuto nelle sue manifestazioni.
Sesshomaru si voltò, facendo ondeggiare i lunghi capelli. Riprese a
camminare. Silenzioso. Erano giorni che non parlavano. Solo il minimo
indispensabile. A cosa pensava? Al palazzo, al motivo per cui
gli era stato chiesto di tornare? Alessandra non riusciva mai a capire i suoi
pensieri. Se fosse preoccupato o tranquillo. Qualunque cosa avesse
in testa, il suo volto non tradiva mai nessuna emozione.
Aveva mai ripensato a quella
sera, alla pozza? Aveva mai pensato a lei?
Cosa sono per te?...Un oggetto
oppure…
Amore. Poteva il bel demone
provare qualcosa di simile all’amore nei suoi confronti? Forse. Alessandra si
sorprese a fantasticare su quel sentimento. Sul sogno che lui lo provasse per
lei. Ma cercava di convincersi che fosse solo quello. Un’illusione.
Sesshomaru avrebbe anche potuto innamorarsi di lei, ma quanto sarebbe
durato? Mesi, anni forse…Ma non sarebbe mai stato qualcosa di lungo; solo una
parentesi nella vita del demone, forse neanche molto lunga. Un’ombra nella
memoria.
E poi, anche se l’avesse amata
davvero, con tutto se stesso, Alessandra era cosciente che fra loro ci fosse un
abisso invalicabile. E lei non pensava neanche alla differenza di razza; per
quanto la riguardava, fra youkai e ningen non c’erano differenze alcune. No. La differenza era
diversa. Di censo. Lei non aveva titoli, mentre lui era un principe, l’erede di
una grande dinastia. Anche se l’avesse amata, non avrebbe mai potuto sposarla.
Doveva dare al suo clan un erede degno di quel nome, non un bastardo. Un mezzo
sangue. Non lo avrebbero mai accettato. Non avrebbero mai accettato neanche
lei.
Sarei sempre e solo un’amante...
Sesshomaru si voltò, facendo ondeggiare i lunghi capelli. Riprese a
camminare. Silenzioso. Erano giorni che non parlavano. Solo il minimo
indispensabile. Ma non riusciva a guardarla in viso senza ricordarla avvolta
dai vapori termali. Senza ricordare il suo corpo, la sua pelle bagnata e
vellutata, le sue labbra…
Aveva voluto baciarle. Per la
prima volta. Aveva avvertito il desiderio di sentire il loro sapore. Lui. Lui
che non si lasciava mai dominare dai sentimenti. Che li considerava la
debolezza degli uomini. Del suo fratellastro. Lui si era fatto guidare dia suoi
sentimenti.
No. Solo dall’istinto
Voleva convincersene. Che quel
bacio era stato cercato solo per istinto. Per affermare il suo potere, la sua
supremazia. Come ogni altro gesto. Se l’avesse baciata, avrebbe voluto dire che
aveva vinto. Che lei si era piegata. Sconfitta.
Non lo aveva fatto. Lei lo aveva
allontanato, e lui non si era ribellato. Eppure, sapeva che avrebbe potuto
rubarle ben più di un bacio. La superava di molto in forza fisica. Alessandra
non gli si sarebbe potuta opporre. Avrebbe potuto fare di lei quello che
avrebbe voluto. Ma non ci era riuscito. Non lo voleva.
Perché?
Non riusciva a capire. Lui era
stato rifiutato. Lui. Sesshomaru. Principe dei
demoni. E non aveva alcuna velleità di vendetta. Solo molta
delusione. Un amaro in bocca che gli rendeva difficoltoso anche solo il
semplice inghiottire. Stava…soffrendo? Possibile? Stava soffrendo per un’umana?
Una femmina, come quella che gli aveva sottratto suo padre, che aveva partorito
suo fratello? Per una che avrebbe gettato nuovo fango sull’onore della sua
famiglia?
Ridicolo!
Cosa l’attirava in lei? Era
bella, ma non era un motivo sufficiente per coinvolgerlo a quel modo. La
bellezza sfiorisce col tempo. Soprattutto la bellezza umana. E poi, aveva
incontrato molte donne estremamente affascinanti e seducenti. Ma nessuna lo
aveva preso a quel modo. No. Non era la bellezza, ad attrarlo. O almeno, non
era quella la principale motivazione.
Forse, il suo atteggiamento
Quello lo aveva colpito. E
neanche poco. Una durezza strana, che stonava su un volto così giovane e
delicato. Era sempre sulla difensiva, controllata e fredda quasi come lui. Era
molto simile a lui nel suo rifiuto di essere avvicinata, di essere toccata. Due
maschere imposte dalle circostanze. Molto simili. Per fiducia tradita.
L’aveva ammirata. Doveva avere
circa vent’anni, ed era riuscita a erigere intorno a sé una corazza solida,
come quella che lui si era costruito in circa duecento anni. Una forza di
volontà davvero notevole. Una disperazione estrema.
Non bastava. Non bastava qualcosa
di anormale in un’umana ad attirare la sua attenzione. Non era mai successo.
Neanche quella strana sacerdotessa che viaggiava con suo fratello c’era mai
riuscita.
Già, quella sacerdotessa…
Era da lei che la stava portando.
Perché Alessandra voleva tornare a casa sua. Nel suo mondo. Dovunque fosse.
Avrebbe potuto dirle di arrangiarsi, e abbandonarla. Avrebbe potuto imporle di
seguirlo, costringerla con la forza se lei si fosse ribellata. Invece, si era
offerto di accompagnarla. Di scortarla. Pur di non vederla andar via subito.
No. È solo curiosità. Se non tornerà nel suo mondo, verrà
con me. Lei mi appartiene
Ne era davvero sicuro? Avrebbe
davvero potuto dire con sicurezza che quella ragazza era sua, come Rin? Con la bimba non ci aveva mai pensato. Rin lo aveva seguito da subito e non lo avrebbe mai
lasciato se lui non l’avesse abbandonata. Rin ormai
gli apparteneva. Perché se un youkai non uccide un
essere umano, quello gli appartiene in eterno. Così gli era stato insegnato. In
quello credeva. Solo in quello. Nelle regole che gli erano state inculcate:
l’onore della stirpe al primo posto. Il desiderio di vendicare l’onta.
L’importanza del potere.
Potere…Sesshomaru
era stranamente consapevole di non avere potere sulla ragazza. Lei non gli si
sottometteva. Non lo temeva. E lui ne era offeso e lusingato al contempo.
La guardò con la coda
dell’occhio. In spalla il suo zaino, alla vita la spada che lui le aveva
procurato e un corto pugnale. Aveva imparato a usare anche quello. Ed era
diventata brava. Molto. Se avesse voluto, avrebbe potuto uccidere facilmente
anche un demone debole. Ma Sesshomaru sapeva che non
lo avrebbe mai fatto. Arrancava un po’ nella neve alta. Ma non gli chiedeva
aiuto. Non lo aveva mai fatto.
Si fermò su una piccola altura,
ad aspettarla. Non sarebbe stato prudente distanziarla troppo. Osservò il
kimono blu. Largo. Nascondeva. Confondeva. E lui invece avrebbe voluto che lo
legasse stretto in vita. Che le sagomasse bene il corpo. Come l’abito di quella
sera. Perché voleva guardarla.
Il suo corpo. Lo aveva stretto a
sé. Alessandra si era fatta abbracciare. Quella volta non lo aveva respinto. Lo
aveva sentito contro il suo e il cuore accelerare a quella semplice vicinanza.
Risalì con gli occhi fino al viso
e si soffermò sulle sue labbra. Rosse. Lucide. Per il freddo. Seducenti.
Dannatamente invitanti. Gli sarebbe bastato un istante per chiuderle la bocca
con la sua. Ma adesso non voleva più. O meglio, una parte di lui desiderava
accarezzarla, sentire di nuovo il calore del suo corpo, assaporare finalmente
il gusto della sua bocca; ma l’altra gli continuava a chiedere il perchè di
quel desiderio.
Solo desiderio. Solo quello. Io non sono come mio padre.
Come molti altri demoni. Io non avrò mai un’amante umana
Amanti umane. Erano state la rovine di molte stirpi. Molti figli di sangue puro si
erano lasciati irretire da braccia snelle e soavi. Avevano compromesso sé
stessi e la loro dinastia senza macchia. Molti erano stati uccisi. Con le donne
che li avevano condotti al disonore. Morti. Come sue padre.
Per difendere una misera donna umana e il frutto del suo errore.
Lui non avrebbe mai fatto lo
stesso errore. Non si sarebbe mai unito ad una donna umana. Mai. Piuttosto la
morte. Ma non avrebbe disonorato nuovamente il suo casato. Lo aveva giurato. Lo
aveva gridato al vento la notte in cui suo padre era morto. Quando aveva
sentito la sua aura esplodere nella battaglia e contorcersi negli ultimi
spasimi. Niente amore. Niente pietà. Per nessuno. Youkai,
hanyou o ningen che fosse. Solo vendetta. E rispetto. Per ripristinare l’onore.
Fissò Alessandra con maggior
intensità. Assottigliando gli occhi. Un’amante…Era la sola cosa che avrebbe
potuto essere. La sola cosa che era. Un corpo. Una condanna, per chi fosse
caduto nella rete della sua seduzione. Indegno anche solo di restare a testa
alta di fronte a lui. Alla purezza del suo sangue. Eppure, quella parola gli
bruciava sulle labbra. Gli rivoltava. Avrebbe potuto associarla a qualsiasi
femmina, ma gli riusciva estremamente faticoso anche solo pensarla e al tempo
stesso guardare la ragazza. Gli sembrava di sporcarla, così facendo. Di
insudiciare un candore e una fanciullezza che erano nascosti in fondo a quell’anima provata. Ma che lui aveva visto. Molto bene.
Tu non sarai mai la mia amante…
Odore conosciuto. Disprezzato.
Rivoltante. Odore di mezzo-demone. Fetore di morte.
Sesshomaru si fermò di colpo al centro della radura, tendendo i sensi
acuti. Ne era sicuro. Lui era là. Da qualche parte. E non il solito fantoccio.
Lui in persona. Era uscito allo scoperto. Personalmente. Un sorriso gli storse
le labbra. Un ghigno. Di soddisfazione. Una nuova prova della sua superiorità.
Lo avrebbe ucciso. Questa volta,
non gli sarebbe sfuggito. E nessuno avrebbe interferito. Nessuno. Una vendetta
da assaporare adagio. Godendo nel sentire la spada sprofondare nella carne. Nel
vedere il sangue colare a macchiare la pelliccia bianca. Nel vedere la
consapevolezza della fine negli occhi dell’avversario. Sarebbe morto. Perché
nessuno deve sfidare il Principe delle Terre dell’Ovest. Nessuno deve osare
sfidare lui. Sperare di poterlo usare.
Estrasse Tokijin con un gesto lento e minaccioso. Il
sorriso si allargò di più. Stava per scattare in direzione dello youki,
quando avvertì un fremito dietro di sé. Alessandra. Si era dimenticato di lei.
Si girò e la vide pallida, anche se cercava di apparire controllata.
Lo aveva
visto snudare la katana, e alla mente si era affacciata la sua figura
bianca, sotto la luna, screziata di rosso. Sangue. Lui stava per combattere.
Per uccidere. Lo aveva capito. Dalla sua espressione. Da quel sorriso che
ghiacciava il sangue. Perché era di macabra soddisfazione. Alessandra aveva
provato l’impulso di fuggire, di chiudere gli occhi per non vedere. Invece, era
rimasta immobile. A fissarlo con gli occhi blu dilatati. Insicurezza. Di
ricadere di nuovo negli incubi.
Per la prima volta in vita sua, Sesshomaru desiderò rinfoderare la sua arma e andarsene.
Per la prima volta, la battaglia non lo attirava. Voleva solo cancellare quell’espressione dal viso della ragazza.
“Potente Sesshomaru”.
Voce affettata. Melliflua. Voce falsa. Rivoltante.
“Naraku”.
Un ringhio di disprezzo represso. “Cosa vuoi?”
“Dovreste saperlo”. L’hanyou sorrise
da sotto la maschera. “Voi. La vostra suprema forza demoniaca”.
“Desiderio patetico e
irrealizzabile”. Questa volta fu il demone a sorridere, mostrando i canini
appuntiti. Una minaccia. Evidente.
Naraku non vi badò. Era abituato alle risposte taglienti del suo
avversario. In quel momento la sua attenzione fu rapita dalla figura che era
seminascosta dalla persona di Sesshomaru. Una donna.
Un’umana. Senza potere spirituale. Senza difese. Particolare. Per quei capelli
rossi. Mai visti, se non nei demoni.
Un ottimo omaggio per il mio alleato
Sesshomaru si avvide di quello sguardo. E non gli piacque. Sentì un
brivido percorrerlo. Timore. Ma non lo volle accettare. Senza staccare gli
occhi da Naraku, disse ad Alessandra si allontanarsi.
E poi scattò. Forse avrebbe visto del sangue. Forse avrebbe di nuovo assistito
alla morte di qualcuno. Ma meglio quello, che il rischio che Naraku la prendesse. Meglio uno shock, che finire nelle
luride mani di quel bastardo.
Il colpo si infranse. Un oni lo aveva intercettato. Senza sforzo. E adesso Naraku rideva divertito della sorpresa dipinta sul volto
del demone.
“Sapete, questo mio servitore è
diverso dagli altri. Vi ucciderà”
Sesshomaru si riprese in fretta, ma per quanto cercasse di avvicinarsi
all’hanyou, quell’oni
riusciva sempre a impedirglielo, e in più continuava a crescere. Senza
controllo. Mentre lui, ad ogni assalto, era come se fosse privato di un po’ del
suo youki.
Un grido lo fece voltare.
Agitazione. Una voce di donna. Alessandra.
La vide. Fra le braccia di Naraku. Si divincolava. Mentre il demone la stringeva
sempre più forte. La toccava. E lei non voleva essere toccata. Non in quel
modo. Non da lui. Sesshomaru sentì la rabbia
crescere, fluire vorticosa nelle vene. Annebbiargli la mente. Non doveva
toccarla. Neanche avvicinarsi a quella ragazza.
Naraku percepì l’odore diverso nell’aria. Sollevò un po’ la testa
per gustarsi la scena. Il Principe dei demoni geloso. Uno spettacolo che mai
aveva immaginato di vedere. Il sorriso di sfida si allargò in un ghigno
subdolo, mentre sollevava il viso di Alessandra e lo avvicinava al suo. Prima
di ucciderlo, gli avrebbe fatto vedere la sua donna baciata da un altro.
L’youkai
sentì le vene pulsargli fino al limite della sopportazione; scattò e nuovamente
fu ricacciato indietro dall’oni. Non li vedeva più.
Sentì solo un grido strozzato. Uno schiocco secco e assordante. Poi,
null’altro. Lasciò che il furore invadesse ogni suo anfratto, fisico e
cerebrale.
Pioggia.
Sentiva solo lo scroscio della
pioggia. Un fischio continuo nella mente. Assordante. Doloroso. Alessandra aprì
gli occhi con fatica. Sapore di terra in bocca, mischiato a neve. Sapore acre.
Di sangue.
Bianco. Una luce accecante. Si
riversava nella radura, assieme a quella pioggia gelida. Acqua. Lame sottili.
Continue. Martellavano su tutto il corpo. S’insinuavano nelle pieghe degli
abiti, fra i capelli. Scivolavano lente, strappando brividi continui.
Bruciando. Come se fosse fuoco.
Facendo forza sulle braccia, riuscì
a sollevarsi a sedere. Le pulsava tutta la parte sinistra del viso. Un dolore
sordo. Continuo. Un formicolio fastidioso. Si sentiva esausta. Completamente
svuotata di ogni forza.
Lo scroscio dell’acqua aumentava
sempre di più. Copriva i suoi pensieri. Non ricordava quando
aveva iniziato a piovere. Non ricordava come ci fosse finita,
distesa a terra. Aveva tanta confusione in testa.
Alzò il viso al cielo e lasciò
che la pioggia lavasse via le tracce del fango, il sangue incrostato. Che le alleviasse
quel dolore sordo al volto. Ricordava…Piano, le immagini di quello che era
accaduto si riaffacciavano alla sua mente…
Era apparso quell’uomo…un
youkai…No; forse un hanyou…Aveva
un nome che l’aveva fatta rabbrividire…Naraku…Sembrava
conoscere il suo compagno di viaggio…
Ha detto che lo voleva…cosa significa?...
Si passò una mano fra i capelli
bagnati. Non aveva importanza, in quel momento. Poi…poi l’youkai
le aveva detto di allontanarsi, ed era scattato. Voleva combattere. E c’era un
mostro. Gigantesco. E continuava a crescere.
Lei si era allontanata, ma solo
per ritrovarsi fra le braccia di quell’uomo strano.
Aveva gridato. Forte. Non le piaceva che la toccasse.
Non voleva esserlo. Le sue mani…Erano diverse da quelle dell’youkai…erano viscide, scivolavano bramose sul suo corpo.
Non era un tocco delicato, fresco. Le facevano ribrezzo. Aveva iniziato a
dibattersi, a muoversi. Mettendoci tutta la sua forza. Ma l’hanyou
l’aveva stretta ancora di più a sé. Poi, aveva alzato il viso. Lo aveva visto sorridere.
Un sorriso che le aveva fatto gelare il sangue. A chi stava sorridendo? E
perché in quel modo così subdolo? Non aveva avuto tempo di pensarci; si era
sentita sollevare il viso con prepotenza e lo aveva visto chinarsi su di lei.
Voleva baciarla. Voleva ciò che non aveva permesso neanche al demone che ora
stava combattendo poco lontano.
Non voleva. No. Quello sarebbe
stato il suo primo bacio. Strappato con la forza. Dato a un essere che la
ripugnava. D’istinto, aveva afferrato il pugnale alla cintura e con un gesto
brusco aveva spazzato l’aria davanti al suo volto. Ad occhi chiusi.
Un grido strozzato.
Un’imprecazione. Aveva sentito la presa allentarsi e poi…Un dolore fortissimo
al viso. Uno schiocco secco. Poi più nulla. Doveva essere svenuta.
Non sapeva neanche lei per quanto
tempo. Minuti, ore…Non lo sapeva dire. Però, in quel
momento, attorno a lei, c’era silenzio. Eppure, la radura era la stessa
dell’agguato. Non era stata spostata. Quell’hanyou
non l’aveva rapita. Probabilmente Sesshomaru l’aveva
difesa.
Un brivido lungo tutto il corpo.
Perché non l’aveva svegliata? Perché non era accanto a lei? Iniziò a guardarsi
freneticamente attorno. Voleva trovarlo. Voleva che la smettesse di nascondersi
e uscisse da quel maledetto bosco. Non era il momento, quello, di giocare.
Dove sei?...
Gli occhi le caddero su una enorme massa nera informe. Fumava. E nell’aria c’era un
disgustoso odore di carne bruciata. Nausea. Represse il conato e distolse lo
sguardo. Non era quello il momento adatto. Avrebbe potuto
stare male dopo. In quel momento, doveva essere forte.
Lo vide. Un corpo bianco disteso
per terra. Oltre quella carcassa carbonizzata. Immobile.
…Sesshomaru…
Un po’ strisciando un po’ camminando
carponi riuscì a raggiungerlo. Era prono, nella neve fangosa chiazzata di
sangue. E anche lui…la sua veste bianca era tinta di rosso. Quasi nera
all’altezza di un fianco. Lo afferrò per le spalle e lo girò, poggiandolo a sé.
Alessandra trattenne a stento un grido, mentre gli occhi le
si riempirono di lacrime e orrore.
La corazza era completamente infranta e alcune schegge dovevano essergli penetrate nella
carne, almeno a giudicare dai tenui aloni rossastri disseminati su tutto il suo
corpo. Poi, c’era lo squarcio al fianco, la mano sanguinante e bruciacchiata.
Alessandra sentì le lacrime,
calde, confondersi alla pioggia fredda quando riuscì
finalmente a guardarlo di nuovo in volto. Il suo volto…la pelle diafana, quel
viso di porcellana…Ora era una tragica maschera di sangue. Soprattutto attorno
agli occhi. Sembravano essere loro a grondare sangue. A versare inconsapevoli
lacrime rosse.
Sfigurato.
Il volto di Sesshomaru
era completamente sfigurato. Quasi irriconoscibile. La pioggia continuava a
cadere, appiccicandogli al volto i capelli. Confondendo l’argento con il
cremisi. Alessandra gli scostò dal viso bagnato alcune ciocche incrostate di
sangue. Mosse piano, ma Sesshomaru ebbe comunque un
fremito.
Aveva sentito un tocco gentile.
Una carezza delicata. Non una sensazione di pericolo. Solo di avvolgente
tranquillità. Aprì gli occhi. Immagini sfuocate. Non riusciva a distinguere
molto. Ma sapeva che la ragazza era accanto a lui. Lo sentiva. Dall’odore.
Mescolato a quello del sangue. Del suo sangue.
Si concentrò, assottigliando
impercettibilmente gli occhi. Finalmente, riuscì a delineare il suo viso. Anche
se in modo incerto. Attraverso un velo scarlatto. Tutto aveva quel colore
scarlatto. Tutto. Mosse le labbra. Piano. Con fatica mai provata.
…Musashi…
Alessandra si era piegata su di
lui. Aveva visto i suoi occhi sforzarsi di mettere a fuoco ciò che lo
circondava. Aveva visto le sue iridi d’ambra naufragare in un mare rosso.
Perdere le loro sfumature d’oro. E aveva visto le sue labbra muoversi a
comporre una parola muta.
“Non sforzarti…”
No…Non mi capisci? Sesshomaru scosse debolmente il capo. Era davvero esausto.
Ma non poteva permettere che lei restasse lì. Non in quel momento. Lui non era
in grado di proteggerla. Non era stato in grado di difenderla.
“…Mu…sa…shi…”
Stentato. Il nome del villaggio
gli uscì con uno sforzo immenso. Ma doveva dirglielo, perché potesse
raggiungerlo. Perché potesse tornare nel suo mondo. Glielo aveva promesso. La vide
dilatare un po’ le iridi azzurre. Aveva capito. La stava cacciando. Le stava
dicendo di andarsene e lasciarlo lì. Di abbandonarlo.
Alessandra scosse la testa. Non
lo voleva abbandonare.
“Vai…al villaggio…”.
Più si sforzava di parlare, più
riusciva ad articolare le parole. Riusciva a prendere fiato, anche se soffriva
dolori lancinanti alle costole, al fianco, al viso. Soprattutto agli occhi. Ma
la sensazione di malessere era di molto diminuita. L’adrenalina e la paura di
non riuscire a farsi capire, ad allontanarla da lui prima che Naraku tornasse funzionavano come il migliore degli
analgesici.
Alessandra continuava a scuotere
la testa. Perché sempre e solo ordini? Perché anche in quel momento la sua voce
doveva avere quel tono dannatamente freddo? Perchè?!
Sesshomaru riuscì con un enorme sforzo ad alzare la mano.
“Devi andare…”
Una carezza. Leggera. Per farle
coraggio. Per scusarsi di aver dovuto di nuovo uccidere davanti ai suoi occhi.
Si aspettava la delicatezza della sua pelle. Invece, avvertì qualcosa di duro.
Di gonfio.
Rabbia. Aveva capito. Un rabbia ancora più forte della precedente lo invase.
Qualcosa che gli restituiva una forza che subito però
fuoriusciva col sangue. Era troppo debole. Non riusciva più a muoversi. Neanche
a reagire a quella folle volontà di rivalsa.
Mosse piano le labbra. Un sibilo
nella sua mente. Una promessa che giurò a se stesso perché la voce era solo un
sospiro strozzato. Prima di sprofondare nell’incoscienza.
…Me la pagherà…Ti vendicherò…