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Autore: Heresiae    21/12/2006    2 recensioni
Saeko affibbia un incarico a Ryo e fin qui nulla di strano, normale amministrazione. Qualcuno ha commissionato a un killer l'uccisione di Ryo Saeba. E qui si va sullo scontato. Ma le cose non sono mai semplici come appaiono e i segreti possono essere pericolosi, soprattutto se sono di Ryo Saeba.
E bisogna sempre ricordare che zio Murphy imperversa!
Genere: Drammatico, Azione, Avventura, Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kaori/Greta, Ryo Saeba/Hunter, Umibozu/Falco
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 8

Mick convinse Umi a fare una tappa al suo appartamento, o meglio, al garage sotto al suo appartamento, dove l’investigatore sottoposte il furgoncino e loro stessi a un restyling molto breve, ma essenziale, nel quale era compreso anche il cambio di targa e l’ardua impresa di convincere lo sweeper a smettere la sua uniforme per una camicia e un cappello da baseball. Mick però dovette sorvolare sulla camicia, poiché non ne aveva della taglia dell’amico, anzi sospettava che quella del matrimonio fosse stata fatta proprio su misura e che l’indossare costantemente la divisa da guerrigliero fosse semplicemente la pigrizia di non volersi andare a cercare qualcosa della sua taglia. Fortuna che era arrivata Miki, o il suo guardaroba sarebbe stato ancora peggiore di quello di Ryo.
Neanche un quarto d’ora dopo (Mick era pur sempre un professionista), schizzavano già fuori da Tokyo, con l’investigatore al volante, diretti a una ben nota villa sulla costa.
- Allora, vuoi dirmi finalmente qual è il tuo piano? –
Mick sorrise sornione tra la finta barba scura, mentre superava due auto contemporaneamente lanciato alla moderata velocità di 130 chilometri orari. Aveva studiato bene le cartine e conosceva una scorciatoia per arrivare prima alla villa, una scorciatoia molto impraticabile e tortuosa, che correva parallela alla linea costiera e dimenticata da tempo sia dallo stato, che dagli automobilisti, dato che c’era spazio giusto per un auto e mezza. O quasi. Quando Umi prese una sonora zuccata sul tettuccio del mezzo al centramento della prima buca a tutta velocità, si disse che la scusa della cartina proprio non reggeva. Chissà se anche Kazue conosceva quella strada…
- O è un piano molto semplice. –
- E cioè? –
Umibozu aveva preso ad esempio l’uomo accanto a se e si era messo la cintura, ancora in ingrugnito per essere stato costretto a indossare quel berretto e la barba finta – sul fondotinta non aveva ceduto. Dannazione, lui non guidava così male! Nemmeno un cieco avrebbe preso in pieno tutte quelle buche.
- Ci faremo gentilmente aprire il cancello principale. –
Con un entusiasmo degno di un liceale al primo appuntamento, Mick accelerò proprio sopra a una buca larga almeno mezzo metro, mentre Umibozu lo osservava a bocca aperta mollando la presa dal sedile. Mick cominciò a fischiettare mentre l’uomo tentava di districarsi dalla cintura e dal fondo del furgone.
Una volta ricomposto e rimesso il berretto in una posizione più consona, si rivolse all’amico senza nemmeno tentare di celare il suo sbalordimento/ironia.
- Certo, noi arriviamo lì e quelli oltre ad aprirci ci stendono il tappeto rosso e magari ci offrono anche caviale a champagne. –
- Mmmh… magari, è un pezzo che non me ne offrono più. –
L’ex mercenario diventò paonazzo nello sforzo di non saltare al collo di quel disgraziato che lo stava conducendo a morte certa.
- Ma che razza di cretinata è mai questa?! –
Mick non perse un solo briciolo del suo buonumore e continuò a schivare e centrare le buche mentre illustrava il suo piano all’uomo al suo fianco. Alla fine della storia Umi dedusse che l’investigatore doveva aver trovato da qualche parte un negozio di cervelli nuovi. Doveva chiedergli dove, così avrebbe saputo dove andare a prendere il regalo di Natale per quell’idiota di sweeper che si ostinava a ancora a considerare come amico.

Reika e Miki avevano avuto la raccomandazione di non uscire di casa e di non pensarci nemmeno a trovare un modo per aiutarli, ma c’è gente che asserisce che le persone si circondano di amici degni di se stessi e persone che quando non sono inseguiti dai guai se li vanno a cercare, hanno degni rappresentati di questa loro natura al loro fianco. Tali erano Miki e Reika, in fondo una aveva sposato un ex-mercenario e una era innamorata cotta di uno sweeper, oltre a esserlo (quasi) lei stessa, per non parlare delle caratteristiche della discendenza Nogami. Da brave donne dal carattere forte e femministe – ovvero, consapevoli che in genere gli uomini senza di loro non sanno cavare che mezzo ragno dal buco da cui tentano di estrarlo – si rattopparono alla meglio e caricarono sulla jeep di Miki abbastanza armi da far paura all’esercito mafioso di Shinjuku. Ricordandosi della presenza di ben tre armi letali fuori controllo alla villa di uno dei più grandi magnati dell’alta finanza, pensarono bene di avvertire anche la sorella di Reika che ci sarebbero stati un bel po’ di cocci da nascondere sotto al tappeto. Finiti i preparativi afferrarono una cartina e partirono a razzo.

Umibozu ancora non si capacitava dell’idea avuta da quell’idiota americano. Con un po’ di fortuna avrebbe anche potuto funzionare. Una brusca fermata, quasi un’inchiodata, lo fecero però pentire quasi subito del complimento involontario che gli aveva fatto mentalmente.
- Che succede ora? –
- Ho come l’impressione che abbiamo compagnia. –
Mick si mise ad armeggiare con il cambio facendolo gemere e accelerando nel momento sbagliato, tenendo d’occhio lo specchietto retrovisore. Umi tese l’orecchio, tentando di eliminare dal suo panorama acustico i rumori di protesta del furgoncino. Quasi subito alzò la testa di scatto.
- Hai ragione. –
Cinque secondi dopo Mick li vide comparire da una curva, innestò subito la marcia in modo corretto e accelerò, facendo fare letteralmente un balzo in avanti al mezzo. Non si scomposero più di tanto, Mick continuò a guidare a velocità molto sostenuta avvantaggiato dal fatto che lui, a differenza dei loro inseguitori, conosceva già quella strada. Dopo un paio di chilometri trovò quello che cercava, una curva molto stretta di quasi centottanta gradi con una conca sul fianco quasi subito dopo: era quasi impossibile per chi usciva dalla curva vedere se c’era qualcuno parcheggiato lì sul fianco. Umi uscì dal mezzo e Mick lo lasciò fare, l’amico si divertiva sempre un mondo a tendere imboscate e gli lasciò il divertimento.
- Vedi se riesci a fermali invece di buttarli direttamente giù nel dirupo, così ci facciamo dire quanto hanno riferito sulle nostre manovre. –
Umibozu non rispose, ma si avvicinò a un cumulo di rocce proprio davanti a loro, ne prese una del diametro di circa un metro e senza troppi complimenti la sollevò. Mick aprì lo sportello del furgone e si mise a sedere di traverso, moriva dalla voglia di vedere le facce di quei disgraziati una volta sbucati dalla curva.

Mark era furioso. Quei due pazzi gli avevano fatto fare il giro di tutto il quartiere in mezzo al traffico dell’ora di punta e per un attimo aveva davvero temuto di averli persi o di essere stato scoperto. Non si spiegava in altro modo quella manovra rischiosa al semaforo. Il suo compagno accanto a lui la vedeva allo stesso modo, ma era meno nervoso. Ovvio, mica se li era dovuti sorbire lui i dannati guidatori giapponesi! Neppure a New York incontrava così tanti imbecilli amanti dello stare in mezzo alla strada. Non di fianco, da una parte, no!, in mezzo!, è più bello si ha una visuale migliore.
- Calmati, non perdere il controllo proprio ora. –
Alan era chino su una cartina per vedere dove li stavano portando quei due diavoli. Era stato un colpo di fortuna incredibile ritrovarseli a casa dell’investigatore. Avevano omesso il Cat’s Eye perché c’erano le due donne convalescenti ma non si poteva mai sapere, ma chissà dove diavolo avevano preso quel furgone del pony express. Quando lo avevano visto uscire dal garage con un nome diverso non ci avevano messo molto a fare due più due e avevano cominciato a seguirlo nel traffico, di nuovo!, proprio in direzione della villa e poi in quella dannata strada tutta buche e curve. E quel disgraziato non scendeva mai sotto le sessanta miglia orarie!
- Ma come diavolo fa! –
- Calmati, vedrai che alla prossima curva li intravediamo. –
- Già. –
Il suo umore era guastato ulteriormente dal non essere riusciti a comunicare per intero la notizia al quartier generale. Una volta capite le intenzione dei due, si erano subito messi in contatto via radio con il loro centro di controllo, ma in quel momento Mark aveva dovuto schivare velocemente un autocarro che aveva deciso di sorpassarne un altro proprio mentre stava passando lui, col risultato che il compagno si era beccato un bernoccolo alla tempia e il caffè preso allo Starbucks, ancora pieno per metà, era schizzato dal porta bicchieri davanti al cambio proprio sulla radio, inondandola. Morale della storia, i compagni sapevano che i due erano in dirittura di arrivo, ma non con cosa e soprattutto non sapevano che erano truccati.
Mark sbuffò un’altra volta cercando di rimanere concentrato sulla guida e sulle buche; arrivato dall’altra parte fece appena in tempo ad accorgersi della massa in mezzo alla strada, poi tutto rallentò. Quasi come in un sogno vide il cofano alzarsi e accartocciarsi, il parabrezza andare in frantumi e sentì chiaramente l’auto sollevarsi in avanti. Lui venne proiettato in avanti, ma la cintura di sicurezza lo tenne al suo posto, aiutata dall’airbag che si gonfiò istantaneamente. Il suo compagno non fu altrettanto fortunato: con la scusa che non erano più su una strada comunemente percorsa anche dalle pattuglie della stradale, si era tolto la cintura e lui lo vide sollevarsi, attraversare il parabrezza e piombare sulla strada, rimanendo a terra. L’auto tornò su tutte e quattro le ruote molto velocemente rispetto alla sua misurazione temporale e si ritrovò stordito a fissare il pallone che si sgonfiava davanti a lui, penzolando dal clacson. Meno male che avevano preso un utilitaria decente, si ritrovò a pensare. Un’ombra gli si parò di fianco. stordito, voltò lentamente la testa e si ritrovò un faccione scuro, con occhiali da sole, barba e cappello.
- Bene, che abbiamo qui? Ratto in scatola. – e lo afferrò per il bavero della giacca.
Cinque minuti dopo era anche lui a terra, dopo essere stato tirato fuori di forza dal finestrino dell’auto, mentre il furgoncino schizzava via slalomeggiando alla meglio tra le buche.
Guardano il suo compagno a terra, si chiese vagamente se avrebbero mai chiamato un ambulanza.

Mick e Umi erano arrivati davanti al cancello principale della villa di Bruckmeyer solo un quarto d’ora dopo aver lasciato quei due a sanguinare sulla strada. Avrebbero chiamato qualcuno dopo, forse… Erano fermi davanti alla barra orizzontale, il cancello infatti era aperto. Una guardia si era accostata al loro finestrino mentre un’altra rimaneva di guardia con un fucile nascosto puntato alla testa del guidatore.
- Questa è proprietà privata, dovete andarvene. –
Mick mascherò abilmente il divertimento a sentire a il tono autoritario di quel moccioso imberbe, non avrà avuto più di vent’anni. Si mise su una maschera di irritazione e arroganza, che a detta di tutti gli veniva anche fin tropo bene, e si rivolse al moccioso con tono molto scocciato.
- Ragazzino, questa sarà anche proprietà privata, ma io ho una consegna da fare, e bella voluminosa anche. Facci entrare alla svelta, che oggi ne ho avuto abbastanza di clienti petulanti.–
La guardia lanciò un’occhiata sospettosa a lui e poi al tizio che gli stava a fianco, una specie di colosso che sembrava uscito dritto dritto da un telefilm degli anni ottanta. L’abitacolo puzzava anche di alcol e una bottiglia semivuota era adagiata del porta oggetti.
- Per chi è la consegna? –
- Per il signor… - Mick afferrò una cartella con dei fogli e la lesse senza dar modo al ragazzo di sbirciare, – Brusk… Brucchemaier. –
- Bruckmeyer. –
- E io che ho detto? Dai, facci entrare. –
- Che genere di pacco dovete consegnare? –
- E io che ne so. –
- Come? –
- E io che ne so! Mica sbircio nella cose degli altri, sono un professionista io! - e si batté la mano sul petto, chinandosi poi su se stesso per un accesso di tosse. La guardia si allontanò di un passo con un espressione che mascherava a fatica il suo disgusto.
- Scendete. Devo perquisire il furgone. Intanto consegnate i vostri documenti al mio collega. –
- Cosa?! –
- Sono le regole, o così o non si passa. –
- Senti amico, è solo una puntata e via. Lo vedi questo colosso? Beve come una spugna e in continuazione e se non lo fa diventa mooolto scontroso e la bottiglia è quasi vuota. Perché non… -
- O così o non entrate e voi dovrete rifarvi tutta la strada fin qui domani. – Mick notò la smorfia sadica di soddisfazione del moccioso quando pronunciò quelle parole. Chissà se era tanto sicuro di se anche in combattimento. Da attore consumato, guardò l’amico, la bottiglia e il contachilometri, poi rivolse un’occhiata rassegnata al ragazzo.
- Eeeeh va bene. Su svegliati bestione, qui sono dei dannati maniaci della sicurezza. E svegliati! - diede una botta a Umi, che faceva finta di sonnecchiare e scesero. Si diressero di malavoglia verso la guardiola mentre il ragazzo apriva il retro del furgone e lo ispezionava. Fortuna che Mick aveva avuto il buon senso di cambiare il nome a uno dei pacchi più grandi. L’investigatore porse dei documenti alla seconda guardia, un altro moccioso imberbe, che li esaminò da vicino, bastavano quelli di identità, per fortuna non pretesero anche quelli di lavoro: ogni bravo sweeper che si rispetti ha almeno altre quattro identità fasulle a cui attingere nelle emergenze e loro due non facevano eccezione.
Pochi minuti dopo i mocciosi diedero il via libera e i due poterono entrare nel cancello principale. Mick sghignazzò allegramente.
- Che dici, si offenderanno quando scopriranno il mio brutto tiro? –
- Con tutto quel gel soporifero che hai sparso letteralmente ovunque sarà tanto se capiranno come mai sono in una cella. –
- Devo ringraziare Doc, non credevo che quella roba mi sarebbe tornata utile sul serio. –
- E ora come troviamo Ryo? –
- Beh… -
Con la coda dell’occhio Mick individuò nello specchietto retrovisore una massa scura e polverosa in movimento, guardò meglio e vide che era un grosso camion militare seguito da altri, lanciato ad alta velocità. Senza preavviso, sterzò verso il ciglio della strada, che era asfaltata, e frenò bruscamente, facendo guadagnare a Umibozu un’altra zuccata, della quale però non si lamentò.
Tre secondi dopo il convoglio li sorpassò senza degnarli della benché minima attenzione.
Mick sorrise soddisfatto, a differenza di quel che dicono i moralisti andare a velocità pazzesche anche su strade accidentate aiuta, in quel caso a sorpassare il convoglio con a bordo un rapito.
- Che dici? Anche loro avranno qualcosa di urgente da consegnare? – domandò ironico al compagno.
- Di certo non correva in quel modo per consegnare delle pizze ancora calde. –
- Certo che sei di buon umore oggi, eh? –
- Ho avuto un brutto risveglio. –
- Oh, vedo. –
Riavviò il furgone e si accodò al convoglio mantenendo una certa distanza mentre Umibozu si levava quel berretto odioso e sfilava da sotto il suo sedile il suo fedele bazooka.

Kaori era stata trasferita dalla scuderia a un salone molto grande ed elegante, ma ingombro di apparecchi elettronici e monitor. Il lungo tavolo al centro, era particolarmente carico di computer e cavi e tre ragazzi lavoravano davanti a tre postazioni con non meno di tre monitor ciascuno. La luce era molto forte, dovuta a delle lampade alogene che sostituivano gli originali lampadari pendenti di cristallo di cui si notava la mancanza, e veniva riflessa dal lucido pavimento di marmo e dagli specchi a muro che non erano riusciti a togliere o coprire dai monitor. Venne fatta sedere a un angolo della sala, su una sedia da ufficio di quelle girevoli, e legata di nuovo alle caviglie. Era passata bruscamente da un ambiente con poca luce a uno illuminato a giorno e si sentiva leggermente stordita, ma riuscì a intravedere un’ampia finestra priva di tendaggi che dava su un terrazzo ampio quasi quanto la sala. Doveva essere stato un salone da ricevimento splendido, pensò Kaori. Ora era nudo e spoglio e invaso da apparecchiature che sembravano quasi aliene in quell’ambiente. Strano a dirsi, il maxi schermo era quello che dava meno fastidio, la forma infatti ricalcava né più né meno un ampio quadro che molto probabilmente aveva sostituito, visto che occupava giusto il posto nella parete senza occultare niente. L’attenzione infine ricadde sull’angolo di fronte a lei, dove un uomo era fisso davanti a una ventina di piccoli monitor in bianco e nero, che spesso cambiano immagine.
“Così è questo il centro di controllo di Bruckmeyer.”
Bruckmeyer arrivò e fece un cenno col capo in direzione dell’uomo davanti al monitor, che premette un pulsante sulla consolle davanti a lui. subito il maxi schermo si accese e mostrò tanti riquadri differenti in bianco e nero.
- Dammi solo quelle della 13-A –
Un altro veloce movimento dell’uomo e i riquadri sparirono, per lasciare il posto a un’unica immagine in bianco e nero, grande quanto tutto lo schermo. Era l’ingresso della villa, era chiaro, ripreso probabilmente dalla sinistra del portone. Infatti si vedeva la scalinata e lo spiazzo antistante, tutto in un angolazione spostata verso destra; l’uomo cominciò ad armeggiare con un joystick fisso davanti a se e l’immagine si spostò per comprendere meglio lo spiazzo. C’erano delle guardie, con dei cani e alcuni fari alogeni puntanti sulla villa e all’esterno. Tutto era su una tonalità molto chiara di grigio.
- Bene, sono arrivati. –
Kaori osservò attenta quel che avveniva sullo schermo. Tre grossi camion militari apparvero uno alla volta nello spiazzo e parcheggiarono l’uno di fianco all’altro, l’ultimo più vicino alla scalinata. Degli uomini, circa una dozzina ciascuno, cominciarono a scendere dai primi due e si disposero in circolo intorno al terzo puntando contro dei mitra. Quando la disposizione fu ultimata, anche dal terzo camion uscirono circa sei uomini, che puntarono immediatamente le armi contro il loro camion. Kaori trattenne bruscamente il respiro quando vide apparire Ryo dal tendone, tenuto sotto tiro da altri sei uomini all’interno del cassone.
La telecamera zoommò, a beneficio degli spettatori in sala, tutti infatti si erano fermati guardare l’uomo per il quale erano state impiegate tutto quel dispiegamento di forze ed energie.
- Ecco signorina Makimura, il suo socio è appena arrivato. Come può vedere non ha troppo da sperare in un suo colpo di mano, è ben sorvegliato. –
Kaori non annuì ma ebbe lo stesso pensiero. Aveva visto Ryo fare le cose più incredibili anche davanti a uno spiegamento di forze maggiore, ma aveva sempre una pistola o altro che gli permetteva di avere la meglio, lì era completamente disarmato e i soldati non gli si avvicinavano a meno di due metri. L’unica cosa che non si spiegava era come avevano fatto a prenderlo e a renderlo inoffensivo. La sua domanda doveva riflettersi anche sui suoi lineamenti o forse Bruckmeyer lo aveva intuito, perché si sentì comunque in dovere di spiegarglielo, o forse era solo orgoglio.
- Il suo socio ha avuto il buon senso di consegnarsi per salvarle la vita, cosa che comunque non è assicurata. –
Kaori spostò lo sguardo dallo schermo al tedesco, che la stava osservando con uno sguardo molto soddisfatto e maligno. Kaori lasciò trapelare la rabbia e il suo disgusto per quell’essere.
- Non la prenda così male, dovrebbe essere felice, passerà il resto dell’eternità accanto all’uomo che ama, sempre che accetti di andare all’inferno con lui. –

Ryo era davanti all’ingresso della villa, era la prima volta che si rendeva conto di quant’era imponente, da lontano non sembrava così ampia. Davanti a lui si estendeva l’ampio ingresso sovrastato dal terrazzo illuminato a giorno: non riusciva a scorgere le vetrate delle finestre dal basso e, a causa della conformazione leggermente curva della villa, nemmeno gli angoli agli estremi; da lì sembrava alta solo tre piani ma lui sapeva che oltre il parapetto in alto c’era un’ampia veranda che era stata destinata al terzo distaccamento delle guardie di Bruckmeyer, divise rispettivamente in controllo acqueo, via terra e cielo. Il portone era ampio quanto la bianca scalinata marmorea e aperto solo per metà: era di legno scuro e lucido rinforzato in bronzo, Ryo si chiese se un blindato sarebbe stato sufficiente e buttarla giù. Bolt gli si avvicinò e gli fece cenno di salire. Mentre continuava ad osservare la villa non poté fare a meno di notare che era incredibilmente spoglia vista da vicino: i muri lisci e con pochi cornicioni essenziali non presentavano fronzoli o altro e sotto le finestre al piano terra riusciva a vedere ceppi contorti di quelle che doveva essere state maestose piante rampicanti, ora ridotte a dei tronchi secchi e sterili. Ai lati della scalinata invece si notavano chiazze chiare e perfettamente tonde e le finestre erano tutte prive di qualsiasi tipo di tendaggio. La sensazione si di desolazione si acuì quando varcò il portone d’ingresso seguito fedelmente dagli uomini e dalle telecamere: era molto ampio, ci avrebbero tranquillamente potuto giocare a calcetto o tennis e ci sarebbe stato spazio anche per un paio di file di spettatori su entrambi i lati. L’ambiente nel complesso era molto classico: scalinata sul fondo che si apriva in due ali con vetrata che faceva da sfondo, ora oscurata con delle stoffe che poco avevano a che fare con un ambiente tanto lussuoso; dai lati si accedeva tramite ampi corridoi alle ali estreme del palazzo, ma solo uno, quello di sinistra, era illuminato, mentre l’altro era tenuto spento. Anche per quanto riguardava il sotto scala solo il lato di sinistra sembrava utilizzato, infatti Ryo notò che il lucido pavimento in marmo era segnato di impronte fangose e chiazze scure non meglio identificate. Anche lì erano state tolte ogni genere di suppellettili inutili, quadri, specchi e vasi che avevano adornato quella casa per anni avevano lasciato i loro segni chiari sulle pareti, a denuncia di quell’atto di violazione di così poco gusto.
A dire il vero però un oggetto di arredo molto interessante era rimasto. Ryo raggiunse placidamente il centro dell’atrio ignorando la ventina di guardie si disponesse intorno a lui in circolo, infatti la donna che aveva davanti era più degna di attenzione. Gli rivolse la parola per primo nel suo solito mondo canzonatorio che sembrava piacere tanto alle donne, era prigioniero ma aveva pur sempre una dignità da difendere.
- Ho l’onore di parlare con Carla Rondoni o Melanie Oxley? –
La donne gli sorrise tranquilla, non si aspettava nulla di meno da un uomo con la sua reputazione.
- Dipende. –
- Da cosa? –
- Dal ruolo che mi costringerà ad assumere. –
Ryo guardò la guardò negli occhi: grigio ghiaccio, freddi quanto lo stesso, si chiese se era già riuscita ad uccidere con lo sguardo. Era bella, troppo, gli sarebbe dispiaciuto doverla uccidere, non avrebbe disdegnato per nulla poter affondare le mani nella folta chioma bionda della donna e sentire la consistenza del suo corpo sotto di se, ma era dell’opinione che lei non sarebbe stata molto d’accordo, soprattutto dopo che avrebbe ucciso il suo uomo.
- Facciamo così, lei farà la segretaria da brava, tenendosi alla larga dal macello in fase di realizzazione e io non le sparerò un proiettile nelle ginocchia, così potremo berci un drink sulla spiaggia raccontandoci aneddoti molto maliziosi e allusivi quando tutto sarà finito. –
Si aspettava anche questo, Ryo Saeba era un abile maestro nell’arte della sdrammatizzazione, spesso e volentieri disarmava gli avversari con la sua verve facendogli credere di essersi messi contro un gonzo che si era guadagnato la sua fama per puro caso, ma lei era di un’altra pasta. Ryo si accorse, con suo enorme disappunto che gli occhi della donna rimanevano freddi tanto quanto il suo sorriso. Se non riusciva più nemmeno a farle sorridere internamente, tanto valeva smettere, ma si sarebbe tolto la metà del divertimento.
- La sua fama di don Giovanni la precede signor Saeba, ma l’avverto che questi suoi tentativi di digressione serviranno solo ad aumentare la sorveglianza su di lei. E ora, se vuole seguirmi… -
Ryo la osservò voltarsi, ringraziando chi, tempo prima, aveva deciso che le tute aderenti era il massimo della praticità per un possibile scontro armato. Seguì docilmente la donna senza staccare gli occhi dal suo fondoschiena.

Mick aveva parcheggiato il furgone in una buca tanto provvidenziale quanto sottovalutata da quelli della sicurezza. Approfittando della luce del tramonto, che rendeva ancora inutili le luci alogene ma non rischiarava più di tanto il parco, aveva individuato un punto in cui la strada si alzava e curvava leggermente allo stesso tempo, creando una conca naturale in cui piazzare il furgone e capovolgerlo per eliminarlo completamente alla vista. Ora erano distesi proprio dietro al ciglio della strada, a poche decine di metri dalla villa. Erano fortunati, Bruckmeyer non aveva ritenuto necessario far uso dei cani o forse non aveva potuto, sta di fatto che le guardie umane e gli occhi elettronici sembravano ignorarli e loro non si stavano lamentando per l’improvvisa fortuna.
- Allora, qual è il piano? –
Umibozu era accanto a Mick con i sensi all’erta, non aveva bisogno di chiedere conferme, sapeva esattamente quante guardie aveva davanti a se e in che posizione, Mick invece non la smetteva più di scrutare in quel suo binocolo e stava seriamente pensando che anche lì avesse trovato qualcosa di più interessante da sbirciare.
Il biondino non accennò a smettere la sua attività mentre gli rispondeva.
- Cosa? -
- Qual è il piano? –
- Quale piano? –
Umibozu era lì lì per dare una capocciata al terreno ma mantenne il suo autocontrollo.
- Quello per liberare Kaori e Ryo, quale se no? –
- Non ho un piano.-
Non ce la fece. La testa gli piombò di scatto verso terra creando un foro di notevoli dimensioni.
- Shht! Vuoi farci scoprire?! – Mick si era appiattito al suolo e ora lanciava occhiate allarmate intorno, ma nessuno sembrava essersi accorto di niente. Umibozu non fece nemmeno lo sforzo di sollevare la testa dall’erba, sapeva che se l’avesse fatto non avrebbe resistito alla tentazione di strangolare quel damerino.
- E aflofa fsce faftiano? –
- Cosa? –
- E allora cosa facciamo?! – Umibozu si sollevò leggermente paonazzo in volto.
- Non lo so. –
Umibozu era pronto ad esplodere. Mick smise per un secondo di osservare la guardia che si dava il cambio per guardare il suo compagno e si accorse della gravità della situazione, infatti l’uomo aveva ormai raggiunto la colorazione del tramonto stesso e minacciava di fumare da un momento all’altro rivelando la loro posizione, o di ucciderlo. Mise giù il binocolo e si appiattì al suolo imitato dal mercenario.
- Calmati, vuoi farci scoprire? –
- Calmarmi?! Mi ha fatto entrare in questa trappola con tanto di esercito super attrezzato senza uno straccio di piano e tu dici di calmarmi?! -
Mick sapeva di avere la sua vita appesa a un filo, ma non aveva molte frecce al suo arco.
- Beh, con tutta l’agitazione per riuscire a entrare mi sono dimenticato del dopo. E poi scusa, potevi anche pensarci tu, o no? –
Mick capì di aver colpito nel segno quando il colosso di fianco a lui rimase pietrificato dov’era, il suo ragionamento non faceva un grinza. Umibozu borbottò qualcosa che Mick non capì ma che gli segnalava il suo scampato pericolo. Gli diede una pacca amichevole sulla spalla e riprese ad osservare i movimenti intorno alla villa con il binocolo. Ryo era appena stato scortato all’interno da ben venti soldati, che onore.
- Dai, non fare quella faccia, Ryo ci avrà sicuramente visto e avrà già messo in moto le sue cellule grigie. Non dobbiamo far altro che arrivargli abbastanza vicino da assecondarlo. -
- Umm… se lo dici tu, ma che cos’hai scritto sul furgone con quella vernice puzzolente?-
- O niente di speciale, ho solo cambiato il nome di quell’insulsa compagnia di Tokyo nella prestigiosa XYZ express. –
Umi rimase di stucco per l’ennesima volta. “Già, più prestigioso di così…”
In quel momento avvertì sotto ai polpastrelli il picchiare ritmico di qualcosa sul suolo un po’ distante da lui. Appoggiò l’orecchio guadagnandosi un’occhiata curiosa da parte dell’investigatore, che mutò in sorpresa quando gli vide allargarsi un ghignò furbo sul faccione. Aveva trovato il modo di entrare alla villa.

Ryo venne condotto dalla donna attraverso un lungo corridoio che partiva dal sottoscala e finiva in un ampio cortile interno alla villa;rimase un po’ sorpreso, dall’esterno nulla faceva presupporre che ci fosse anche quello spazio. Era a pianta trapezoidale, ampio abbastanza da poter mettere in rivista tutti i soldati di Bruckmeyer che, se ne rendeva conto solo ora, erano molti di più di quel che si aspettava. L’edificio principale in fatti era corredato di altri tre bassi lati che richiudevano perfettamente lo spazio, a cui si accedeva solo tramite le porte del palazzo padronale e un ampio ingresso dal lato della costa. Ryo non aveva visto tutto questo per il semplice fatto che c’era un boschetto piantato ad arte logistica, nascondeva perfettamente quel lato nascosto della casa. L’edificio alla sua sinistra sembrava essere stato adibito ad alloggi secondari, aveva molte finestre, nessuna illuminata, ma abiti appesi vicino alle finestre e vari oggetti sui davanzali, indicavano chiaramente che erano abitati; dissimulò una smorfia di disappunto, se quegli alloggi erano tutti abitati c’era il doppio delle forze ostili in campo da combattere. Quello alla sua sinistra invece aveva un ampio portone e delle finestre a nastro, non era illuminato e vi proveniva un forte odore di olio per motori. L’edificio davanti a loro invece era chiaramente una scuderia, la porta era aperta e la poca luce che rischiarava il cortile lasciava intravedere i box dei cavalli. Quello che attrasse di più la sua attenzione fu lo schermo posto proprio sulla porta scorrevole della scuderia, verso il quale si stava dirigendo Melanie.
- Non ditemi che vi siete scomodati così tanto solo per vedere qualche film! Potevamo andare al cinema, risparmiavano tutti in benzina. –
Si erano fermati al centro del cortile e gli uomini lo avevano di nuovo circondato, la donna si voltò verso di lui e sorrise.
- Questa è un’anteprima speciale signor Saeba, l’abbiamo riservata a lei solamente, dovrebbe esserne onorato. –
Ryo fece una smorfia. – Onoratissimo. – Continuò ad osservare impassibile il cortile intorno a lui mentre il suo cervello rimuginava furiosamente. Aveva già contemplato una mezza dozzina di soluzioni scartate subito nel giro di pochi secondi: era disarmato, ammanettato, tenuto sotto tiro costante da una ventina di uomini che si tenevano a non meno di tre-quattro metri di distanza ed era sicuro che ognuno di loro avrebbe potuto fare centro a occhi chiusi da cinquecento metri, figuriamoci da lì. Aveva visto il furgone delle consegne e aveva subito capito di essere di nuovo in gioco, ma lo scoprire che gli equilibri delle forze in campo avevano più dislivello di quel che pensavano lo stavano lentamente gettando nel panico: Umi e Mick non sapevano quanti avversari avevano realmente contro e lui non sapeva come comunicarglielo. Tra l’altro non aveva più visto il furgone quando lo avevano fatto scendere dal camion, ma sapeva che se li avessero catturati lo avrebbero già informato. No, non temeva che fossero già stati catturati, ma che fossero bloccati fuori si e soprattutto temeva che avrebbero potuto usare il metodo Falcon per poter entrare ad aiutarlo, cosa che avrebbe condannato Kaori senza alcuna sentenza d’appello.
Melanie accese il televisore che mostrò la sua pronta collaborazione colorando il proprio schermo di azzurro; un soldato le aveva porto una piccola custodia simile a quella delle macchine fotografiche e le ne tirò fuori un piccolo apparecchio molto simile a quello che aveva utilizzato a casa di Kuno per poter parlare con Bruckmeyer, collegò un filo dietro al televisore e la posizionò con l’occhio rivolto verso di lui; Ryo capì che in quell’occasione ci sarebbe stato un video dialogo in due direzioni. Una volta finito, la donna lo oltrepassò dirigendosi verso una porta dell’edificio degli alloggi secondari e sparì. Pochi istanti dopo il televisore diede un –blip- e comparve il viso di Hans Bruckmeyer, seguita dalla sua voce compressa dalla trasmissione.
- Buonasera Saeba. – Ryo smise immediatamente di rimuginare, irritandosi alla vista dell’ennesimo giochetto dell’uomo.
- Bruckmeyer cos’è questa pagliacciata, vieni fuori e affrontami da uomo. –
- Ma quanta foga, non sarà che hai già perso il tuo proverbiale sangue freddo? Sarebbe molto deludente. Ad ogni modo non sono stupido, so che se scendessi in campo di persona tu riusciresti a manipolarmi abbastanza da riuscire a giocarmi qualche brutto tiro, perciò mi accontenterò di godermi la tua esibizione dallo schermo, in compagnia della tua deliziosa compagna. –
L’inquadratura si spostò e inquadrò Kaori, seduta e legata a una sedia proprio accanto a Bruckmeyer.
- Ryo! –
- Stai bene? –
Kaori annuì sollevata e angosciata allo stesso tempo.
- Fatti forza, tra poco saremo di nuovo a casa. –
Kaori non fece tempo a rispondere che Bruckmeyer spostò l’inquadratura di nuovo su di lui.
- Mi spiace interrompere il vostro idillio, ma è tempo di concludere i giochi. –
- Lasciala andare Bruckmeyer, hai me, lei non ti serve più. –
L’uomo scosse la testa sorridendo.
- Oh andiamo Saeba, un uomo avvezzo alla vendetta come te non può non aver già capito che cosa sta per accadere. Purtroppo non potrò utilizzare la forma classica per ovvi motivi di sicurezza, quindi mi accontenterò di vedere la tua espressione poco prima della tua morte, nel sapere che anche la tua socia ti seguirà presto. –
Kaori sbiancò, conscia che il piano del tedesco era stato abbastanza ben congeniato da non offrire a Ryo qualsiasi tipo di occasione per sfuggire alla sorveglianza armata e contrattaccare. Guardò Ryo rigido come una statua di marmo, lo sguardo freddo e spietato che gli aveva visto tante volte i primi tempi che lavorava con lui, sguardo che si era perso da qualche parte nel tempo e non era più tornato, prima di quella sera. Lei non poteva saperlo, ma lo sweeper stava stringendo i pugni con tanta forza da farsi male da solo. Aveva la mascella serrata e non osava deglutire, come se il sospendere le normali funzioni fisiologiche potesse bastare a fermare il tempo e dargli qualche attimo in più per pensare. Ryo aveva la mente vuota, per la prima volta nella sua vita non poteva fare affidamento né sul suo istinto, né sulla sua esperienza e nemmeno sulla sua intelligenza. Non c’era niente che potesse fare per salvare Kaori e se stesso da quella situazione, anni passati a stare all’erta a qualsiasi minimo pericolo e si faceva fregare da una minaccia passata. Era stato un stupido. E per questo avrebbe pagato anche Kaori.
Bruckmeyer osservò l’oggetto del suo odio sentendosi quasi al limite di un orgasmo. In quei pochi secondi si concentravano anni di desiderio, piani, notti in bianco, bottiglie vuotate e quant’altro potesse fare da contorno adeguato alla sua sofferenza e sete di vendetta. Esagerata secondo alcuni, inutile secondo altri, perché tutto quel che era successo non aveva mai coinvolto direttamente Ryo, ma il fragile equilibrio psichico dell’uomo era crollato da tempo e solo il suo denaro e il potere che deteneva aveva fatto si che tutti lo seguissero obbedienti invece di tentare di fermarlo in tutti i modi. Si voltò verso la donna dello sweeper che sentendo il suo sguardo lo osservò di rimando. Occhi gelidi, freddi, spaventati anche, ma che non recavano alcuna traccia di resa.
- Pagherai per tutto questo. –
Bruckmeyer sorrise, era davvero la donna di Ryo Saeba. Ridacchio tra se leggermente pregustando il momento in cui il suo sguardo sarebbe mutato in puro terrore quando avrebbe premuto il grilletto della sua automatica proprio in mezzo ai suoi occhi. Prima però c’era lo spettacolo principale da gustarsi.
- Saeba hai sempre avuto buon gusto per le donne, buon per loro che non sarei più in giro a molestarle. Di addio al mondo terreno, Satana ti aspetta per brindare. –
Fece un cenno con una mano e i soldati disposti in mezzo a lui si tirano da una parte sola rimanendo in attesa del segnale del loro capo.
- Fuoco. –
L’ordine mormorato a mezza voce venne quasi subito soffocato dallo scoppiettio assordante delle mitragliette. Un primo proiettile dovette andare a vuoto e colpire la piccola videocamera di striscio perché l’inquadratura si spostò violentemente verso un lato del giardino vuoto. Pochi istanti dopo ci fu il silenzio.
Hans, leggermente stizzito per aver perso il clou della spettacolo, fece un cenno a Melanie che annuì impercettibilmente prima di dirigersi verso l’ampio ingresso del salone, poi guardò Kaori, pallida e tremante con gli occhi pieni di lacrime fissi sullo schermo. Sapeva che sarebbe riuscita a piegarla in qualche maniere.
- Pare che sia la fine di City Hunter quindi. –
Kaori, scossa da quel che aveva visto ma non ancora del tutto conscia dell’appena accaduto, recuperò dai recessi della sua mente quel tanto di personalità che le consentì di voltarsi e guardare il tedesco con occhi lucidi e colmi d’odio, che lo spiazzarono leggermente.
- Ti ucciderò con le mani, bastardo. –
Lo disse con voce bassa e strozzata, ma abbastanza nitida da penetrare della testa di Bruckmeyer e accendere un campanello dall’allarme. Aveva intenzione di risparmiarla a dire il vero, Saeba non esisteva all’anagrafe giapponese ed eliminarlo comportava rischi moderati facilmente eludibili, ma la sua collega sì ed era amica intima di una poliziotta della questura che non avrebbe lasciato insabbiare la questione molto facilmente. La sua scomparsa poteva essere un problema, ma lo decise che lo avrebbe affrontato: aveva già visto quel tipo di sguardi e Kaori Makimura aveva abbastanza contatti e amici per creargli dei problemi. Ora era lei il problema. Prevenirlo sarebbe stato più semplice che affrontarlo in seguito, si disse. Ricambiò il suo sguardo con impassibilità, era solo una donna in fin dei conti.
- Oh andiamo, non sia troppo triste, lo rivedrà presto e questa volta sarà sicuramente per sempre. -
Se possibile, l’odio di Kaori si fece ulteriormente profondo mentre le lacrime scendevano a bagnarle le guance.
- Certo che mi rivedrà. -
Entrambi si voltarono di scatto verso il megaschermo mentre tutti i presenti nella stanza si irrigidivano per lo sgomento e la sorpresa..
- Ryo! –
Lo sweeper era perfettamente visibile in un primo piano che occupava tutto lo schermo e sorrideva canzonatorio. Dietro di lui due guardie del plotone di Bruckmeyer imbracciavano i fucili con disinvoltura, ostentando dei ghigni divertiti. Erano gli unici due presenti, gli altri sembravano volatilizzati nel nulla.
- Ma cosa…? –
Per rispondere alla domanda che l’uomo non riusciva a formulare Ryo prese in mano la piccola telecamera e la spostò verso lo scenario alle sue spalle. Tutti gli uomini di Bruckmeyer era o riversi a terra in un lago di sangue, solo i due in piedi erano illesi e quando di levarono il berretto ben calato sul viso il tedesco lanciò un grido di sorpresa e rabbia allo stesso tempo: Umibozu e Mick lo guardavano evidentemente soddisfatti del loro operato.
- E’ evidente che in realtà il tuo sistema di sicurezza non è poi molto efficiente. – Ryo stava parlando con il tono tranquillo e discorsivo di chi sta discutendo sul tempo, nel frattempo si armava di un’automatica e una mitraglietta, poi si voltò a guardare dritto in camera con un sorriso sereno, di chi proprio non sta per andare ad affrontare un piccolo esercito di mercenari senza scrupoli – Preparati, sto per venire a riprendermi Kaori. – e con un colpo di pistola mandò in frantumi la videocamera.
Nel momento in cui la sua immagine scomparve Bruckmeyer lanciò un grido rauco e fece come per lanciare qualcosa contro lo schermo. Kaori era immobile sulla sua sedia, la girandola di emozioni violente degli ultimi momenti le avevano lasciato una strana sensazione di leggerezza e lucidità, che sul momento la lasciava anche vagamente stordita. Melanie fu al fianco di Bruckmeyer e stava per dirle qualcosa quando il salone improvvisamente piombò nel buio. Qualcuno gridò per la sorpresa, qualcuno imprecò, pochi secondi dopo la luce tornò anche se meno potente di prima. Kaori si svegliò completamente, non ebbe bisogno di sentire la voce concitata e infuriata di Brucmeyer che chiedeva spiegazioni ai tre ragazzi a la loro risposta di rimando: non c’erano solo Mick e Umibozu alla villa, erano arrivate anche Reika e Miki e molto alacremente le due donne avevano messo fuori uso il generatore principale della villa e ridotto parzialmente le difese. Ora c’era solo il generatore di emergenza a sostenere il tutto. Kaori mise tutti i sensi all’erta e si piegò leggermente sulla schiena, sfilò dalla cintura una sottile lama e cominciò a tagliare i legacci ai suoi polsi. Non sarebbe rimasta ad aspettare gli altri completamente inerte.

Il salone era piombato nel caos. I computer non avevano smesso di funzionare grazie agli ups e i ragazzi avevano quindi potuto comunque attivare tutti i programmi per le misure di sicurezza mentre il generatore principale ridava corrente all’edificio. Purtroppo però il generatore non era in grado di sostenere la totalità degli impianti e avevano dovuto ridurre drasticamente le difese e l’illuminazione all’esterno, rendendo il perimetro più vulnerabili ad altre eventuali penetrazioni, ma concentrando la quasi totalità dell’energia ai laser a infrarossi all’interno della villa. Chiunque fosse entrato là dentro non protetto dalla casacca elettromagnetica che lo identificava come ‘amico’ avrebbe dovuto affrontare anche il freddo e preciso fuoco di una macchina, oltre a quello dei cecchini umani. Lo comunicarono a Bolt che prese semplicemente atto della cosa con un ‘Ricevuto’ e poi riprese ad abbaiare ordini ai suoi uomini. Bruckmeyer osservava e ascoltava le voci via radio concitate e i dialoghi dei ragazzi con loro, c’erano spari che risuonavano in tutti i corridoi e urla concitate proprio sotto al terrazzo. Aveva lo sguardo vacuo e perso, per diversi minuti non fu in grado di proferire parola o pensiero degni di questo nome; a uno scoppio particolarmente violento che fece leggermente vibrare il pavimento trasalì e parve riprendere coscienza di se.
- Rapporto, ora. –
Brad, che stava sudando abbondantemente nonostante l’impianto di climatizzazione fosse fuori uso da soli cinque minuti, gli rispose con una voce impersonale che non corrispondeva affatto alla visione che offriva di se.
- Sistema di sicurezza interno attivato e operativo al cento per cento, sistemi di sicurezza esterni operativi al venti per cento, rete protetta, nessuna nuova minaccia proveniente dall’esterno, tutte le squadre tranne la sei e la dieci sono confluite nella villa e si stanno scontrando in due punti diversi. –
- Chi diavolo sono? –
Digitando velocemente sulla sua tastiera ordinò al suo processore di richiamare la memoria di una delle telecamere della seconda zona rossa, inserì l’ora di cinque minuti prima e sul suo schermo apparve nitida una fotografia a infrarossi di due figure snelle che armeggiavano intorno al loro generatore di corrente.
- Direi che sono due delle amiche di Saeba. –
Bruckmeyer fece un suono strozzato ma si trattenne dal commentare.
- Bolt? –
Sta dirigendo le operazioni di sotto, per il momento la situazione è sotto controllo.
Sotto controllo? Bruckmeyer ebbe voglia di ridere. come potevano anche solo pensare che la situazione fosse sotto controllo? Se anche ci fosse stato solo Ryo Saeba e non altre quattro persone abbastanza esperte da mettere comunque in difficoltà un piccolo esercito sarebbe stato comunque difficile mantenere la situazione sotto controllo. Calcolò che le donne ancora convalescenti sarebbero state messe fuori comabbitimento presto, ma questo non cambiava niente, i tre elementi pericolosi rimanevano, in particolare uno. Non c’era altro da fare, quella partita era persa, non gli restava che ritirarsi con l’unico trofeo che gli rimaneva. Bruckmeyer sclese quel momento per guardare Kaori e la sorprese piegata in una posizione che non doveva essere assolutamente comoda per una persona che si era rotta da poco un braccio. Sospettoso lo andò vicino e le sollevò il braccio illeso bruscamente verso l’esterno strappandole un gemito di dolore. Le torse il polso fin a quando non le fece cadere di mano la lametta, poi la respinse bruscamente. Non c’era più tempo da perdere. –
- Dove diavolo si è cacciata Melanie?! –

Nel momento stesso in cui Ryo accecò la sala controllo i tre scattarono verso l’ingresso secondario della villa, riuscendo ad arrivare indisturbati al salone: l’allarme non aveva fatto ancora in tempo a scattare. Non appena videro delle figure scure sbucare dalle scalinate e dagli ingressi la luce mancò, si tuffarono alla cieca dietro a ripari di cui avevano conservato memoria mentre i colpi dei loro avversari andavano a segno nel punto esatto in cui erano prima.
Visione notturna. Pensò automaticamente Ryo. Sentì Umibozu che rispondeva al fuoco, in una situazione del genere lui era sicuramente l’unico a non esserne svantaggiato. Sentì la mano di Mick che lo tirava da parte e gli porgeva qualcosa.
- Tieni. –
Ryo prese con cautelo l’oggetto che l’amico gli stava passando e tastandolo capì che era un visore; lo indossò e il mondo si colorò di una tenue luce verde che permetteva la visuale di tutto ciò che lo circondava.
- Gentile omaggio dei crucchi. Tu vai, qui ci pensiamo io e Umi. –
Ryo annuì brevemente e, dopo aver dato una veloce scorsa al duello tra Umibozu e i cecchini sulle scale, si precipitò fuori coperto da Mick, che mirò ai soldati sulla scala. In pochi istanti erano tutti riversi a terra mentre Ryo saliva velocemente finendo le ultime resistenze.
Memore degli alloggi che aveva visto in cortile si preparò a uno sbarramento serrato, ma i soldati dovevano essere tutti fuori per a ronda quando loro avevano deciso di fare il colpo di mano, perché incontrò solo gruppetti sparuti che si erano evidentemente formati da varie pattuglie di ronda per la villa e sul tetto.
Arrivato in cima allo scalone si ritrovò spiazzato, l’ingresso per il salone non era lì, c’era solo un muro lungo e senza aperture. Dovevano averlo murato come misura precauzionale. Durante gli appostamenti aveva notato molto movimento in quella parte della villa e ne aveva dedotto che il piano superiore fosse stato eletto a centro di controllo.
Un movimento alla sua destra. Si voltò con decisione per abbatterlo ma in quel momento si sentì un boato e il pavimento tremò. Parte della scala scomparve dietro di lui inghiottendo diversi soldati nemici e lasciando lievemente storditi quelli di fronte a lui. Li abbatté senza troppi scrupoli e corse via mentre dal basso si sentivano delle voce concitate.
- Razza di scimmione che non sei altro! non devi demolire tutto, non con me dentro almeno! –
- Taci damerino e guardati le spalle piuttosto. - spari e un nuovo colpo dell’infallibile bazooka di Umibozu. Ryo prese il corridoio a sinistra sogghignando tra se e sperando che la strada fosse quella giusta.
Una una debole sorgente di luce e calore sulla sua destra lo mise in allarme. Si buttò a terra e sparò in direzione di un punto luminoso che si muoveva verso di lui; qualcosa di simile a una piccola telecamera cadde a terra inerte. In quell’istante senti un bruciore al braccio. Controllò, una striatura superficiale e scura gli adornava il bicipite.
Laser.
Capì che la fortuna quel giorno proprio non era dalla sua parte.

Melanie era corsa subito fuori dal salone nel momento stesso in cui c’era stato il blackout. Armatasi con il primo mitra preso a uno dei soldati sulla sua strada si era precipitata all’ingresso ma il colpo di bazooka sparato di Umibozu aveva sbarrato la sua strada ed era stata costretta a tornare indietro e fare un giro inverso, passando per la zona dei generatori. Arrivata al corridoio del pian terreno aveva però incontrato uno sbarramento di proiettili e persone molto felici di poterla guardare in faccia puntandole contro un’arma.
- Spiacente dolcezza, la strada è chiusa per regolamento di conti. –
Davanti a lei una Miki e una Reika piuttosto furiose la tenevano sotto tiro.
- Tu e il tuo uomo ci dovete un gran brutto mal di testa. –
Melanie non si scompose, non sarebbero state quelle due a sbarrarle il passo.
- Sono spiacente ragazze, ma ora non ho proprio il tempo di giocare con voi. – e spianò il mitra.

La battaglia nell’atrio si era risolta con il prevedibile risultato di tutte le battaglie che coinvolgevano Umibozu e il suo bazooka, vale a dire: squadra di casa zero, esterni uno. Prima di dare il via alle danze però, Ryo aveva accennato a loro di un numero di soldati maggiore del previsto e ora erano ancora in allerta, avevano incontrato solo tre squadrette che i due avevano liquidato senza troppi sforzi e si aspettavano di vedere il grosso delle forze apparire da un momento all’altro. Tenendo tutti i sensi ben all’erta, cercarono l’ingresso per le caverne sotterranee alla villa, che era proprio accanto al corridoio che si prendeva per entrare in cortile. Si scambiarono uno sguardo di intesa e poi Mick imboccò con cautela la piccola porta che dava a uno stretto passaggio scalinato e molto pendente. Scesero senza fretta stando attenti a fare meno rumore possibile, più scendevano più aumentava il freddo e l’umidità. L’ingresso alla caverna marittima era almeno una cinquantina di metri sotto alla villa e odorava fortemente di sale e alghe. La scala era leggermente a chiocciola e dopo qualche minuto arrivarono in uno spazio molto ampio e buio. Videro delle casse e delle figure informi, prima ancora che potesse lanciare un grido Mick si ritrovò accecato. Si ritrasse indietro come se avesse ricevuto in pieno viso una fiammata e andò a sbattere contro il corpo del compagno che lo sostenne mentre cercava di capire quanti nemici avessero intorno. Una voce profonda e autoritaria li accolse da dietro una batteria di fari alogeni che avevano appena acceso.
- Spiacente signori, ma da qui non andrete più da nessuna parte. –

Ryo chiuse gli occhi e si buttò a terra istintivamente, cercando di dissipare il bianco che vedeva ancora al posto del mondo circostante. Qualcuno aveva acceso di colpo le luci e lui era rimasto abbagliato. Imprecò a bassa voce e a tastoni raggiunse l’angolo di un corridoio che aveva individuato poco prima e attese. Non sentiva nessun ronzio o movimenti strani, era ancora solo.
Nella sala di controllo Bruckmeyer dava ordini secchi e nervosi; era davanti alla consolle dell’impianto video e stava osservando le posizioni dei nemici. Aveva ordinato di spegnere completamente gli impianti esterni e convogliare l’energia all’impianto di illuminazione, in quel modo sperava di accecare tutti gli intrusi e dare ai suoi uomini, preavvertiti, un’occasione per infliggere duri colpi alla loro resistenza. Il piano aveva funzionato abbastanza bene. Vide Melanie che sparava le ultime raffiche contro le due sweeper che si affrettarono a mettersi al riparo. Saeba era nel corridoio accanto a loro, probabilmente in cerca di un ingresso per il salone. Non poteva sapere che l’ingresso era stato spostato giorni prima proprio per evitare intrusioni di quel genere.
Si rivolse all’uomo che stava operando alla radio e ai monitor.
- Ashton, vada a finirlo. Ora. –
Senza dire una parola l’uomo si alzò, si mise sull’attenti e corse via.
- Il suo tirapiedi non riuscirà uccidere Ryo. –
Bruckmeyer si voltò verso Kaori che aveva ripreso il suo naturale sguardo di sfida. Le sorrise con gentilezza.
- Lei sopravvaluta il suo socio signorina Makimura e sottovaluta me. Questo è un grave errore da parte di una sweeper professionista non crede? –
- Lei non lo conosce… -
- No. E’ lei che non conosce me e non conosce bene lui, io invece so bene con chi ho a che fare quindi se non ha altre argomentazioni da aggiungere alla causa le consiglio di stare zitta e o provvederemo anche a questo. – detto ciò si voltò di nuovo verso gli schermi. Kaori si morse un labbro e come un flash non atteso ma tanto cercato gli apparve chiara un’immagina in bianco e nero, sbiadita, trovata per caso nel fondo dell’armadio di Ryo qualche mese prima, e finalmente seppe chi era quell’uomo.













Avete il permesso di uccidermi. No giuro.
Purtroppo per cause del tutto scolastiche, lavorative e crisistiche non sono più riuscita a scrivere un solo rigo decente. Tra l'altro vi lascio anche con un finale decisamente in sospeso ma credo di riuscire ad aggiornare per tempo stavolta. In fondo ora sono disoccupata di tempo dovrei averne ^^'
Spero che vi piaccia. In questo momento sono mezza fusa e non l'ho per niente riletto, non ricordo nemmeno quand'è che scrissi queste pagine, ricordo solo che volevo finire tutta la storia il giorno in cui mi ci misi. Poi mi dimenticai (Perdono!!!!)
Spero che vi piaccia e scusatemi ancora!
Heresiae

  
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