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Autore: Darko    22/12/2006    1 recensioni
Cosa succederebbe se un esercito di immortali distruggesse tutto ciò che un ragazzo ha amato? Cosa succederebbe se questo ragazzo , dopo essere stato ripudiato dagli Elfi, combattesse la sua prima battaglia mostrando di non essere umano? "Sei colui che è nato per dissipare le tenebre. Non ti farai attrarre dal male e lo combatterai. Sei l'eletto. Diventa ciò che sei nato per essere"
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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1.Nella foresta
3.
Un macabro ritorno



Da quando era entrato nella foresta erano passati ormai sette giorni e Vaolin cominciava a provare nostalgia per la sua famiglia. Anche se Guhntar gli era molto simpatico e provava per lui una profondissima stima, voleva parlargli su quando sarebbe potuto tornare a casa dalla sua famiglia. Nonostante ciò era ansioso di conoscere di più su quella storia incredibile, capire in che cosa consistesse l’addestramento di cui gli aveva parlato il suo maestro e voleva informazioni sulle tecniche magiche e di combattimento degli Elfi.
I suoi dubbi si dissiparono come nuvole dopo una tempesta perché Guhntar un giorno gli si avvicinò e gli disse piano:
-Tornerai al tuo paese- e prima che il ragazzo potesse ribattere qualsiasi cosa aggiunse -Senza commentare!- Il suo tono era pacato ma non ammetteva repliche.
Non era giusto. Vaolin era frustrato per non poter fare niente a ciò che stava accadendo ma si limitò ad abbassare la testa e ad annuire.
Dopo un paio d’ore, mentre stava preparandosi per il viaggio entrò una guardia che gli comunicò:
-Sei pronto?- Vaolin annuì mestamente all’elfo, che vedendolo dubbioso disse: -Avrai una scorta di otto elfi. E’ un grande onore, perché o ti ritengono molto importante o molto pericoloso-
Vaolin si limitò a mormorare qualcosa. Il ragazzo era profondamente dispiaciuto. Non si era ancora abituato al mondo degli Elfi che già ne veniva espulso, ma la cosa più frustrante era che non sapeva il motivo.
Pensando a questo Vaolin finì di preparare lo zaino e si incamminò insieme alla guardia verso la strada principale che conduceva all’esterno della città. Osservando le alte torri munite di tetti spioventi e finestre ogivali Vaolin chiese alla guardia: -Come si chiama questo posto? E’ molto lontano dal mio villaggio?-
-Mi dispiace, ma queste sono informazioni che non puoi avere- tagliò corto l’elfo.
-Ma…- cominciò il ragazzo, poi accorgendosi che sarebbe stato vano cercare di estorcere informazioni all’elfo, si zittì fino a quando non raggiunsero un gruppo di sette elfi sotto al cancello.
La mia scorta. Pensò amaramente Vaolin. Quando videro arrivare il ragazzo si irrigidirono, e scattarono sull’attenti quando videro il loro capitano. Ad un suo cenno portarono un cavallo a Vaolin e montarono sui propri caricando viveri e altri bagagli necessari al viaggio. Il cavallo di Vaolin era della statura giusta per lui, era un morello fiero e sapeva che lo avrebbe tenuto in groppa anche cadendo da una rupe. Si avvicinò ai suoi occhi liquidi, lo guardò per un istante, poi protese la mano verso il suo muso. Il cavallo allungò la testa e permise al ragazzo di accarezzargli il collo.
-Io…io non so cavalcare- disse Vaolin al capitano.
L’elfo gli fece un cenno e gli insegnò a tenere le redini, a colpire il cavallo con i talloni, e infine a montare in sella.
Così partirono in nove per la strada maestra e Guhntar, che era rimasto isolato dietro una finestra, mormorò: -Peccato-

Erano ormai arrivati nei pressi di una città, ma Vaolin era stato bendato e il suo cavallo era trainato da un altro; pensava che questo fosse un metodo sicuro per non fargli vedere le loro città ma non sapeva perché. Ogni volta che parlava le sue parole si perdevano nel silenzio delle guardie che non reagivano in alcun modo, tanto che sembrava che Vaolin non fosse nemmeno fra loro. A un certo punto Vaolin, non sopportando più il fatto di essere ignorato, legato e bendato, provò a liberarsi le mani dalle corde che gli erano legate ai polsi. Nel preciso istante in cui si mosse sentì un lieve fruscio e poi un dolore accecante nella parte bassa della nuca. Prima di perdere i sensi pensò E’ la terza volta in pochi giorni. Poi il mondo si oscurò.

Quando si svegliò Vaolin notò che la foresta cominciava a diradarsi lasciando intravedere qualche breve sprazzo di sole. Era chiaro che erano prossimi ad uscire nelle pianure. Vaolin sapeva ben poco di quei luoghi, non essendo mai uscito da un raggio massimo di dieci leghe dal suo villaggio, ma li conosceva come inospitali, battuti da continui venti e scarsi di alta vegetazione.
-Percorreremo l’Eiatos Varli fino al lago Zarnal, stando molto attenti ad evitare Tornalziona, da lì seguiremo le sponde del lago e ti lasceremo libero al fiume Kamenar- disse il capitano rivolto a Vaolin che si limitò ad annuire –Ah! Dimenticavo. Ora possiamo anche sbendarti- e cosiddetto liberò finalmente il ragazzo.  

Quando si misero in viaggio Vaolin assaporò veramente la sua ritrovata libertà. Ora poteva guardare il mondo con i suoi occhi e non attraverso quelli del capitano e si sentiva molto meglio. Con questa sensazione percorse decine di leghe senza quasi accorgersene, montando l’accampamento di notte e smontandolo al mattino. Quando arrivarono all’altura che sovrastava Tornalziona Vaolin vide un gran polverone che si alzava dalla strada maestra, quando si accorse di cos’era quello che lo aveva causato rimase a bocca aperta. Migliaia e migliaia di soldati marciavano a ranghi serrati fuori dal cancello principale della città e gli arcieri sulle mura li salutavano alzando stendardi scarlatti. Vaolin era rimasto impietrito, non aveva mai visto un esercito così grande, o meglio, non aveva mai visto un esercito! Mentre osservava la colonna si accorse delle loro armature: i soldati, sopra la maglia di anelli di ferro, portavano una tunica cremisi che gli arrivava sopra le ginocchia, sulle quali avevano delle ginocchiere laminate. Sulle spalle portavano spalliere rinforzate. Inoltre erano dotati di un elmo, due gambali, due guanti di maglia, una spada, una lancia e uno scudo.
-Re Dusan si è mosso su grande scala- commentò una guardia.
-Già- rispose il capitano –Ad ogni modo faremmo meglio ad evitare la città, anche se siamo alleati con Dusan la comparsa di otto elfi getterebbe curiosità e forse panico nelle file dei soldati. Gran parte dei quali non ha mai visto uno di noi-
Allora una guardia afferrò la spalla del capitano e gli sussurrò all’orecchio –Capitano non dovresti parlare così liberamente, ricorda che abbiamo un prigioniero con noi-
-Lyrian, non preoccuparti di questo, ci penserò a tempo debito-
Anche se la conversazione si era svolta con un tono molto basso, Vaolin riuscì a distinguere le parole dei due elfi.
Rimasero sull’altura finchè l’ultimo soldato scomparve tra gli alberi, e approfittando del polverone sollevato dal passo cadenzato delle truppe si avviarono e attraversarono al galoppo la pianura di Tornalziona, evitandola facilmente con l’aiuto di alberi e rocce che erano sparsi per le colline.
Quando arrivarono al lago Zarnal Vaolin era spossato, ma gli elfi non mostravano segni di stanchezza e non parevano minimamente affaticati. Anche se era una missione, gli elfi trovarono il tempo di suonare e cantare melodiosi poemi imparati dai loro padri. Proprio per questo avevano scelto una radura isolata e circondata dagli alberi, in questo modo erano liberi di cantare e suonare senza correre il rischio di essere sentiti da qualcuno. Infatti dopo aver consumato un pasto frugale a base di verdure e frutta, contornate da uno strano liquido argenteo di cui Vaolin andava pazzo, intonarono favolose melodie che accompagnarono Vaolin fino al mondo dei sogni.

Vaolin fu svegliato da un corno d’ottone, che riecheggiò nella valle con grande frastuono, gli elfi si voltarono e quando sentirono altri sette corni suonare dopo il primo: -Otto corni! Maledizione…otto corni! Di chi saran…- cominciò a dire il capitano, ma fu interrotto dall’assalto di una quarantina di elfi e dal grido di Lyrian che, colto dallo stupore esclamò: -Durkaan è qua! Correte! Corr…- non finì mai la frase, perché mezza dozzina di frecce gli trapassarono il petto orgoglioso e cadde, gli occhi sbarrati dal gelo della morte, riverso nel suo sangue.
Una delle guardie prese il cavallo di Lyrian e lo legò al proprio, poi cominciò a scagliare frecce sui nemici. Vaolin sfoderò l’arco e mirò all’elfo più vicino. Quando le frecce gli si avvicinarono con una torsione del busto riuscì ad afferrarle con la mano destra, non riuscì però ad evitare la terza che gli si conficcò dritta nel cuore. Il capitano era impegnato contro sei nemici e la sua spada tracciava un disegno argenteo che fluttuava fra le armature dei nemici e ne incideva la carne. Al termine della sua danza la spada ne aveva uccisi cinque e ferito gravemente uno, che implorava pietà al feroce guerriero. –Mai!- urlò. E decapitò il nemico. Vaolin aveva brandito la spada di Lyrian e aveva osservato la morte delle sue guardie, erano rimasti solamente il capitano e tre soldati degli iniziali otto membri. Combatterono con valore e uccisero più di venti nemici, alla fine esausti e costretti con le spalle alle rocce, dovettero stringersi e combattere fino all’ultima goccia di sangue. Caddero in tre, ma il capitano lottò come un disperato e riuscì ad uccidere tre dei suoi nemici, poi qualcuno gli ferì la spalla e cadde in ginocchio, lasciando la spada. Una figura si avvicinò a lui e disse:
-Myrid! Fratello mio! Non sai che gioia rivederti, peccato che sia in condizioni così- fece una pausa palesemente falsa per cercare il termine adatto –spiacevoli!-
Il capitano alzò la testa verso suo fratello e i suoi occhi erano colmi di lacrime: –Fartil… Rimarrai per sempre la vergogna della nostra famiglia-
Allora Fartil scoppiò in una risata malvagia pervasa dall’odio e alzando la spada disse: -Salutami nostro padre, caro fratellino- la spada disegnò una scia nell’aria e terminò la sua corsa nel cuore del capitano delle guardie degli Elfi. L’elfo cadde e rivolgendo gli occhi alla natura esalò l’ultimo respiro.
Vaolin era rimasto impietrito dall’intera scena e, anche se terrorizzato, riuscì a trovare la forza di sfuggire ai nemici. Infatti il ragazzo gli aveva chiaramente sentiti dire che avvertivano la sua presenza e che bisognava stanarlo e portarlo all’imperatore.
La sua fuga fu disperata, nella notte, al chiaro di luna, Vaolin evitava ogni ombra che potesse essergli ostile. Poi, all’alba, quando non sentì più il bisbigliare degli elfi e il loro lieve passo, si accorse di essere arrivato a poche leghe dal suo paese. Ancora un piccolo sforzo e potrò riabbracciare la mia famiglia pensò Vaolin, infatti non voleva credere a quello che gli aveva detto Guhntar.

Il suo desiderio dovette aspettare poco, perché giunse a Wicklou in poche ore, ma quando sentì uno strano odore di bruciato e vide il fumo levarsi dalle case dai tetti di paglia, la su disperazione lo sopraffece e pianse amaramente.
Corse a casa e restò impietrito.
Sua madre Kyria e suo padre Yan erano stati appesi a due pali differenti, i loro corpi erano stati bruciati e sfregiati da molti fendenti di spada. Poco discosto giaceva Durin, con un moncone di freccia che gli sporgeva dalla spalla sinistra e il ventre aperto da un micidiale colpo d’ascia. Il suo corpo inerte era disteso sopra il suo sangue e dietro di lui si innalzava una macabra pila di corpi.
Era solo.
L’unico rimasto.
Vaolin cadde in ginocchio senza che una lacrima gli lasciò gli occhi.
Era pervaso dall’ira, i suoi occhi lampeggiavano odio e i suoi capelli si muovevano e si contorcevano come serpenti.
Ma non c’era un filo di vento in tutta la valle.


  
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