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Autore: Nausicaa e Selvaggia    04/06/2012    2 recensioni
Un giovane e misterioso mercenario giunge su un pianeta dove sta per abbattersi la furia devastatrice della dea della distruzione, pronta ad annientare l'intero Cosmo. Si troverà così coinvolto nella lotta contro la terribile Athu e nella ricerca degli antichi sigilli per fermarla. Ma si renderà ben presto conto che il suo compito prevede molto di più...
Questo lavoro nasce dalla collaborazione tra Nausicaa di Stelle e Lady Selvaggia.
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo IV
Sabotaggio - seconda parte



Shatz camminava avanti e indietro di fronte all’escavatrice, imbracciando con forza nervosa il suo fucile, come un naufrago il pezzo di legno a cui sta affidando la sua vita. Avvertiva istintivamente la presenza di Rudas, Ilhay e Sayuron ma non riusciva a vederli e questo lo metteva in uno stato di grande agitazione.

I guerrieri avanzavano silenziosi fra le attrezzatura di scavo e solo quando furono a pochi passi da lui estrassero le spade, che baluginarono contro il cielo, fendendo l’aria con un lieve sibilo. Era il segnale della loro presenza che Rudas aveva deciso di dare al guerriero nemico.
Shatz sussultò, voltandosi immediatamente. Puntò il fucile davanti a sé: oltre l’escavatrice, intravvide i volti di Rudas e Ilhay da una parte e quello di Sayuron, a pochi metri di distanza da loro. Le spade levate ancora scintillavano al sole.
Spaventato e senza farsi altre domande, il pilota aprì il fuoco, mirando al viso. La raffica di colpi fu rapida, quasi furiosa nella sua eccessiva quantità di munizioni vomitate. Veloci come ombre e perfettamente sincronizzati, i guerrieri scartarono di lato in opposte direzioni, gettandosi a terra, al riparo dietro l’escavatrice.
- Dannazione, li ho mancati! - gli occhi di Shatz saettarono fra gli spazi liberi in mezzo alle attrezzature, alla ricerca dei suoi bersagli – Lo sapevo, maledizione, lo sapevo! Mi hanno lasciato qui da solo ed ecco che spuntano dei selvaggi armati! Carogne, maledetti... come fanno a sapere che non c’è nessun altro oltre a me?
Continuando a guardarsi attorno, Shatz si avvicinò adagio all’escavatrice, puntando alternativamente il fucile a sinistra e a destra, pronto a vederli sbucare fuori da entrambe le direzioni.
- Fatevi sotto, bastardi, vi faccio schizzare fuori il cervello, vi faccio! Vi riduco in una maniera che neanche vostra madre riesce a riconoscervi. - biascicò tra i denti, dirigendosi verso la zona dove erano scomparsi Rudas e Ilhay.
Poco lontano Sayuron, nascosto dietro una ruspa più piccola, scrutava le mosse dell’uomo, la spada in pugno pronto ad intervenire. Pur essendosi separati, i guerrieri di Nubis non avevano perso il contatto visivo e a Sayuron non fu difficile scorgere, nonostante la distanza, il segno di diniego di Rudas, che in piedi dietro un escavatore idraulico stava aspettando Shatz.
Quando ormai l’uomo era a pochi metri di distanza, Rudas si slanciò fuori con un balzo e, sfruttando uno dei gradini di accesso all’escavatore per imprimere maggior slancio al suo salto, si precipitò contro Shatz. L’ultima cosa che il pilota vide fu la sagoma scura di Rudas contro il cielo e la sua spada che scintillava, calando su di lui con un fendente da sinistra. In un solo istante, il fucile di Shatz fu tagliato di netto, come un panetto di burro da un coltello caldo. Il pilota ricadde a terra senza un lamento: l’ampio, profondo taglio che gli solcava il petto in diagonale, dalla spalla destra fino al fianco sinistro, si tingeva sempre più di scarlatto, macchiando i vestiti: lo sterno e il cuore erano stati entrambi recisi dalla spada. Shatz teneva gli occhi fissi al cielo che non poteva più vedere, un grido muto nella bocca aperta, mentre l’erba sotto di lui beveva il suo sangue.
Per un attimo gli occhi di Rudas indugiarono sul cadavere del nemico e quando rialzò il viso incrociò lo sguardo di Sayuron, in piedi di fronte a lui e di Ilhay, a pochi passi di distanza: nessun rimpianto, nessuna amarezza per aver spezzato una vita turbava i volti dei tre guerrieri.
- Abbiamo molto lavoro da fare, sarà meglio iniziare. - disse Rudas, lasciando vagare lo sguardo sulle ruspe e le escavatrici attorno a loro. - Cominciamo da quella più grande: sarà necessario l’intervento di tutti e tre per distruggerla rapidamente, mentre lasceremo i mezzi più piccoli per ultimi. Per allora saranno qui anche Danai e Leharin e potremo terminare più in fretta.
Sayuron si limitò ad annuire e insieme tornarono verso l’escavatrice che Shatz aveva protetto a costo della vita, proprio come gli era stato ordinato, anche se probabilmente non era nelle intenzioni del pilota immolarsi per una ruspa.
Si disposero uno di fianco all’altro a una distanza sufficiente per distendere le braccia, abbassarono lievemente il capo e nello stesso istante le loro anime si espansero per cercare Nubis, dio della vita e della morte, colui che ha il potere di conservare o annientare ogni cosa.

Ayron, Leharin e Danai varcarono insieme la soglia della sala comandi: la luce del giorno illuminava la plancia di un caldo colore oro e il ragazzo sorrise al pensiero che, mentre Tersky e i suoi uomini cercavano furiosamente il metallo prezioso in ogni dove, il sole si faceva beffe di loro inondando il ponte di comando di puro oro liquido.
- Questo posto è il centro nevralgico della nave... - spiegò Ayron, avanzando verso i pannelli dei comandi mentre Danai si guardava attorno – Potete considerarla la mente di questo grande mostro d’acciaio. Da qui è possibile controllare l’astronave praticamente sotto ogni aspetto, dal volo alle armi. Dopo i danni che abbiamo procurato ai motori la nave non sarà più in grado di decollare, ma questa sala comandi potrebbe essere usata ancora per puntare i cannoni verso la foresta e ridurla a un inferno di fuoco e in quel caso...
- Anche Shapura sarebbe in pericolo. - concluse Leharin, avvicinandosi ad Ayron per scrutare oltre gli schermi. Lontano, era possibile distinguere le sagome delle attrezzature di scavo con le quali si stavano affaccendando Rudas e gli altri guerrieri, ma da quella distanza era difficile capire come stesse andando l’operazione. Ayron scrutò di sottecchi il volto di Leharin: dalla sua espressione non traspariva alcuna preoccupazione per la sorte dei compagni, evidentemente sicuro che non corressero alcun rischio.
- Diamoci da fare. - disse Ayron, avviandosi verso l’estremità sinistra della plancia. - Dividiamoci i compiti come abbiamo fatto fin’ora: io mi occupo di questa metà e piazzo qualche altro esplosivo per mettere fuori uso il sistema di comunicazioni e i collegamenti con il radar. Vi lascio il piacere di distruggere i controlli elettronici che governano i cannoni, sempre che non siate troppo stanchi per fare ancora quel giochetto.
Non c’era ironia nelle parole di Ayron, che si era voltato verso Leharin in modo da incrociarne nuovamente lo sguardo.
- No, non sono stanco: posso fare questo... giochetto ancora a lungo perché Nubis è accanto a noi, oggi, e non mi costa alcuna fatica.
Ayron annuì, facendosi improvvisamente serio. La presenza del dio lupo lo infastidiva più di quanto volesse ammettere e non riusciva a capirne il perché. Di certo non era il timore del lato più nefasto della sua natura: cresciuto in mezzo alla guerra e al sangue, Ayron non aveva paura della morte. Sembrava che il suo stesso istinto di conservazione non avesse sviluppato quel timore che permette ad ogni creatura di sopravvivere. Eppure, era sopravvissuto.
Immerso nei suoi pensieri, non si era neppure accorto che Leharin e Danai si erano già concentrati per entrare in comunione con Nubis, gli occhi chiusi, le mani levate al cielo. Anche Ayron si sforzò di scacciare ogni distrazione e prima di dedicarsi al suo compito decise di controllare le comunicazioni effettuate dalla Cerbero dopo il loro atterraggio, per accertarsi se Tersky fosse riuscito a contattare la Gullveig e a comunicare la posizione dell’astronave. Le sue mani volarono sulla tastiera mentre digitava password e codici di accesso riservati per penetrare nel registro delle comunicazioni. Anche qui nessuna chiave era stata modificata. Stringhe di dati apparvero sul piccolo schermo davanti a lui, illuminato di una luce bluastra.
Un messaggio inviato nello spazio profondo... poco prima che io fuggissi con Kornér. Nient’altro. Nessuna risposta dalla Gullveig.
Gli occhi di Ayron si ridussero a due fessure mentre fissavano le righe di caratteri sullo schermo.
Potrebbero non averlo ancora ricevuto o, nella più ottimistica delle ipotesi, potrebbero non riceverlo mai. Ma sarà meglio prepararsi al peggio.
Uscì dal registro, senza curarsi di cancellare le tracce del suo passaggio, e un attimo dopo si era già chinato ad armeggiare con lo sportello che dava accesso alla strumentazione di cui doveva occuparsi. Ayron sapeva che era sufficiente una sola, piccola carica di esplosivo per ridurre ad una colata inservibile tutta quella sofisticata apparecchiatura, perciò decise di non sprecare nessun ordigno che avrebbe potuto rivelarsi utile in seguito. E il suo sesto senso gli diceva che quel momento non era molto lontano.
Finirono il lavoro più rapidamente di quanto si aspettassero. Quando Ayron si voltò verso i suoi compagni scrollò la testa, con un sorriso sghembo stampato in faccia: era incredibile quanto fossero riusciti a devastare la parte che aveva assegnato loro. Non avevano risparmiato nulla, nemmeno i grandi vetri degli schermi, di un materiale talmente robusto da poter resistere agli scontri a fuoco e ai viaggi nell’iperspazio. Tutto era orrendamente invecchiato, sverniciato, corroso, arrugginito, spento, fessurato. Tutto era assolutamente, magnificamente inservibile.
- Non va bene? - chiese Danai, notando la scrollata di spalle di Ayron.
- Oh, no. Va più che bene. - rise il ragazzo, dando un colpetto col pugno chiuso sul braccio di Danai. - La vostra potenza distruttrice lascia davvero a bocca aperta... Andiamo, raggiungiamo gli altri. Sono curioso di vedere cos’hanno combinato.
Danai e Leharin si scambiarono un’occhiata perplessa e poi seguirono Ayron, mentre un vago sorriso si disegnava per un attimo soltanto sulle labbra carnose di Danai. Percorsero a ritroso la strada fatta per giungere in sala comandi. Passarono di nuovo davanti alla sala delle armi, in parte saccheggiata di quanto poteva essere utile e in parte distrutta come il resto da Danai e Leharin. I due guerrieri di Nubis avevano rifiutato di prendere armi per loro e per la propria gente, dicendo che, in ogni caso, nessuno avrebbe saputo usarle. Era vero e in più sarebbe stato necessario impartire un minimo di addestramento a chiunque avesse voluto imparare a sparare con il fucile e probabilmente non ce ne sarebbe stato nemmeno il tempo. Così Ayron aveva preso solo altre munizioni per la sua pistola e il fucile NB1 e tutti gli esplosivi che riusciva a portare senza che gli fossero d’impaccio. Passando di nuovo attraverso l’hangar, conclusero il loro lavoro sull’astronave mettendo fuori uso le scialuppe di salvataggio, come si erano ripromessi di fare appena arrivati. Non erano molte, neppure sufficienti per tutto l’equipaggio e il ragazzo lasciò che Danai e Leharin si occupassero della maggior parte, piazzando solo qualche esplosivo su un paio di scialuppe per risparmiare il più possibile le preziose munizioni. Ora che sapeva del messaggio inviato dalla Cerbero verso la Gullveig, il suo sesto senso gli diceva con maggior forza di non sprecare nulla che avrebbe potuto tornare utile in un futuro scontro.
Quando raggiunsero Rudas e gli altri, li trovarono ancora impegnati nella distruzione dell’impianto fluviale utilizzato nella ricerca di pepite d’oro. Il resto dell’attrezzatura era ridotto ad una serie di inutili ferri vecchi, scheletri arrugginiti di se stessi che nessuno avrebbe potuto riparare. Sembrava che fossero trascorsi secoli dal loro arrivo sul pianeta. L’escavatrice più grande, poi, era assolutamente irriconoscibile, come se Rudas, Ilhay e Sayuron, consapevoli di quant’era preziosa per Tersky, si fossero accaniti su di lei per pareggiare il conto con i danni che erano già stati perpetrati alla loro terra.
- Resta qui. - d’un tratto, Danai bloccò Ayron con il braccio per impedirgli di avvicinarsi troppo ai guerrieri. Ayron si fermò, tutti i sensi vigili. E in quell’istante avvertì la terribile potenza che, silenziosa e invisibile, era al lavoro sotto i suoi occhi. Doveva essere della stessa intensità di quella usata da Danai e Leharin nel loro compito di distruzione sull’astronave, eppure lì Ayron non aveva avvertito alcun pericolo. Qui invece il suo stesso istinto gli diceva di stare alla larga, come avrebbe potuto dirglielo di fronte a un letto di sabbie mobili. Cos’era cambiato?
- Loro non sanno della nostra presenza. Se ti avvicini adesso sarai scambiato per un nemico e anche tu sarai disfatto, come tutto il resto. - Ayron si disse che Danai doveva avergli letto nel pensiero perché gli aveva spiegato precisamente quello che voleva sapere.
- Quindi con voi non correvo alcun pericolo?
- Esattamente. Pur nella nostra lontananza dal mondo fisico, avvertivamo la tua presenza e sapevamo che tu eri con noi tanto quanto Rudas sa che vicino a lui ci sono Sayuron e Ilhay. Le loro coscienze sono talmente vicine da essere praticamente fuse l’una nell’altra e a contenerle entrambe c’è l’infinita coscienza del dio lupo Nubis. Ma noi ora siamo esclusi da ogni loro percezione.
- E se anche fosse arrivato Tersky con i suoi uomini per fermarli sarebbero stati annientati... - un improvviso nodo ingarbugliò il suo ragionamento – Ma se qualcuno avesse cercato di attaccarli da lontano, per esempio sparandogli? Il nemico sarebbe stato fuori dal loro raggio d’azione e non sarebbero riusciti a difendersi.
Danai scrollò il capo.
- Qualsiasi cosa fosse entrata nella sfera del loro potere sarebbe stata immediatamente distrutta. Anche un’arma lanciata da lontano. Qualsiasi tipo di arma. - Danai sottolineò le ultime parole scandendole con lentezza. - Perché ciò che vedi e senti, con gli occhi e con l’olfatto, con il tuo cuore e con le tue viscere, non è altro che la Morte. Ma non la morte come l’hai conosciuta fino a qui, non quella terrena, quella che danno gli uomini o che fa parte del ciclo naturale di ogni essere vivente. Piuttosto l’eterna, infinita, onnipotente Morte.
Come un serpente ammaliato dall’incantatore, Ayron non riusciva a distogliere lo guardo dagli azzurri, ipnotici occhi di Danai. Gli sembrava che improvvisamente una coltre di tenebra si fosse dissolta, permettendogli di addentrarsi nei misteri dei quali Danai gli stava parlando, in quei misteri che lo aspettavano proprio al di là dei suoi occhi. Erano segreti così affascinanti, uno squarcio su quel mondo misterioso e all’apparenza impenetrabile dal quale Ayron si sentiva così lontano. Voleva saperne di più! All’improvviso però il velo si richiuse e le iridi di Danai tornarono limpide come acque poco profonde. Ayron sentì la voce di Rudas che lo chiamava:
- Ayron... Ayron... - inizialmente remota, quasi sommersa, la voce si fece via via più forte. Al ragazzo sembrò di riemergere dalle profondità del mare. - Avete fatto tutto, sulla nave?
- Sì, abbiamo finito. - rispose, sforzandosi di non tradire il momentaneo smarrimento.
- Bene, allora ci resta solo un’ultima cosa da fare, prima di andarcene. - disse Rudas.
Ayron si guardò attorno, istintivamente alla ricerca di segni di vita. C’era solo il gorgogliare dell’acqua del fiume. Persino gli uccelli della foresta tacevano. Tutto lì attorno aveva avvertito la presenza della morte ed era fuggito.
- Che ne avete fatto del pilota? - chiese.
- E’ appunto del suo corpo che intendo occuparmi.
Ayron non si aspettava che Shatz fosse ancora vivo, eppure, senza capirne il perché, si sentì turbato dalla risposta di Rudas. C’era un senso d’ineluttabilità nelle sue parole, privo tanto della sadica gioia del vincitore quanto del rimorso di chi ha spezzato una vita, suo malgrado. Nessuno degli altri guerrieri disse una parola o fece il minimo commento. Tutti formati alla medesima disciplina, erano anche tutti allo stesso modo insensibili di fronte alla morte, tanto davanti alla propria quanto a quella di un nemico e, probabilmente, si disse Ayron, anche di un amico.
Rudas, Ilhay e Sayuron tornarono sui propri passi, dirigendosi verso la grande escavatrice, poco lontano dalla quale giaceva il corpo del pilota. Ayron li seguì a breve distanza. C’era un forte odore di sangue e l’erba tutt’attorno al cadavere era velata da una tinta scura ed era viscida. I guerrieri presero alcune delle pietre di cui il luogo era ormai pieno e le disposero a terra creando un rettangolo capace di ospitare comodamente al suo interno il corpo di Shatz. Ayron li osservò a lungo senza capire cosa stessero combinando.
- Se volete seppellirlo non è necessario prendere le misure per scavargli la fossa. - disse infine, senza riuscire più a trattenersi.
- Non vogliamo seppellirlo, infatti. - rispose Rudas, che assieme a Sayuron era ritornato accanto al cadavere dopo aver terminato di disporre le pietre.
- E cosa volete fare?
- Compiere un rito funebre, secondo le nostre usanze e seguendo quanto prevede la nostra casta sacerdotale.
- Un rito... funebre... - sillabò Ayron, sorridendo debolmente. Si strinse nelle spalle e aggiunse – D’accordo, dopotutto abbiamo tempo.
- Chi appartiene a Nubis non ha solo il compito di combattere, Ayron. E’ nostro dovere pensare anche a chi muore, al suo corpo e alla sua anima, perché possa giungere al cospetto del dio, che lo giudicherà in modo giusto e imparziale. - spiegò Rudas fissando Ayron in viso.
I tre guerrieri si erano fermati sul lato sinistro del corpo di Shatz, a un passo di distanza l’uno dall’altro. Anche se Ayron non conosceva le cerimonie funebri di Shapura capì che stavano seguendo un preciso rituale. Sayuron e Ilhay chiusero gli occhi, allargando le braccia e volgendo le palme verso l’alto, mentre Rudas parlò con voce cadenzata, recitando una breve preghiera a Nubis con la quale lo invitava ad accogliere al suo cospetto l’anima del nemico caduto in battaglia per giudicarla con equità. Non venne fatta alcuna richiesta di magnanimità né tanto meno un’invocazione perché il dio punisse con severità quel profanatore della loro terra.
Tutta quella obbiettività e giustizia, persino quella sorta di pietà per un nemico morto, agli occhi di Ayron sembrava però compiuta con troppa freddezza, persino con distacco. Le voci cadenzate, i gesti precisi e misurati, l’impassibilità dei volti, ogni cosa gli ricordava l’imparzialità della stessa morte, che miete le sue vittime senza guardarle in faccia, senza preoccuparsi di chi cade sotto la sua falce.
Questi guerrieri sono simili alle creature delle antiche leggende, agli elfi imperscrutabili, così spietati e saggi e così lontani dalla mentalità degli uomini. Mi chiedo se anche alla loro gente fanno la stessa impressione di lontananza che fanno a me.
Poco dopo sopraggiunsero Danai e Leharin, reggendo fra le braccia rami secchi raccolti al limitare della foresta. Era il terzo viaggio che compivano e la legna ormai era sufficiente per accendere un vero falò. La accatastarono in due file ordinate e sovrapposte all’interno del rettangolo di pietra preparato dai loro compagni e sopra la pira così formata deposero il copro di Shatz. Ayron capì e non approvò ma non disse nulla, mentre i cinque guerrieri si disponevano attorno alla pira per terminare il rito funebre. Ilhay appiccò il fuoco in più punti, usando un acciarino che aveva tratto da un sacchetto di pelle appeso alla cintura e quando le fiamme s’innalzarono con un po’ di vigore, aiutate dal debole vento, Rudas pronunciò le ultime parole previste dal rituale, con il quale congedava l’anima dal mondo dei vivi sciogliendo ogni suo legame terreno, in modo che trovasse la strada per il mondo dei morti e non restasse sospesa fra le due dimensioni dell’esistenza.
Quando tutto fu compiuto i guerrieri si allontanarono dal rogo e raggiunsero Ayron che, per tutto il tempo, era rimasto un po’ discosto ad osservarli.
- Possiamo andare. - mormorò Rudas.
Il guerriero di Nubis scrutò profondamente Ayron, come se cercasse di capire per quale ragione un giovane tanto temerario si era tenuto così in disparte. Si chiedeva se avesse avuto paura di vedere un cadavere bruciare, ma nello stesso tempo dubitava che fosse questa la vera ragione.
Con passi rapidi s’incamminarono verso la foresta. Il sole era ancora alto nel cielo e inondava ogni cosa del suo calore come un manto gentile. Dietro di loro, ormai in lontananza, fumava la pira di Shatz ed era ancora possibile udire il crepitare della legna che si consumava, divorata dal fuoco. Chissà quando sarebbe tornato il resto dell’equipaggio? Di certo non avrebbe gradito molto la sorpresa che gli era stata preparata.
Ayron sollevò un lembo del guanto e guardò l’orologio: mancavano meno di cinque minuti all’esplosione delle cariche che aveva piazzato sull’astronave, tarate in modo da brillare in sequenza nell’arco di un minuto. Dovevano affrettarsi per essere il più lontano possibile dalla nave quando questo sarebbe accaduto, ma di certo avrebbero udito l’esplosione anche nel cuore della foresta e forse un’eco sorda del boato sarebbe giunta fino a Shapura. Sicuramente la deflagrazione non sarebbe sfuggita nemmeno a Tersky e ai suoi uomini e probabilmente non sarebbe occorso loro molto tempo per capire che proveniva dalla loro nave. Ayron sorrise, immaginando la faccia sbigottita e furente del capitano in quel momento.
  
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