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Autore: Dicembre    04/06/2012    1 recensioni
Inghilterra, 1347.
Di ritorno dalla battaglia di Crécy, un gruppo di sette mercenari è costretto a chiedere ospitalità ed aiuto a Lord Thurlow, noto per le sue abilità mediche. Qui si conoscono il Nero, capo dei mercenari, e Lord Aaron. Gravati da un passato che vorrebbero diverso, i due uomini s'avvicinano l'uno all'altro senza esserne consapevoli. Ne nasce un amore disperato che però non può sbocciare, nonostante Maria sia dalla loro parte. Un tradimento e una conseguente maledizione li poterà lontani, ma loro si ricorreranno nel tempo, fino ad approdare ai giorni nostri, dove però la maledizione non è ancora stata sconfitta. E' Lucifero infatti, a garantirne la validità, bramoso di avere nel suo regno l'anima di Aaron, un prescelto di Dio. Ma nulla avrebbe avuto inizio se non fosse esistita la gelosia di un mortale. E nulla avrebbe fine se la Madonna e Lucifero fossero davvero così diversi.
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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No! Per favore fermalo! Per favore…No!
 
Se potessi gridare, se potessi …
 
Relegato al ruolo di spettatore, nonostante la promessa di starti sempre vicino, sono qui, lontano da te e dagli uomini, terrorizzato all’idea di perderti.
Se firmerai quel foglio, se cadrai nell’imbroglio di chi trama contro te, sarai perduto, incatenato fra le fiamme, ad illuminare con la tua luce luoghi dove la luce non può esistere.
E sarai lontano da me, che ti guardo da quando m’hanno strappato con violenza da te e m’hanno reso incapace di aiutarti.
Posso solo pregare per te.
Quindi ti prego: Aaron, non firmare quel foglio.
Ti voglio felice e ti voglio amato.
Ti voglio libero.
Perderai l’anima, e condannerai quella di chi ami ad una vita di schiavitù. Lontano da lui e lontano da me non sentirai il mio pianto, ma udirai il suo dolore di saperti inaccessibile.
Di sapersi defraudato e tradito.
E’ successo in un passato lontano ma mai dimenticato.
Riaffiora nella tua mente a volte, forse adesso il ricordo s’è fatto largo fra le maglie della sua.
Hanno tessuto una tela e hanno tramato. Un uomo incapace di sopravvivere da solo, s’è aggrappato con forza a ciò che riteneva suo.
Ha infranto le leggi di Dio e ha venduto se stesso e te.
Ha infranto le leggi di Dio per cancellarti dalla sua mente.
Se ora firmerai quel foglio, sarà completa la sua opera. Avrà vinto lui.
 
Ti vedo esitare, la penna è appoggiata, ma qualcosa in te ti ferma e, Cielo, quel nome giunge alle tue orecchie come unica salvezza.
Il tuo nome.
Non è stato veloce a sufficienza, o forse sì?
Jude non vuole te.
Jude non cerca la tua salvezza, vuole solo farti scomparire.
 
C’è del dolore in te che non riesci a capire. Quel nome e quella voce…sì, li hai già sentiti, ma tremi, perché sai che proprio per quel nome e da quella voce, sei stato abbandonato.
Questa non è la verità, è ciò che credi, perché la verità non ti è mai stata detta.
Sei stato abbandonato e lasciato solo, in quella stessa solitudine dove hai gridato ma nessuno è accorso.
Io per primo, che sono morto abbandonandoti, io per primo ti ho lasciato solo.
E poi lui che ha sbagliato, lui che voleva solo proteggerti, se n’è andato.
Ma tu questo, ancora, non lo sai.
Sai solo che lui se n’è andato, non amandoti, ti ha voltato le spalle.
Come puoi quindi, adesso – proprio adesso quando l’unica cosa che vuoi fare è salvarti – pensare che sia lui che potrà prendersi cura di te?
Ci hai creduto, una volta. Ma lui non è più tornato e la tua illusione è morta con te.

 
Se solo potessi udire la voce di tuo fratello, se solo fossi in grado di abbracciarti e sussurrarti la verità, allora capiresti e perdoneresti il passato.
Ma non posso.
E in questa mia totale inerzia, in questo candore da cui non posso allontanarmi, prego.
Prego sperando che tu sia salvato.
 
***
 
Capitolo Trenta - Ritorno
 
 
 
La carrozza si allontanò nella foschia. Lord Hamill e Lady Davida lasciarono Castel Thurlow una fredda mattina di fine Gennaio.
Aaron sospirò, sollevato.
Dall’arrivo  della sorella non aveva avuto un momento di quiete, nonostante quindi le fosse affezionato, era grato che finalmente si fosse rimessa in forze per partire. Lady Davida, sin da quando s’era trasferita a Suffolk, soffriva d’un male ignoto, che la indeboliva e le alzava la temperatura di tanto in tanto, senza causarle gravi danni, ma rendendole praticamente impossibile alzarsi dal letto. S’era ammalata un mese prima e da allora Aaron non aveva avuto tempo per nient’altro se non lei.
La donna non aveva un carattere facile, era spocchiosa e spesso irritante. Nonostante in fondo al cuore fosse buona, di certo non era una persona mite.
I primi sintomi l’avevano fatta gridare e disperare, sicura di essere stata contagiata dalla peste. Persuasa poi dalle parole del fratello e dall’evidenza che la sua febbre era semplicemente il riaffacciarsi del consueto male, era stata sdraiata a letto per tutto il tempo, creando non poco scompiglio fra la servitù che faticava a stare dietro ai suoi ordini, spesso contrastanti. Inoltre aveva chiesto la costante presenza di Aaron al proprio capezzale e lui aveva fatto tutto il possibile per lenire i sintomi della sorella.
 
Di nuovo guardò in direzione della carrozza che ormai sembrava una macchia sfocata nella bruma mattutina.
Era da quasi un mese che non vedeva Nero.
Si girò verso il proprio castello: voleva correre da lui, voleva … Anche stargli seduto accanto, in biblioteca, magari a leggere qualcosa insieme o a ad ascoltarlo raccontare dei suoi viaggi. S’erano visti così poco ultimamente... I loro incontri erano stati solo fortuiti o così brevi che non avevano potuto scambiare se non poche parole.
S’incamminò verso l’entrata e fece avvisare la servitù, gli stallieri e tutti coloro che erano stati coinvolti nella cura di Lord Hamill e la moglie, che i signori avevano lasciato il castello.
Solo William era rimasto. La Morte Nera era arrivata sul Tamigi e da qui era entrata a Londra, la devastazione e la pena che portava con sé non aveva precedenti. I medici e i farmacisti sconsigliavano, a chi poteva, di rimanere in città, ma di andare invece in campagna dove l’aria più salubre avrebbe ridotto il contagio.
I cadetti erano stati esonerati dal ritornare per i mesi successivi fino all’estate. Il ragazzo quindi, aveva insistito perché potesse rimanere lì con lo zio, invece che tornare a Suffolk coi genitori.
William era stato con Aaron a fianco della madre per tutto il tempo della sua malattia e l’aveva aiutato a provare meno nostalgia per un uomo che  viveva fra le mura del suo castello, ma che non poteva vedere.
Il pensiero che veramente non avrebbe più rivisto Nero di lì a poco - quando questi avesse deciso di lasciare Castel Thurlow e tornare  a Lontra – gli si affacciò furtivamente alla mente, ma lo ricacciò lontano, con forza. Non voleva, non poteva pensare … Non…
Si massaggiò le tempie, cercando di alleviare il mal di testa dovuto alla stanchezza.
Pensare che Nero se ne sarebbe andato lo drenava di qualunque forza, gli rendeva molli le gambe e lui si sarebbe accasciato lì, nel corridoio vicino alla biblioteca, senza neanche più la forza di piangere.
Non poteva pensare che Nero l’avrebbe lasciato. Voleva solo rivederlo. Forse più tardi ce ne sarebbe stata occasione.
Entrò in biblioteca. Il tepore che traspirava dalle pareti lo aiutava a rilassarsi, quell’odore così tipico di quel luogo e il cielo da osservare attraverso il vetro. Quel giorno era di un grigio tenue, ma il clima era troppo freddo perché piovesse.
“Sapevo che ti avrei trovato qui”
La voce inaspettata non lo spaventò. Aaron si girò per vedere la persona che aveva parlato.
“Sono felice che tua sorella si sia finalmente rimessa” Nero sorrise e guardò Aaron finalmente lì, davanti a lui. Senza doversi preoccupare di correre via, di non poter parlare.
Aaron lo guardò a sua volta, incapace di rispondere subito.
Annuì. “Le succede frequentemente, ma non è nulla di grave…”
“Più volte ho cercato di venire nell’ala est, con un qualunque pretesto, ma…” Nero scrollò le spalle “Non è stato semplice trovarlo e…” di nuovo esitò, guardandolo “…Dio, quanto mi sei mancato!”
Aaron non fece in tempo a sentire il suo stesso sangue che l’assordava, perché prima sentì le braccia dell’altro circondargli la vita e il suo alito caldo sfiorargli la pelle.
Aaron affondò il proprio viso nel suo collo, stringendolo forte a sé..
”Potevi venirmi a salvare”
“Mettendo a ferro e fuoco l’ala Est dove ti avevano intrappolato?”
“Effettivamente questo avrebbe creato grossi problemi con Margaret”
“Margaret?”
“La moglie del capomastro, devi averla incontrata quando sei attivato”
“Ah sì, la vecchietta che è stata con Forgia per un po’”
“E che dirigeva a suon di urla e minacce i muratori che hanno lavorato lì”
Nero alzò le sopracciglia e annuì pensieroso “Certo un’esperienza che preferirei evitare!”
Risero, non slacciando il loro abbraccio.
“Hai l’aria stanca”
“Ho dormito poco perché Davida voleva stessi con lei. Quando poi riuscivo ad andarmene, dovevo assicurarmi che mio padre mangiasse e non maltrattasse troppo Natalie o Josephine che se ne occupano”
“Ti prendi cura troppo degli altri e poco di te” non c’era rimprovero nel tono di Nero, solo preoccupazione per quegli occhi così stanchi che facevano fatica a rimanere aperti. Glieli accarezzò. “Sdraiati”
Lo portò con sé al divano e gli fece appoggiare la testa sul proprio petto.
“Posso davvero?” bisbigliò Aaron.
Non era una domanda posta a Nero, probabilmente non era affatto una domanda, ma Aaron la pose comunque, incredulo di poter rimaner lì e riposare fra quelle braccia.
Inspirò profondamente.
“E’ così calmo qui dentro che a volte mi chiedo se questo posto sia veramente sulla terra, oppure se faccia parte di un sogno” disse Nero intrecciando le dita fra i capelli di Aaron “io non ricordo nessun posto paragonabile a questo…” sorrise “E’ persino caldo, quando non ci sono né camini né bracieri che lo riscaldano”
“Quando mio nonno fece costruire la volta in vetro, si preoccupò anche di trovare una maniera di riscaldare la stanza senza che ci fossero camini o fuochi, per paura che un incendio bruciasse tutti i suoi libri…Il fuoco brucia all’esterno e riscalda le mura, così la stanza si scalda senza rischi per i libri”
Nero sorrise. “Doveva tenere in particolar modo a questa biblioteca”
Aaron annuì “Lo chiamava il suo luogo di pace. Diceva che tutto quello che aveva era qui dentro” Si strinse ulteriormente a Nero chiudendo gli occhi.
Il suo respiro e il suo calore lo cullavano, sciogliendo tutte le preoccupazioni che s’erano accumulate in quei giorni, disfacendo il mondo all’esterno di quella stanza.
Nero continuò a ad accarezzare i capelli di Aaron e l’osservò addormentarsi fra le sue braccia, osservò le labbra dischiuse e ascoltò il respiro ritmico e profondo dovuto al sonno.
“Diceva bene” sussurrò appoggiando le labbra sui capelli biondi.
Rimase lì, fermo, a guardare Aaron mentre dormiva e a guardare il cielo, dove le nuvole correvano veloci. Si chiese perché avrebbe dovuto, prima o poi, lasciare quel posto. Lì, fra le braccia dell’altro, non trovò una risposta.
 
“Sei sicuro di stare bene a sufficienza per provare a tirare con l’arco?”
“Ragazzo, incocca e tira. Se non faccio qualcosa, muoio d’inedia”
“Questo è un pericolo che il nostro ragazzo non potrebbe mai correre invece” commentò Luppolo senza alzare lo sguardo dal suo arco, mentre s’assicurava che i tendini fossero ben tesi.
“Il solito guastafeste!” si lamentò Cencio “Io e Forgia potevamo benissimo allenarci da soli”
“E secondo te avrei lasciato a voi tutto il divertimento? E poi, scusa, non mi dici sempre che devi sfidarmi?”
“Tanto sai che vinco io” rise il ragazzo.
”Prendi la spada e ti faccio cambiare idea…”
Cencio roteò gli occhi “Ora dobbiamo usare l’arco” aggiunse con tono infantile.
Forgia rise “Ragazzi, che bello assistere ad un altro dei vostri battibecchi! Stare sdraiato per settimane mi stava ammazzando più della ferita.”
Luppolo rise: “Sono contento anch’io di rivederti in piedi. Ad essere sincero, non ero sicuro che la tua ferita potesse guarire”
Forgia piegò l’arco, provandone l’elasticità: “Lo so. Invece adesso anche il mio braccio sembra completamente guarito!”
“Ecco perché pensa di potermi battere con l’arco”
“Non ho detto questo” precisò Forgia “Solo che volevo esercitarmi”
“Che ci vuoi fare” sospirò Luppolo “sai che il ragazzo ha l’aria in testa, non è colpa sua.”
“Sei noioso, Luppolo” Cencio non riuscì però a nascondere la sua espressione divertita.
Luppolo scosse la testa, ma questo gesto non trasse in inganno l’italiano. C’era qualcosa di diverso in Luppolo che Cencio non riusciva a capire. Era un po’ di tempo che, nonostante sembrasse tutto normale, lo scozzese sicuramente nascondeva qualcosa.
Lo guardò lì seduto, con l’arco montato finalmente in mano, gli occhi attenti che controllavano che tutto fosse a posto…Era lì, eppure era distante.
Sospirò e lasciò alle spalle quella brutta sensazione, deciso a capire se si trattasse solo di questo, oppure se davvero Luppolo avesse per la testa pensieri che ne appesantivano lo sguardo.
“Allora, siamo pronti? Iniziamo con l’arco e il bersaglio fisso a 200 iarde, poi passeremo a 300 e vediamo come va la spalla di Forgia. Se ce la fa passiamo alle 650 iarde col lungo…”
Gli altri annuirono.
“Per i bersagli vicino non credo che ci sarà alcun problema. E’ la forza che mi manca, e sono i tendini del lungo che me ne chiederanno di più”
Cencio si strinse nelle spalle “Ma Forgia, il fatto che vincerò io è scontato.”
“Zitto marmocchio e tira!”
Cominciarono  così il primo giro col primo bersaglio. La spalla di Forgia non gli permetteva di mantenere costante la forza, né tanto meno la posizione. Perciò continuarono coi bersagli a breve distanza per più tempo del voluto.
“Tornerà come prima” disse Cencio prima che Forgia potesse formulare la frase. Forgia lo guardò con aria interrogativa.
“Non ti preoccupare, vedrai che tornerà come prima” ridisse l’italiano. “Questo è il primo giorno che riprendi in mano un arco…”
“Sì, non è che mi preoccupi più di tanto…”
Cencio sorrise “Sei preoccupatissimo, Forgia. Ti si legge in volto e in ogni tuo movimento”
“E’ proprio vero che hai l’aria in testa, ragazzo!” Forgia sorrise, andando a riprendere le frecce sul  bersaglio.
“Secondo te si riprenderà veramente?” gli chiese Luppolo.
“Io penso di sì, del resto hai visto anche tu in che condizioni era… “
Luppolo sospirò, scuotendo la testa.
“Non devi essere sempre così pessimista, Luppolo. Si pensava Forgia morisse, e ora guardalo lì, a riprendere le frecce, dopo così poco tempo. Del resto la ferita non si è ancora rimarginata del tutto…”
“Forse hai ragione, forse sbaglio io. Ma a primavera ce ne andremo di qui, e torneremo a Londra. Mi chiedo se allora tutto sarà a posto…”
“Penso che mi dispiacerà molto lasciare questi luoghi”
Luppolo annuì “E’  da molto che non trascorrevamo del tempo in modo così tranquillo. E i benefici si vedono su tutti quanti”
“Ti riferisci al capo?”
“C’è qualcosa in lui di diverso”
Cencio si avvicinò d’improvviso a Luppolo, invadendo il suo spazio. Lo scozzese, d’istinto, indietreggiò, bruscamente.
“C’è qualcosa di diverso anche in te” Cencio guardò negli occhi di Luppolo. Quel verde chiaro, ma fosco apparivo lo stesso di sempre, ma forse era il modo di muoversi, o forse ancora l’atteggiamento meno spontaneo di prima, che turbava Cencio.
“Che cosa c’è? E’ successo qualcosa che non m’hai detto?”
”Hai le traveggole, ragazzo” disse un po’ troppo in fretta lo scozzese “Sto benissimo”
“Non ti ho chiesto se stavi male. Solo che cos’è successo”
Luppolo scrollò le spalle, guardando Cencio come se stesse dicendo parole senza senso.
L’italiano si girò a controllare dove fosse Forgia, poi si protese verso lo scozzese “Lo sai che non puoi mentirmi” gli bisbigliò vicino all’orecchio.
Il ragazzo era fin troppo sveglio, ma Luppolo non si mosse né disse altro, lasciando cadere l’argomento e rivolgendo la sua attenzione verso Forgia.
S’era ripromesso che tutto sarebbe dovuto tornare come prima. Tutto.
Avrebbe forse faticato, forse gli sarebbe servito un po’ di tempo, ma alla fine, le cose sarebbero tornate sicuramente come le voleva lui.
Del resto, non aveva scelta.
 
“A volte mi dimentico con chi ho a che fare” disse Forgia, tornando con le frecce in mano e lasciandole poi cadere sul terreno “Ridammi il mio stemma ragazzo”
Luppolo guardò prima il fiammingo e poi l’italiano, quasi li vedesse per la prima volta “Non ci posso credere, ancora?”
Cencio sbuffò “Come ancora? Finché non riesco a tenermelo io, continuerò a rubarlo”disse prendendo lo stemma dei Forgia dalla sua tasca. Lo puntò verso il cielo ed il rubino brillò “E’ proprio bello”
“E non è tuo, da’ qua!”
“Se non fossi stato così cocciuto e avessi detto che la ferita che ti eri procurata stava peggiorando, saremmo potuti arrivare dai tuoi cugini e lì mi sarei preso uno stemma tutto per me…”
“Non sono stato cocciuto, solo pensavo che sarebbe guarita… Ma poi scusa, perché vuoi uno stemma che non ti appartiene?”
“Perché è bello” disse Cencio come se stesse spiegando qualcosa ad uno sciocco “ e poi io non ho nessuno stemma, sarebbe bello possederne uno”
Forgia roteò gli occhi “Ragazzo, tu ragioni in modo strano”
“Pensi che in primavera si potrà lo stesso andare dai tuoi cugini?”
”Ne dubito. Quest’inverno ero sicuro che sarebbero stati fermi sul mare, ma sicuramente d’estate si muoveranno. Probabilmente potremo andare da loro l’inverno prossimo”
Cencio annuì felice “Così potremo anche tornare qui!”
Luppolo annuì “E’ un bel posto…”
“Più rimango, e più l’idea di tornare da Edoardo per poi andare in Francia non m’alletta”
“Certo che ragioni proprio da vecchio, Cencio. A vent’anni pensi già a rifoderare la spada e startene al calduccio di un focolare” lo beccò Luppolo.
“Non ho detto questo, Luppolo” rispose il ragazzo allargando le braccia “Solo che… C’è una pace in questi luoghi che mi dispiace abbandonare. Sono contento di sapere che non è l’ultima volta che li vedo…”
“Devo dare ragione al ragazzo, Luppolo. Tornare per andare dai Forgia sarà bello, e sapere di poter tornare qui renderà il viaggio migliore”
Luppolo sapeva che gli amici avevano ragione, sentiva anche lui la pace che permeava l’aria di quei boschi, eppure la temeva: aveva messo a nudo quello che ormai da tempo cercava di nascondere.
Non rispose, ma sollevò semplicemente le spalle.
“Ricominciamo” disse riprendendo in mano le frecce per terra.
  
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